Patrizio Marozzi - Anonimo Al di là del dubbio

pag. 100 di cui 73 stampate in margini 5 cm. le altre bianche

alcuni brani in esso contenuto con scritti di Ettore Majorana e Leonardo Sciascia, sono tratti

dal libri La scomparsa di Majorana, edito mondolibri si licenza Adelphi.

I fatti in esso contenuti sono liberamente inventati dalla realtà.

 

 

 

 

Un libro da dieci milioni di copie e più.

 Che Parla con te – e dell’educazione anche riflette.

 

 

 

 

Ci sono molte forme di anonimato,

in letteratura molte altre – credo tutte.

 

  Anonimo.

Al di là del dubbio

 

Iniziare da un colore, come se la sua ipotetica esistenza potesse già di per sé determinare la condizione di chi lo guarda, di chi non ha nulla non vede nulla oltre, o soltanto quel colore. E tutto il suo mondo, il mondo stesso è quel colore, nessun altro colore può essere più certo. Eppure la realtà sembra non volere altro che il suo stesso colore appaia diverso, addirittura di un altro colore. È continuamente in lotta per cambiare la sua visibilità, la sua stessa identità. E allora quel colore e la condizione di chi lo guarda cambia determinazione, pigmento, e il colore che vede non è più lo stesso, non è più nemmeno quello che in realtà era, che non riusciva a vedere. O forse non voleva vedere, ma il colore che appare adesso lo vede benissimo è certo della sua apparenza, del colore della realtà. In questo gioco dove la realtà cambia e si uniforma al colore che ne rassicura l’immagine il colore diventa un’illusione, se non anche una menzogna troppo grande da comprendere. Dire di essere daltonici non è proprio il caso, perché il colore a cui apparteniamo è al di là della stessa condizione umana è nella realtà della sua spaventosa concretezza. Della sua inesauribile perdita.

La condizione umana che quel giorno, come ogni altro, osservavo, era costituita da questa immensa perdita di colore, di anima. Così florida di morte. Florida perché in null’altro l’apparenza per quanto nefasta appare. Della sua floridezza ci si nutre. Si immagina se stessi e gli altri. Oggi tu mi chiederai cosa osservo? - La sua floridezza e la tragedia è così immane, da non lasciare adito a nessuna possibilità che ne determini la catarsi nella sua rappresentazione. Non ci sono più repliche a cui è possibile assistere. È un’unica rappresentazioni con un’unica fine, dove l’applauso assordante è già apparso e la sua assenza conclusiva è più che se stessa, è più che il silenzio.

In questa condizione parlare della verità, della sua bellezza, è un po’ come raccontare senza raccontare, parlare senza parlare, vivere e soltanto vivere, scrivere e soltanto scrivere. Senza niente che non sia che questo. Senza niente altro da guardare che la menzogna del colore e dire quel che tale menzogna non ha: la bellezza. Ma parlare della verità è impossibile, sarebbe vivere in sua assenza, cercare di colmare questa assenza placando l’assurda condizione, la lacerante violenza della presenza della morte, della dannata condizione umana, dell’accanirsi dell’essere umano in un peccato senza soluzione, del suo imputridimento quotidiano dell’imbroglio della sua vita. Della sua violenza senza soluzione. Parlare o scrivere della sua violenza per lasciare che l’assenza della verità sia soltanto la sua condizione e non la condizione della verità, del colore.


Del perduto mondo mi sono accorto. E non c’è che dire di non essersene accorti. …quel che la vita vorrà è soltanto un prologo – meriti e ingiustizie è soltanto la sua apparenza, il suo imbroglio. Mi parlassero di convenienze. È più esatto dire, ma non mi parlassero delle convenienze, perché non è esatto.

Mi parlassero dei loro sistemi in silenzio, senza ingannarsi, dei favoritismi e degli imbrigli senza eluderli con gli imbrogli. Di come hanno venduto la verità e non se stessi, senza avere ne l’una ne gli altri, senza che avessero la ben che minima conoscenza dell’esperienza dei meriti. Punto dico . come un’immagine fotografica che si appropria del suo concetto semiologico e . dico ricordando la fine della sua rappresentazione. In non altro vi è il suo merito.

Non nel prezzo del denaro con cui si scambiano i favori i ladroni, o nella presunzione di chi vuole porti limiti affinché non ti esprima al di là dei suoi. I limiti appartengono a chi non ha logica e la logica ha i suoi limiti, che chi non ha logica usa e abusa. In questo costrutto della competizione che dir si voglia il centrarci la relazione. La relazione appartiene alla reazione che dir si voglia fuori dalla competizione. Competizione senza etica e ragione. Che dir si voglia della relazione in armonia e congiunzione, questa è la reazione. Che dir si voglia l’oggettiva relazione. E per questo che dir si voglia che i limiti non han logica ma relazione.

Del perduto mondo mi sono accorto. Non sol dell’amor di relazione. Del perduto mondo mi ero già accorto e che dir si voglia.


Praticamente non c’è un io che non cerchi un altro io su cui stabilire la sua esistenza. In un circolo vizioso parassitario.

Con un piano sequenza immaginario piombai sulla festa, vagando per le stanze, tra quella gente. …Nell’altra stanza si sente uno sparo. Continuo il piano sequenza e raggiungo la stanza dello sparo. Non c’è stato nessuno sparo, soltanto la simulazione di un’ipotetica virilità, qualcuno ha tirato fuori una pistola per mostrarla. Lo stesso più tardi finirà per portarsi via qualche stupida gallina spacciandosi per un eccentrico aristocratico. Continuo il mio piano sequenza, poi fisso il primo piano, fermo realistico. È soltanto una delle tante, una di quelle che traspirano insoddisfazione il più in là possibile. Eppure nel contratto sociale hanno stabilito un rapporto di convenienza che ostentano continuamente, nel bisogno di conferme che non hanno. Che strano rapporto, se tanto fai il caso di ammirarle nasce subito in loro la presunzione di essere indiscutibilmente desiderate. Con la voglia di essere possedute. Lei era una di queste, una di quelle che non avranno mai il coraggio di amare, mille corna ipotetiche per quel fantoccio che ha lo strano tempo dell’illusione di tenerle per sé. Questione di prezzo. Un prezzo sociale, ipocrita.

Fisso un altro primo piano. Quello della pistola ha perso una ragazza con me. È la più bella - decisamente, quella che rompe di meno le palle… Una tizia poco prima mi ha avvicinato e mi ha accarezzato con un dito umido di spumante, le ho sorriso, ed è rimasta lì ad aspettare. Io non le ho detto proprio niente, le ho sorriso. E lei si è così eccitata che se ne è andata tutta stizzita a cercare il primo pupazzo e mostrarmelo davanti mentre se lo strusciava e baciava, accarezzava e mi guardava. Il pupazzo oggetto perfetto del suo esibizionismo credeva pure di essere importante. Una piccola studentessa, sicuramente, o una sciocca assistente, insomma sarà stata una di quelle che nella sua codificata mentalità immagina di stupire con le sue banali eccentricità. Dopo un po’ che ero lì a guardarla, nel modo che mi mostrava se ne andò dalla festa, ancor più aggressiva. Cazzo perché non riescono a chiedermi quello che vogliono, potrei anche dirgli di sì. Ma c’è come un alone di forza, di certezza che spaventa questo tipo di femmine. Desiderano me si schiaffano tra le cosce un pupazzo, da gettare appena vogliono. Che possono gettare appena vogliono. O esser gettate.

…Quel tizio con la pistola aveva perso questa tizia con me. Ero stato più bravo, avevo cercato la relazione e lui era corso in avanti per sopravanzarmi. Non so era olandese, di padre italiano, lavorava in Belgio o Francia. Non me lo ricordo, ma chissà se poi era vero o no. Saremmo finiti insieme, con il fare all’amore.

Quel tizio con la pistola la cercò dopo quella festa, andò dicendo della sua storia. O di quella di lei, non ricordo bene.

Io continuo a camminare e lo faccio da solo. In quella festa io forse non ci sono mai stato. C’era solo un pezzo del mio io, lì per caso.

 


“Questa è la mia collezione.” Erano lì davanti ai miei occhi migliaia di c.d, video nastri, un’intera collezione di fatti e riferimenti, di collegamenti costruiti. Un poema immenso della menzogna e della pazzia.

“Vede sono riuscito a scoprire come ad una data ora una serie di suoni prestabiliti, non siano affatto casuali, ma in perfetta corrispondenza con un’ipotetica azione da me fatta all’interno della mia casa.” La cosa paradossale è che io posso anche simulare questa azione, o non farla per nulla, o farla ma non dare all’esterno nessun segnale di quel che avviene qui dentro, eppure questa sequenza di suoni viene prodotta lo stesso. Badi non parlo di quel ritorno di suoni che la vita degli orari produce. Ho anche molte registrazioni di questo tipo e corrispondenze associate. Ma io parlo di coloro che una volta scoperta, o forse è meglio dire immaginato di aver capito la logica pavloviana della ripetizione dello stimolo, che normalmente subiscono senza accorgersene durante un semplice programma televisivo. Hanno iniziato ad applicarlo con i loro criteri di giudizio ed oscure motivazione, un po’ come quei bambini che scoprono l’associazione del significato delle parole, delle cose, degli oggetti, del linguaggio. E per un po’ alcuni di essi in preda ad una sorta di eccesso euforico rimangono come imprigionati dentro la loro scoperta …se non per sempre.

Bene in pratica costoro non fanno altro che associarsi ad una mia azione e ad essa associano tutta una serie di comportamenti, in questo caso rumori, affinché a loro dire acquisiscano il potere di determinare quando io farò la tal cosa. E la cosa paradossale è che pensano questo senza neanche sapere il vero motivo del perché io faccio quella determinata cosa, ma finiscono per immaginarlo all’interno delle loro fantastiche proiezioni e desideri, siano esse di odio o di amore o di altro interesse. Un puro poema di pazzia.

Ancor più folle è quel che accade poi - giacché in questo processo associativo, per quanto siano all’oscuro delle loro reazioni, primo o poi finiscono per accorgersi che le loro associazioni con le mie azioni, sono anche associazioni con e tra le loro azioni, e associazioni con chi magari, in quel momento, fa le stesse cose comuni che faccio io, e sente gli stessi rumori, vede quegli stessi comportamenti. E a questo punto il poema trova la sua speciale metrica. Come in una sorta di gestaltismo di gruppo tutti finiscono per non capire più chi sia chi a produrre quegli effetti che tendono a determinare e provocare un comportamento, addirittura un pensiero. E prigionieri della loro strategia, della loro scoperta, incominciano come schegge impazzite a vedere i propri nemici in chiunque vedono riprodotto un gesto, un suono associativo che stimoli in loro un corrispondente associato, e a causa di un debole quanto non esistente processo d’identità, di un reale processo d’individuazione, finiscono per perdersi dentro le loro immaginative associazioni mentali, a cui non sanno dar significato per la costruzione della realtà. Imprigionati nelle loro trappole, finiscono per odiare senza motivo e così sono preda di quelli che strategicamente usano il loro stato emotivo per associarlo a chi vogliono loro, un po’ come il nemico in guerra. Certe volte perdono il controllo del tutto, fino a non capire più le reali conseguenze del loro comportamento. In questo stato di violenza l’odio li spinge a rendere impossibile la vita, accaniscono verso l’ipotetico avversario, ma ancor di più verso se stessi che in preda ad una sorta di dannazione, perdono ogni forza di redenzione.

Questa è l’ultima parte del mio poema. È la sezione dedicata alle registrazioni video, vi si vedono le persone, i luoghi i mezzi usati, ma ancor di più di quest’ultima parte è importante ascoltare le registrazioni audio degli accordi, le loro dichiarazioni e assurde affermazioni. La menzogna della follia che diventa verità.

Tutto questo è proprio qui, in questo punto esatto, che lei riesce ad immaginare.”


…Come ti stavo dicendo la relazione con l’anima, nel tragitto della soluzione dell’ombra, era sì stata scaturita da una storia ben precisa, con una donna che ne ha rappresentato la realtà oggettiva: sensoriale, sentimentale, sessuale, culturale. [Nell’energia psichica che nel mio inconscio costituiva la sua completezza, la rappresentatività fattuale di tutti i processi psichici per affrontare e risolvere le dinamiche dei sintomi, l’acquisizione consapevole dei processi dell’ombra e la perdita della maschera che poteva esserci] Ma di fatto se questa donna fosse rimasta con me come era stabilito, e non se ne fosse andata, in sé, la cosa non sarebbe cambiata, perché le dinamiche del confronto psichico che al mio interno costituivano la relazione e lo stabilirsi della realtà esterna sarebbero state ugualmente elaborate e ricercate costantemente da me. La perdita di questa donna che ha stabilito di fatto un non edulcorante confronto con la perdita stessa dell’anima psichica che viveva in me, ha acuito i processi e le dinamiche del mio distacco dall’anima per un evoluzione verso il Sé, “quasi traumatizzando i fenomeni della mia ricerca verso un processo d’individuazione che non derogava più spazio e tempo alla struttura sociale, culturale, da cui emanciparsi collocandomi nella realtà della mia autonoma identità. Perciò è ovvio che nell’acquisizione dei miei processi inconsci, sia individuali che collettivi, nella loro “strutturante amplificazione, fino e da ovviamente gli archetipi, l’immagine dell’anima con la sua energia, nel vissuto con una donna precisa che la rappresentava finiva, e andava oltre i processi razionali dell’evolversi della nostra storia. Il fatto stesso che io utilizzassi la percezione esterna del mio vissuto con questa donna, per ristabilire un contatto con esperienze similari che si erano verificate con altre persone di sesso femminile, in altre epoche della mia vita,  [integrandole con tutto il mio vissuto] avveniva per trovare quel filo energetico che all’interno della mia psiche aveva da sempre costituito la forza, l’energia con cui la mia identità aveva interagito con il mondo, formandolo e formandosi. È ovvio che se pur il mio amore per l’ultima donna con cui ero stato e avevo vissuto il mio rapporto con l’anima, fosse di per sé forte ed autentico il suo ricostituirsi poteva solo avvenire nei normali processi sociali, e è ovvio che il mio vissuto delle dinamiche dei processi con l’anima non prescindessero affatto da questo, dalla mia semplice nostalgia del ricordo di questa donna. Interessante è il fatto che prima di questa ultima donna, c’erano stati degli a priori in diversi miei dipinti, che si caratterizzavano per dinamiche e processi creativi che rivelavano di fatto la dinamica dell’anima, fino alla sua raffigurazione, e credo in ultimo diversificazione. Più oggettiva che psichica, già al di là del distacco stesso dall’anima. Cosa dirti, sai bene che entrare nei processi creativi è di gran lunga… di qual si voglia riduttiva analisi scientifica psicologica, può coniugarsi con l’amplificazione dei processi Junghiani, ma dato il fatto che forse nel mondo occidentale… meglio dire contemporaneo, giacché oramai si parla solo di globalizzazione, non mi stupirei che qualche ottuso comportamentista confonda il gusto personale che può creare attrazione verso una donna, con qualcosa che abbia a che fare con i processi e le dinamiche dell’anima Junghiana. Non mi stupirei che questo sciocco-a sarebbe capace di guardare un mio quadro trovarne un corrispettivo umano, farmelo guardare e in base ai sui processi riduttivistici mentali farmelo desiderare, con quell’accozzaglia di pseudo coercitive regole del comportamento e in questo ravviserebbe, nelle frustrazioni generate dal suo masochismo, o negli appagamenti costituiti dal suo sadismo manipolatorio le dinamiche dell’anima. E dopo aver generato un’autentica nevrosi strutturando un subcosciente prima inesistente che agisce tramite input sociali generati ad hoc, finirei per essere considerato perfettamente adattato alla cultura dominate, e in questo rivelerebbe il compimento, la realizzazione delle processo d’individuazione. Non è un caso che per questa logica tutt’altro che razionale ma razionalizzante Jung abbia lasciato la psichiatria, per lui troppo limitante, e in seguito con l’imperante scientismo, in una perdita fin anche della causaeffetto, verso uno psicologismo più che altro manipolatorio, abbia affermato che l’uomo oramai aveva perso la sua dimensione spirituale con tutto quello che nell’uomo ha sempre rappresentato e realizzato la storia umana, e con essa l’anima stessa, la sua energia. Non so poi, se in fondo non si riferisse all’anima che nelle religioni rappresenta la dimensione altra di quella materiale, ma è ovvio che in questa perdita della percezione delle cose ultime al di là di quelle sensibili, si è persa quella possibilità d’individuazione e costituzione del Sé Junghinano che è espressione e contenuto di un ultimo al di là del quale c’è la consapevole accettazione del “silenzio”, all’interno del proprio equilibrio umano, nell’unione del mondo materiale con quello spirituale. E chissà quanto spazio è rimasto per le possibilità della fede in Dio o anch’essa è finita nella sua rappresentazione. Perché non c’è abitudine più pericolosa di vivere in assenza di Dio nella sua idolatria.

Be’ allora come ti dicevo mentre stavo tutto assorto per i fatti mie ed ero già avanti in queste mie ricerche è iniziato tutto quel casino

CONTINUA

Non so di preciso perché, e chi ha coinvolto chi fino ad un numero che è cresciuto in modo esponenziale e inarrestabile, fatto sta che è accaduto che ad un certo punto mi sono trovato con un sacco di gente associata con me di cui io non sapevo e in certi casi non volevo sapere niente, la cosa pazzesca di tale associazione era il fatto che veniva riferito loro che io immaginavo e pensavo certe cose su di loro e che tramite dei sistemi associativi loro suggeriti avrebbero avuto il potere, la constatazione delle mie associazioni. È ovvio che io non sapevo nulla di tutto ciò all’infuori dell’osservazione dei comportamenti fuori luogo che mi si mostravano davanti. In questo crescendo di follia, accaddero le cose più inverosimili. La realtà era che qualcuno aveva finito per leggere alcune parti dei miei appunti e ad esse aveva dato un senso del tutto fuori dalla realtà, e nell’applicazione di una sorta di associativa di massa, sulla base dell’interpretazione dei comportamenti derivati, nascevano conclusioni di pura pazzia. Non so come avesse fatto, ma in base alle conclusioni di certe teorie comportamentali aveva convinto un numero non indifferente di persone che se si fossero associate, in un certo modo, con me, questo significava che io avevo per loro una qualche identificazione e le avrei ritenute le donne che volevo. In un primo tempo avevo creduto che l’ultima donna che avevo amato avesse progettato tutto ciò per compensare quello che nella sua testa rappresentava un modo di vendicarsi. L’avevo risentita per telefono due anni dopo la fine della nostra storia, e come mi chiese ci scambiammo alcune lettere, lei non faceva che ripetermi che stava per sposarsi e io gli mandai la mia ultima lettera dove viveva con il suo futuro marito, augurandogli i miei migliori auguri. Dopo di che non seppi più nulla. Chissà forse la mia storia con lei era stata galeotta, senza che lo sapessi. Fatto sta che dopo un po’ incominciò a scatenarsi un mobig associativo tutt’altro che trasparente. Ma lasciamo da parte questi primi episodi. Tornando a quel che ti dicevo, la pazzia che si stava generando attorno a me era così estesa che bastava che ad una povera malcapitata, per me sconosciuta, dicessero, che mentre “magari” io passavo nei suoi pressi, mi fossi voltato ad un suo gesto, a guardarla, voleva dire che in me c’era qualcosa che in lei mi attraeva. Ma la teoria di costoro che avevano letto i miei appunti interpretandoli nel modo meno consono, non finiva qui. Infatti, per loro, a quel punto, io, all’interno di un processo associativo allusivo, che me la ricordasse, avrei dovuto cercare suddetta ragazza, trovarla e innamorarmi di lei. Naturalmente tutto questo non accadeva. E la malcapitata con cui in una situazione normale non avevo motivo di precludermi nessuna cosa. Diventava aggressiva nei miei confronti, perché non solo percepiva il rifiuto, ma incominciava a intuire anche l’imbroglio, senza capire che era vittima di conseguenze ben più serie sotto il profilo psicologico.  - C’è da capire perché Pavlov Ivan Petrovic, mandò a quel paese J.B. Watson e tutti i suoi adepti comportamentisti. - E qui iniziava la seconda fase dello strano progetto. In pratica in una sorta di vendetta, “lo scopo”, si trasformava nel farmi credere che il fatto che lei fosse in qualche modo interessata a me… ero stato solo io a crederlo, ma che lei aveva fatto questo con il solo intendo di divertirsi. Ma anche questo in pratica non veniva espresso in nessun modo reale, se non con il ripetersi di tutte le associazioni già fatte a cui si presumeva determinare una conclusione in cui io la cercavo in quanto oggetto del mio amore. Naturalmente questo non avveniva, non poteva avvenire non essendoci mai stata nessuna parola o azione di senso compiuto che avesse determinato ciò, ma solo una persa elucubrazione mentale di una o più persone verso un’altra, in questo caso io. A questo punto le assurdità e l’odio generato si determinavano verso di me, che se avessi potuto le avrei forse amate tutte queste donne. La qual cosa si ripeteva ogni volta che una donna si interessava a me od io a lei, era un modo strategicamente perfetto e demoniacamente assurdo affinché le avessi tutte contro, quasi che con questo dovessi riprovare l’abbandono, la scomparsa  dell’immagine dell’anima, attraverso la perdita di una donna con cui identificarla. [ne avevo parlato nei miei appunti] Chi poteva essere la stratega di tutto ciò!?

E su questo terreno fertile che si scatenò tutto quel casino?

Già, perché successe una cosa incredibile. Da delle lettere anonime, ricevute con il solo nome di una donna. Qualcuno, non so se poi fosse la stessa persona che me le mandò, …forse per timore di essere scoperta, ma non so, sinceramente non so. …Successe che tutte le donne che avevano quel nome finirono per credere che io credessi che fosse ognuna di loro la possibile autrice di quelle lettere, successe l’inverosimile. Donne sposate, mogli di uomini pieni di soldi, con catene di supermercati, giovani donne rampanti, figlie ricche, donne bellissime ed altre no. Tutte incominciarono a praticare quelle pratiche associative, verso di me per far intendere il contrario di una cosa a cui io non avevo minimamente pensato, e il fatto straordinario è che molte, quasi tutte, soggette a quell’auto suggestione hanno finito per desiderarmi davvero, ma in una cosa così insana, che la contraddittorietà dentro loro le ha trasformate in donne irrazionalmente aggressive verso di me, che ripeto, non ne sospettavo neanche l’esistenza …e tramite loro l’aggressività di altre donne, uomini che erano associati a me per causa loro. Se non si fossero trasformate in delle streghe, qualcosa di reale, sarebbe sicuramente successo.

Mi avevi parlato di alcuni casi più strani degli altri? Di quella…

Più strani degli altri. ce n’era una che era pazzesca, questa era capace di affittare pullman, aeri ed elicotteri, panfili e barche a vela o coinvolgeva chi aveva ciò. Questa era capace che per farmi andare a vedere un film, mi faceva incontrare per strada o l’attore protagonista, o un suo sosia identico. Il fine di tutto ciò non l’ho proprio capito, che fosse pazza o innamorata di me o tutte e due le cose, se voleva vantarsi di tutto ciò? Fatto sta che usava gli stessi mezzi del mobig degli altri, e con me non è che fosse stata capace di un discorso compiuto, veramente reale. Poi c’erano dei sistemi simili a questi, ma non so se fosse lei o un’altra persona ad impiegarli. Del tipo che magari mi trovavo intorno i sosia perfetti di persone mie personali conoscenti, e magari altri si trovavano un mio sosia davanti. Una volta appena dopo la morte di una persona che conoscevo, la sua perfetta sosia mi ha girato intorno per almeno un mese. Che se non fossi stato certo di me mi sarebbe sorto qualche dubbio, le vere intenzioni di questi mobig disorientativi, chissà poi quali sono, io vi vedo molta ostilità. …Ti sei riferito sicuramente anche a quella, che non so perché per suoi inscrutabili motivi una volta mi si è messa davanti e senza nessun reale motivo mi ha detto: “Ti vuoi suicidare!?” ed ha annuito con la testa. Io le ho risposto di no naturalmente. Ma poi si è messa davanti a me con due persone che stavano sedute alle sue spalle e mi ha rifatto la domanda: “Ti vuoi suicidare!?” e prima che rispondessi, dopo il suo cenno di sì con il capo, mi ha fatto un cenno con la mano, di attesa, e sono rimasto in silenzio, con un’espressione interrogativa. Non so se fosse pazza, invidiosa o strana, io credevo fosse intelligente. Chissà, anch’essa forse era rimasta vittima di se stessa leggendo i miei appunti. …O quella che andava dicendo a tutti che io non conoscevo quei semplici cenni comportamentali, che di fatto io non uso esprimendomi in modo naturale, per dire quanto fossi stupido io e brava lei. Per non parlare di altre piene di soldi e senza talento, se non una mostruosa vanità aggressiva per camuffare la loro arrogante insicurezza: Pericolosa

CONTINUA

Cosa intendevi con mobig trasparente?

Mobig trasparente. Una delle peculiarità del mobig trasparente è quella di evidenziare la sua azione in un ambito di percezione visibile”. L’azione primaria è quella di mostrare così palesemente lo stimolo associazionistico destrutturandolo dal suo reale senso compiuto, nel processo di relazione, portandoti un esempio che lo esplica in parte, senza mostrarne la sua pratica più sofisticata… Mettiamo che tu faccia un tragitto in bicicletta sul lungomare e davanti ad ogni stabilimento ci siano delle persone che apparentemente stanno parlando tra loro, ma mentre tu passi pronunciano la parola vai, questo per ogni stabilimento lungo la strada, può accaderti che dopo un po’ noti ripetersi che “qualcuno” alza un braccio repentinamente proprio al tuo passaggio, penserai forse per salutare, ma non ne sei poi sicuro. Durante il tragitto ti capiterà che frequentemente delle auto ti passino a cinque centimetri di distanza, velocemente, che si immettano sulla strada non fermandosi sulla linea dello stop ma dandoti l’impressione di venirti addosso. I tuoi riflessi per certi versi condizionati saranno costretti a reagire a questi stimoli a razionalizzarli per evitare il pericolo, la tua percezione ansiogena aumenterà, inevitabilmente. Uno stato protratto di questo tipo è quello riscontrato negli uomini in guerra e con le dovute proporzioni tra le situazioni finisce in un stress da combattimento. Ora ti capiterà che mentre tu stai per fermarti senta dire da qualcuno nei pressi: “Si ferma!” e stranamente quella frase si assocerà a te, anche essendo stata detta in contesto diverso, ma dato che parliamo di mobig, solo apparentemente. Poi magari sali in bicicletta e prima che tu prenda la borraccia dell’acqua per bere, vedi qualcuno che imita il tuo gesto senza avere nulla in mano, e così via tutto questo nel suo ripetersi. A questo punto tu hai due possibilità, o percepisci tutto questo a livello inconscio subendone i relativi stati d’animo, emotivi, psicologici, al tuo interno. E qui è importante sapere lo scopo del mobig. Giacché alleggerendolo basta poco… per esempio basta far bere l’autista di un personaggio famoso, attirare l’attenzione su di lui, creagli attorno caos e confusione, costringerlo a correre in auto e magari sotto un tunnel fare qualcosa che agisca sui suoi riflessi condizionati, non pronti a causa dell’alcol e farlo schiantare contro un muro di cemento. Ma torniamo a noi, la sensibilizzazione dei processi associativi a cui sei stato soggetto, ha stimolato in te l’attenzione su di essi, e incominci ad essere sensibile anche a quelli fuori dal mobig. In uno stato di normalità se tu vivessi una situazione di questo tipo troveresti parte di queste associazioni all’interno dei tuoi processi psichici con cui interagiresti senza che chi sta intorno a te abbia la ben che minima relazione con te, oltre la naturale convivenza. Ma parlando di mobig, vi è poco di naturale. È anche ovvio che la società a causa dei mass media, dei sistemi basati sui comportamenti indotti per il potere politico, la pubblicità commerciale è oggi sempre più sensibilizzata verso quei processi associazionistici tutt’altro che naturali, fino a quelli subliminali. Ciò fa sì che ci sia un terreno già predisposto alla destrutturazione. Ma tornando a noi e mettendo il caso che tu abbia gli strumenti per identificare il mobig e la capacità di relazione al tuo interno per mantenere l’equilibrio, …che mostro hai dinanzi: un intero sistema connesso, a questo punto per paradosso ti basterebbe mandare un input in un punto qualsiasi del sistema connesso per mandarlo in fibrillazione, perché tu sei in relazione esclusivamente con te stesso, nell’ambito di un processo di equilibrio. Ma c’è un altro pericolo che hai dinanzi, l’effetto dell’auto mobig dei soggetti connessi, costoro vivono e generano un processo di relazione virtuale, le loro deduzioni sugli effetti che il mobig ha su di te sono anch’esse del tutto virtuali ed all’interno del loro processo di relazione destrutturato dalla realtà. In realtà il loro sistema non è in grado di stabilire una relazione compiuta, reale con te. Ti succederà che ogni tua azione, la più naturale possibile finisca per essere un input su di loro e su l’intero sistema, il loro processo di “relazione è tutto al loro interno, nei loro processi psichici inconsci che agiscono su di te per mezzo del loro transfer, hanno finito con il perdere l’equilibrio dei processi di relazione. In più vi è il pericolo che nella loro relazione borderline, quelli che prima ti mobigzzavano stimolandoti i riflessi delle, nelle azioni razionali, ora, ci sia un processo intenzionale contraddittorio, inconscio, all’omicidio stesso. Ed ovvio che il sistema si accresce in maniera esponenziale moltiplicandosi le connessioni. L’intero sistema con chi lo ha generato rischia di perdere ogni possibilità di catarsi. E ti sembrerà strano, ma oramai l’intera struttura sociale è così organizzata.

CONTINUA

In assenza del soggetto.

 


È sempre la solita storia. Sono 20 anni che uno approfondisce i concetti della comunicazione, li studia. E adesso esce una facoltà - scienze della comunicazione e un cretinetto che non sa perché usa il telecomando del suo televisore, che non è capace di distinguere il reale fabbisogno del suo cellulare da una palese dipendenza. Con quattro coglioni d’insegnanti. Ed è bello che fatto, la bellezza, il piacere di studiare di capire, ricercare, scompare sotto l’inutile egemonia della decodifica accademica, che legittima la più palese ignoranza con qualche dettame d’istruzione che garantisce alla struttura sociale il vincolo del dovuto sapere, omologato al giusto punto per il suo fabbisogno, garantendo allo studente e futuro tassello sociale la dovuta identità. In sostanza bastano poche regole imparate a memoria per credere di sapere qualcosa ed essere qualcuno riconosciuto dal sistema. È ovvio e non mi verrai a dire che non siano proprio brutti, basta vederli guardarli un po’, ascoltarli parlare. Sono così preformati, adattati ad un modo di essere standardizzato, che si possono permettere pure di protestare, di dire una loro, di cui di fatto non hanno nessuna consapevolezza.

…Mi aveva detto questo per telefono ed ora stavo andando a casa sua per vederlo. E mentre viaggiavo in taxi leggevo degli appunti che avevo ricevuto via e-mail.

 

Sistemi di consumo – sistema – compratori – struttura sociale. (nuovo gruppo protestatari – già consumatori) Estremi produzione – fuori processo indotto, ma auto indotto?! Processo di mezzo controllabile.

 

Il mio amico era seduto davanti al video, stava vedendo un telequiz, la presentatrice ammiccava con il suo seno e incedeva con il suo parlare che sembrava dovesse dirci qualcosa d’importante. Il montepremi in denaro era cresciuto - non so a che cifra e immancabile lo spot pubblicitario si inframmezzava nel tutto.

“Hai visto il programma contenitore di ieri … c’era tizio che ha parlato dei suoi problemi sessuali, che diceva non essere un problema. Be’ è la stessa persona che parlava di un identico problema, che raccontava la stessa struttura sociale che aveva raccontato in un programma di 4 anni fa. Ma l’incredibile è che dal pubblico un extracomunitario naturalizzato italiano gli ha fatto la stessa domanda di quattro anni prima e che questo era la stessa persona di quattro anni fa. Tutto ex novo con la gente che ascoltava con lo stesso interesse.

 

La creazione dei contenuti per organizzare il mercato avviene attraverso programmi appositamente costruiti a cui associare il prodotto, la linea politica ed altro che rientri nella politica del consenso: ovvero come indurre le persone in gruppi formati, con un’identità che accetti la soluzione propostagli, anche quando sembrano dissentire. I contenuti soggetti alla manipolazione tecnologica, per paradosso, ogni tanto, spinti dalle logiche espansionistiche del mercato, generano soluzioni consumistiche e possibilità che non hanno ancora i contenuti, [per riempirle ed utilizzarle] la politica del consenso ha reso così passivi i consumatori che non sanno più immettere propri contenuti all’interno delle nuove soluzioni, adattandovi le proprie cause. Non a caso molte “possibilità di reale soluzione dei problemi attraverso la tecnologia, non vengono immesse sul mercato, o ne è fortemente condizionato l’utilizzo a causa del prezzo sopravvalutato. Questo per determinare i contenuti verso una loro ben precisa strutturazione dei consumi e dei relativi fabbisogni. Ciò finisce per determinare un parziale rallentamento dei processi di accumulo di denaro e relativo potere dei gestori e creatori dei contenuti. Che decidono così di dar seguito ad una politica del consenso che aumenti l’illusione di determinazione da parte dei fruitori. Tutto questo “ambiente, plasma e determina i processi della comunicazione in ogni variazione della sua “forma”.

Insomma hai capito che roba, le stesse persone. Ci stanno rimbambendo tutti quanti.”

Mentre il mio amico dice queste cose si slaccia i pantaloni e guardando la conduttrice inizia a masturbarsi, rallenta il ritmo quando l’immagine passa al concorrente, ne modera la regolarità, mentre c’è lo spot, presentato da altri prorompenti seni, poi c’è il primo piano della conduttrice, è il suo momento, quello in cui la si può vedere un po’ più tempo perché sotto ha scritto il prezzo della vincita del telequiz. E mentre parla al pubblico, il mio amico aumenta il ritmo, si concentra su di lei e al massimo dell’eccitazione si avvicina al video e viene sullo schermo. Mentre guardo il suo sperma finire sul volto della conduttrice che era a bocca aperta, scivolare sul vetro, il mio amico mi dice: “Cavolo ‘sta volta sono venuto al momento giusto, non sulla pubblicità o sul concorrente. Questo mi farà risparmiare di fare una spesa di cui non ho bisogno, meglio un sega sullo schermo, pensando alla conduttrice, che sublimarla in 300… di denaro in prodotti che in realtà non ti servono.

 


 Per quel che vi viene in mente, non c’è altro da dire. In realtà l’amore, quei pochi esempi che l’umanità ha mostrato in tal senso danno un senso ad essa. Ma quello che finisce per muovere il mondo al suo contrario è l’odio. È l’odio quello che lo determina. Condizione peggiore di quella umana non so se esista nell’universo. In balia continuamente di un disfacimento materiale che finisce per determinare anche quello spirituale quando anche quest’ultimo sia poi preso pragmaticamente sul serio. In quanto a pragmatica non vi è dubbio che la si esprima nel prendere in considerazione il fatto che appena morti non rimane proprio nulla, ma veramente nulla della nostra consapevolezza. I nostri quotidiani giorni attraversano questa palese inconsapevolezza in un vortice di eternità che finisce per giustificare ogni nostra scelta, che ha come fine il mantenimento del nostro umore, la schiavitù di un progetto materiale che si sta disfacendo mentre lo si realizza, così rapidamente e senza accorgersene, tanto le giustificazioni sociali della storia ce lo rappresentano. Il così detto peccato, sia esso ateo o spirituale ci fa rappresentare l’esistenza in un compiuto che ci rassicura, che ancor di più ci illude, a cui troviamo le giustificazioni non del confronto, in un progetto ulteriore alla nostra esistenza materiale, ma giustificazione concettuale per immaginare un’eternità nei canoni di una struttura culturale che non ci dà la libertà, ma la sua rappresentazione nei rassicuranti suoi postulati, nelle conseguenze di un mondo materiale che ci preclude ogni reale possibilità di catarsi. Ci rivolgiamo a noi stessi per rappresentare se non noi stessi. Finiti e senza imperscrutabili risorse. In realtà è impossibile la consapevolezza della condizione materiale, è impossibile dichiararsi in così condizione e accettare di essere liberi.

 

Dopo questa premessa che sembrava in una certa misura espressione di consapevolezza, lei continuava dicendomi.

Preferisco di gran lunga i condizionamenti alla libertà, preferisco che i miei sensi siano così ingabbiati da conoscere la soluzione che per loro è stata stabilità. Che la mia mente produca quei pensieri che la storia dell’uomo può manipolare e rendere rassicuranti. Che quando sono tra le braccia di un uomo creda di essere con lui all’interno di un progetto che determina la mia evoluzione sociale, culturale e percepisca lèggere l’illusione che nel perpetuarsi della specie io sussista in essa. Voglio immaginare di essere libera nelle mie scelte, perché ce ne sono altre a cui contrapporsi a cui dire di no a secondo del mio orientamento spazio temporale. E che questo mi faccia credere, che così, ho determinato la mia sorte, che la mia sorte non sarà dimenticata nello spazio della mia morte, ma rimarrà eterna in quell’azione, che mi ha fatto dire ciò ch’è bene  e ciò che male, assolvere e condannare e questa è l’espressione della mia libertà, quello che mi fa rifiutare ciò che io definisco ingiustizia. In tutto questo c’è anche spazio per un dio che comprendo eccetto, ma se anche non ci fosse non si discosterebbe dal senso di realtà della storia e la cultura che rappresento e che esprimo.

 

Mentre tornavo a casa trovai un muro di quelli pesantemente imbrattati, e in un piccolo spazio c’era scritta questa frase:

“Chi vive nella menzogna ha un solo fine nella vita di trasformare la verità e chi vi vive nella sua menzogna, per edificare la sua verità.”

 

                                                                  UMANITà

 


Alla base di ogni perdita comunicativa vi è l’essenza stessa di ciò che comunemente viene definito educazione. Quel che più di ogni altro inficia questo evento della natura umana, ne è uno ancora più radicato: l’invidia o naturale predisposizione alla distruzione del prossimo e della propria umanità.

…da quel che tu mi hai detto è più che evidente che l’educazione è ben altro che una forma esteriore dell’essere. Non è certo il ceto economico o il ruolo sociale che ne costituisce il contenuto, quanto una naturale predisposizione d’animo verso la bellezza delle cose vere della vita, della verità stessa. È una forma estrema di lirismo che esprime il suo più autentico sentimento nel ristabilire la verità in ogni relazione, ma per quanto espressione cosi profonda di se stessi si coniuga armoniosamente con la verità delle cose del mondo, per manifestare il proprio animo e ristabilire con il mondo un senso di giustizia costruttivo.

Nella sua più autentica espressione, quel modo così prossimo alle proprie capacita ci pone in continua ricerca, non verso quel che è giusto alle apparenze esteriori, ma nell’intimo della realtà, di tutto ciò che nell’animo abbiamo. Questo fino a sconvolgere la palese manifestazione della forma vuota dell’educazione che non rispetta la vita, le sue espressioni di verità. E senza nessun contenuto che rispetti la vita, in ogni sua forma, il codice espressivo che manifesta l’educazione risiede tutto nella forma della sua violenza.

Non posso certo non darti ragione che in una logica di sopraffazione il senso stesso del rispetto della verità, finisca soggetto a processi che fanno si che il senso di educazione acquisisca un contenuto di pura funzionalità, all’interno dei processi di convenienza economica, in un abito formale che esprime più che altro i diversi stati di affrancamento da un livello sociale all’altro, fino alla manifesta volgarità dell’acquisizione stessa del livello sociale a cui ci si contrappone per identificare e meglio evidenziare il proprio, in forma e contenuti di reciproca convenienza. Al di fuori del senso stesso di affrancamento dalla menzogna. Lontani dalla ricerca del vero.

…appunto in questo contesto che vorrei parlarti di ciò che esprime il vero senso, la fatica di convivere con questa forma di menzogna, degli episodi che con estrema precisione si ripetono acquisendo la forma violenta e spesso subdola dell’invidia, della vuota forma dell’educazione. Dell’impegno per la palese non accettazione della ricerca di distruggere la libertà che ti fa essere invidiato e aggredito, non per la tua forma sociale, ma appunto per la libertà del tuo talento, la voglia stessa della verità che fa di te il punto focale per chi dal male cerca l’edificazione della menzogna della sua educazione, è con questo sentimento allo stato puro che cerca di distruggerti con ogni mezzo e in questo vortice, il solo suo scopo è di essere invidiato da chi invidia flagellandosi nel suo tormento distruttivo. Condizione più caduca da cui stare lontani non c’è.

potrei incominciare dicendoti che quel giorno, come ogni altro giorno della mia vita passata, mi svegliai e affrontai quello che la giornata mi riservò …la caratteristica di alcuni atteggiamenti predisposti all’invidia sta nell’affermarsi della costituzione stessa dell’educazione che funzionalmente viene impartita dalle istituzioni ai cittadini, che in essa vedono riconosciute in una sorta di consenso comune le proprie definite capacità. Certo non e di tutti la conseguenza che fa si che le proprie capacità critiche perdano la relazione con la verità, ma è consenso comune che l’affrancamento da una situazione d’insicurezza sia per i più auspicabile, se non peggio assoggettabile per lo stesso principio di verità.

[Non solo i regimi hanno cercato di strutturare i comportamenti, verso un’educazione che enfatizzasse il più possibile l’ottica per la quale l’uomo doveva predisporre la propria coscienza] Nei regimi l’atteggiamento stesso dei comportamenti della comune convivenza viene fortemente condizionato fino a generare la logica su cui l’ideologia determina il suo scopo. L’imposizione stessa di un atto concreto nell’ambito dell’affermazione della propria personalità nei confronti di un altro, è soggetta all’affermazione che ha per fine l’azione dell’intero popolo che sottostà al fine ultimo dell’ideologia. I semplici comportamenti all’interno dell’educazione dei genitori verso i figli, dei figli con i propri coetanei, fino al comportamento dei figli verso i propri genitori è regolato dai modi che l’ideologia ha prestabilito nella formazione attraverso la scuola e le altre forme sociali da essa impostate per il controllo. Questa logica nei regimi è evidente manifestazione di un modo “del consenso coercitivo, che spinge all’imposizione del reale all’interno della verità chiusa nell’ideologia, che sostanzialmente pone l’uomo nella logica di una sorte comune superiore, contrapponendolo alla sorte dell’uomo come essere libero in se stesso che possa ricercare il proprio ideale di bellezza nella educazione alla ricerca della verità, fin anche superarlo, perché non pregiudizialmente costituito per mezzo di un’ideologia priva di reali ideali umani.

…di fondo comunque questo atteggiamento non si manifesta in modo nefasto solo nei regimi, ma anche negli ordini sociali che fanno della convenienza del consenso, il carattere pregiudizievole su cui impostare il processo delle relazioni, che costituiscono la logica delle rassicurazioni sociali, che determinano l’identità di un popolo e del relativo individuo. In una logica per quanto libera, che ha come fine la realizzazione dell’appagamento dei bisogni primari (traslati) della propria sopravvivenza, l’affermazione della propria persona sullo status di un’altra può determinare la libertà che passa tra chi ha il cibo per magiare e chi è costretto a morire di inedia. Questa condizione che è manifesta tra le popolazioni dei paesi ricchi e quelli che per questo motivo vengono ritenuti poveri, evidenzia all’interno dei primi e maggiormente in questi ultimi “il comportamento che tende a giustificare il senso stesso della forma egoistica della convenienza che lo ha determinato, la sua sublimazione dallo stato di sicurezza ad una stato per la sicurezza del proprio sistema, per il mantenimento delle acquisite sicurezze primarie che rinunciandovi sarebbero perse.” Ovviamente questo stato dei comportamenti si replica in forma più o meno violenta anche dentro la società, che ricca lo sostiene, sarebbe insostenibile per essa la logica che dentro il proprio processo di educazione vigesse una logica contraddittoria non codificabile ad esso nei fabbisogni primari, che non riporti al suo senso. Solo un ordine di fede dentro certi canoni è tollerabile, o l’esempio estremo il tal senso di un individuo che appare isolato dalla forma del sistema.

…in definitiva dopo essermi svegliato quel giorno ricevo una telefonata di un tizio che ho conosciuto per caso un po’ di tempo fa… (in sostanza questo non è che poi faccia molta differenza, anche in chi si conosce da tempo si constata lo stesso comportamento, atteggiamento). …Come dicevo da un po’ ogni tanto questo tipo mi telefonava per chiedermi dei favori. Appartiene a quelle certe persone che in sostanza rifiutano l’incontro, dopo che hanno capito che possono avere un confronto che determini i valori e l’ulteriore sviluppo della consapevolezza, all’interno di ciò che loro stessi affermano di conoscere. Costoro come è ovvio, impediscono fin anche che il loro interlocutore manifesti le proprie possibilità e determini la sua libertà nei reali valori dei meriti e della relazione con la verità. Questi dopo il primo incontro, o poco dopo scompaiono evitando ogni altra forma di reale relazione. Tranne alcuni. In definitiva vivono con l’ipotetico aiuto di un sistema di educazione alla conoscenza, così pregnantemente moralistico, da assolverli nei riguardi della verità con la formula giustificatoria sociale, a cui sono funzionali. In questa categoria non ci sono solo quelli che hanno fatto dell’acquisizione dei codici prestabiliti a priori per privilegi, democratici e no, il loro distinguo, ma con questi anche quelli che con il loro atteggiamento, agevolano, giustificano il senso di superiorità di chi acquisisce i codici per agire coi privilegi del concetto di verità utile per la realizzazione della verità sociale, che a priori determina il “funzionamento” umano. Indipendentemente dai meriti della conoscenza.

Questo tizio è un po’ come quei vecchi amici, che per tanto tempo pensi, ingenuamente, essere in buona fede anche se sono evidentemente scortesi, e sostanzialmente sgradevoli verso tutto quello che in te esprime qualità, e camuffano il loro essere con l’impegno formale del rispetto ma in un altruismo che vuole acclarare solo il loro stato cercando di distruggere quello altrui. Questi tizi che cercano il benestante che ha bisogno di un pari intellettuale a cui sentirsi superiore intellettualmente solo per i privilegi economici, anche se entrambi non hanno un briciolo di talento e su questo costruiscono il sodalizio dello stato di convenienza. Questi tipi che scopri non essere stati mai tuoi amici, ma che con il loro amino ti hanno gettato addosso tutte le cose negative che potevano, be’ questi sono quelli che ogni tanto mi capita di incontrare e che al contrario degli altri continuano a cercarti, ti chiedono favori e cercano in tutti i modi di metterti in uno stato d’inferiorità per ambire a ferire e sperare di essere in un certo modo invidiati, come quest’ultimo. L’arma che usano è quella della scortesia, ti potrei raccontare mille episodi, ma parlando di questo tizio, quello che è evidente è che ha “escogitato” il sistema di porsi su un piano che fa si che io percepisca l’estremo uso utilitaristico della sua richiesta di favori. [dato che io non sono uno stupido intellettuale, né scemo pieno di soldi, ma ho qualità in diversi campi della creatività umana] Un paio di volte mentre cercavo di leggere o mostragli alcuni miei articoli,  - essendomi venuto a trovare - scritti che erano non solo importanti, ma anche obbiettivamente validi, ebbe delle reazioni, che tendevano ad interrompere quello che stavo leggendo, portando il discorso, su cose che non tanto riguardassero lui, ma quanto attirassero l’attenzione sulla sua personalità che diventò non solo motivo di discussione, ma la forma stessa a cui i miei pensieri, non solo dovettero prestare attenzione, ma proprio adattarsi, senza la possibilità della ragionevolezza di un sviluppo ulteriore. …Una volta mostrandogli interesse per una gara di ciclismo in tv, per competere disse che doveva andare via che aveva da fare, pur non avendo niente da fare, come mi ha aveva detto precedentemente, solo per non condividere il mio piacere. L’ultima volta ch’è venuto, mentre leggevo, questa volta un po’ imponendomi alla sua scortesia, giacché stava per interrompermi, come sempre. Gli ho fatto cenno con il capo e l’ho invitato cortesemente a seguire ancora quello che gli stavo leggendo. A quel punto ho sentito il rumore del secchio metallico dei rifiuti, del mio studio che sbatteva con un’altra cosa, e mentre continuava ho finito di leggere quello che avevo scritto. E come ha ottenuto il favore della duplicazione dei c.d se ne è andato, anche questa volta di punto in bianco aveva da fare. Nella sua competizione formale non lascia di pretendere attenzione sul fatto che in cambio del mio favore mi dà la possibilità di registrare dei c.d e quindi è uno scambio paritetico all’interno della convenienza reciproca. Una volta una tizia del medesimo stampo, dopo che mi aveva chiesto il favore… al momento di ringraziare, evidenziò il fatto che me lo aveva chiesto perché a suo dire io non lavoravo e quindi avevo tempo per farglielo. Queste persone che vivono così bene gli uni con gli altri e sodalizzano questi loro comportamenti vengono da me a rompere, perché nella loro contorsione mentale, elucubrazione così profonda percepiscono l’ammirazione che li attrae solo nella forma distruttiva dell’invidia. Ne faccio volentieri a meno. Di questa cortesia che cerca di mostrare il suo opposto. Di questa negatività.

 

…Era proprio lì fermo con quella macchina da non so quanti milioni che trasudava volgarità da tutti i pori della pelle. …L’ostentazione dell’ignoranza, la volgarità di opinioni che non sanno tenere conto del vero, del senso che c’è in esso. L’ostentazione della ricchezza materiale è volgare come le cene di beneficenza. Dove si sollazzano in spettacoli che rendono esclusivi per il loro manifesto prezzo. La volgarità di una materia priva di valore morale, priva di senso se non quello della propria manifesta morte. Il senso di andare ad una cena con una macchina dal prezzo unico, con la stampa e la televisione che reclamizzano la bontà. La vanità dei gruppi associati, è uguale a quelle mostre d’arte anch’esse piene di quel senso filantropico che ha reso beni di consumo opere d’arte per soli ricchi. L’ostentazione della cultura è ancor peggio di quella dell’ignoranza. Ostentazione è la manifesta rappresentazione di qualcosa che acquista valore in conseguenza del potere sociale verso una subalternità da esso motivata.

Il coro è impazzito e urla come un ossesso. Il grido percuote l’aria che resta immobile.

L’artista di turno quella del momento. Giovane bella, eccentrica per un tatuaggio, i capelli biondi pettinata alla rasta. Porta la divisa del suo gruppo, va in giro liberamente. Dopo aver frequentato le scuole giuste, e sa pure qualche lingua oltre quella madre. È identificabile per i pantaloni un po’ strappati e del colore che vuole ma che ne fa una dei migliaia… che la pensano come lei, (ma in apparenza diverso. Lei ha capito quello che vogliono i giovani del suo gruppo. “La sua arte esprime il senso del disagio di una gioventù che trova il modo di affermare le sue idee attraverso un proprio consenso che vuole estendere agli altri, in, e una forma omologata, ma diversa.”

Il tizio della macchina stracostosa si avvicina all’artista, che nel frattempo ha scritto anche un libro con il linguaggio strasfischissimo dei giovani che rappresenta. È così eccentrica da sembrare strabosssone. Lo stramiliardario gli chiede che ha fatto ai capelli. Così per darsi un tono non troppo leccornioso e straleccornioso, come dice lei quando parla dei ricchi che comprano i suoi quadri. Che non appendono, se non nei loro muri, da casa in centro esclusiva per dare un tono di estraneo all’ambiente. Un po’ da giovane scrittore di New York che sembra dire che le cose importanti che accadono nel mondo, sono tali solo perché succedono in quella città e non per altro. E su questo scrive libri che vendono milioni di copie. E l’artista in questione è stata a New York, e anche fatto un video artistico, sulla sua esperienza. E il tizio straricco o presunto tale che le ha appena detto che cosa avesse fatto ai capelli, aspettava la sua risposta. Come seconda domanda le voleva chiedere di vedere il suo video. L’artista lo guarda e gli risponde. Fatti i cazzi tuoi. Simpatica! Ormai quel fatti i cazzi tuoi era diventato l’intercalare dei suoi discorsi. E tutti si complimentavano con lei per la sua simpatia. Non era certo come quegli artisti sconosciuti che ossequiano chiunque ha un po’ di soldi, perché potrebbe comprargli un’opera, o è qualcuno che può parlare di loro su una rivista o con qualcun altro. Questa è la basilare merce di scambio tra questi buffoni volgari. Un po’ come quegli scrittori così detti giovani che trovano un editore solo per il fatto che scrivono stra e per questo c’è qualcuno che li legge.

La nostra artista ormai per il breve momento di qualche anno potrà dire a tutti. Fatti i cazzi tuoi. E lo avrebbe detto fin tanto che fosse andata. Un giorno avrebbe detto. Sono cazzi miei. E tutti avrebbero detto - ha cambiato stile, dando un nuovo senso a tutta la generazione che rappresenta. Che per le strade ora non fa che dire. Sono cazzi miei. Scriverà un libro e si parlerà di un nuovo stile letterario, ma giovanilistico, che vecchie generazioni non comprendono e non sanno se approvare. Questo per il dibattito.

Il coro infuria e la tempesta non placa le sue ire. L’ignominia ha reso brulle le coscienze. Dannati i pensieri.

La volgarità del pettegolezzo è pari ha tutte le altre. Eppure può esserci un modo per rendere sublime un gioco della menzogna, quello di trasformarlo in verità. E solo l’artefice di costei può essere capace di tanto. L’utilità nessuna, chi blandisce la menzogna rimarrà tale. Ostinatamente cieco.

Si muove il brusio prima del teatro. Il coglione è lì nei pressi, con la sua puppazza immensamente. Il coglione scrive, un libro da evitare. Chi lo ha pubblicato. Chi ha pubblicato il coglione che dice di essere ammanicato con un sacco di gente, ma ti lecca il culo appena capisce che gli puoi essere utile. Il coglione è sceso in provincia e blandisce le associazioni culturali, blaterando la sua somaraggine che nessuno gli sa contestare, perché dice che conosce quello e quello. Il coglione parassita. È a tiro, dico che conosco il transessuale che era apparso la sera prima in televisione, dico che è di Roma non come hanno detto in televisione, per convenienza. Il coglione sente. Il coglione non scrive, ma diventa la mia storia vivente. Il coglione allude a quel che ho detto. Il coglione crede, ma non sa, il coglione invidia e racconta quello che non sa, per apparire quel che non è migliore. Il brusio prima del teatro aumenta, i perbenisti diventano anch’essi coglioni. Il coglione non sa più cosa fare. Non si sa più chi ha detto quella cosa. Nessun coglione si avvicina a me per dire quel che dissi. I coglioni non ricordano nemmeno che sono io l’artefice di tutto. Io che li ho resi quel che sono, che ho mostrato quel che realmente sono. L’artifizio è la realtà, la volgarità i coglioni. Nobile è la donna quando guardo costoro, nobile quel che loro chiamano tras. Nobile la mia conoscenza della donna che chiamano tras, di questa singola donna a cui alludono. I coglioni non sanno distinguere, non sanno capire le distinzioni che hanno dentro. Hanno il terrore di capire. Il mondo non è più strano del loro quando qualcuno vuol essere una donna, ma lo è nella testa e quasi, se non in tutto il corpo che fa dimenticare del suo organo maschile. È un mistero incredibile o è semplicemente colpa dei coglioni. Che infrangono la realtà con la menzogna.

Il brusio del coro è forte, la conoscenza non si spaccia, l’illusione è dei vigliacchi.

Se c’è un’invidia che esprime in pieno il senso della dannazione è quella per il talento. Tutto nasce da un processo di nemesi, per quel che se ne dica. L’affrancamento della persona di talento da tale processo  è la base di tutti i processi conflittuali che la struttura sociale ha stabilito come canoni dell’esistenza. Siano essi elementi di base che sconvolgimento di questi ultimi. La persona priva di talento tende solo a ricostituire tale processo per ristabilire un ordine gerarchico privo dei reali meriti, se non quelli vincolati dalla nemesi della procreazione. Se la tragedia di Edipo è vera, è parziale per la realtà stessa al di fuori della specifica tragedia, emblema della tragedia umana di un’epoca, sempiterna ma mutevole come l’ostracismo al talento. Il mantenimento del talento all’interno di una struttura storica finisce inevitabilmente in un processo di nemesi, in un gerarchico non senso procreativo economico. Che ha come unico e reale fine lo stabilirsi non della verità dei fatti all’interno della verità umana più profonda, ma il costituirsi di un’apparenza formale data per verità. La verità di Edipo, il suo essere re prima della tragedia. Il cammino dell’uomo non potrà eludere in nulla tale sostanza.

Il coro sbraita e non sopporta il suono delle parole. Il coro ha perso la sua voce e grida come un sordo impazzito.

 Non so in vita mia quanti biglietti da visita ho dato in vita mia, ma solo in rarissimi casi ne ho avuto uno in cambio, non vi è nulla di più pratico che non dover scrivere ogni volta il proprio indirizzo su un foglio, e riceverne uno in cambio. Ma la volgarità è cosi grande che persa la sua funzione di distinzione sociale il biglietto da visita per quanto sia informale è diventato una specie di persecutore o di acclaratore della volgarità della persona che lo riceve. È pazzesco ma dato che il senso basilare della volgarità è non avere il buon senso dell’uso delle cose, il vuoto di senso è riempito nei modi formali più incredibili. E questo piccolo pezzo di carta che oramai chiunque è in grado di stampare in casa, è rivelatore sublime dell’inconsistenza dei contenuti di certe persone. L’uso più comune che viene fatto del biglietto da visita è quello a fini pubblicitari. Lo si trova in pizzeria e in molti esercizi commerciali. Il biglietto da visita personale lo si incontra ogni tanto, per puro caso. C’è sempre la possibilità di dire di essere sull’elenco del telefono. E questa è la cosa che più comunemente si finisce per utilizzare. Informalmente. Mi trovi sull’elenco. Ora dato la carenza di buon senso che c’è in giro, la reazione alle svariate forme di comunicazione del proprio recapito sono per lo più contraddittorie. Può benissimo capitare che se date ad una persona il vostro biglietto da visita vi becchiate i commenti cafoni sul fatto che il vostro biglietto è in un modo o in un altro, naturalmente l’altra persona non ne ha uno suo da restituirvi, e questo fatto che sarebbe commendabile “passa irrilevante” tra i commenti scomposti sul vostro biglietto da visita, che magari per l’appunto è fatto in modo tale che il suo contenuto non enfatizzi niente altro che le possibilità e i modi del recapito. Ma per paradosso questo può bastare per darsi delle aree. E il biglietto in sé può apparire tale, anche se magari non hai il cellulare per urlare in mezzo alla strada come il tuo interlocutore. Può capitarvi che il volgare di turno sempre privo del suo biglietto, enfatizzi il fatto che il vostro è troppo informale, solo per compensare il suo patetico senso d’inferiorità, il fatto di non averne uno da restituirvi. Ma se per caso per evitare tutto ciò mi viene in mente di dire che il mio numero è sull’elenco, questo può apparire scortese. Allora la persona a cui avevo dato la mia disponibilità, una donna di cui non sapevo niente, dato la rapida conoscenza, fa l’aria sorpresa. Le do il mio biglietto da visita e lì con la sua amica, da poco presentatami, allude al fatto della pubblicità. A quel punto, glissando sull’imbarazzo, chiedo alla sua amica se posso dare anche a lei il mio biglietto da visita, lei gentilmente dice di sì. Si prendono il mio biglietto da visita e non ricevo in cambio la possibilità di conoscerne il recapito o chi siano. Bene saranno nobili. Fatto sta che mi sembra di aver distribuito i miei biglietti a degli sconosciuti in pizzeria. All’anima della cortese pubblicità. Naturalmente mai sentite in seguito. Sta di fatto che il mio biglietto è finito in una disputa tra “donne che per il loro quieto vivere, compresa una terza, loro amica, hanno preferito far finta di nulla. Il biglietto da visita, sembra strano, ma è nel disordine del mondo, il mezzo non informatico che rivela il reale uso che si fa dei mezzi di comunicazione informatici. L’assenza stessa della realtà e del buon senso della comunicazione.

Impazza il coro. Impazza. E non sembra vera la voce solista. Che non interessa il coro.

 




----- Original Message -----

From: <… >

Nessuno

Sent: Friday, July 02, 1999 3:25 PM

Subject: Kafka dream l’odio


...Stava pensando che le era successo ancora, sdraiata sul letto prima di
addormentarsi tocco il suo corpo che sapeva essere bello e pensò a quel che
era successo nel pomeriggio - Ricordò che era seduta con lui, era molto
ch’erano insieme, pensò che lui era considerato da tutti straricco e
strafico, quasi quanto lei. ...Erano seduti in una panchina nel parco, lei
lo accarezzava e baciava, ma con la coda dell’occhio osservava un giovane
Barbone seduto nella panchina affianco... che stava scrivendo su dei vecchi
pezzi di carta. Lei baciò lui con più passione per attirare, non sapeva
bene
perché, l’attenzione di quel barbone, ma il giovane barbone ebbe una "strana
espressione e continuò a scrivere. Lei incominciò a stringersi al corpo di
lui con tutto il suo corpo, incominciò a baciarlo schioccando le labbra e a
chiamarlo amore e mentre faceva tutto questo con la coda dell’occhio
osservava il barbone - Il barbone si alzò e lasciò quel pezzo di carta su
cui stava scrivendo, lì sulla panchina dove era seduto. Lui abbraccio lei
per baciarla, ma lei visto che il barbone se ne stava andando, lo allontanò
dicendogli di lasciarla in pace.
...Lei raccolse il pezzo di carta lasciato dal barbone, lesse:
-"Ancora qui, sembrava non esserci nessuno, ho guardato prima di capire, ma
poi ho sentito lo sguardo di chi non ti ama, di chi non ama nessuno, ora
devo ancora fuggire, alzarmi e fuggire.
Lei lesse la firma - Ettore Majorana
...Stava pensando che le era successo, non voleva che le accadesse ancora.
Sognò quella notte...
......Gobbbels - Ittolor ai saputo quello che sta facendo Grrrosss?
Ittolor - So che ha a messo su una setta, vuole vivere dentro fuori la
natura, ballano...
diglielo, diglielo
Gobbbels - Lui si vuole muovere fondendosi con la natura, fa delle cose che
enfatizzano la natura e il tutt’uno dell’uomo con essa, gesti in sincronia.
non odiare
Ittolor - E allora!
Pensa grandi adunate, tutti che inneggiano ad un unico uomo come dio,
insieme, con una parola SAG.LA SAG.LA SAG.LA, alzando un braccio imperioso,
con un’uniforme marziale. Pensa come si sentono forti, sono tanti ma uno
solo - te!
Ittolor - Già!
non odiare
non rompere i coglioni
sin da bambini gli insegneremo che appartengono ad una razza che può
dominare il mondo
Gobbbels - Sin da bambini gli insegneremo che appartengono ad una razza che
può dominare il mondo.
Ittolor - Ma per questo devono odiare, odiare ODIARE!
la paura
Gobbbels - Gli faremo sentire la paura che c’è qualcuno che vuole
distruggere la loro razza, diremo loro che la loro razza è indistruttibile,
ma che ci sono delle razze che possono infettarla e indebolire la loro
purezza.
Ittolor - Chiamiamo pure dott. eugenetica
Gobbbels - Certo gli piacerà.
non odiare
zitto pezzo di merda
Ittolor - Hai detto qualcosa?
Gobbbels - No!
Ittolor - Ma una volta che l’odio sarà al massimo, dove troveremo altro odio
per alimentarlo?
Gobbbels - Ho sentito che Sttaalinfff si dà da fare e poi altri ci
seguiranno.
non odiare non odiare non odiare
zitto stronzo
...è un essere rannicchiato in un angolo della stanza che continua a dire
senza essere ascoltato, né visto: non odiare non odiare non odiare
ZITTO ZITTO, urla il suggeritore di Gobbbels
L’essere rannicchiato si alza in piedi guarda il suggeritore, e gli dice -
non odiare non odiare non odiare
suggeritore - sparisci pezzo di merda
l’essere fa un passo avanti verso il suggeritore e urla - NON ODIARE NON
ODIARE NON ODIARE. A quel punto l’essere è visibile a chi è nella stanza,
...li guarda e mentre pronuncia NON ODIARE un vento immenso investe chi è
nella
stanza - Gobbbels e Ittolor si trasformano in due vecchie fotografie sul
muro, il suggeritore di Gobbbels in un mucchietto di polvere sul pavimento.
L’essere esce dalla stanza e chiude per sempre la porta.
...Sveglia è ora che ti alzi, ciao amore, buongiorno, che hai sei tutta
sudata... Ho fatto un sogno e ho avuto paura di non svegliarmi più.

Bernardo Joyce


 

“Sono nato a Catania il 5 agosto 1906. Ho seguito gli studi classici conseguendo la licenza liceale nel 1923; ho poi atteso regolarmente agli studi di ingegneria in Roma fino alla soglia dell’ultimo anno.

“Nel 1928, desiderando occuparmi di scienza pura, ho chiesto e ottenuto il passaggio alla Facoltà di Fisica e nel 1929 mi sono laureato in Fisica Teorica sotto la direzione di S.E. Enrico Fermi svolgendo la tesi: La teoria quantistica dei nuclei radioattivi e ottenendo i pieni voti e lode.

“Negli anni successivi ho frequentato liberamente l’istituto di Fisica di Roma seguendo il movimento scientifico e attendendo a ricerche teoriche di varia indole. Ininterrottamente mi sono giovato della guida sapiente e animatrice di S. E. il prof. Enrico Fermi”.

Queste “notizie sulla carriera didattica” Ettore Majorana le scrisse nel maggio del 1932: evidentemente ad uso burocratico…

…nel andare in tram all’istituto Fisico, si metteva a pensare con la fronte accigliata. Gli veniva in mente un’idea nuova, o la soluzione di un problema difficile, o la spiegazione di certi risultati sperimentali che erano sembrati incomprensibili: si frugava le tasche, ne estraeva una matita e un pacchetto di sigarette su cui scarabocchiava formule complicate. Sceso dal tram se ne andava tutto assorto, col capo chino e un gran ciuffo di capelli neri e scarruffati spioventi sugli occhi. Arrivato all’istituto cercava di Fermi o di Rasetti e, pacchetto di sigarette in mano, spiegava la sua idea”. Ma appena gli altri approvavano, se ne entusiasmavano, lo esortavano a pubblicare, Majorana si richiudeva, farfugliava che era roba da bambini e che non valeva la pena discorrerne: e appena fumata l’ultima sigaretta (e non ci voleva molto, per lui fumatore accanito, arrivare all’ultima delle dieci “macedonia” del pacchetto),  buttava il pacchetto  - e i calcoli, e le teorie – nel cestino. Così finì, pensata e calcolata prima che Heisenberg la pubblicasse, la teoria che da Heisenberg prese il nome, del nucleo fatto di protoni e neutroni. …

 

…Scriveva per ore, per molte ore del giorno e della notte: e che scrivesse di fisica o di filosofia, il fatto è che di tutte quelle carte restano due soli, brevi scritti. Indubbiamente, distrusse tutto poco prima di scomparire: casualmente lasciando, o volontariamente, il saggio che Giovanni Gentile junior pubblicherà nel numero febbraio-marzo 1942 della rivista “Scientifica”. La conclusione di questo saggio è per noi, che pochissimo sappiamo di fisica e ancor meno di scienze sociali, profondamente suggestiva: “La disintegrazione di un atomo radioattivo può obbligare un contatore automatico a registrarlo con effetto meccanico, reso possibile da adatta amplificazione. Bastano quindi comuni artifici di laboratorio per preparare una catena comunque complessa e vistosa di fenomeni che sia “comandata” dalla disintegrazione accidentale di un solo atomo radioattivo. Non vi è nulla dal punto di vista strettamente scientifico che impedisca di considerare come plausibile che all’origine di avvenimenti umani possa trovarsi un fatto vitale semplice, invisibile e imprevedibile. Se è così, come noi riteniamo, le leggi statistiche delle scienze sociali vedono accresciuto il loro ufficio che non è soltanto quello di stabilire empiricamente la risultante di un gran numero di cause sconosciute, ma soprattutto di dare della realtà una testimonianza immediata e concreta. La cui interpretazione richiede un’arte speciale, non ultimo sussidio dell’arte del governo”. …

 

…La sera del 25 marzo, Ettore Majorana partiva col “postale” Napoli-Palermo, alle 22,30. Aveva impostata una lettera per Carrelli, direttore dell’istituto di Fisica, e una ne aveva lasciata in albergo indirizzata ai familiari. Perché non avesse impostata anche questa, è facile capirlo: aveva calcolato come si dovevano svolgere, ed effettivamente si svolsero, le cose; e in modo che i familiari ricevessero non brutalmente la notizia, ma per gradi. Le lettere sono già note, da quando il professore Erasmo Recami, un giovane fisico che si occupa delle carte di Majorana alla Domus Galileiana, le ha pubblicate. Ma crediamo sia necessario rileggerle. Quella diretta a Carrelli: “Caro Carrelli, Ho preso una decisione che era ormai inevitabile. Non vi è in essa un solo granello di egoismo, ma mi rendo conto delle noie che la mia improvvisa scomparsa potrà procurare a te e agli studenti. Anche per questo ti prego di perdonarmi, ma sopra tutto per aver deluso tutta la fiducia, la sincera amicizia e la simpatia che mi hai dimostrato in questi mesi. Ti prego anche di ricordarmi a coloro che ho imparato a conoscere e ad apprezzare nel tuo istituto, particolarmente a Sciuti; dei quali tutti conserverò un caro ricordo almeno fino alle undici di questa sera, e possibilmente anche dopo”.

Che vuol dire “non vi è in esso un solo granello di egoismo”, se non che la decisione veniva da tutt’altro sentimento e intendimento, da tutt’altro dolore che quello della gastrite e dell’emicrania al quale alcuni tendono a legarla? La frase sta lì netta, senza equivoci: eppure finora come in una specie di invisibilità. È poi da notare l’ambiguità in cui si colloca quell’ora, le “undici di questa sera”: al vertice dell’incertezza sull’immortalità dell’anima, del dubbio; ma al tempo stesso sul confine tra la vita e la morte, tra la decisione di morire e quella di continuare. E poi perché quell’ora precisa? E non era l’ora meno indicata per attuare, sul piroscafo Napoli-Palermo, il suicidio? Partendo alle 22,30, alle 23 il piroscafo era ancora nel golfo di Napoli, ancora in vista del porto, delle luci della città; e i viaggiatori tutti sopracoperta, i marinai tutti in movimento. Un uomo che si butta in mare a mezz’ora dalla partenza di una nave rischia, se non di essere salvato, di essere visto. Possibile che Majorana, se davvero avesse avuto intenzione di suicidarsi, non sapesse calcolarlo?

Ci deve essere in questo numero – undici – un qualche mistero, un qualche messaggio. Forse un matematico, un fisico, un esperto di cose marittime, potrebbe tentare di decifrarlo. A meno che Majorane non l’avesse messo lì appunto perché si credesse a un’intenzione, a un messaggio: e per un po’ noi abbiamo creduto che lui avesse calcolato l’ora in cui, per i movimenti del mare nel golfo di Napoli, il suo corpo non si sarebbe più ritrovato.

Abbiamo visto altre lettere di suicidi: e in tutte c’è, anche nella grafia, un’alterazione più o meno forte, sempre. Un che di scomposto, di caotico. Nelle due di Majorana c’è invece un ordine, un preordine, una compostezza, un gioco al limite dell’ambiguità che non possono non essere voluti: conoscendolo come ormai lo conosciamo. Anche la parola “scomparsa”, in luogo di morte o fine, crediamo che sia stata usata perché venisse intesa come eufemismo mentre non lo era.

Ed ecco la lettera, se lettera si può chiamare, ai familiari: “Ho un solo desiderio: che non vi vestiate di nero. Se volete inchinarvi all’uso, portate pure, ma per non più di tre giorni, qualche segno di lutto. Dopo ricordatemi, se potete, nei vostri cuori e perdonatemi”. Anche qui un numero: tre. 3, 11, 3 + 11 = 14. Possono avere un significato, questi numeri? Non sappiamo di numeri, sappiamo di parole. E di parole, nel breve messaggio, ce ne sono due che avranno ferito: “se potete”.

 

 

Carrelli non aveva ancora ricevuto la lettera quando un telegramma urgente di Majorana, da Palermo, lo pregava di non tenerne conto. Ebbe poi la lettera, capì il senso del telegramma, telefonò a Roma ai Majorana. Gli arrivò poi un’altra lettera di Ettore, da Palermo, su carta intestata del Gran Hotel Sole: “Caro Carelli, Spero che ti siano arrivate insieme il telegramma e la lettera. Il mare mi ha rifiutato e ritornerò domani all’albergo Bologna, viaggiando forse con questo stesso foglio. Ho però intenzione di rinunziare all’insegnamento. Non mi prendere per una ragazza ibseniana perché il caso è differente. Sono a tua disposizione per ulteriori dettagli”.

La lettera è del 26 marzo. Secondo gli accertamenti della polizia, la sera dello stesso giorno, alle sette, Majorana si imbarcò sul “postale” per Napoli; e a Napoli sbarcò l’indomani, alle 5,45. Ma noi abbiamo qualche dubbio: e non nell’ipotesi che si sia gettato in mare nel viaggio di ritorno, ma nell’ipotesi che non sia salito sul piroscafo la sera del 26, a Palermo.

 

…Che il viaggio fosse stato effettuato fino allo sbarco a Napoli, lo diceva il biglietto di ritorno che era stato consegnato e si trovava alla direzione della Tirrenea. Che nella cabina, corrispondente a quella assegnata al biglietto a Ettore Majorana, avesse viaggiato una persona che poteva essere lui, lo diceva il professor Vittorio Strazzieri, che aveva passato la notte nella stessa cabina.

Dai biglietti riconsegnati, risultava che in quella cabina avevano viaggiato l’inglese Carlo Price, Vittorio Strazzieri ed Ettore Majorana. Impossibile rintracciare il Price; ma fu facile arrivare al professor Strazzieri, docente all’università di Palermo.

Sollecitato da una lettera del fratello di Ettore (alla quale, è ovvio pensarlo, sarà stata acclusa una fotografia), il professor Strazzieri esprime due dubbi: di avere effettivamente viaggiato con Ettore Majorana e che “il terzo uomo” fosse inglese. Ha comunque una “assoluta convinzione: se la persona che ha viaggiato con me era suo fratello, egli non si è soppresso almeno fino all’arrivo a Napoli”. In quanto all’inglese, non mette in dubbio che si chiamasse Price, ma parlava italiano “come noi, gente del sud” ed aveva modi piuttosto rozzi, da negoziante o giù di lì. Siamo davvero al “terzo uomo”. Ma il problema non è di difficile soluzione. Dato che il professor Strazzieri ha scambiato qualche parola con l’uomo che doveva essere Carlo Price e nessuna con quello che doveva essere Ettore Majorana, è facile ed attendibile l’ipotesi che l’uomo che non parlò, e che Strazzieri seppe poi essere Ettore Majorana, fosse invece l’inglese; mentre colui che poi gli dissero doveva essere Price, fosse invece un siciliano, un meridionale, un negoziante quale appariva, che viaggiava al posto di Majorana. E nulla di romanzesco in questo: Majorana poteva essere andato alla biglietteria della Tirrenea all’ora opportuna e aver regalato il suo biglietto a uno che stava per farlo e che magari – per età, statura, colore dei capelli – un po’ gli somigliasse (nulla di più facile che trovare, anche in un numero ristretto di siciliani, il tipo “saraceno”) . Se non si accetta questa ipotesi, si deve o destituire di attendibilità la testimonianza del professor Strazzieri o puntare – come qualcuno a tentato – sul romanzesco del Price che non fosse Price, ma un meridionale, un siciliano travestito da inglese che seguiva Majorana e ne dirigeva le azioni. E su questa strada si può anche arrivare all’amenità della mafia che si dedicasse alla tratta dei fisici come a quella delle bianche.

Ma al di qua o al di là di ogni ipotesi, resta significativo il fatto che il professor Strazzieri non è per niente sicuro di aver viaggiato con Ettore Majorana ed  è invece sicuro che la persona che poteva essere Majorana è sbarcata a Napoli. È tanto sicuro che suggerisce al fratello di cercarlo in qualche convento…

 

 

…Majorana: “Di anni 31, alto metri 1,70, snello, con capelli neri, occhi scuri, una lunga cicatrice sul dorso di una mano… Ne sapeva qualcosa il superiore della chiesa detta del Gesù Nuovo, a Napoli: disse che negli ultimi giorni di marzo o nei primi di aprile, un giovane, che con minimo margine di incertezza riconosceva nella fotografia di Ettore Majorana, si era presentato a lui chiedendo di essere ospitato… […] …Ma non ritornò.

Gli ultimi di marzo, i primi di aprile. Prima della partenza per Palermo e delle lettere che annunciavano il suicidio, o dopo, al ritorno a Napoli? Perché a Napoli, stando alla testimonianza dell’infermiera, tornò: anche se non col “postale” del 27 marzo. E l’infermiera non era una qualsiasi infermiera, una che lo conosceva appena e gratuitamente, come accade, si intrufolava nella vicenda: era la sua infermiera…

 

…I familiari credettero all’infermiera e credettero che il superiore del Gesù Nuovo avesse visto Ettore dopo il 27 Marzo.

 

…Perché, altro elemento da tener presente contro la tesi del suicidio, Ettore Majorana portò con sé passaporto e denaro. Il 22 gennaio aveva chiesto alla madre che al fratello Luciano facesse ritirare dalla banca la sua parte del conto e gliela mandasse “tutta”. E poco prima del 25 marzo, giorno in cui era partito per Palermo annunziando il suicidio, aveva preso gli stipendi da ottobre a febbraio che fino a quel momento non si era curato di ritirare. …

 

Questi frammenti sono brani tratti dal libro: “La scomparsa di Majorana”, è la testimonianza di Leonardo Sciascia.

Mi chiedo cos’è che imprigiona, non la coscienza, ma una coscienza. La consapevolezza di un evento come quello di Hiroshima, o anche l’ordine umano che trova in una logica vieppiù deterministica l’unica consolazione di libertà, di conseguenza dell’agire? E quale strada perseguire affinché la coscienza ritrovi la sua libertà, il senso stesso del perché delle proprie domande? Majorana nel suo procedere verso la consapevolezza, nelle intuizioni sociali, politiche che la scienza di cui si sentiva così consapevolmente in essere gli mostrava, era nella consapevolezza che l’ordine dello stato delle cose che fa sì che la forviante pazzia sociale, la schiavitù di uno stato inadatto ad una reale accettazione della condizione umana, così detta patologica, si adempie in uno stato consolidato, quello della realtà della logica predominate, che pone l’uomo al di là stesso della malattia della pazzia, per fa sì che l’intera logica del consenso del reale sia espressione stessa della patologia umana nella sua esistenza storica, la “conseguenza estrema” dell’accettazione della realtà che va a realizzare. In questa consapevolezza individuale, la coniugazione del divenire comune con la consapevolezza del proprio essere individuale, pone le conseguenze di tale divenire nell’impossibilità di essere accettate nell’ambito totale della coscienza, che non è parziale storia, ma il reale manifestarsi dell’affrancamento dalle “spiegazioni come conseguenza ultima del proprio divenire. La sorte della consapevolezza delle spiegazioni non trova più una ragion d’essere storica, ma il bisogno stesso del suo superamento, nella libertà dell’energia individuale e al di là delle conseguenze che la consapevolezza pone in essere nell’equilibrio psichico determinato dalla storia, in quanto evoluzione sociale. E nell’affrancamento dal determinismo, che in essa è espressione della propria conseguenza ultima, il superamento della sua patologia logica, della spiegazione del tempo nella materialità della storia.

La coniugazione della consapevolezza di Majorana con la propria condizione individuale, lo ha messo innanzi alla percezione delle conseguenze storiche che la scienza poneva in essere nella storia sociale e in quella patologica logica da cui “sembra” non esserci fuga, assoluzione, libertà individuale della propria coscienza. E nel modo della sua scomparsa, sembra essersi formata, in lui, la consapevolezza, che solo in un processo d’identità al di là di una conformazione storica definita poteva esserci quel principio di indeterminazione e coscienza individuale che va oltre la stessa plausibile logica storica, che determina l’identità nell’illusione della certezza dell’ipotesi. Non sappiamo cosa realmente sia avvenuto di Ettore Majorana, che in definitiva ha deciso di scomparire proprio come un evento quantistico, di collocarsi al di là dello spazio e del tempo misurabile confrontabilmente con la sua ipotesi. Confrontabilmente, proprio così, quasi avesse trovato in questo l’unico modo per liberare se stesso e la consapevolezza degli eventi storici umani nella sua coscienza, affrancandosene dalla schiavitù. Un’essenza al di là dell’apolide, del senza storia e per questo nella sua storia personale, una particella ignota nell’umanità, forse un barbone senza fissa dimora, così dentro la storia dell’uomo tanto da staccarsene, fin anche dal segno che ci ha lasciato, della confrontabilità, che evidenziava la storia umana in quella che può bene essere definita l’ipotesi della teoria del caos, che il modo umano di lì a breve avrebbe così mostruosamente manifestato sul piano sociale, nello spaventoso ordine generato dal male. Liberare se stesso e manifestare al mondo la propria consapevolezza del mondo nell’ineluttabilità degli accadimenti storici. L’ordine della pazzia non trova più la sua strada, le sue conseguenze, la sua schiavitù.

Ettore Majorana, è scomparso come la scomparsa di un’ipotesi di un fatto – come dell’umanità. Ci ha lasciato della sua scomparsa un’indagine senza indizi del fatto della sua scomparsa, neanche della sua ipotesi. Ci ha lasciato l’esistenza logica di un processo, procedimento logico dell’ipotesi della perdita dell’ipotesi del fatto.

E questo è il più alto insegnamento spirituale che poteva lasciarci, la “più vera dimensione morale che la scienza può dimostrare.

 


Onestà, onestà. Un termine che quasi, se non in tutto camuffa se stesso, che nasconde l’imbroglio, lo giustifica, ne fa dimenticare l’esistenza. Che cosa diventa a questo punto l’onestà, che cosa fa sì che un evento relativo acquisisca una valenza ultima al di là dello stesso tempo della sua dimostrabilità, tanto da farne certezza e contrapposizione a qualcosa che nel tempo rappresenta la sua ineluttabile fine, il senso stesso dell’imbroglio, della menzogna. Che labile confine si frappone tra loro, tra l’onestà e l’inganno, tanto da rendere quasi, se non proprio inutile la distinzione tra vero e falso. Eppure sembra ancora possibile, ma solo per il fatto che il vero e il falso soggiacciono alla logica dell’onestà, in ciò che essa è riconosciuta, conclamata, percepita, sensorialmente condivisibile, estensibile intellettualmente, acquisibile globalmente, verificabile in tutti, ma modificabile in rapporto alla convenienza dell’onestà predominate del progresso sociale. In un’epoca, in qualche momento fa nella storia dell’essere umano, l’onestà soggiaceva nella capacità di capire attraverso l’esperienza, il senso dei fenomeni che la vita mostrava e faceva vivere, o con cui eravamo in grado di confrontarci, e nell’onestà che avevamo, l’esperienza formava non solo la conoscenza, ma il significato stesso che la conoscenza dava ai progetti per continuare a vivere nella, nel mondo e al di là dell’esperienza della propria nascita e morte. La vita si apriva alla formazione dell’onestà attraverso le tradizioni che davano un senso all’accettazione del processo vitale nella nascita e nella morte. L’evoluzione di tale processo faceva sì che nascessero figure che rappresentassero il valore più alto del significato del senso della vita, che avessero la capacità di acquisire esperienza e attraverso essa la disponibilità a comunicarla a chi volesse ascoltarla. A chi volesse ascoltarla, il valore stesso dell’ascolto, era funzione importante dello stato dell’onestà di chi ascoltava, la sua peculiarità, qualità individuale, accresceva le possibilità di fare esperienza attraverso la propria vita. Queste due immagini” del Maestro e dell’Allievo che il tempo per molto tempo ha conservato nel senso stesso dell’onestà, sono nel mondo contemporaneo scomparse nel concetto di informazione di massa, che costituisce il senso dell’onestà della nostra epoca e nelle sue variazione il fatto stesso, la giustificazione della diversità apparente del significato delle informazioni, nei diversi fruitori attraverso i fornitori dell’informazione, per i fattori della produzione di massa che gratifica e determina il senso di onestà di ogni singolo individuo. La nascita dell’insegnante e dello studente ha determinato il concetto, che il concetto dell’onestà non avesse più una funzione globale nei processi della vita, ma l’ha modificata in funzione delle necessità che le informazioni che formano tale concetto, determinino le evoluzioni dei gruppi umani verso bisogni funzionali al benessere, “materiale individuale”, che fanno del concetto di onestà un bene e male, dell’aspetto comune e inscindibile della nascita e della morte. Le grandi ideologie degli ultimi tempi si sono alimentate di questo concetto antropocentrico del bene e del male e nel concetto di onestà vedono l’espressione della capacità individuale di adattarsi alla sua evoluzione, per la sopravvivenza del più forte, vieppiù attraverso il potere sui processi biologici-funzionali. In questo concetto di onestà la nascita dell’etica è stata la labile e molto spesso posizione giustificatoria del concetto stesso di onestà, per ristabilire le giustificazioni del bene e del male, il concetto stesso di morale.

In questa frammentazione il “possesso” di una certificazione di onestà è ed era diventato l’unico mezzo per determinare il valore dei meriti individuali. La figura dell’insegnante e dello studente non acquisiscono solo una funzione di potere che va via via definendosi nella formazione del tempo sociale. Da prima con il concetto di aristocrazia, e poi con quello di alfabetizzazione. La prima, latente ma concreta derivazione del momento storico in cui in occidente, ma anche in epoche precristiane, la funzione del potere temporale dei re e degli imperatori ha cercato la qualifica” spirituale di “unto dal Signore,” per il potere dell’onestà, nel bene e nel male, - ciò fino alla rivoluzione francese che ne ha completato il percorso nell’affermazione, ideale pragmatica, del potere temporale su quello spirituale. - Nel processo di alfabetizzazione il concetto di qualifica era ed è la certificazione e in essa derivazione stessa di onestà, o meglio il nuovo concetto di virtualità. L’insegnate al contrario del Maestro che ha vissuto la sua esperienza in un concetto di globalità umana, è non un’immagine”, ma figura che media il pensiero di un altro, solo il suo pensiero, allo studente. Che al contrario dell’allievo non entra in relazione con l’immagine del Maestro, ma con la figura di esso trasmessagli dalla figura dell’insegnante. Tale processo che è utile per il costituirsi di un concetto omologante di onestà può essere deleterio al massimo grado per quel che riguarda il concetto di merito e di realtà dell’insegnamento del Maestro. (Persona che nella cultura contemporanea, per il suo modo di conformare il senso, assumerebbe un aspetto destrutturante, quanto quello dell’Allievo.) Nella formazione per alfabetizzazione, il senso stesso della scrittura, ha posto in essere la possibilità che la riproduzione con “stampa determinassero nell’Allievo l’avvicinarsi al Maestro attraverso l’elaborazione tra il pensiero del maestro e l’esperienza dell’allievo. Questo aspetto di brevissima durata nella storia dell’alfabetizzazione, è stato rapidamente soggiogato dal senso stesso del controllo della conoscenza per la formazione del concetto di onestà… nello stato attuale l’unica reale possibilità di onestà che determini un relativo stato di realtà, attuabile dall’insegnate è quello di trasmettere la sua esperienza del conoscere, qualora l’abbia acquisita direttamente. Ma dato che a sua volta non è stato un Allievo, ma uno studente, difficilmente avrà la capacità per saperla distinguere,” questa è la qualifica di cattivo maestro, volendo ironizzare un po’.

In questa situazione, il controllo dell’onestà attraverso la manipolazione” dell’informazione, porta l’individuo ha formare la sua sicurezza nell’ambito di ciò che la sua coscienza informativa ha strutturato come possibilità di sopravvivenza e in questo identifica la possibilità di libertà. Le ragioni di merito di tutto ciò sono ovvie, stanno nell’ampliamento dell’uso dell’informazione fatto a fini di accrescimento e differenziazioni, fittizie del potere biologico-economico. Da ciò la relativa” capacità di virtualizzara l’informazione per la formazione del concetto di onestà, all’interno della modificazione “virtuale della realtà oggettiva”, trasforma [per paradosso] la realtà virtuale in realtà assoluta.

La stessa “formazione” delle religioni che rientra in questo processo fa di esse la loro pantomima. A tutti i livelli dai più elementari, a quelli più complessi, fino a quelli di estremizzazione fanatica. La lotta trascina la spiritualità in una meritocrazia che enfatizza il concetto di onestà, ma che uccide il cuore stesso di Dio. Si danno meriti e giustificazioni a chi è onesto, giudicando chi cerca la verità, con lo stesso metro che spetta a Dio, ma gli esseri umani che hanno fede non possono” adattarsi come più gli fa comodo, al concetto di onestà. Se il Cristianesimo ha un senso non può certo essere quello di adattarsi all’onestà, ma di porre il cristiano di fronte ai misteri più profondi della verità, alle più imperscrutabili sue forme, alla crocifissione stessa di Dio.

 


…In questo istante…

“mi volto, volto il mio sguardo.” Lo stupore che aveva manifestato, era stato visto da lui. Quello stupore, meraviglia sorpresa naturale, che l’espressione del suo volto aveva manifestato e lui aveva colto. Ma proprio in quell’istante, lei lo aveva immediatamente nascosto.

Dopo quel giorno lei non fece nulla per conoscere il perché del suo stupore. Lui aveva notato che l’infastidiva quando per naturali necessita apriva la porta e lasciava intravedere nel mentre usciva, ciò che vi era dentro la “stanza. Lei era così dentro quel suo manifestarsi che in effetti per il solo fatto che quella stanza aveva suscitato in lei… ora provava ostilità anche per lui che non conosceva. Lui vedeva che se per caso usciva, mentre lei era lì, lei voltava lo sguardo e rimaneva così ben oltre il momento che la porta di quella stanza… “che la vista della foto che le aveva suscitato quella spontanea sensazione di sorpresa” …fosse stata chiusa. Quello stato di ostilità che aveva addosso, lui lo sentì non molto diverso dall’intolleranza. E per questo rifletté sull’assurdità del fatto che lei, anche se per un breve istante era stata quello che voleva essere, e gioco forza ne era stato lui la causa, e che questo fosse motivo d’intolleranza la diceva lunga sul tempo, in cui era avvenuto quell’istante.

…In questo istante…

sta per essere eseguita la condanna a morte. Non è l’unico condannato a morte di questo istante, l’unica sentenza che sta per essere eseguita per mano dello stato, ci sono più stati della terra che in questo momento stanno per eseguire una sentenza di morte, ognuno con la sua misura di giustizia, spesso in contrapposizione tra loro sul significato del perché eseguire la pena di morte. Ma proprio ora sta per essere eseguita una sentenza di morte lì dove qualcuno ha infranto altre regole, che non sono quelle di nessuno stato, ma di un potere a cui sottostare, il potere di qualcuno che prevarica qualcun altro con regole proprie, dette senza legge …

…In questo istante…

sappiamo della condizione di qualcuno, per caso, tramite un mezzo d’informazione lo conosciamo vittima delle conseguenze di un incidente, dovuto ad uno degli svariati motivi che caratterizzano la vita umana. La condizione di costui, in una parte della terra “lontana, per un istante attraversa la nostra vita, per nostra fortuna. Questa persona in quell’istante ci sembrerà lontana e molto vicina allo stesso tempo, come può esserlo la persona più sconosciuta che possiamo pensare, ma che per l’evento accadutogli, per quell’istante ci appare prossima. È sconcertante il fatto che non so niente. Chi possa essere, quali possono essere i suoi pensieri, le emozioni che ha condiviso nella sua vita, con chi le ha provate, i momenti della sua storia? Ora “forse c’è solo il suo cadavere e cerco d’immaginarmi la sua vita. E passato tutto, finirà, potrà rimanere il mio ricordo di quel che ho immaginato, poi sparirà tutto, ma di questi eventi la cosa più forte è il fatto che questo “stato” è la condizione di ognuno di noi. Questo saremo, questo siamo, la terra si riprenderà fin anche quell’uomo che la storia con la sua gloria… ci sembra impossibile non ricordare, ma che in realtà è come quello sconosciuto che ci è capitato per un istante di pensare, che ognuno di noi è.

…In questo istante solo Dio può ricordarci.


 No so se poi sia utile parlarti degli ultimi fatti accaduti, data la loro superficiale apparenza, ma in fondo questa è la situazione che [di fatto] si sta costituendo, e per quanto la cosa finisca per essere sempre giustificata, la debolezza che investe la vita finisce per essere qualcosa che non trova nessuna giustificazione, ma lo scadimento, di quelli che sono in fondo i fragili sostegni dell’etica e della morale  umana. In effetti proprio questi episodi che non rappresentano, solo in apparenza, i grandi avvenimenti della storia, la storia qualificano e, il vivere si riflette sul suo significato. Allora ti parlerò di questi accadimenti quotidiani che nel loro susseguirsi sembrano stabilire una cronologia dei fatti, quasi voluta.

Qualche tempo fa sono capitato all’interno di quelli che sono gli spazi parrocchiali, per creare un modo di fare cultura. Chiamato a collaborare da uno degli organizzatori, mi sono trovato all’interno di un vero è proprio sistema di potere, con tutte le sue componenti. La questione era se fosse più o meno moralmente lecito proporre il Video di Morrison Jim dato che nella sua vita, a dire, dell’oppositore, non si riscontravano quelli che erano gli ideali cristiani e per tanto non ne poteva venire nessun insegnamento, soprattutto per i giovani. In questo clima di assenza di realtà dove era in discussione più che altro chi doveva avere il potere sul fatto di influenzare le scelte. L’assurdità che “senza difficoltà” mi trovavo ad affrontare era quella della vanità e vanagloria di cui certo associazionismo cattolico, con le sue goliardiche manifestazione, finisce per tutelare, nell’intolleranza culturale, propria del “consenso di gruppo, attraverso il suo esponente rappresentativo, catalizzatore della vanità. Non ti sto a raccontare il ridicolo in cui mi sono trovato, e dato che sai qual è l’ottica con cui vedo il confronto nella mia vita ti lascio immaginare, la situazione assurda che mi trovavo a vivere. Uno di loro mi veniva a trovare a casa per stabilire una linea di condotta comune per creare un’opposizione netta a quella del capetto saccentello, io mi chiedevo che cosa cavolo mi importava a me di quella ridicola situazione, dell’assurda morale con cui si voleva pretendeva di avere una relazione con Dio. Fatto sta, e non te la faccio troppo lunga per non annoiarti, che alla riunione successiva tutti tacevano e mentre mi trovavo in mezzo a questi “aduli” che non avevano neanche il coraggio delle proprie opinioni, dovevo sentirmi i salamelecchi sulla morale del saccentello. …Ho chiesto che dato che la mia posizione sul vivere il cristianesimo non aveva nulla a che fare con la sua, che si chiamasse il parroco o chi per lui, per sapere se era giusto o sbagliato proiettare il video. Dopo di che si sarebbe presa una posizione in merito. Naturalmente era uno scavalcamento inaccettabile, ma che è servito per lo meno a chiarire quella che era la realtà - il saccentello ha finito per mettere sul piano del sapere la sua conoscenza della musica, su cui non ero d’accordo, dato che esposta in modo accademico e privo di realtà, allora se ne è uscito dicendo che lui insegnava musica, a quel punto a me non restava l’ovvia constatazione di esprimere con Bernard Shaw il fatto che chi sa fa e chi non sa insegna. Dopo di ciò, quello che per anzianità e posizione sociale - dato che ormai aveva la “qualifica di dottore - se ne uscì dicendo che in un certo qual modo avevo insultato il professore (il saccentello), che cavolo di situazione, in definitiva gli chiesi che cosa volevano con la costituzione di questa cosa che non si sapeva bene cosa fosse, se ne uscì con il dire che loro in fondo non volevano fare niente di così “impegnativo” giusto creare un’alternativa al bar.

[Non so se poi sia il caso, qui, di parlare di etica o di morale, ma è proprio questa la questione, dietro la costituzione di un’etica che la si definisce cristiana, ma in fondo non importa poi molto quel che sia, finisce per essere solo un atteggiamento, che nel tempo determina quelli che sono i modi, i comportamenti, in cui come forma di gruppo sociale ci si identifica e ci si giustifica eticamente…]

Nella storia dell’uomo la contrapposizione etica è stata la base di tutti i suoi fallimenti e non è certo Hegel che ne ha dato la soluzione, non certo l’applicazione del paradosso umano mostrato da Nietzsche, ha portato ad un suo reale superamento, lo spiritualismo che ne è derivato ha finito per porre l’uomo in una posizione più vicina alla propria deificazione. E se in Kierkegaard, l’etica ha trovato una sua ragion d’essere lui stesso ne ha compreso il superamento nella fede. Eppure il mondo contemporaneo ha finito per essere quello che Kierkegaard definiva come uomo estetico, come potrebbe essere altrimenti, …nella semplice constatazione di un meccanismo pubblicitario, …i processi istintuali vengono generati in uno “spazio della persona dove si determina il subcosciente che influenza la coscienza determinandola a sua insaputa, più realtà estetica di questa, essere assorbiti da qualcosa che non scegliamo e che non si contrappone al flusso continuo degli eventi in cui ci adagiamo non è forse la situazione contemporanea, che Kierkegaard definisce estetica. E da questa contemporaneità l’etica che si determina, è anch’esse una sua parvenza, un’illusione etica, un atteggiamento etico che determina autoassoluzioni e giustificazione. Il male minore, non è la capacità di distinguere il bene dal male, ma l’estemporaneità del bene e del male. Se Kierkegaard in certo qual modo ha salvato la personalità dal culto della personalità, se ha liberato l’uomo dal potere del finito “a cui soggiace l’individuo nella formazione dell’identità di massa, ha anche posto un tassello per il superamento del suo stato etico, della logica sistemica dell’etica. In definitiva in questa epoca dove il crogiolo dei tempi fonde tutto, dimentica tutto, per rigenerare il tempo cambiandone il significato e adattarlo al momento, il senso della realtà non può rimanere imprigionato dentro le proiezioni delle paure dell’essere umano, perché se l’essere umano perde contatto con le relazioni che avvengono dentro di sé queste parti mancanti finiscono per invadere e modificare “le relazioni” con il mondo, non solo personale. Se la spiritualità che contempla il finito nell’uomo non dà un senso al suo essere infinito, la perdita della percezione del proprio finito, della morte, si applica in una sorta di pazzia collettiva che esprime null’altro che la perdita - di uomo che non riesce più a trovare in sé la sua relazione con l’infinito. …L’etica della storia si fonda sulla possibilità che il mondo nel suo muoversi e ripetere le sue dimenticanze finisca per essere consapevole, prima o poi, ma la realtà stessa della storia è che l’essere umano trova la sua fine nel momento stesso in cui termina di esistere. …L’eternità nella storia dimentica i singoli verso una sorta di evoluzione dell’uomo che lo pone in competizione con il senso stesso della fede, ché si pone come ostacolo affinché l’uomo determini il suo infinito nella sorte comune della specie, razza superiore. In questa morte di Dio l’individuo perde la connotazione di peculiarità, di essere umano, per acquisire quella di storia… bla bla insomma le sai queste cose in definitiva Kierkegaard, con la sua etica, in opposizione a questa logica storica ha ridato dignità all’essere umano in ogni suo aspetto, ha ridato libertà alle possibilità di ogni individuo. Poi ha compreso nella sua singolarità che l’aspetto della fede non solo finiva per annullare l’etica, ma quasi finisse per opporsi radicalmente ad essa nel cristianesimo, che fa dell’infinito un’esistenza altra oltre quella umana, con cui entra in relazione con la fine stessa della storia, nell’avvenimento della fede attraverso Gesù.

Comunque, fatto sta, che oggi con l’estetica imperante l’atteggiamento etico ha acquisito un aspetto superficiale, è per questo che in fondo la situazione parrocchiale che ti ho descritto non è poi molto diversa da un contesto generale, in definitiva non molto diverso. Se penso allo stato dell’arte non posso non rivedervi l’espressione di Kierkegaard, che nella poesia non percepiva un atteggiamento reale della vita, in definitiva la vanagloria della fama cosa ha che fare con le possibilità di una scelta etica che si coniughi con un poter essere espressione al di là dell’estemporaneità del momento, e in questa epoca la riuscita dell’opera arte” è delegata alla quantità di denaro che riesce a quantificare, per certificare la sua qualità nell’ambito dei valori meritocratici e di potere di scambio che da esso possono derivare, per l’ulteriore accrescimento della ricchezza economica. La stessa ricchezza che determina quelli che sono i vincoli alla libertà a cui gli esseri umani più poveri sono costretti a sottostare, ma in definitiva solo finché anch’essi sviluppano le stesse possibilità, ora di altri. …Fosse anche solo un’etica, in questo conteso l’arte cosa ha da proporre? Ma è proprio al di là di questo che sta la possibilità dell’arte, di coniugarsi con quel che può generare al di là della stessa motivazione etica, quale stimolo più sensato può avere.

Be’ tornando a quello che ti stavo dicendo, e in certo qual modo continuando quello che ti ho appena detto, dopo quel fatto della parrocchia mi è capitata una situazione per certi versi analoga, ma che potremo definire in abito - hegeliano attuale. Una forma di provinciale ateo comportamento aristocratico servile, e supponente.

Vi era stata una lite all’interno del cineforum e il tizio che se ne era andato insieme ad altri, aveva deciso di formare una nuova associazione culturale, fui invitato alle loro riunioni, mi dissero cosa volevano fare e se volevo far parte dell’associazione. Ti dovrei parlare delle varie personalità che andavano a costituire questa associazione, ognuna con una motivazione ben precisa, meglio dire in fondo scopo personale ad uso pubblico. Ma mi soffermerò un po’ sul tizio che ha litigato con quelli del cineforum. Non so se hai in mente quei tipi un po’ dandy,  di provincia, uno di quelli che ripete a memoria tutti i libri che ha letto, che si esprime con le stesse frasi dei critici che fa finta di contestare e che fuori dal suo ragionamento si costituisce in una forma contraddittoria che è più un atteggiamento formale che di reali contenuti. Be’ questa persona che di fondo non è pericolosa finisce per essere fastidiosa quando alla sua forma aggiunge, camuffandola ad hoc la vigliaccheria dell’ipocrisia. Sorvolo brevemente sul fatto che tra gli stessi componenti del gruppo che finirono per costituire la storia della costituzione dell’associazione, vi era il classico comportamento del sostegno reciproco e del complotto e dello scredito applicato, come suole dirsi alle spalle, e mentre si “covava complicità ed interesse reciproci, nell’ombra si blaterava delle peggio cose. Io in definitiva ero l’unico che sinceramente non aveva proprio bisogno di quella situazione, ma passò un breve istante priva che la chiudessi. Ma ti stavo dicendo del tizio. Insomma l’ambiente in cui viviamo lo conosci. Ci sono i ricchi, gli arricchiti, che cambiano in poco, poi ci sono quelli che fanno finta di non dar peso alla ricchezza e per vari motivi hanno un atteggiamento con cui mostrano la loro superiorità, questo tizio possiamo inquadrarlo in quest’ambito. E naturalmente le categorie che ho menzionato e anche quelle non dette sono attraversate dallo schema mentale della servitù. Voglio dirti che i ricchi hanno bisogno di gente da poter considerare con compiacenza inferiori, gli inferiori hanno bisogno della compiacenza, gli arricchiti hanno bisogno di sentirsi elogiati anche con ipocrisia, come facevano loro con i ricchi di un tempo, che lasciavano loro tale possibilità come forma estrema di democratica superiorità, insomma in questa ipocrisia in realtà sono tutti servi della propria mentalità meschina. E sai che questo è molto fastidioso perché alimenta l’imbroglio, la corruzione dei sentimenti e il loro scadimento verso l’espressione dei peggiori. E l’atteggiamento di questo tizio è particolarmente ad hoc per questo sistema di edulcorazione hegeliana, in cui vive. In questo crogiolo è interessante menzionare, le situazioni che costui crea con le donne - sono qualcosa che si può bene inquadrare nel soddisfacimento della volontà di potenza della sua debolezza, vissuta sulla destrutturazione dell’altra persona. Queste malcapitate che si trovano a vivere in un sistema di possibile appagamento, vivono in prospettiva che la finzione da lui applicata acquisisca una qualche forma di realtà. In questo atteggiamento a poco a poco finiscono per non capire più cosa è quello che speravano o quello che immaginavano volere. Lui in difesa estrema del suo ruolo formale nella storia della sua ragion d’essere, continua imperterrito in questa forma di tortura, finche la malcapitata crolla e assolve lui dall’eventuale scelta, è una lotta lenta e la consunzione che l’ipocrisia genera rispecchia in pieno quello che è evidente sin da subito. Queste donne che rimangono distrutte rischiano di rimare prigioniere di un processo ideale su coi confrontano la loro vita, in una continua lotta tra quel che non hanno fatto e quello che potevano fare, fino a falsare storicamente la realtà che stanno vivendo al di fuori e lontana da questo tizio. Tutte finiscono dallo psicanalista. Di una non so bene cosa sia successo. Di un’altra posso raccontarti che ha subito una modificazione nell’espressione dei sui sentimenti, tanto che per un pezzo dovunque lo incontrasse lo picchiava selvaggiamente e pubblicamente, con lui fermo che non pronunciava parola. Un’altra si è sposata con prole, con lo psicologo da cui è andata per causa sua, - amico di lui - e sembra che abbia trasformato la sua vita in terapia, a distanza di tanti anni ancora cerca di capire cosa sente quando lo vede. Non ti sto a dire altro. Hegellianamente gli ho fatto leggere quel racconto che tu sai, che poi prende spunto proprio da Hegel, è ovvio che non abbia capito la similitudine della sua situazione con il senso della storia dei protagonisti. E nell’ovvia attesa dell’indeterminatezza del suo giudizio, sono riuscito con uno stratagemma a recuperare il racconto, che non decideva a ridarmi, nella pretesa di una lunga attesa per il suo parere.

Ti trattengo ancora un po’ per dirti il ridicolo che di fondo c’era. L’associazione aveva come unico scopo di dare a lui la possibilità, per me noiosa, di insegnare nelle scuole un po’ di accademico cinema e fare proseliti fra quegli idioti degli studenti, naturalmente dietro compenso che lui avrebbe intascato, ma a titolo di aristocratica nobiltà naturalmente. Poi come è ovvio e come è sempre accaduto storicamente si era accesa una lotta per il potere all’interno dell’associazione, non tanto sulla crescita dei contenuti, quando sul mantenimento dello status quo creatosi tutto a vantaggio dei “servi” e del basso livello derivato che stabilisce vantaggi reciprochi all’interno di un ipotetico potere di scambio di interesse comune. E nell’ostilità di sconosciute professoresse sue adepti servili ho lasciato la congrega.

Dopo Hegel ti saluto. Puoi anche tirare lo sciacquone.

 


Porco Dio, sembra l’espressione più forte, eppure la più ridicola. Sono rari i casi in cui la fede ti fa dare dell’animale a Dio, quasi non ci fosse di peggio. Io una bestemmia l’ho sentita tra le cosce di una donna africana, mentre ci facevo all’amore, la baciavo in tutto il corpo, e mi scordavo delle puttane occidentali che null’altro sono. E mentre le baciavo i seni il sesso tutto, e tutto lei amava di me …lei già stava morendo. Tempo qualche mese e sarebbe rimasta lì seduta a morire di stenti, a lasciare che il suo corpo per consunzione si spegnesse. E mentre moriva consumata da se stessa, qualcuno in occidente o in altra parte del mondo le chiedeva di capire. Mentre con odio la torturavano, tormentavano lasciandola lì morire, avevano ancora la forza di torturarla chiedendole che capisse che il mondo era come era e ché ricchi continuavano a giacere tra le sue cosce, a violentarle il corpo fatto di pelle e ossa. Doveva capire. Tempo un anno e tutto sarebbe stato così. Che importava se ora io ne facevo una madre, se fecondassi il suo ventre, tra un anno sarebbe morta con esso. Le chiedono che deve capire chi l’odia, deve accettare la violenza ch’è nella sua cultura, deve capire la violenza che il mondo ha deciso per lei. Deve capire che non può esserci soluzione migliore che attendere di morire con rassegnazione, con la consolazione di non avere più neanche la forza di disperarsi. Deve capire glielo continuano a ripetere mentre i ricchi le sono tra le cosce e la sbattono con violenza nel suo corpo consunto, godendo eccitati per questo, per la forza del loro corpo sul suo.

Ora sei bella, è bella la tua pelle, il tuo respiro, il piacere che provo nell’abbracciarti, eppure già avverto forte la bestemmia che tempo un anno il tuo corpo esprimerà. E questo momento rimarrà inaudito per sempre, continueranno a molestarti fino alla fine con accanimento, ma con moralità, come accade a me ora che sono in Africa con te. Mentre loro oseranno contro Dio senza pudore, il mondo sorriderà li ringrazierà, nessuno oserà toccarli e tu dovrai capire questa immane bestemmia dell’ingiustizia, la sua giustificazione, che assolverà ogni gesto che sarà compiuto contro di te, ogni minuto di tormento che devi vivere prima della morte, prima che il tuo corpo ti abbia consumato completamente. E ancora pochi istanti prima di questo, ti diranno di capire che devi accettare, che loro non possono fare altrimenti. E impediranno a chi può di aiutarti, anche a lui diranno di capire che deve adeguarsi è la legge della vita. Poi alla fine finiranno per metterci anche un gran Porco Dio, perché loro hanno fatto quello che dovevano e finiranno per prendersela con chi non esiste solo per affermarlo con più forza, per dire che il mondo è come è per colpa di chi non vuole esserci, di chi potrebbe qualcosa se ci fosse. E non è colpa loro Porco Dio se le cose vanno come vanno. Eppure mentre sto stringendoti e godendo dentro di te, mentre tu mi baci e gemi di piacere tutta la bestemmia che tra un anno ci colpirà urla ancora più forte, urla come non mai, come nessun’altra e questo amore non basta a ristabilire la giustizia. Tu tra un anno sarai violentata mentre il tuo corpo si consuma logora distrugge. E chi compie tutto questo avrà ogni assoluzione, godrà di tutti i benefici del mondo. Tu dovrai capire, ti sarà chiesto di comprendere. E se tu non riuscissi a comprendere ti rimarrebbe solo la possibilità di perdonare. Questo non cambierà nulla nei benefici dei tuoi carnefici, forse si accresceranno agli occhi del mondo. Ma il tuo corpo non ce la fa più. Non ha più muscolo, carne, la pelle è tutt’uno con le ossa e non hai più neanche la forza di perdonare solo Dio può ascoltarti.

 


Possono i sentimenti essere la maggiore espressione di ciò che nell’uomo rappresenta il male? Forse sono proprio i sentimenti che fanno e hanno fatto girare il mondo, come sul dirsi. Lo stesso Shakespeare per quanto osannato quale cantore di essi, quale narratore della vita governata dal moto dei sentimenti, ci mostra la schiavitù che da essi l’uomo trae. Cambieranno in alcun tratto nei suoi racconti, ma è a loro che sembra debba soggiacere l’universo umano. La fuga dai sentimenti qualora fosse necessaria, qual sarebbe, un’agnostica atarassia, ma pur qui in fondo pur di sentimento è, un suo paradosso, che dir si voglia nell’ipotesi della sua totale assenza. Può l’uomo governato dai sentimenti non perdere il “lume della ragione” e nell’impeto della passione che ne scaturisce dare un senso alla sua vita trasformando il mondo in un crogiolo creativo, e senza perdersi in un’immagine ideale del significato del suo gesto umano. E non è già questa la risposta, l’accaduto. Fuori nell’equilibrio del desiderio è un po’ star lì dove i desideri si quietano, ma è un’altra storia, dove il racconto dell’armonia è accompagnato dall’esperienza della ragion d’essere spirituale, dove l’equilibrio educa le parole tra i sentimenti in attesa del silenzio.

…Eppure quest’ultimo secolo ha vissuto la forma estrema dell’istigazione dei sentimenti. Il potere, la manipolazione, fin anche la sottomissione e non repressione degli istinti, sono stati attuati dove il sentimento è diventato istigazione spiritualistica di un’ideale collettivo. Un uomo che si pone al di sopra della sua condizione finita con il dominio e la forza dei sentimenti, che sono strumento di potere per il controllo delle passioni umane che in questa ottica si elevano idealmente lì dove determinano l’agire umano, per andare oltre il concetto di morte. La morte acquista la forza del sentimento che non la teme fino a farne un’alleata per il dominio spiritualistico dell’uomo sugli eventi umani, uno stato a cui l’uomo nella causa comune è pronto a consegnare il proprio “ideale di eternità.

Dall’epoca shakespeare-ana che ci ha così ben rappresentato il fulcro che determinava la storia del potere attraverso il gioco dei sentimenti, all’interno del nucleo famigliare, lì dove il gioco degli eventi sentimentali ha il suo ruolo primario per mezzo della monarchia, il mondo del novecento ha subito la trasformazione di generare uno stato basato sul concetto stesso di controllo delle masse per mezzo della strutturazione della famiglia, che diventava estensione dei sentimenti del potere. Su questa base il controllo dei sentimenti, attraverso la loro istigazione nel nucleo che andava a formasi come famiglia, determinava la forma stessa del sentimento comune dello stato, che nella famiglia ne replicava i comportamenti. In questa forma di governo l’istigazione e tramite essa il controllo sui comportamenti degli individui assumeva rilevanza fondamentale per il concetto stesso di essere umano all’interno della storia umana. Un concetto di solidarietà che implicava la totale aderenza al significato di identità che si formava all’interno dello stato. Le ultime guerre mondiali sono state espressione di questo concetto. Dal colonialismo, ai stati comunisti, al nazismo, fascismo. Tutte queste forme hanno espresso quelle che erano le potenzialità del controllo delle masse attraverso una definizione di bene e male che si servisse per la sua determinazione dell’istigazione dei sentimenti. Il condizionamento che ne è derivato è stato via via una esaltazione e sottomissione a logiche traslate che sono state determinati, per l’evolversi della logica dell’efficacia dell’istigazione dei sentimenti. Se in passato abbiamo assistito al concetto di dio patria e famiglia, o al solo concetto di stato che si sovrapponeva a tutti gli altri, negli anni recenti, [la logica di formazione dell’individuo non è di nulla cambiata] l’ideale attuale, sottostà al potere del consumo e del benessere materiale. L’istigazione ai sentimenti di questo ultimo secolo ha determinato - il passare del tempo, il non “ricordarsi perché la logica dell’istigazione dei sentimenti ha formato uno stato naturale all’interno dell’alterazione del processo naturale. L’uomo contemporaneo è ancora vittima della logica del non c’è odio senza amore, è vittima di uno spiritualismo che fa dell’appagamento del desiderio il significato del suo sentimento. L’evoluzione è solo apparente le guerre così hanno l’espressione cruenta e crudele di sempre e i sentimenti determinano il marasma collettivo in cui l’essere umano cerca di fuggire dalla sua ancestrale paura, appagando i propri desideri che non rappresentano più nessun equilibrio.

Se l’amore abbia ancora motivo di essere non è scontato, giacché è pressoché assurdo pensare che esso appartenga alla sfera dei sentimenti, assurdo pensare ad una sua istigazione, assurdo pensare a Gesù cristo che è istigato ad amare nell’essere crocifisso. L’amore contiene ed è al di là dei soli sentimenti.

 


Sono tutti gli anni che ho che frequento la pazzia. Già forse, anzi senza forse prima che [capitassi] conoscessi quegli idioti che si barcamenano con le proprie nevrosi personali, o per rubare soldi in quelle professioni aleatorie e senza nessun vero. Del tipo psicologo, psichiatra, psicanalista e tutto il barcamenare studentesco accademico che questo genera, per alimentare non solo uno stato di normalità del tutto irrilevante, ma funzionale per un qualsiasi sistema di potere sociale ed economico… insomma la mia lista potrebbe essere lunga quando voglio e dimostrare che un gruppo di sciamani africani che identificano in una scheggia di legno del pavimento il simbolo oggettuale del male, tanto da estirparlo, non sono affatto dei cialtroni rispetto all’ignoranza dei campi non solo medici, ma socio culturali in cui l’intero ambiente dell’essere umano contemporaneo si muove. Nel suo non senso contemporaneo l’espressione della dannazione biblica ha acquisito il significato di modus vivendi in cui esprimere l’essere stesso del bene contemporaneo. E in questo non vi è nessuna possibilità di assolvimento, di progresso che realmente assolva l’uomo dalla pazzia umana della dannazione biblica. In quest’ambito la scienza medica non ha nessun vero strumento di comprensione dei fenomeni che essa stessa definisce patologici. In fondo una qualsiasi setta satanica, può benissimo essere consolidata e legittimata, qualora i suoi componenti rientrino in quelli che il potere e in esso la consolidata normalità giudichino plausibile con il comportamento sociale, che comunica con il sistema in essere in quel momento, nel profilo dello stato sociale. L’infrazione patologica non può esservi rilevata se il sistema di setta satanica perpetua con i propri mezzi i benefici dei propri associati, che tramite essa trovano il consolidamento del proprio ruolo sociale, economico psicologico. Nell’ipotesi di illegalità solo un’ipotetica legge potrebbe determinare l’illegittimità, qualora la legge riscontrasse fatti dimostrabili che rivelino per esempio l’omicidio nel perseguimento dei fini della setta satanica. Ma è poi questo un aspetto così rilevante. In epoche di regimi ogni stato ha legittimato l’omicidio nel proprio sistema di controllo del potere e le stesse religioni hanno stabilito la possibilità di tale atto. È ovvio che il satanismo viene identificato come una manifestazione di debolezza della mente, ma in effetti ciò che non ne fa affatto un manifestazione patologica è l’espressione stessa dell’essere umano. Se la demarcazione che si vuole “fare della pazzia fosse vera, non sarebbe bastato osservare un Hitler, un Mussolini (cretinismo italiano) uno Stalin e i molti adepti satanisti che la storia dell’umanità ci ha mostrato (e ci mostra), non sarebbe bastato osservali nei loro discorsi pubblici per capire che in essi vi era una grave forma di pazzia? (da non seguire) Una forma di pazzia che non poteva essere giudicata come tale perché le folle che ascoltavano le loro oratorie ne accondiscendevano il significato. Queste manifestazioni da setta satanica che per definizione non poteva essere considerata tale giacché non si opponeva marginalmente ad un sistema di consapevolezza maggioritario, [tutt’altro] davano atto all’opposizione a Dio nel significato del cristianesimo. L’espressione di satanismo non era forma di pochi, ma dell’intera condizione umana. In questo ambito la patologia non era costituita da nessun argomento, se non in quella forma di singolarità umana, non controllata dalle forme del potere costituito. Ma la pazzia che per paradosso si esternava nella singolarità trovava espressione nelle cause più profonde dell’essere umano, la manifestazione collettiva della pazzia è la sua unica vera essenza ed è tutt’una con la condizione primogenita dell’essere umano, quale essere finito. Nella singolarità, qualora la pazzia trova la sua peculiare soluzione, comprensione, vi è la possibilità della libera consapevolezza, l’uscita dalla dannazione dell’individuo, la sua totale possibilità di esistere. Ma nel crogiolo della pazzia collettiva poche regole comportamentali con coi viepiù non si fa altro che trovare un adattamento consono alla struttura sociale - che determina la condizione di follia - non porta altro che il consolidamento di una realtà maggioritaria, che restituisce l’essere umano alle conseguenze della sua condizione collettiva. Questo stato di fatto è condizione determinante della patologia. In questo sottile gioco la condizione reale dell’individuo è quella in riferimento alla propria sorte individuale nel contesto della sua dannazione umana. Ed è solo su questo piano che vi è una vera distinzione. Si sceglie o no di auto determinarsi, si vuole o no uscire dalla pazzia, si vuole o no affrontare una condizione di verità che determini la nostra scelta in rapporto al superamento della nostra condizione finita, storia della nostra condizione dannata? L’approccio alla “personalità sana, che determini la nostra condizione, viene o no accettata senza mediazioni? …Su tutti l’atteggiamento di San Francesco da Assisi. Ha posto o no la sua condizione al di là della mediazione e nel suo superamento non ha lasciato liberi o no di aderire al suo atteggiamento di vita. Di accettare o no la mediazione. Dalla sua condizione, la scelta che l’espressione della sua personalità ha manifestato nella possibilità di non aderire alla sua espressione di vita, è peculiare della sua scelta è rinuncia alla mediazione, così ha posto in atto la sua concretezza, la scelta che è peculiare della sua personalità non è mediata e non chiede non rappresenta, semplicemente è. Nella dimensione della fede la sua scelta non rappresenta la mediazione, ma il suo superamento, non si pone in antitesi con il mondo mediato del significato, ma aderisce alla sua origine superandolo. L’insegnamento non è come lui, ma al di là di lui nell’origine del mondo, l’uscita dalla condizione di pazzia, dannazione, non trova, ma perde la sua connotazione di mediazione.

La soluzione di essere liberi è espressione di un volere umano che non limita con il sapere la conoscenza, ma che pone la conoscenza lì dove il sapere spegne ogni sete di conoscenza, lì dove sazia la coscienza. La pazzia è un pozzo esaurito.


Trovarsi, quasi che le cose che non sappiamo ad un tratto diventano vere. Pensare qualcosa. Dire qualcosa. O ancora meglio pensare a qualcuno che non si conosce, vederle fare qualcosa, guardare il posto in cui si trova per finire di dimenticare quello che si stava immaginando, forse quello che sarebbe accaduto senza nessun movente o causa. “E senza andare in quel posto trovarsi lì” e incontrare chi si era immaginato, vederle fare quello che si stava immaginando stesse facendo. Senza nessun imbroglio, senza che nessuno ne sappia niente, nessuno tranne te che guardi accadere quello che avevi visto accadere già prima. Nessuno saprebbe scoprire una tal cosa che quando rilevata diventa come rubata, e si manifesta come ingiustizia perché il voler far accadere quello che si immagina senza che ciò necessiti di accadere è pura vanità, come far accadere quello che non “accade” dimenticando anche le parole che dicono ciò che vuol che accada. E in questa circostanza, quello che avviene dove la volontà si coniuga con l’intento della verità, la violenza dell’ingiustizia impedisce che si realizzi quel che veramente succede, toglie forza e volontà in chi finisce preda dell’infinita menzogna. E solitario resto a guardare la fine, senza che nessuno riesca a toccare.

 

Logica

Logica in parallelo

metametalogica

Logica quantistica, sistema di logica (proposto originariamente negli anni trenta da G. Birk-hoff e J. Von Neumann) che rispecchia certi aspetti salienti del formalismi matematico proprio della fisica quantistica. Tutte le leggi della logica quantistica sono leggi della logica classica, ma non viceversa: fra le leggi della logica classica eliminate dalla logica quantistica ci sono, in particolare, le leggi che consentono di inferire ‘(A e B) oppure (A e C)’ da ‘A e (B oppure C)’ e ‘A oppure (B e C)’ da ‘(A oppure B) e (A oppure C)’. secondo H. ® Putnam, il ricorso alla logica quantistica sarebbe indispensabile per risolvere certi paradossi concettuali generati dalla fisica quantistica e ciò dimostrerebbe la natura empirica della logica.

(Enciclopedia Garzanti)

 


 

 

 

 

                          www.ilmanoscrittodipatriziomarozzi.it