Parole morfologiche di Patrizio Marozzi
Pensare alla lingua italiana è pensare è poter ricordare, il latino, il greco, arabo, lingue neo latine e nuove lingue; in un principio semplice ed essenziale della sua fonetica e morfologia. Qui di seguito inizierò a scrivere parole, anche recenti, per far meglio comprendere tale principio. Non so se ciò, continuerà trasformandosi in un dizionario più ampio. O semplicemente lo spunto riflessivo tale argomento, quale nell’immediato di questo mi appresto a scrivere.
Per iniziare con un semplice esempio, possiamo prendere la parola “inglese” Mouse (letteralmente tradotta topo) che in italiano “viene”, è oramai pronunciata e scritta maus. Ora con il termine maus noi italiani non indichiamo un topo, ma un indicatore grafo-logicamente realizzato dal sistema grafico informatico del compiuter; più propriamente un oggetto che gestisce il movimento dell’indicatore nella finestra di visualizzazione nel compiuter.
Per analisi comparativa per esempio della parola italiana maus con la lingua tedesca, dove tale termine scritto in egual modo significa topo. Questa riflessione per esempio con la lingua tedesca è perché nel vocabolario di tale lingua vi trovate parole scritte come quelle italiane, ma che hanno un altro modo di pronuncia letterale e altro significato.
Compiuter: elaboratore elettronico. Fatto assemblando componenti elettronici elettrici e la parte visuale scritta: softeuer.
Softeuer: “Scrittura” di grafica informatica che visualizza le possibilità di elaborazione del compiuter.
Ardeuer o Ard-uer: messo insieme (assemblato) di elementi elettrici elettronici.
e-meil o Emeil: abbreviazione di posta elettronica. Essa si verifica per mezzo del sistema informatico.
Maus: oggetto che gestisce l’indicatore grafico del compiuter.
Differenziazione ambivalente tra grafica informatica e informatica grafica.
Nel concetto di grafica informatica possiamo identificare le operazioni creative che per mezzo del compiuter “vengono”, sono elaborate in espressione grafica. Mentre nel concetto d’informatica grafica si può rilevantemente intendere la grafica del compiuter che dà accesso alla sua operabilità creativa, softeuer.
Sunami o Zúnami: effetto marino di un maremoto che ha inizio in profondità nel mare. Tale maremoto è invisibile fino al raggiungimento della costa, dove per effetto della spinta sottostante le acque, porta le stesse ad invadere la terra normalmente non sommersa dal mare. Curiosità: la parola “giapponese” da cui deriva tale termine, è un composto di due parole che significano porto e mare; a esprimere che la vista di tale fenomeno ha la rappresentazione dell’acqua del mare che si alza superando le barriere del porto marino.
Alfabeto della lingua italiana
A – b – c - d - e - f - g - h - i - l - m - n - o - p - q - r - s - t - u - v – z - x
Con queste lettere è possibile nella lingua italiana tradurre ogni espressione parlata, fonema di tutte le lingue e riportarle nella lingua italiana, nel principio di poter leggere come lo scrivo e lo scrivo come lo leggo. Tale principio è valido anche per quelle espressioni che nelle lingue dialettali italiane per esempio mantengono la - j – per esempio la frase je vojo dì, può anche essere espressa con il modo: “ié voio dì”. Per quel che riguarda l’uso della lettera h, essa ha facoltà d’espressione. La medesima nel verbo avere può essere scritta e ugualmente è pronunciata così: io ò – tu ài – egli à – noi abbiamo – voi avete – essi ànno. Al posto di: io ho – tu hai – egli ha – noi abbiamo – voi avete – essi hanno. Aggiungendo un accento grafico aperto (grave) ad ò, ài, à, ànno. Del resto per estensione formativa il gruppo ch può trovarsi anch’esso sostituito facendo seguire alla lettera – c – la lettera – é – con accento grafico chiuso (acuto). La lettera – c – à pronuncia di “ci” e di “c”, che rafforza la sua espressione così: cé. Il tal modo è possibile vedere la parola – cé – in sostituzione di – che – e nel complesso di pronuncia la parola – percé in sostituzione di perché, in egual pronuncia. Mantenendo inalterata la proprietà della parola – ché - In alcune parti d’Italia spesso la parola perché è pronunciata con la: è finale aperta - perchè – percè – che rimane diversa dall’espressione - c’è. Accenno alle sigle. Per sigla s’intende la sostituzione di una parola con un’abbreviazione, al riguardo dei termini suddetti l’acronimo delle parole appena citate: perché e che; nell’uso del telefonino in mancanza di accenti propri spesso viene usata la sigla ke per abbreviare l’uso del telefonino. Curiosità: qualcuno potrebbe dire che la parola “merce” si scrive mercé, in realtà basta scriverla merce e lasciare l’impropria mercé. Espressioni: ahh! Ohh!
Una storia di Natale
di
Patrizio Marozzi
C’era una volta in un tempo presente uno sconosciuto narratore che smise di narrare. Un giorno si accorse che finalmente non aveva più oggetti da far parlare. E nessuno poteva tirarli fuori da nessuna magia. Finalmente non gli sarebbe più accaduto che mentre leggesse un romanzo appena iniziasse la descrizione di un luogo, la spiegazione d’immagini per mezzo di oggetti, che parlavano; lui sentisse le sue palpebre oculari appesantirsi e aver voglia così di addormentarsi. Ora dovunque guardava non aveva più bisogno di leggere intere pagine che descrivevano il fare di una bottiglia, o che cosa facesse un’automobile o una stanza di una casa. Finalmente pensò potrò veramente viaggiare – Perché quello che mi fa viaggiare – disse a stesso – sono i pensieri e gli animi della gente, o della persona che scopro; quando gli oggetti non sono lì a parlare per lui. E se fosse una meravigliosa umana donna, viaggerei per il mondo della coscienza e, i pensieri avrebbero la voce dei luoghi. Già pensò questo perché anche la descrizione dei luoghi senza pensiero, i luoghi che parlavano senza essere contemplati erano voci senza pensiero. Soltanto l’anima poteva svelarli senza descriverli, lasciando che fosse essa stessa a parlare e svelare. Tutto quel che non ha anima e non pensa è, bello forse se possiamo esserci e, viaggiare con questi pensieri – pensò lo sconosciuto narratore – poi si addormentò nella sua stanza. Cominciò a sognare e crebbe nel sogno pensando a Giuseppe e Maria che in una stalla di animali partorì Gesù, e sognò il narratore sconosciuto di essere Gesù che in braccio a Maria sopra un somarello tenuto al laccio da Giuseppe; viaggiava per trovare riparo e tranquilla dimora. Il narratore quando si svegliò non capì più in che luogo fosse e se quello che aveva intorno fossero cose sue; e così sveglio, in questo luogo senza nulla, pensò alla vita di Gesù e immaginò di essere sotto la croce di Cristo quando morì. Poi ancora si guardò intorno e non riuscendo a capire dove fosse, pensò di essere con gli apostoli che incontrarono Gesù risorto. E allora pensò a se, si avvicinò alla finestra, guardò fuori e capì perché non riusciva a comprendere dove fosse: era notte, una notte buia che era entrata nella sua casa senza avvertirlo e il cielo, che osservava dalla finestra era pieno di stelle. Mentre questo accadeva, sentì dei rumori sopra il tetto della casa e poi un tonfo provenire dal camino. Guardò verso esso, ma tanto era il buio che non riuscì a vedere nulla. Accese una candela che diede chiarore alla stanza, si avvicinò al camino e vi scorse un piccolo pacco un po’ impolverato dalla fuliggine. Curioso come non mai lo raccolse e quando lo aprì, vide che dentro c’era un libro. Lo accarezzo con cura quasi fosse qualcosa di diverso, forse pensò proprio un nuovo romanzo o libro, dove gli oggetti non parlano. E quando lo voltò, vi lesse il titolo – un attimo sussultò – nel sentire un rumore – tanto era appreso nella curiosità. Sentì un piccolo rumore dalla finestra e ora vide che dentro il chiarore della luna che si era aperto un varco nel cielo notturno; gli occhi di un animale osservavano dentro la casa e per un po’ lo scrutarono: una grossa renna con pelliccia delle grosse corna e lo sguardo incuriosito. Stette un po’ lì poi scomparve dalla cornice della finestra. Tornò a guardare il libro che aveva in mano, ma sulla foderina non c’era scritto nulla. Lo aprì alla prima pagina e vi lesse il titolo: Notte di Natale di un narratore sconosciuto. Il racconto dove gli oggetti non parlano.
Rendiamo possibile anche ciò.
Sentì un piccolo rumore dalla finestra e ora vide che dentro il chiarore della luna che si era aperto (o aperta) un varco nel cielo notturno
Sentì un piccolo rumore dalla finestra e ora vide che dentro il chiarore della luna che si era aperta un varco nel cielo notturno.
Ti dico
Lasciamo in questa frase che il concetto della luna trovi espressione nel tempo della parola, come ente del concetto che parla e che agisce essa stessa sul fare del tempo che accade, è lei che apre il chiarore, è lei che anticipa e segue il varco. Ciò è possibile come libertà del maschile e femminile, già libero con il termine usato - aperto – che si confronta nel tempo con un femminile, la luna, ma è altresì bello che il femminile della luna parli al femminile al resto del maschile della frase, con quell’aperta.
Finalmente non gli sarebbe più accaduto che mentre leggesse (leggeva) un romanzo appena iniziasse (iniziava) la descrizione di un luogo.
Ti dico
Ho sempre pensato che il congiuntivo fosse la possibilità di esprimere un suono sì bello e riflessivo e, abbondare in esso è sempre bello; ma se il tempo diventa, era come espressione di un atto che chiama il tempo a un presente che è atto stesso del passato e del futuro – c’era perché c’era - al detto ci fosse perché c’era. Ecco che leggeva e iniziava, trovano un compimento espressivo e una gran bellezza.
Faccio un appello
Spesso una virgola serve anche per appoggio a una regola fissa di sintassi strettamente grammaticale. Faccio un appello affinché le virgole siano libere di trovare il tempo espressivo del narratore. Grazie per l’adesione, ma l’italiano è sì grande che volendo può starci anche quella virgola regolata.
Ueb: aspetto grafico rivelato dal compiuter mentre elabora internet. Aspetto grafico d’internet. O semplicemente internet.
Gioco onomatopeico
Se pensiamo al significato del termine inglese web; e considerando l’uso che ne è, “viene” è (l’essere è sì un verbo della scrittura, ma in sostanza è legato al senso della coscienza dell’individuo; ecco perché certe volte, è bene anche sostituirlo con viene - è vero anche che per esempio dire oggi è il giorno in cui … può essere detto, oggi viene il giorno in cui … ciò portandoci verso un’azione che si compie. Comunque senza abusare, con il termine viene, un termine non esclude l’altro.) come stavo scrivendo, considerando l’uso che ne viene fatto parlando di internet, il significato migliore dell’inglese con cui tradurlo è: tessuto. Con questa metafora possiamo pensare a un’interconnessione di fili di lana per esempio che creano una stoffa con una propria immagine e, paragonare ciò all’aspetto grafico d’internet. In questo caso la proprietà onomatopeica del termine web, acquista una valenza di suono al di là del suo significato, che comunque non esprime compiutamente l’uso del vocabolo in ambito informatico, ciò che è più pregnante con la parola italiana ueb, che non perde comunque del tutto la terminologia onomatopeica. Se cercassimo un sinonimo alla parola italiana ueb, potremmo esprimerlo con il termine di rete, anche se non specifichiamo di che tipo di rete, parliamo; se lo usassimo fuori dal contesto di internet, dovremmo specificarlo dicendo la rete internet. La lingua inglese trovandosi di fronte a nuove specificazioni ha dato ai suoni della propria lingua la grafica, il segno, il significato di altri suoni e, sostanzialmente non ancora aggiungendo nessun nuovo significato al vocabolo usato metaforicamente. The Internet web, potrebbe apparire più compiuto. In italiano l’aspetto d’internet. Curiosità: se non ricordo male il termine web in americano, è pronunciato uab. Nel The United Kingdom (Il Regno Unito comprende tutta L’Inghilterra, la Gran Bretagna e l’Irlanda de Nord.) (Gli abitanti del Galles e della Scozia non sono inglesi ma britannici e, l’Inghilterra e la Bretagna insieme si chiamano Gran Bretagna). È bene ricordare che si parlano altri idiomi linguistici parlati per esempio, in Scozia, nell’Irlanda del Nord e nel Galles ci sono luoghi, dove si parlano lingue di origine celtica che nulla hanno a che fare con l’inglese; e anche a Londra la parlata popolare si chiama cockney, ed è caratterizzata nella pronuncia perché manca della h iniziale dalle parole. E c’è il Qeens’s English (l’inglese della regina) privo d’inflessioni dialettali e regionalismi, sembra usato solo da persona colta.
Facciamo all’amore
Il flic e Floc del glottologo
La sapete quella del glottologo che incontra una donna cinese. Bene! Un glottologo incontra un’amica e gli dice: finalmente sono riuscito a fare flic e floc con una donna cinese, veramente carina. L’amica gli risponde, ma lo sai che i cinesi scrivono una cosa in un modo e la pronunciano in modi diversi e, ogni espressione ha un significato. Il glottologo gli risponde, ma certo vuoi che io non lo sappia, pensa che la parola, “miao”. Ha circa tredici modi differenti di pronuncia. Allora un po’ incuriosita l’amica chiede al glottologo, ma di che avete conversato tu e la donna cinese. Sinceramente il primo miao l’ho detto io, mentre la baciavo e l’accarezzavo, poi lei ha incominciato a dirlo in così tante espressioni che io non potevo che rispondergli, sinceramente non so bene di cosa abbiamo parlato, ma di certo abbiamo miagolato per un’ora e più.
È bene ricordare che in italiano è possibile quasi qualsiasi cosa, ma spesso perché questo sia possibile bisogna applicare una nuova regola. Ed ecco che basta un punto o una virgola, un trattino perché la cosa diventi possibile, ma io credo comunque che quando si fa all’amore bisogna farlo completamente e con tutta la creatività possibile. Prendiamo la frase in evidenza nel mio breve racconto scritto qui sopra: Il glottologo gli risponde, ma certo vuoi che non lo sappia, pensa che la parola, “miao”. Ha circa tredici modi differenti di pronuncia. Ora se non avessi usato il punto prima del verbo, avere, avrei dovuto usare il congiuntivo coniugando il verbo all’incirca così.
Il glottologo gli risponde, ma certo vuoi che non lo sappia, pensa che la parola, “miao” abbia circa tredici modi differenti di pronuncia.
Al posto di:
Il glottologo gli risponde, ma certo vuoi che non lo sappia, pensa che la parola, “miao” ha circa tredici modi differenti di pronuncia.
Non lo sappia - abbia
Il glottologo gli risponde, ma certo vuoi che non lo sappia, pensa che la parola, “miao” abbia circa tredici modi differenti di pronuncia.
Ma se togliessi: “Vuoi” e, sostituissi, “non lo sappia”, congiuntivo, con “che non lo so”. E ancora liberassi - la parola, da, “che”. E dal verbo avere passassi all’essere, sostituendo il congiuntivo. “Abbia”con “ci sono”. La frase si compirebbe, perfettamente, in questo modo:
Il glottologo gli risponde, ma certo che non lo so, pensa la parola, “miao” ci sono circa tredici modi differenti di pronuncia.
Oppure.
Il glottologo gli risponde, ma certo vuoi che non lo sappia, pensa che la parola, “miao” ha circa tredici modi differenti di pronuncia.
Ma (iniziamo anche con il ma, la frase, è senso usarlo) così c’è un piccolo blocco da liberare, una piccola prigione che ingabbia il punto. Infatti, togliendolo dopo “miao”, il verbo avere si libera, ma per liberarsi ha bisogno del congiuntivo abbia. E allora invece liberiamo anche il punto, facciamo veramente all’amore e, se nell’espressione della prima parte della frase, ho lasciato il congiuntivo non lo sappia. Voglio continuare la frase con un suono che è anch’esso pieno di significato raffinatezza e creatività, dando alla parola “miao” un verbo e suono pro-spicuo e, che lascia libero il punto e dà ugualmente compiutezza alla frase.
In fine. Ho usato un mio nuovo termine, per spiegare l’aderenza di suono che qui si verifica tra miao e ha, prospicuo. Non so perché ma mi sa tanto di Napoletano. Esso è stato da me costruito con il termine pro (in certo senso per dire verso) e la scomposizione della parola: cospicuo (consistente) prospicuo si può specificare con i termini, arricchente e avvicinato.
Server: in inglese significa servitore, chi serve. Nell’uso informatico e, del termine italiano, la parola “server” è riferita a un oggetto, il compiuter che gestisce i documenti d’internet collegandosi ad altri server e compiuter personali. O si riferisce all’azienda che gestisce la sede propria di questi compiuter.
Lezione uno e basta.
Le lettere straniere: J – W - Y – X . Negli alfabeti la j (i lunga) e la k (cappa) vanno inserite, tra la i e la l. X (ics) e y (ipsilon) tra la v e la z. Grazie.
Questa vuole essere una di quelle lezioni di lingue che spesso si vedono o si ascoltano, e anche si leggono, certamente improntate su un dialogo che appare scemo.
Una normale mattina
Era giunto proprio quel giorno. La mattina aveva salutato Gein sullo iòt; e adesso Giòn era in questa nuova casa in Italia per trascorrervi la primavera. Mentre era seduto ascoltando la musica di Vagner, pensò per un attimo alla giornata che aveva trascorso a Uòscinton. Non c’era nulla da fare l’inverno a Niu Iorc lo proferiva, era meno solitario. C’era sempre Gian che passava a trovarlo la sera e gli parlava della Francia. Quel giorno prima di raggiungere la casa aveva camminato per ben tre chilometri e, soltanto al cartello che indicava Km 1, aveva sentito le gambe sciogliersi. Del resto lo diceva sempre a Glenda, quando da Boston veniva in Italia e discuteva, sempre, con lui sul fatto che in Italiano Nuova Iorch voleva un h finale, e che quando gli scrivevo di Vaghner dovevo anche qui usare una h dopo la g. E allora io per divertirmi e farla arrabbiare gli dicevo ma magia un pacco di Vafer, sei una senofoba e non xenofoba. Senofoba, ma la x è latina rispondeva lei. E mi diceva ancora che ero un extra umano. Ed io gli rispondevo ma possiamo anche dire ecstra umano? E, allora poiché tu sei una extra donna, vedi bene che sia in Iorc sia in Vagner è meglio anche togliere un h. E poi ti dico che son così poche le parole italiane con la x che ti lascio extra, ma mi devi sostituire l’ics in s quando è iniziale se vuoi, alcune volte, ed ex allievo, o ecs allievo; ma la doppia w di Uoscinton non è la doppia w di Vagner, mi rispondeva lei per fare la saccente. Ed io quando si arriva a questo punto le dico: e chi se ne importa della doppia w, che mica è un extra. E incominciamo a ridere a crepapelle e passiamo alla lezione due.
Una parola e il gioco dei suoni compiacenti.
Il suono e l’immagine della parola che consideriamo è, “giallo”, un colore.
Vediamo in greco: xanthos. In latino, gilvus. E ora per esempio ascoltare e guardate. Italianamente il suono di queste tre parole: inglese, Yellow. Francese, Jaune. E tedesco, Gelb. E ora pronunciate e ascoltate il suono Giallo, tutti i suoni ora sono qui. In spagnolo, giallo è amarillo e portoghese amarelo, o, amarilla o amarela, come gialla. Hanno il sapore e l’etimologia dei sinonimi, anche se appaiono con un senso storico diverso.
Internet: questo termine che già abbiamo incontrato considerandolo conforme all’italiano è, un termine di uso internazionale che significa – collegamento informatico planetario per la trasmissione di dati in forma di scritto, audio, video, immagini; in testi e ipertesti multimediali, tra reti locali di compiuter collegati tra di loro. Il termine internet nasce dall’unione e riduzione di due termini, quale International e network. Internazionale e network, quest’ultima parola significa, rete, sistema a rete. Nella prima parola è rimasta l’espressione inter che è uguale al suono di una parola latina (tra, fra, in mezzo) parola che asseconda perfettamente il suono italiano e, la parola net che nell’inglese sta più che altro con il gettare le reti e, che nella pronuncia asseconda l’italiano. Ora tale unione di questi suoni ha creato un suono italiano come internet e, che internazionalmente ha mantenuto la pronuncia italiana, mantenendo la pronuncia inglese la - r – In inglese pressappoco sarebbe pronunciata così “inte net”.
Ti blocco la parola pronunciandola in altro modo. Questo è un pensiero formale che cambia il suono della pronuncia dallo scritto.
Mo: con questo termine in Italia, in diverse parti si abbrevia il significato di adesso, ora, in questo istante (dialetto). In Inghilterra lo stesso termine è un’abbreviazione di moment – momento, istante. Nello svolgimento di una frase d’esempio in italiano potremmo dire: “Mo vediamo.” Adesso vediamo. In inglese una frase suonerebbe: “Aspetta un attimo”, Half a mo. Ora in questo termine la norma in cui è scritto è identica all’italiano, e in entrambe le lingue, il termine si scrive - mo – ma in inglese si pronuncia, mou.
Mobile: questo termine ha la stessa modalità del termine precedente, in entrambe le lingue si scrive mobile, in entrambe le lingue ha lo stesso significato, mobile, spostabile. In italiano aggiunge il significato di oggetto d’arredamento, che pertanto ha tali caratteristiche. In italiano tale significato si scrive e si pronuncia in modo identico, mentre in inglese si scrive come lo vedete, ma si pronuncia moubail.
Modalità: alterazione del termine modo.
Modem: contrazione delle parole; modulatore e demodulatore –Mod Dem – Modem. Dispositivo che serve per preparare dei segnali da trasmettere a un mezzo (Modulazione), come la linea telefonica, e poi riconvertirli nella forma originale, (Demodulazione).
Una scorpacciata di parole
Torniamo sull’alfabeto italiano per riflettere sul suo principio. Per far ciò è bene pensare all’italiano come unione e relazione di suoni che hanno stabilito una relazione di suoni tra le lettere dell’alfabeto italiano, che va sia dalla pronuncia delle parole allo scritto che dallo scritto verso la pronuncia in egual modo generandosi in infinite possibilità di suoni, per mezzo della relazione fonetica che si stabilisce tra le lettere dell’alfabeto. Le lettere dell’alfabeto italiano hanno pronuncia in se stesse perché l’oralità che le ha formate ne ha fissato il segno. Ciò appare subito di primo acchito pronunciando tali lettere nel modo differente da come vengono, e possono essere chiamate per nome. Le lettere sono:
PER NOME
A a
B bi
C ci - è bene ricordare che aggiungono un’altra lettera, quelle che nel formarsi parola, acquisiscono il suono della lettera che segue – per esempio CA – CE – CHE – e che per ciò la q è seguita dalla u – per sempio, qu – qui, quo, qua, quelle quella quello. È per questo che non vi è bisogno della K – per esempio – Catia è uguale a Katia
D di
E e
F effe
G gi
H acca, la lettera – h – la si pronuncia solo per nome
I i
L elle
M emme
N enne
O o
P pi
Q cu – la lettera Q a cui si aggiunge una U – QU- per acquisire il suono che segue – quando è un suono più forte nella pronuncia si raddoppia aggiungendo una C prima della Q. mentre quando si compone in alcune parole – tipo so quadro, diviene –soqquadro. Si può ricordare in definitiva che la pronuncia non raddoppiata – spesso crea riso, e, la battuta ironica, à dimenticato la doppia lettera nella parola, ma spesso acquisisce lo stesso significato, ma non per tutte le parole. Per esempio, Quelle che ò evidenziato in rosso rispetto a tutte quelle qui scritte che raddoppiano per il suono della parola che così viene scritta, cambiano significato se si toglie la doppia lettera.
R erre
S esse
T ti
U u
V vu o evve
Z zeta
Ora questo è il suono delle lettere. Audiomp3 E questo il suono del nome. Audiomp3 (approssimatevi).
È bene chiedersi come si è giunti a ciò, giocando un po’ con il tempo diciamo che ci sono voluti millenni, specificando un po’ diciamo dalla nascita dell’alfabeto. Spiegherò più avanti perché, ma propriamente per l’italiano alcuni secoli di naturale sviluppo. Pensando alla nascita dell’alfabeto che vogliamo far risalire con il cuneiforme dei sumeri, possiamo dire che il senso di ciò è stato quello di trovare una relazione tra il segno alfabetico e il suono pronunciato, così si cambiava un po’ il rapporto che c’era con il suono nel mondo prettamente orale e, in certe forme della comunicazione. Poi con l’alfabeto dei fenici si è, entrati in un rapporto più corrispondente il rapporto numerico dei segni e il segno suono, da tale alfabeto sono nati gli altri che conosciamo tranne quelli asiatici. Per quello che riguarda quello italiano, lo possiamo far risalire ai primi popoli italici e gli etruschi, che si è proiettato nell’alfabeto latino che si è diffuso con i romani diffondendo anche i principi sintattici. Ora che cosa è avvenuto propriamente per l’italiano. È avvenuto che sulla terra d’Italia da un certo punto in poi. A fronte della lingua latina che in più di un millennio si evolveva fino al latino moderno, e che ancora aveva un senso della lettera dell’alfabeto che cercava un corrispondente suono per mezzo della deduzione di altre lettere l’alfabeto, associate insieme, che dovevano corrispondere all’ipotesi di un suono. In Italia terra avveniva che spontaneamente la commistione dei suoni delle lingue alfabetizzate generasse sul suono espressivo della gente che parlava una possibile diversità di accenti ma che con i secoli andavano a fissarsi coniugandosi con il suono stesso del segno alfabetico. Per la prima volta nella storia dell’umanità nasceva una lingua orale generata dall’alfabeto, e che trovava nei principi del suo alfabeto la sua corrispondenza fonetica e nella fonetica le possibilità della sua corrispondenza scritta. A questo punto dopo lo spontaneo esprimersi, incominciava a nascere lo spontaneo scrivere e, la dimostrazione concreta che con tale lingua era possibile esprimere in ricchezza di profondità di senso uno scritto. Che non solo potesse stare con il superbo latino, ma potesse essere migliore e più efficace, anche delle altre lingue. L’italiano ha trovato dei grandi in espressione come San Francesco d’Assisi, Dante, Boccaccio, Leon Battista Alberti, e quant’altri hanno dimostrato ciò, per amore e amicizia.
Curiosando. Trovandomi da presso un’erudita grammatica inglese, rifletto sul fatto che l’italiano in fondo non ha bisogno di suoni che diventano astratti per esprimere un concetto grammaticale, o il suo effetto linguistico. E riflettiamo anche sul fatto che i termini per esempio di compitare e spelling proprio per la diversità della pronuncia fonetica dell’alfabeto e, relativa attinenza; sono termini che hanno il loro delle diversità. Mentre compitare, è un’opportunità che può servire per esempio per far capire meglio una parola, a qualcuno che magari al telefono non ascolta bene; lo spelling, secondo la mia grammatica erudita è pressoché obbligatorio per spiegare a chi lo richiede l’esatto modo in cui un termine o un nome è scritto in base alla sua pronuncia, perché potrebbe essere incerta la sua trascrizione.
Dimensione concettuale, riflessione.
L’ho avuta per un essere umano. Sono stata un essere umano. Ho individuato un essere umano. Come essere umano ti ho capito. Ti ho capita come essere umano. L’incognita del participio passato, sembra finire sempre con un suono maschile. Dico che può sembrare un’incognita, il participio di, ti ho capita come un essere umano è, ti ho capito come essere umano, ma in definitiva qual è l’azione che ci troviamo a svolgere. Ti capisco come essere umano ed è indubbio che l’essere umano sia un universo di là delle differenze e, pur anche così specifico può essere. E allora io mi rivolgo a qualcuno, come a qualcuna nell’ambito dell’essere umano. E, se volessi dire appunto perché riferito ad un essere umano, il suo modo di essere. Nella verbalizzazione potrei trovarmi di fronte a un essere che è donna (magari, diciamo solo femmina). A parte le battute e, per questo gli volessi comunicare personalmente una mia preposizione che ho avuto coscienza di lei e che è vissuta su una mia partecipazione passata, credo sia possibile sia per efficacia sia per bellezza di suono sia io dica non il genere, ma il sesso della persona umana con il suono di una mia azione che è stata, appunto, ti ho capita come essere umano. Io sono un essere umano. L’individuo, come essere umano. Ora per continuare consideriamo quest’ultima frase: l’individuo come essere umano. Che premette ciò che quando ci rivolgiamo personalmente a una persona, noi usiamo il maschile e il femminile in rapporto a come ci determiniamo al suo sesso – ora in dialetto per esempio possiamo dire anche, statte zitta, generico e indifferente zitto o zitta; a un uomo in sostituzione dell’italiano stai zitto, o zitta per una donna. Ed ecco che individuando una donna perché essere umano, io possa esprimermi anche dicendogli, non ti avevo individuato, proprio riferito a lei perché essere umano, o per sesso non ti avevo individuata, questa seconda espressione trasforma il participio. Curiosando: per dire, ti ho individuato come essere umana. Basta mettere la virgola? No, ti ho individuato, come essere umana, se si vuole. E senza virgola e senza regole: ti ho individuata come essere umana. (bona).
Sono stata, un essere umana, sembra proprio meglio: sono stata un essere umano, meglio l’unione linguistica.
Scrivi parla sentiti libero.
Se lo faccia dire.
Potrebbe assumersi.
Se lo facci dire.
Io, tu, egli, noi, voi, essi. Coniugazione, “avere o essere, o essere e avere”. Io ho, presente avere. Io sono, presente essere. E sostanzialmente, quando ho che faccio e che sono. E quando sono che dico e che faccio. E poi che fanno e che sono – e che dicono e che fanno. E che farebbero e che sarebbero. Oggi ieri e domani.
Nell’analizzare un po’ la grammatica e, nel riflettere e dedurre, dato la mia connotazione creativa è nello sviluppo stesso della mia creatività che ciò è meglio che sia. Tanto più che un’analisi della grammatica sa sempre, può assumere sempre un aspetto assiomatico. E nell’appunto della mia dimensione creativa è auspicabile la capacità di essere creativo e in questo libero. Cosa che si confà alla lingua italiana e alla sua essenza. Ora torniamo a quanto sopra. Mi piacerebbe dire che nell’incredibile possibilità dei suoni della lingua italiana, l’espressione spazio tempo con il termine, assume veramente raffinatezze ed espressioni veramente ricche. Dentro quelle coniugazioni con gli aiuti delle congiunzioni, vengono fuori tante parole e suoni, anche quelle che state leggendo. E allora vi vorrei dire che spesso nel discorso, capita che sia la sintesi o, che l’aumento delle parole, essi assumano possibilità di spiegazione nell’espressione. Ora in tale connotazione di spazio e tempo, succede che nel colloquiale il congiuntivo presente, il condizionale e l’imperfetto possano confluire per esprimere, un tempo tra il possibile e il probabile, alcune volte indifferentemente. È bene dire che l’incredibile varietà dei suoni rende impossibile fermare il tutto. E allora si potrebbe dire che il congiuntivo presente non ha mai suono di nome, sarebbe una bella semplificazione, di fatti pressappoco è così, tranne il congiuntivo presente di fare, con faccia (viso, volto). E per quello di annettere, che sembri pronunci il diminutivo del nome Anna, con, annetta. E allora quel facci scritto lì sopra da quale coniugazione “esce fuori”, in quella del verbo fare non c’è. Sembra proprio che tutto ciò che coniuga si esprime ed ecco appunto che qualche volta, succede per esempio: che potreste farmi la cortesia. O, che potesse farmi la cortesia. O, mi fareste la cortesia. O, mi farebbe (faceste) la cortesia. L’imperfetto e il passato si uniscono quasi naturalmente. E il futuro e l’imperfetto congiuntivo, sembrano fare lo stesso. Sembra che il condizionale in fondo sia proprio come il congiuntivo. E perché no bene. “Se tu potresti capire mi diresti, grazie e anche bravo.” In fondo il tempo è anche una condizione dello spazio, potresti e potessi. Italiano mio quanto sei bello, sei proprio bono. Ed ecco che, “potrebbe assumersi”, trova la sua libertà di là della coniugazione del verbo assumere, come è.
Il guazzabuglio del pensiero indifferenziato. Con dolcezza, in fondo.
Credo che chiunque ha da dire qualcosa lo fa. Dicesi errato. “Mancherebbe il congiuntivo”.
Credo che chiunque avesse avuto da dire qualcosa lo faccia. Dicesi corretto con congiuntivo trapassato.
Credo che chiunque abbia da dire qualcosa lo fa. Dicesi corretto, congiuntivo.
“L’Egli c’è e non si vede”.
Credo chiunque ha da dire qualcosa lo fa. Dicesi corretto.
Credo che. Ha da dire qualcosa, lo fa. Corretto con il punto.
Quando c’è che, vogliono il congiuntivo?
Che ha da dire? Che, senza, egli – “loro”. Dicesi corretto. Credo che chiunque ha da dire. Dicesi scorretto perché la subordinata – ha da dire – necessita del congiuntivo abbia. In realtà è quel - Credo che, sposta Che chiunque, lo stesso. E, ha da dire, sta bene da solo. E allora basterebbe che: Credo che, chiunque, ha da dire qualcosa lo fa. Due virgole e dicesi corretto perché il subordine è separato, del termine, è. Separato e le espressioni hanno vita propria, seppur come ogni volta si è, vede, compiuta nel senso del discorso.
Altresì: Credo, che chiunque, ha da dire qualcosa lo fa. Con virgole corretto.
Credo chiunque ha da dire qualcosa lo fa. Dicesi corretto.
Credo che ha da dire qualcosa, lo faccia. Dicesi scorretto.
Il subordine nelle frasi è un guazzabuglio? In realtà la logica è che tutto ha una differenza, in questo caso anche qualche differenza in meno, può essere una differenza.
E allora credo che egli ha da dire qualcosa lo fa. Dicesi corretto.
L’aggiunta di quell’allora. E allora credo che chiunque ha da dire qualcosa lo fa. Dicesi corretto.
E allora mi permetto di dire dare al tempo dell’espressione non tanto il subordine di un termine che non poggia su un altro termine, improrogabilmente, ma nelle infinite possibilità il significato dell’espressione con un quid di suono. E allora quell’egli ha più presenti. Egli ha, egli abbia, questa differenza, ha una differenza in più quella della sua uguaglianza. Come dicesi altresì per il verbo essere. Credo che chiunque sia ha da dire qualcosa lo fa. O, credo che chiunque è ha da dire qualcosa lo fa. “Dicesi scorretto”. Nel parlare queste espressioni riferite a un presente contingente di relazione con altra persona, pronuncia non altro che l’immediatezza di uno spazio del presente sul posto dove avviene la conversazione, una possibilità espressiva in più nient’altro e, che sovente naturalmente. avviene.
L’universale dell’italiano.
Diciamo allora la relazione creativa fa dell’italiano una lingua che possiamo intendere come espansiva, aperta amichevole e spontanea. Che cosa? La lingua appunto. Stiamo parlando della lingua e del suo argomento, l’italiano ed è appunto identificando un “nome” e dando un “soggetto” per argomento e, usando il significato di ogni parola noi cerchiamo il senso di quel che vogliamo esprimere e dire, specificando il senso e aprendolo nel colloquio ad altri significati e approfondimenti, volendo. E il rapporto con l’identità dell’argomento che cerca il senso e il significato sviluppa anche le relazioni con l’identità stessa del significato e il rapporto che vuole dargli, in relazione, la persona con la sua identità. Ora se c’è un rapporto creativo tra le persone che usano le parole, l’ascolto del significato di esse serve a stabilire una reciprocità e una comunione, sia essa esplicativa, o deduttiva, o espressiva. L’italiano nel suo connotarsi come lingua che amplificata, non solo dà significato a nuovi suoni, dà espressione alla ricerca espressa dall’identità della persona, ma nella fattispecie del significato delle parole e, la sua ricchezza e in questo nel rapporto tra le lingue nella creatività. A, anche nella struttura formale e nella possibilità di movimento del rapporto formale e spontaneo delle parole e, anche per mezzo dell’interpunzione che varia le possibilità, la capacità di tradurre dalle altre lingue con la propria, la struttura grammaticale delle lingue che con essa vengono tradotte. Sia per mezzo dei suoi canoni formali con altri canoni formali le altre lingue, mantenendo la propria autonomia e proprietà, sia nel campo della ricerca dell’autore che libera i canoni linguistici e si incontra con altre espressioni creative delle altre lingue. La bellezza di una ricerca che continua senza negarsi ma appunto nella sua naturalità, espandersi.
Vorrei fare un appunto adesso ricordando a tutti i lettori, soprattutto diciamo a quelli più leggeri, tra cui ci sono anche quelli che credono di non esserlo, senza rendere questo leggero giudizio di merito. Dicendo loro che c’è tutta una letteratura creativa che si esprime per lo più con l’effetto tra gli aggettivi e il loro significato e le sostantivizzazioni, questa è una mia espressività, che ho usato anche in altre occasioni, quasi artatamente. Per dirla … e le sostantivazioni, che, in effetti, sono un po’ diverse dalle tecniche di persuasione della sostantivizzazione. Restando nell’argomento quell’iniziato che volevo dirvi, che queste letture per aggettivi e per la sostantivazione delle parole, o eccessiva diminuzione di quest’ultima forma, spesso sono un mezzo per accalappiare l’attenzione attraverso una rapida spiegazione del significato del termine, senza la ricerca profonda del senso del significato e, la relazione profonda del contenuto delle parole con l’identità stessa. Ora un’identità omologata e preformata è più facile da gestire e indurla in decodificazioni, logiche basilari, quasi da causa effetto, stabilendo per gusti non una sua valutazione di coscienza, ma il suo indirizzo speculativo funzionale.
Esplicazione della: sostantivazione di parole. Della bellissima lingua italiana; citando un libro di grammatica. In essa è scritto - Cogli la differenza esistente tra queste due frasi: il ragazzo voleva comprare un libro di avventure. Il voler comprare cose inutili è da sciocchi. Nella prima frase la voce verbale fa da predicato, nella seconda fa invece da soggetto, cioè è usata come fosse un sostantivo, equivalente a la compera l’acquista.
Qualunque frase del discorso può essere usata come sostantivo e in tal caso, nella maggioranza dei casi, le si premette l’articolo. Es. Il bello (ex aggettivo) piace a tutti. Un bel tacer (ex verbo) non fu mai scritto. Sempre e mai (ex avverbi) indicano circostanze. (Parola e arte, Piero Lovati – Sergio Varesi. Ed. “Il Palumbo” 11” edizione 1971. Lire 2750)
Imeil: pronuncia omografa dall’inglese che significa, in italiano, servizio informatico di posta. Si differenzia dalla pronuncia E-mail (e –meil) perché ingloba in un unico suono l’abbreviazione – E – di elettronica, pronunciata in inglese - i – e, meil che significa postal service, servizio postale. In italiano, diciamo tale significato anche con, poste o, posta. In italiano, imeil, assume la valenza gergale. Anche gergo internazionale.
Mangia che ti passa
Oggi questi cookie mi ànno fatto prendere un mal di testa.
In effetti, questi biscottini sono proprio pesanti.
Non parlavo dei biscottini, ma dei cuchi, documenti informatici d’identificazione dei compiuter in internet.
Certo voleva ben dire, cosa centrano i biscottini, ma non ò potuto che pensare a essi, perché stiamo facendo colazione.
Un sunto grammaticale: Impara il significato delle parole ed esprimiti.
Nell’alfabeto dopo la lettera z – mettere la x.
Per le vocali: a, e, i o, u.
I nomi sono maschili e femminili.
I maschili per lo più finiscono in o (singolare), i femminili in, a (singolare).
Poi il plurale e il singolare. Il plurale per lo più finisce in i (maschile) e, e (femminile). Il singolare in o (maschile) e a (femminile).
Il significato delle parole è formato in soggetto e oggetto – e il suo attributo è il significato stesso della parola.
Per il primo si fa riferimento alla persona, per il secondo alle cose.
Gli articolari rappresentano, per lo più, uno spazio in determinato nel significato della parola “usata”: un una, il – lo - la di, dei do, i – sempre singolare, tranne plurale, finiscono in I.
Le espressioni: i - e – egli – “gli” - è – che – coniugano il significato astratto del concetto espresso dal significato delle parole usate nella frase.
L’eccetera sul significato delle parole nel dizionario; qualora le trovaste per il significato del presente, futuro e passato – del significato del luogo e del tempo del significato l’astrazione, l’espressione usata.
Per sunto esplicativo, per le coniugazioni verbali usare la grammatica. Come un dizionario.
Leggere il significato dei termini, dei punti di punteggiatura.
Fine
Per Post Scritto
Rivolgersi
Quando verso un uomo (maschile) con la o finale – per esempio: Mio Caro. Quando verso una donna (femminile) con la a finale – per esempio: Mia Cara. Quando ci si rivolge a qualcuno, sia essa donna o uomo, usando un modo meno confidenziale o più rispettoso, usando, la finale, che è del plurale, con i termini come: Lei o Voi – questi si usano ormai indifferentemente sia verso l’uomo, che la donna.
Ora quando i termini, le parole per descrivere o immaginare si conformano tanto da sembrare che il plurale si mischi con il singolare, come il maschile con il femminile, per esempio: Lei è molto bella! Ciò che è imprescindibile conoscere è il significato delle parole che si usano, i loro sinonimi e contrari – per capire se un plurale à, una sua corrispondenza femminile come nel caso di molto, per sapere a cosa può essere riferito rispetto a molta.
Ora se in ragione per l’esempio di – lei e voi – usiamo, mi, o ci, per il proprio io e tu: Scrivimi – scriviamoci. Io mi sento. Tu mi senti. Io ci sono. Tu ci sei.
Se ci si rivolge a se stessi con: io, e te, (tu e, io) ci amiamo. Il te, detto prima di amore, diviene ti. Io ti amo, ti amo. Mi ami? Sì.
La forma espressiva - te amo. Me ami, la troviamo in uso nel dialetto di Roma. Oltre che nelle lingue latine ispaniche; O come forma conclusiva nell’inglese: per esempio, I love you – Io amo te …. Soltanto te, e tutto il mondo …
Quando due persone, insieme si rivolgono a un’altra, dicendogli per esempio, che vorrebbero che scrivesse, loro. O dicendogli di scrivere, possono anche rivolgersi dicendo, scrivici che noi ti risponderemo. E si potrebbe rispondere: Bene, scrivetemi, ciò mi darà molto piacere, io vi scriverò sicuramente.
N.B.
Spesso si ascolta qualcuno definire la lingua italiana, la lingua dell’amore. E forse qualcun altro, o altra si chiede perché! L’italiano è l’ultima lingua naturale che si è formata e nel tempo naturale del suo svolgersi à, relazioni profonde con tutte le altre lingue. Essa è anche connaturata dalla traslitterazione del latino con tutte le altre lingue, ciò à determinato per essa il fatto di trascrivere ogni fonema o suono per chi se ne appropria nell’italiano. Questi fatti danno alla lingua italiana un’ampia ricchezza di vocaboli e, di variazioni nei sinonimi e contrari. La possibilità di poter ancora vedere e capire il suo formarsi è anche intrinseca nella possibilità, sia in origine, che attuale di scrivere nel suo alfabeto i suoni che si ascoltano – ciò che à connaturato questo è stato il naturale e spontaneo, individuale agire di persone che ànno scelto di utilizzarlo come lingua scritta: Francesco di Assisi, Alberti, Boccaccio, Dante Alighieri. Questo connaturato essere di chi usa l’italiano, è possibilità feconda per l’espressione umana, di trovare parole che acquisiscono il significato del loro uso, nella lingua italiana che le ascolta. Questo significa che l’italiano si arricchisce e può di nuovi vocaboli; anche avvenendo che quando prenda il suono di un’altra lingua nel suo scrivere, restituisce il significato in uso di quel termine nella lingua che lo pratica in un altro significato nell’italiano.
P.S.
Con l’uso dell’alfabeto italiano le lettere che si raddoppiano in una parola – come per esempio quelle appena, detto per ora, scritte, si pronunciano nella parola, con un maggior tono del suono della singola lettera, pronunciata. In quest’ambito la pronuncia si modifica quando, l’uso del tono è composto dalla q, codesta è seguita da un’u, qu ma non si pronuncia mai con il suono che così avrebbe di cu; la pronuncia acquista la differenza di qua, andando sulla a, al contrario per ipotesi del suono di cua. Per immaginare un po’ è come il suono di una papera. Tale pronuncia si evidenzia appunto tra cui e qui e il relativo uso del significato che si vuol pronunciare. A questo punto vale ricordare anche la parola quo. Per questo quando si pronuncia una parola con il raddoppio della q, tipo soqquadro aumenta il tono di so-qqua-dro, insomma è quasi uguale a ogni raddoppio o doppia lettera nella parola. Ora se a questa pronuncia aggiungiamo per l’esempio la parola “acqua”, oltre a quella di, acquista che è stata già scritta, pronunceremo con lo stesso tono la c, e qua della parola “acqua” e avremo appunto il suono della “c” insieme con quello di qua che non è cua.
Per il dialetto di Roma le doppie pressappoco non esistono, soltanto appunto nella parola, doppie, credo – che se non ricordo nel dialetto marchigiano con ceppi linguistici longobardi germanici è la parola, invece, dove scompare, pressappoco. Pressa poco, due significati che uniti raddoppiando la prima lettera della seconda parola, formano pressappoco una parola con un suo significato.) variazioni di pronuncia.
Di Leon Battista Alberti a Patrizio Marozzi
(che mai volle costruire una grammatica)
Quel che affermano la lingua latina non essere stata comune a tutti i popoli latini, ma solo propria di certi dotti scolastici, come oggi la vediamo in pochi, credo deporranno quell’errore vedendo questo nostro opuscolo, in quale io raccolsi l'uso della lingua nostra in brevissime annotazioni. Qual cosa simile, fecero, gl'ingegni grandi e studiosi presso i Greci prima e po' presso de i Latini, e chiamarono queste simili ammonizioni, atte a scrivere e favellare senza corruttela, suo nome, grammatica. Questa arte, quale ella sia in la lingua nostra, leggetemi e intendetela.
A b c d e f
g h i l m n
o p q r s t
u v z x
A e i o u
Punteggiatura
La virgola (,) serve a segnare una breve pausa.
Il punto (.) serve a chiudere un periodo. Dopo di sé vuole sempre la lettera maiuscola.
Il punto e virgola (;) pausa più lunga della virgola. Chiude un periodo e dopo di sé non necessità della maiuscola.
Due punti (:) sono usati per riferire le parole o il discorso di una persona.
Il punto interrogativo (?) va messo dopo le frasi che pongono una domanda, dopo di sé vuole la maiuscola se chiude il periodo. Se no, possono farne a meno.
Il punto esclamativo (!) si colloca al fine di una frase, o parola, che esprima, meraviglia gioia dolore, per affermare. Lo stesso discorso dell’interrogativo per la maiuscola che lo segue. Del resto si può interpretarlo bene in entrambi i modi. In qualche caso il punto interrogativo e l’esclamativo si possono usare insieme (?!) alla fine della frase, per esprimere alla domanda indignazione.
I puntini di sospensione (…) quando si lascia interrotta una frase.
Le virgolette (“ ”) per creare attenzione su una parola o una frase.
La lineetta (-) come i due punti. E anche al posto della virgola e del punto.
Le parentesi ( ) [ ] racchiude un inciso che non appartiene al periodo della frase.
Il trattino di unione – serve a collegare una parola scomposta.
Verbi
In tre generi
Presente - Io sono – Passato - Tu fosti – Futuro - Tu sarai.
E due tipologie: essere e avere
Io sono, essere. Io ò, Avere.
Aggiungendo un termine, il presente può diventare passato – Io sono stato – Io ò avuto.
O cambiando, sono in sarei, in condizionale – con “sa-rei” finale di parola.
Come il passato con l’interrogativo, in condizionale: Tu fosti buona? Tu potresti essere … o con il condizionale nella parola con “sti” finale: potre-sti, nella costruzione della frase. Potresti essere così gentile da aiutarmi?
Avere: Presente - Io avrei – passato tu avresti, condizionale – tu avresti da darmi … Io potrei, certo …
Articoli: gli articoli, servono per dare scorrevolezza alla frase, essi sono parole che si mettono davanti ai nomi per individuarli e determinarli. Per questo essi si dividono in quelli che li determinano in modo generico, da quelli che li indicano in modo preciso, si riferiscono al numero del genere che si esprime con il nome, parola: Il gatto, un gatto …
Per i nomi maschili singolari: Il Lo – Il gatto – lo spogliatoio. Plurale: I Gli – I gatti – gli spogliatoi.
Per i nomi femminili, singolare: la – plurale- Le. La gatta, le gatte.
Articoli senza plurale: Un uno – nomi maschili. Una - nomi femminili. Un gatto – uno spogliatoio – una madre, una finestra, un’idea – con l’apostrofo perché appare più scorrevole di una idea, giacché idea è femminile come una e l’una finisce in vocale e l’altra inizia. Ora l’apostrofo in “lo” si usa sempre quando è seguito da una parola che inizia con vocale – l’osservatorio, l’angelo.
Quando la parola inizia con due vocali, per esempio iodio, iettatore, l’articolo rimane lo iodio, lo iettatore.
Gli si può apostrofare, quando la parola che segue inizia con la vocale i: gli ideali, gl’ideali.
Rimane l’articolo, la: singolare femminile, che in genere si apostrofare quando la parola che segue inizia per vocale – l’anima, l’aquila.
Ora
Per gli articoli, un uno e una che non ànno plurale, per aggiungere il plurale si possono usare, anche, i termini, alcuni, alcune, dei degli delle – esempio: un uomo, alcuni uomini – una pianta, alcune piante, delle piante. Un oggetto degli oggetti. Un pane, dei pani - del pane, con del che può essere usato come un.
Accenti
Esiste una sillaba chiamata tonica, sulla quale la voce di chi la pronuncia poggia più che sulle altre. Per identificarlo è usato l’accento.
(Fermiamoci, un attimo, consideriamo la parola sillaba e, scomponiamo questa parola in sillabe; significa dobbiamo considerare quali sono le vocali che comprende, cioè – a e i u o – e metterle insieme alle consonanti, cioè tutte le altre lettere dell’alfabeto, separando la parola. Nella parola sillaba, abbiamo per vocale una i e due a, e quattro consonanti, la parola la si può dividere così: sil-la-ba.
Adesso consideriamo un’altra cosa del testo:
Esiste una sillaba chiamata tonica, sulla quale la voce di chi la pronuncia poggia più che sulle altre. Per identificarlo è usato l’accento. Nello scriverla si sarebbe potuto usare questo modo - Esiste una sillaba chiamata tonica, sulla quale la voce di chi la pronuncia poggia più che sulle altre, per identificarla è usato l’accento. Così è più libera la parola e la punteggiatura, quindi l’espressione e il significato, usato, si riferisce all’accento, identificarla al significato della frase, insito nella sillaba. Dico ciò perché nella gestione della forma, solita, quel punto prima di, per identificarla, potrebbe essere imposto, e, voglio dire l’importante che ci sia il senso e il suo significato, potendo usare la molteplicità espressiva e non un termine grammaticale a memoria, che forse non si adatta a quel che state scrivendo, usando il significato delle parole e la punteggiatura per dargli il vostro sentimento e intento.) ò abusato della parentesi?
Per tornare all’argomento gli accenti, quelli tonici per la maggiore di essi non vengono scritti, perciò non si trasformano in accenti grafici. Questi sono rimasti in alcune parole, come per esempio: perciò, con l’accento aperto, o perché, ché per perché e non che, e tutte le parole che finiscono in che, allorché, affinché poiché, benché, con accento chiuso. Di quelli aperti nello scrivere ne sono rimasti un po’ – per esempio, un po’, non è un accento, ma un apostrofo che tronca la parola poco. Sono aperti, in papà, andò, carità, udì, che è chiuso ma quando si segna “a penna” tutta gli accenti finiscono per sembrare un apostrofo, l’accento è in tutte le espressione del futuro in io ed egli – io scriverò, egli scriverà – io avrò, egli avrà, io sarò, egli sarà …. Quello chiuso diviene indispensabile su alcune determinate parole, come dì, che significa giorno, che si distingue da, di chi vuoi tu …. O là e lì per indicare un luogo. Le parole che finiscono in u, vogliono tutte l’accento chiuso, proprio la lettera u nella parola lo vuole, ma è sempre scritto nella parola, più o quando capita Cefalù. Poi c’è l’espressione né come congiunzione negativa – né tanto, né poco – diversa per espressione da quella senza accento: Ne parlo a molta gente …. Poi c’è l’espressione sì, che si differenzia dal no – e che si distingue, per esempio da: Si disse che un giorno, tu fosti bellissimo? Sì, certamente! C’è il si che usa il punto sopra e il sì, che afferma che usa l’accento. E non dimenticate la parola, così.
L’accento come ò già, detto è su alcune voci verbali, appunto il termine è, che congiunge molto spesso, è il presente, egli è, del verbo essere – l’accento, è anche, nel passato: egli amò, odiò, pensò, udì, saltò ….
E nel presente del verbo avere: io ò, tu ài, egli à, essi ànno (che si usa pure scrivere, io ho, tu hai egli ha essi hanno).
Per l’uso dell’acca (h) ci sono, molte parole che prendono l’h in mezzo e, anch’esse per via dei verbi possono identificarsi in gruppi, ma io dico che come si conosce il significato delle parole e l’espressione in esse contenute, sia per suono che per scrittura; le h, e anche i gli accenti, si apprendono naturalmente. Comunque per l’h in mezzo alle parole ne distingue il suono: come giudiciamo non è uguale a giudichiamo (corretto), o tu vagerai, noi vagiamo – non è tu vagherai, noi vaghiamo, come vagiamo significa, piangere – vaghiamo significa, anche vagare insieme o a spasso da vagabondi?
ORA
Per completare i tempi verbali li elenchiamo:
io – tu – egli – noi – voi – essi –
Con il voi ci si rivolge, o noi ci rivolgiamo, sia personalmente a qualcuno/a, sia verso il genere sociale collettivo in modo diretto nel discorso. Con egli e, essi in modo indiretto. Ricordiamo così anche il termine – lei per il voi – e loro per essi.
Per ora ancora
Coniughiamo ancora: io ò, tu ài, egli à, noi abbiamo, voi avete, essi ànno. Presente verbo avere.
Io sono, tu sei, egli è, noi siamo, voi siete, essi sono. Presente verbo essere. Ora con – che tu e voi e noi si possono trasformare nel congiuntivo, che tu abbia, - tu avessi, voi aveste – noi avessimo, con l’aggiunta finale come si vede di, mo. E se dal presente abbia, troviamo l’imperfetto negli altri due, se aggiungete la parola avuto, troviamo il passato del congiuntivo del verbo avere, quindi: Oggi è una bella giornata, ma che tu avessi avuto (congiuntivo) un po’ di tempo per me … sarebbe stato (condizionale) gentile. Se si aggiunge, è perché nel congiuntivo è sostituito il futuro con l’imperfetto, che sono appunto, qui, avessi, aveste, avessimo, di quel che è scritto. Che voi siate (congiuntivo verbo essere) presente, che voi siate stati, è il passato – e che noi fossimo, imperfetto.
Ora la frase con esempio con il verbo avere potrebbe essere scritta anche così: Oggi è una bella giornata, ma se tu avessi avuto un po’ di tempo per me, saresti stato gentile. Oggi è una bella giornata, ma se tu avessi un po’ di tempo per me, saresti gentile.
Oppure: Oggi è una bella giornata, ma se tu ài un po’ di tempo per me, saresti gentile.
Oggi è una bella giornata, ma se tu ài un po’ di tempo per me, sei gentile.
Comunque con un po’ di pratica si può riuscire a sbagliare il congiunto, ma è bene farlo senza drammi, anzi. E quando avrete scoperto i diminutivi, vezzeggiativi a fine di parola, come – ino, etto, piccolino, piccoletto – potrebbe venirvi in mente meravigliosamente, che aggiungere il termine – mente – alla fine di ogni parola, che tutto può divenire irregolarmente e sfrontatamente – più che indifferentemente, appunto una parola che è molto di più della parola, che sfocia nel puro sentimento.
Ogni parola italiana finisce in vocale – ciò che segue che è scritto con termini toscani, di Leon Battista Alberti, è dentro quella che è la lingua italiana, pertanto ciò che vi è scritto fa comprendere l’espressione e i modi che sono della lingua italiana, basta in definitiva aggiornare le parole, volendo, e cambiare un articolo che da El diviene Il. E per esempio la parola come arai, avrai – o singulare o masculino in singolare o maschile – o aggiungere per esempio una i, per dei in aggiunta de’, o, con i, per co’ – nessuno per niuno – l’orizzonte per lo orizzonte – o vorresti, per voresti ……… E’ plurale toscano con I, italiano ……. È citato qualche verbo in più ma vi sono espressioni della lingua italiana.
Ogni parola e dizione toscana finisce in vocale. Solo alcuni articoli de' nomi in l e alcune preposizioni finiscono in d, n, r.
Le cose in molta parte hanno in lingua toscana que' medesimi nomi che in latino.
Non hanno e' Toscani fra e' nomi altro che masculino e femminino. E' neutri latini si fanno masculini.
Pigliasi in ogni nome latino lo ablativo singulare, e questo s'usa in ogni caso singulare, così al masculino come al femminino.
A e' nomi masculini l'ultima vocale si converte in i, e questo s'usa in tutti e' casi plurali.
A e' nomi femminini l'ultima vocale si converte in e, e questo s'usa in ogni caso plurale per e' femminini.
Alcuni nomi femminini in plurale non fanno in e: come, la mano fa le mani.
E ogni nome femminino, quale in singulare finisca in e, fa in plurale in i: come la orazione, le orazioni; stagione, stagioni; confusioni, e simili.
E' casi de' nomi si notano co' suoi articoli, dei quali sono vari e' masculini da e' femminini.
Item e' masculini, che cominciano da consonante, hanno certi articoli non fatti come quando e' cominciano da vocale.
Item e' nomi propri sono vari dagli appellativi.
Masculini che cominciano da consonante hanno articoli simili a questo:
EL cielo DEL cielo AL cielo EL cielo O cielo DAL cielo.
E' cieli DE' cieli A' cieli E' cieli O cieli DA' cieli.
Masculini, che cominciano da vocale, fanno in singulare simile a questo:
LO orizzonte DELLO orizonte ALLO orizonte LO orizonte O orizonte DALLO orizonte.
GLI orizonti DEGLI orizonti AGLI orizonti GLI orizonti O orizonti DAGLI orizonti.
E' nomi masculini che cominciano da s preposta a una consonante hanno articoli simili a quei che cominciano da vocale, e dicesi: LO spedo, LO stocco, GLI spedi, e simile.
Questi vedesti che sono vari da quei di sopra nel singulare, el primo articolo e anche el quarto; ma nel plurale variorono tutti gli articoli.
Nomi propri masculini non hanno el primo articolo, né anche el quarto, e fanno simili a questi:
Propri masculini, che cominciano da consonante, in singulare fanno così:
Cesare DI Cesare A Cesare Cesare O Cesare DA Cesare.
Nomi propri, che cominciano da vocale, nulla variano da' consonanti, eccetto che al terzo vi si aggiugne d, e dicesi:
Agrippa DI Agrippa AD Agrippa, ecc.
In plurale non s'adoperano e' nomi propri, e se pur s'adoperassero, tutti fanno come appellativi.
E' nomi femminini, o propri o appellativi, o in vocale o in consonante che e' cominciano, tutti fanno simile a questo:
LA stella DELLA stella ALLA stella LA stella O stella DALLA stella.
LA aura DELLA aura ALLA aura LA aura O aura DALLA aura.
LE stelle DELLE stelle ALLE stelle LE stelle O stelle DALLE stelle.
LE aure DELLE aure ALLE aure LE aure O aure DALLE aure.
E' nomi delle terre s'usano come propri, e dicesi: Roma superò Cartagine.
E simili a' nomi propri s'usano e' nomi de' numeri: uno, due, tre, e cento e mille, e simili; e dicesi: tre persone, uno Dio, nove cieli, e simili.
E quei nomi che si referiscono a' numeri non determinati come ogni, ciascuno, qualunque, niuno, e simili, e come tutti, parecchi, pochi, molti, e simili, tutti si pronunziano simili a e' nomi propri senza primo e quarto articolo.
E' nomi che importano seco interrogazione come chi e che e quale e quanto e simili, quei nomi che si riferiscono a questi interrogatori, come tale e tanto e cotale e cotanto, si pronunciano simili a e' propri nomi, pur senza primo e quarto articolo, e dicesi:
Io sono tale quale voresti essere tu; e amai tale che odiava me.
Chi s'usa circa alle persone, e dicesi: Chi scrisse?
Che significa quanto presso a e' Latini Qui e Quid. Significando Quid, s'usa circa alle cose, e dicesi: Che leggi? Significando Qui, s'usa circa alle persone, e dicesi: Io sono colui che scrissi.
Chi di sua natura serve al masculino, ma aggiunto a questo verbo sono, sei, è, serve al masculino e al femminino, e dicesi:
Chi sarà tua sposa? Chi fu el maestro?
Chi sempre si prepone al verbo. Che si prepone e pospone.
Che, preposto al verbo, significa quanto presso a e' Latini Quid e Quantum e Quale, come: Che dice? Che leggi? Che uomo ti paio? Che ti costa?
Che, posposto al verbo, significa quanto apresso e' Latini Ut e Quod, come dicendo: I' voglio che tu mi legga. Scio che tu me amerai.
E' nomi, quando e' dimostrano cosa non certa e diterminata, si pronunziano senza primo e quarto articolo, come dicendo:
Io sono studioso. Invidia lo move. Tu mi porti amore. Ma quando egli importano dimostrazione certa e diterminata, allora si pronunziano coll'articolo come qui: Io sono lo studioso e tu el dotto.
E' nomi simili a questo: primo, secondo, vigesimo, posti dietro a questo verbo sono, sei, è, non raro si pronunziano senza el primo articolo, e dicesi: Tu fusti terzo e io secondo; e ancora si dice: Costui fu el quarto, el primo, el secondo, ecc.
Uno, due, tre, e simili, quando e' significano ordine, vi si pone l'articolo, e dicesi: Tu fusti el tre, e io l'uno. Il dua è numero paro, ecc.
Fra tutti gli altri nomi appellativi, questo nome Dio s'usa come proprio, e dicesi: Lodato Dio. Io adoro Dio.
Gli articoli hanno molta convenienza co' pronomi, e ancora e' pronomi hanno grande similitudine con questi nomi relativi qui recitati. Adonque suggiungeremogli.
De' pronomi, e' primitivi sono questi: io tu esso questo quello costui lui colui. Mutasi l'ultima vocale in a e fassi il femminino, e dicesi: questa, quella, essa. Solo io e tu, in una voce, serve al masculino e al femminino.
E' plurali di questi primitivi pronomi sono vari, e anche e' singulari. Declinansi così:
Io e i': di me: a me e mi: me e mi: da me.
Noi: di noi: a noi e ci: noi e ci: da noi.
Tu: di te: a te e ti: te e ti: o tu: da te.
Voi: di voi: a voi e vi: voi e vi: o voi: da voi.
Esso ed e': di se e si: se e si: da se; ed Egli.
Non troverrai in tutta la lingua toscana casi mutati in voce altrove che in questi tre pronomi: io, tu, esso.
Gli altri primitivi se declinano così:
Questo: di questo: a questo: questo: da questo.
Quello: di quello: a quello: quello: da quello.
Muta o in i e arai el plurale, e dirai:
Questi: di questi: a questi: questi: da questi.
E il somigliante fa quelli.
E così sarà costui e lui e colui, simili a quegli in singulare; ma in plurale costui fa costoro, lui fa loro, colui fa coloro, di coloro, a coloro, coloro, da coloro.
Questo e quello mutano o in a e fassi el femminino singulare, e dicesi: questa e quella; e fassi il suo plurale: queste, di quelle, a quelle.
Lui, costui, colui, mutano u in e e fassi el singulare femminino, e dicesi: costei, lei, colei, di colei, ecc. In plurale hanno quella voce che e' masculini, cioè: loro, coloro, costoro, di costoro, a costoro, ecc.
Vedesti come, simile a' nomi propri, questi pronomi primitivi non hanno el primo articolo né anche el quarto. A questa similitudine fanno e' pronomi derivativi, quando e' sono subiunti a e' propri nomi. Ma quando si giungono agli appellativi, si pronunziano co' suoi articoli.
Derivativi pronomi sono questi, e declinansi così:
El mio, del mio, ecc., e plurale: e' miei, de' miei, ecc.
El nostro, del nostro, ecc. E plurale: e' nostri, de' nostri, ecc.
El tuo. Plurale: e' tuoi. El vostro. Plurale: e' vostri.
El suo. E pluraliter: e' suoi, ecc.
Mutasi, come a e' nomi, l'ultima in a, e fassi el singulare femminino: qual a, converso in e, fassi el plurale, e dicesi: mia e mie; vostra, vostre; sua e sue.
In uso s'adropano questi pronomi non tutti a un modo.
E' derivativi, giunti a questi nomi, padre, madre, fratello, zio, e simili, si pronunziano senza articolo, e dicesi: mio padre, nostra madre, e tuo zio, ecc.
Mi e me, ti e te, ci e noi, vi e voi, si e sé sono dativi insieme e accusativi, come di sopra gli vedesti notati. Ma hanno questo uso che, preposti al verbo, si dice mi, ti, ci, ecc.; come qui: e' mi chiama; e' ti vuole; que' vi chieggono; io mi sto; e' si crede.
Posposti al verbo, se a quel verbo sarà inanzi altro pronome o nome, si dirà come qui: io amo te, e voglio voi.
Si al verbo non sarà aggiunto inanzi altro nome o pronome si dirà: -i, come qui: aspettaci, restaci, scrivetemi.
Lui e colui dimostrano persone, come dicendo: lui andò, colei venne.
Questo e quello serve a ogni dimostrazione, e dicesi: Questo essercito predò quella provincia, e: Questo Scipione superò quello Annibale.
E' ed el, lo e la, le e gli, quali, giunti a' nomi, sono articoli, quando si giungono a e' verbi, diventano pronomi e significano quello, quella, quelle, ecc. E dicesi: Io la amai; Tu le biasimi: Chi gli vuole?
Ma di questi, egli ed e' hanno significato singulare e plurale; e, preposti alla consonante, diremo e', come qui: e' fa bene; e' sono. E, preposti alla vocale, si giugne e' e gli, e dicesi: egli andò; egli udivano.
E quando segue loro s preposta a una consonante, ancora diremo: egli spiega; egli stavano.
Potrei in questi pronomi essere prolisso, investigando più cose quali s'osservano, simili a queste:
Vi preposto a' presenti singulari indicativi, d'una sillaba, si scrive in la prima e terza persona per due v, e simile in la seconda persona presente imperativa, come stavvi e vavvi; e ne' verbi, d'una e di più sillabe, la prima singulare indicativa del futuro, come amerovvi, leggerovvi, darotti, adoperrocci, e simile. Ma forse di queste cose più particulari diremo altrove.
Non ha la lingua toscana verbi passivi, in voce; ma, per esprimere el passivo, compone con questo verbo sono, sei, è, el participio preterito passivo tolto da e' Latini, in questo modo: Io sono amato; Tu sei pregiato; Colei è odiata. E simile, si giugne a tutti e' numeri e tempi e modi di questo verbo. Adonque lo porremo qui distinto.
Sono, sei, è. Plurale: siamo, sete, sono.
Ero, eri, era. Plurale: eravamo e savamo, eravate e savate, erano.
Fui, fusti, fu. Plurale: fumo, fusti, furono.
Ero, eri, era stato. Plurale: eravamo e savamo, eravate e savate, erano stati.
Sarò, sarai, sarà. Plurale: saremo, sarete, saranno.
Hanno e' Toscani, in voce, uno preterito quasi testé, quale, in questo verbo, si dice così:
Sono, sei, è stato. Plurale: siamo, sete, sono stati.
E dicesi: Ieri fui ad Ostia; oggi sono stato a Tibuli.
Sie tu, sia lui. Plurale: siamo, siate, siano.
Sarai tu, sarà lui. Plurale: saremo, ecc.
Dio ch 'io fussi, tu fussi, lui fusse. Plurale: fussimo, fussi, fussero.
Dio ch'io sia, sii, sia stato. Plurale: siamo, siate, siano stati.
Dio ch'io fussi, fussi, fusse stato. Plurale: fussimo, fussi, fussero stati.
Dio ch'io sia, sii, sia. Plurale: siamo, siate, siano.
Bench'io, tu, lui sia. Plurale: siamo, siate, siano.
Bench'io fussi, tu fussi, lui fusse. Plurale: fussimo, fussi, fussero.
Bench'io sia, sii, sia stato. Plurale: siamo, siate, siano stati.
Bench'io fussi, fussi, fusse stato. Plurale: fussimo, fussi, fussero stati.
Bench'io sarò, sarai, sarà stato. Plurale: saremo, sarete, saranno stati.
E usasi tutto l'indicativo di questo e d'ogni altro verbo, quasi come subientivo, prepostovi qualche una di queste dizioni: se, quando, benché, e simili. E dicesi: bench'io fui; se e' sono; quando e' saranno.
Essere, essere stato.
Essendo
Essente
Dirassi adonque, per dimostrare el passivo: Io sono stato amato; fui pregiato; e sarò lodato; tu sei reverito.
Hanno e' Toscani certo modo subientivo, in voce, non notato da e' Latini; e parmi da nominarlo asseverativo, come questo: Sarei, saresti, sarebbe. Plurale: saremo, saresti, sarebbero.
E dirassi così: Stu fussi dotto, saresti pregiato. Se fussero amatori della patria, e' sarebbero più felici.
Le coniugazioni de' verbi attivi in lingua toscana si formano dal gerundio latino, levatone le ultime tre lettere ndo, e quel che resta si fa terza persona singulare indicativa e presente. Ecco l'essemplo: amando levane ndo, resta ama; scrivendo resta scrive.
Sono adonque due coniugazioni: una che finisce in a, l'altra finisce in e.
Alla coniugazione in a, quello a si muta in o, e fassi la prima persona singulare indicativa e presente; e mutasi in i, e fassi la seconda; e così si forma tutto il verbo, come vedrai la similitudine qui, in questo esposto:
Amo, ami, ama. Plurale: amiamo, amate, amano.
Amavo, amavi, amava. Plurale: amavamo, amavate, amavano.
Amai, amasti, amò. Plurale: amamo, amasti, amarono.
Ho, hai, ha amato. Plurale: abbiamo, avete, hanno amato.
Amerò, amerai, amerà. Plurale: ameremo, amerete, ameranno.
In questa lingua ogni verbo finisce in o la prima indicativa presente, e in questa coniugazione prima, finisce ancora in o la terza singulare indicativa del preterito.
Ma ècci differenza, ché quella del preterito fa el suo o longo, e quella del presente lo fa o breve.
Ama tu, ami lui. Plurale: amiamo, amate, amino.
Amerai tu, amerà colui. Plurale: ameremo, ecc.
Dio ch'io amassi, tu amassi, lui amasse. Plurale: Dio che noi amassimo, voi amassi, loro amassero.
Dio ch'io abbia, tu abbi, lui abbia amato. Plurale: Dio che noi abbiamo, abbiate, abbino amato.
Dio ch'io avessi, tu avessi, lui avesse amato. Plurale: Dio che noi avessimo, avessi, avessero amato.
Dio ch'io, tu, lui ami. Plurale: amiamo, amiate, amino.
Bench'io, tu, lui ami. Plurale: amiamo, amiate, amino.
Bench'io, tu amassi, lui amasse. Plurale: amassimo, amassi, amassero.
Bench'io abbia, abbi, abbia amato. Plurale: abbiamo, abbiate, abbino amato.
Bench'io avessi, tu avessi, lui avesse amato. Plurale: avessimo, avessi, avessero amato.
Bench'io arò, arai, arà amato. Plurale: aremo, arete, aranno amato.
Amerei, ameresti, amerebbe. Plurale: ameremo, ameresti, amerebbero.
Amare, avere amato.
Amando.
Amante.
Vedi come a e' tempi testé perfetti e al futuro del subientivo mancano sue proprie voci, e per questo si composero simile a' verbi passivi: el suo participio co' tempi e voci di questo verbo ho, hai, ha.
Qual verbo, benché e' sia della coniugazione in a, pur non sequita la regola e similitudine degli altri, però che egli è verbo d'una sillaba, e così tutti e' monosillabi sono anormali.
Né troverrai in tutta la lingua toscana verbi monosillabi altri che questi sei: Do; Fo; Ho; Vo; Sto; Tro. Porremogli adonque qui sotto distinti.
Ma, per esser breve, notiamo che e' sono insieme dissimili ne e' preteriti perfetti indicativi, e ne' singulari degli imperativi, e nel singulare del futuro ottativo, ne' quali e' fanno così:
DO: diedi, desti, dette. Plurale: demo, desti, dettero.
FO: feci, facesti, fece. Plurale: facemo, facesti, fecero.
HO: ebbi, avesti, ebbe. Plurale: avemo, avesti, ebbero.
VO: andai, andasti, andò. Plurale: andamo, andasti, andarono.
STO: stetti, stesti, stette. Plurale: stemo, stesti, stettero.
TRO: tretti, traesti, trette. Plurale: traemo, traesti, trettero.
In tutti e' verbi, come fa la seconda persona singulare del preterito, così fa la seconda sua plurale; come amasti, desti, leggesti.
DO: da tu, dia lui.
FO: fa tu, faccia lui.
HO: abbi tu, abbia lui.
VO: va tu, vada lui.
STO: sta tu, stia lui.
TRO: tra tu, tria lui.
DO: Dio ch'io dia, tu dia, lui dia.
FO: faccia, facci, faccia.
HO: abbia, abbi, abbia.
VO: vada, vadi, vada.
STO: stia, stii, stia.
TRO: tragga, tragghi, tragga.
Questa si forma simile alla coniugazione in a. Mutasi quello e in o, e fassi la prima presente indicativa. Mutasi in i, e fassi la seconda, come qui: leggente e scrivente, levatone nte, resta legge, scrive; onde si fa leggo, leggi, leggeva, leggerò, ecc. Solo varia dalla coniugazione in a in que' luoghi dove variano e' monosillabi. Ma questa coniugazione in e varia in più modi, benché comune faccia e' preteriti perfetti indicativi in -ssi, per due s, come: leggo, lessi; scrivo, scrissi. Ma que' verbi che finiscono in -sco fanno e' preteriti in -ii per due i, come esco, uscii; ardisco, ardii; anighittisco, anighittii. Ma, per più suavità, nella lingua toscana non si pronunziano due iunte vocali. Da questi verbi si eccettuano cresco ed e' suoi compositi, rincresco, accresco, e simili, quali finiscono, a' preteriti perfetti, in -bbi, come crebbi, rincrebbi.
Item, nasco fa nacqui, e conosco fa conobbi. E que' verbi che finiscono in mo fanno e' preteriti in -etti, come premo, premetti; e quei che finiscono in do fanno e' preteriti in -si, per uno s, come ardo, arsi; spargo, sparsi; eccetto vedo fa vidi; odo, udi'; cado, caddi; godo, godei e godetti. E quegli che finiscono in ndo fanno preteriti -si, per uno s: prendo, presi; rispondo, risposi; eccetto vendo fa vendei e vendetti.
Sonci di queste regole forse altre eccezioni, ma per ora basti questo principio di tanta cosa. Chi che sia, a cui diletterà ornare la patria nostra, aggiugnerà qui quello che ci manchi.
Dicemo de' preteriti, resta a dire degli altri.
Leggi tu, legga colui.
Futuro singulare: Dio ch'io scriva, tu scriva, lui scriva. E così fanno tutti.
Verbi impersonali si formano della terza persona del verbo attivo in tutti e' modi e tempi, giuntovi si, come: amasi, leggevasi, scrivasi. Ma questo si suole trasporlo innanzi al verbo, giuntovi e', e dicesi: e' si legge; e' si corre; e massime nell'ottativo e subientivo sempre si prepone, e dicesi: Dio che e' s'ami; quando e' si leggera', e simile.
Di queste alcune non caggiono in composizione, e sono queste: oltre, sino, dietro, doppo, presso, verso, 'nanzi, fuori, circa.
Preposizioni che caggiono in composizione e ancora s'adoperano seiunte, sono di una sillaba o di più.
D'una sillaba sono queste:
DE: de' nostri; detrattori.
AD: ad altri; admiratori.
CON: con certi; conservatori.
PER: per tutti; pertinace.
DI: di tanti; diminuti.
IN: in casa; importati.
Di, preposto allo infinito, ha significato quasi come a' Latini ut. E dicono: Io mi sforzo d'essere amato.
Quelle de più sillabe sono queste:
SOTTO sottoposto
SOPRA sopraposto
e dicesi
ENTRO entromesso
CONTRO contraposto
Preposizioni quali s'adoperano solo in composizione:
Re, sub, ob, se, am, tras, ab, dis, ex, pre, circum; onde si dice: trasposi e circumspetto.
Per e' tempi, si dice: oggi, testé, ora, ieri, crai, tardi, omai, già, allora, prima, poi, mai, sempre, presto, subito.
Per e' luoghi, si dice: costì, colà, altrove, indi, entro, fuori, circa, quinci, costinci, e qui e ci, e ivi e vi. Onde si dice: Io voglio starci, io ci starò, pro qui; e verrovvi e io vi starò, pro ivi.
Pelle cose, si dice: assai, molto, poco, più, meno.
Negando, si dice: nulla, no, niente, né.
Affirmando, si dice: sì, anzi, certo, alla fe'.
Domandando, si dice: perché, onde, quando, come, quanto.
Dubitando: forse.
Narrando, si dice: insieme, pari, come, quasi, così, bene, male, peggio, meglio, ottime, pessime, tale, tanto.
Usa la lingua toscana questi avverbi, in luogo di nomi, giuntovi l'articolo, e dice: el bene, del bene, ecc.; qual cosa ella ancora fa degli infiniti, e dicono: el leggere, del leggere.
Ma a più nomi, pronomi e infiniti giunti insieme, solo in principio della loro coniunzione usa preporre non più che uno articolo, e dicesi: el tuo buono amare mi piace.
Item, a similitudine della lingua gallica, piglia el Toscano e' nomi singulari femminini adiettivi e aggiungevi -mente, e usagli per avverbi, come saviamente, bellamente, magramente.
Sono queste: hen, hei, ha, o, hau, ma, do.
Sono queste: mentre, perché, senza, se, però, benché, certo, adonque, ancora, ma, come, e, né, o, segi (sic).
E congiunge; né disiunge; o divide; senza si lega solo a' nomi e agli infiniti. E dicesi: senza più scrivere; tu e io studieremo; che né lui né lei siano indotti; o piaccia o dispiaccia questa mia invenzione.
E questo ne ha vario significato e vario uso. Se si prepone simplice a' nomi, a' verbi, a' pronomi, significa negazione, come qui: né tu né io meritiamo invidia. E significa in; ma, aggiuntovi l, serve a' singulari masculini e femminini; e senza l, serve a' plurali quali comincino da consonante. A tutti gli altri plurali, masculini e femminini si dice nel-; e quando s sarà preposta alla consonante, pur si dice: nello spazzo, nelle camere, ne' letti, nello essercito di Dario, negli orti.
E questo ne, se sarà subiunto a nome o al pronome, significa di qui, di questo, di quello, secondo che l'altre dizioni vi si adatteranno, come chi dice: Cesare ne va, Pompeio ne viene.
E questo ne, posposto al verbo, sarà o doppo a monosillabi o doppo a quei di più sillabe; e più, o significa interrogazione o affirmazione o precetto. Adonque, doppo l'indicativo monosillabo, la interrogazione si scrive, in la prima e terza persona, per due n, la seconda per uno n, come, interrogando, si dice: vonne io? va' ne tu? vanne colui? Nello imperativo si scrive la seconda per due n, e dicesi: vanne, danne. La terza si scrive per uno, e dicesi: diane lui, traggane. E questi monosillabi, la prima indicativa presente, affirmando, si scrive per due n, e dicono: fonne, vonne, honne.
Se sarà el verbo di più sillabe, la interrogazione e affirmazione si scrive per uno n in tutti e' tempi, eccetto la affirmazione in lo futuro, quale si scrive per due n, come dicendo: portera' ne tu? porteronne. E questo sino qui detto s'intenda per e' singulari, però che a' plurali si scrive quello ne sempre per uno n, come andiamone.
Non mi stendo negli altri simili usi a questi. Basti quinci intendere e' principi d'investigare lo avanzo.
E' vizi del favellare in ogni lingua sono o quando s'introducono alle cose nuovi nomi, o quando gli usitati si adoperano male. Adoperanosi male, discordando persone e tempi, come chi dicesse: tu ieri andaremo alla mercati. E adoperanosi male usandogli in altro significato alieno, come chi dice: processione pro possessione. Introduconsi nuovi nomi o in tutto alieni e incogniti o in qualunque parte mutati.
Alieni sono in Toscana più nomi barberi, lasciativi da gente Germana, quale più tempo militò in Italia, come elm, vulasc, sacoman, bandier, e simili. In qualche parte mutati saranno quando alle dizioni s'aggiungerà o minuirà qualche lettera, come chi dicesse: paire pro patre, e maire pro matre. E mutati saranno come chi dicesse: replubica pro republica, e occusfato pro offuscato; e quando si ponesse una lettera per un'altra, come chi dicesse: aldisco pro ardisco, inimisi pro inimici.
Molto studia la lingua toscana d'essere breve ed espedita, e per questo scorre non raro in qualche nuova figura, qual sente di vizio. Ma questi vizi in alcune dizioni e prolazioni rendono la lingua più atta, come chi, diminuendo, dice spirto pro spirito; e massime l'ultima vocale, e dice papi, e Zanobi pro Zanobio; credon far quel bene. Onde s'usa che a tutti gl'infiniti, quando loro segue alcuno pronome in i, allora si getta l'ultima vocale e dicesi: farti, amarvi, starci, ecc.
E, mutando lettere, dicono mie pro mio e mia, chieggo pro chiedo, paio pro paro, inchiuso pro incluso, chiave pro clave. E, aggiugnendo, dice vuole pro vole, scuola pro scola, cielo pro celo. E, in tutto troncando le dizioni, dice vi pro quivi, e similiter, stievi pro stia ivi.
Si questo nostro opuscolo sarà tanto grato a chi mi leggerà, quanto fu laborioso a me el congettarlo, certo mi diletterà averlo promulgato, tanto quanto mi dilettava investigare e raccorre queste cose, a mio iudizio, degne e da pregiarle.
Laudo Dio che in la nostra lingua abbiamo omai e' primi principi: di quello ch'io al tutto mi disfidava potere assequire.
Cittadini miei, pregovi, se presso di voi hanno luogo le mie fatighe, abbiate a grado questo animo mio, cupido di onorare la patria nostra. E insieme, piacciavi emendarmi più che biasimarmi, se in parte alcuna ci vedete errore.
Aggiunti temporali
Rilevanze e attinenze. Per meglio dire quello che succede alla penna e alla tastiera di una macchina per scrivere del suo uso dinamico come trasformazione di esprimere concetti in questo mio momento di comunicazione e creatività.
Per meglio intenderci inizio da quel che accade al verbo avere – in un mio uso come forma di comunicazione degli sms inviati ad emittenti radiofoniche, posso dire e affermare che un mio messaggio è stato letto, senza che trasparisse come fosse scritto, ovvero nel pronunciare - Ai cantato meravigliosamente mi piaci tanto canta ancora. …. Ciao Patrizio Marozzi il conduttore radiofonico a potuto leggere appunto Ai nello stesso modo di come è scritto nel verbo avere Hai o oppure con l’accento ài – questo uso che sto facendo mi fa scrivere la sola ò del verbo avere con l’accento o a discrezione nel modo tradizionale ho con l’acca davanti per distinguerlo dal verbo.
Di fronte alla tastiera di alcuni telefoni del comporre un sms sovente mi capita di tradurre la pausa di una virgola con la maiuscola senza il punto finale che la precede. Ciò perche (anche questa del perche senza é chiusa finale è una variante possibile, in aggiunta al ché interlocutorio come spiegazione.) per non cambiare lo spazio della tastiera che ò dove appare presente soltanto il punto Per questo uso la maiuscola senza il punto, diciamo ch’è un uso di emergenza non necessario qualora il tasto della virgola è immediato sulla tastiera. Ancora ò tolto l’apostrofo in ogni forma in cui si esprime il termine un seguito da ogni femminili. Tali variabili ovviamente si ricollocano nelle loro necessità, qualora l’espressione di chi scrive lo volesse.
Elenco di espressione: la punteggiature può formarsi del punto [.] della virgola [,] e del trattino [-] del punto esclamativo [!] e del punto interrogativo [?] delle parentesi quadre e quelle tonde.
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