Patrizio Marozzi –
Letteratura pag. 358
All’arte
Ogni riferimento a fatti luoghi e persone narrati in questo libro è puramente casuale.
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FAUST
CONCLUSIONE
Ero seduto, ascoltavo con la mia fantasia il suono di un clavicembalo. Seduto su una panchina di un giardino qualsiasi della mia città. “Ciao.” “Ciao.” Sento qualcuno che saluta e mi accorgo di una pacco avvolto in una busta, appoggiato lì, al mio fianco sulla panchina… Un libro, lo apro, un pagina a caso, leggo:
È Passato altro tempo, oltre quello della mia vita, forse, ma non riesco a capire cosa sia tutto quello ch’è accaduto, non m’interessa più.
Ho letto questi appunti e tu che sei giunto sino a queste mie ultime parole, ti sei accorto che sono un mio promemoria, sono appunti interni a quello che ho vissuto. In essi ho inventato le parole per dire ciò che non può essere detto con esse, sono giunte dove loro sono impossibili. Questi ultimi appunti interni sono il mio abbandono dell’arte, o meglio il mio non averne più bisogno.
Penso che spiegarsi oltre non sia possibile, ma neanche mi interessa farlo, oramai le parole non dicono più nulla.
Mi sento lontano da tutto e se sono ancora qui è solo per il senso di rispetto che ho per un lettore, per colui che per caso ha trovato queste mie pagine. Lascio detto a lui che nulla in esse può essere modificato, perché ogni parola ogni punto, ogni virgola, accento rappresenta un giorno della mia vita e come i giorni ormai vissuti non si possono più cambiare, sono scritti così, come la condizione della mia anima.
Adesso sento che tutto esce senza più patemi: angosce gioie… e le parole sono diventate leggere, ma sento anche che non ho più bisogno di loro, non ho più bisogno d’interpretarle. Ciò che stato scritto, vissuto qui è stato possibile perché io ho vissuto ciò, ma ho trovato l’incapacità delle parole per raccontare la mia storia. Ora che sono giunto alla fine voglio dirvi che il mio modo di scrivere è quello di un interprete, voi capirete chi io sono, non solo dal senso delle parole, ma anche dalle loro ombre. Vedete se ora io provassi a riscrivere tutto, non potrei farlo più come è già stato fatto, perché quella persona, quel Faust che ha già scritto non esiste più, ma è ormai esistito: Interrompere per poter ripetere, cambiando, ma è poi migliorare questo. O forse non è semplicemente illudersi di quel che d’irripetibile e unico succede ogni volta, cambiare non è forse distruggere.
Ora non mi aspetto più, non aspetto più nulla, ed anche se sono giunto vicino agli ultimi giorni, non posso dirvi come sarà l’aldilà. Non più angoscia ho, se le parole non possono, se io non posso spiegare, sono ormai alle ultime, poi non ne avrò più bisogno, ma in cuor mio voglio dirvi che ora so, che ora sento.
Ho preso quel pacco di fogli e li ho portati con me, per scoprirli alla mia memoria. Perché?
Il Simbolo
Tranquillo di ansie gemo tra me nell'indecisione di scrivermi. Nel ritrovarmi fuggevole all'attesa.
Scriversi scrivendo di altri, parlarsi, guardando le parole. Osservarsi indosso l'ansia che palese vuol capirsi.
Quale il discorso da pronunciarsi, quale osservazione riservarsi. In realtà questo è dubbio.
Dubbio.
Guardo le parole dirsi e le cerco nuove le attraverso nella speranza di ritrovarle in ordine. Un gesto mi richiama, un gesto mi dice di un passo tranquillo di ciò che ancor si è liberato dalla paura di pronunciarsi. Certo altre volte ho sperato, ho guardato il mio sguardo dentro e mi sono intuito.
Quando nasciamo dimentichiamo e la vita è l'affanno di un ricordo troppo lontano. Speranze hanno forse senso nella certezza di disperare. Nelle angustie di ogni attimo c'è il risveglio d'una eternità troppo consueta; certo tutto questo dramma, dramma per questo ironico dell'esistenza mi dice di urlare con diavoli e angeli
sennò che n'è di me della mia storia, dell'anima.
Ma cosa c'è da barattare, se non me stesso con me stesso, la savia mente con la follia. Ma ciò è inganno dello stesso dirsi è un ordine inverso della paura. Ma per questo forse mi darei, in fondo è pur sempre il passo della vita.
Allora forse è qui, cercare la pazzia, attraversare questo luogo per trovare l'anima il gesto qualcosa. Raccontare dai simboli o dei simboli, parlare metaforicamente o parlarsi di alberi e vasi. Ma quale differenza tutto è metafora, tutto è simbolo, tutto è gesto di altro gesto. E dunque la follia cos'è neanch'essa è piú certa. Ma dove il certo tutto non è che insicuro. La follia non è ma allora ma allora quell'altra cosa come si chiama, quell'altra cosa che non è la follia dove si trova come si chiama. Tutto si chiama ma quel gesto quel pensiero quel… non risponde ma solo m'illude. Dov'è quel mondo senza nome; Esiste?
"SENZA NOME"
Ridere ridere, l'unica cosa è ridere "Senza nome". Come ti chiami "senza nome". Ti chiami.
L'esistenza non ha nessun alibi, ma troppi desideri. Sì desideri, come grandine come pioggia come neve, ma "forse" il desiderio è solo acqua. Ma se io non so chi esisto, l'acqua qual è: pioggia grandine neve. Già in trappola ora si chiama acqua.
È troppo lontano quell'occhio vigile quel senso di sguardo che terrorizza l'incertezza. Io mi immagino impaurito e mi reclamo certo. In realtà tutto è "nello stesso" analogo, genetliaco. Giorni dopo ogni ora sono, affronto la paura e mi richiamo in me in ogni piú profondo me.
Non ho interlocutori che ascoltare, aspettare, sognare, parlare e forse amare. Incostanti i miei motivi istanti si susseguono, si credono e poi impauriscono. Ascolto le parole di ogni passante mi siedo con loro e bevo; faccio gesti e attraverso con sé i loro pensieri.
Altri simboli altri lo stesso ma pur sempre i miei, mi ritornano e mi regalano.
La paura è sola e soli; tutto ha quel qui da ricordare, pensiero da sopravvalutare per render simbolo e poter vivere.
Perciò dimentico come ogni uomo ciò di cui nacqui. Scordo che gocce e la pioggia il tempo e l'acqua. Scordo che quel che guardo vidi e che guardando non vedo piú.
Indietro in un futuro passato mi pesano i momenti. Domando parlo e l'ansia mi risponde, Mi dice: prendi un bicchier d'acqua e siediti aspetta e non dir nulla. Vano tutto ciò pensar qualcosa a chi. Tu sei perso, un uomo e cerchi di ritrovarti.
Dimmi passante perché? E tu dove vai. Ascolta. Scopati tutto il tempo il gesto il pensiero forse anche. Non chiedere piú niente urlare urlare urlare sempre piú forte forte per non sentir piú. Ma tutto inutile. Il "qualcosa" non ti apre una mano, non ti chiede il quando non tenta nulla. Sempitèrno ti tiene il limite.
Rider ridere, forse amaro sembra ma ridere sennò tutto è ridicolo; non ho piú nulla sono un uomo e aspetto. Tutti vogliono un ordine per vincere forse, ma la paura in agguato osserva, ma non esiste, forse. Esistere e non esistere è la stessa cosa, forse siamo senza coscienza e tutto è analogo. Io forse sono l'esistenza e senza di me tutto sarebbe indifferenza. Io mi assurgo all'uomo. Io mi dico che tutti i pensieri agiscono all'ordine. Al misero ordine di un uomo che ha; aspettando vincer la paura miscredenza, giacere in essa, forse l'unico risveglio.
Forse forse forse tutto è forse, non siamo che niente e niente è forse. Disperare vuole angustiarsi abbandonare ogni certezza riprodursi e gettarsi in paure ansie. Perdersi nella responsabilità di ogni scelta e ritrovarsi fuori da ogni ordine umano, in compagnia di ciò.
Tu mi tenti a non ricordare la paura, tu sei altro e me stesso insieme, potrei chiamarti ora che mi ti riveli, ma devo chiamar me stesso e nulla sei che un mio dubbio. Ma ora giaci scompari non attendere.
Perturbati sembrano i ricordi, confusi nelle parole assomigliano, assomigliano all'impossibilità.
Cerco il silenzio di un improbabile ascolto; tutto quello che sento e mi ritrovo confuso nei luoghi del tempo. Se si potesse rinunciare, se tra il prima e il dopo non esistesse alcunché.
Io che dai simboli son stato fatto, cerco di fuggire di ritornare.
Se un Artista potesse rinunciare ad ogni suo dirsi tale, forse anche l'ultima traccia dell'esistenza svanirebbe. Tutto senza alcun muoversi nel mutarsi, non piú apparirebbe.
Restare con ogni movente, non piú cercare acquietarsi. Ma come si può un fiore non chiamarsi piú. Rassegnarsi all'esistenza o piú semplicemente crearla, nessuno vuole estinguerla.
Ucciditi ucciditi puoi superare tutto ciò andare oltre queste, queste trappole effimere della vita. Basta che tu ti uccida e sarai libero. Non piú dubbi inganni apparenze; Solo il canto sublime del respiro è questa la strada. Ucciditi.
Non piú essere Artista, non piú studio ricerca pensiero non piú limite. I dubbi ricordi profani. Ucciditi. Non piú tempo, tutto il non piú della vita superato. Ucciditi.
Ma chi è chi mi inganna, quale voce tu sei e con quale alibi ti estranei da me, sembri esistere. È un velo così sottile quello che sento non dubiterei di te per quel che dici ma non vi è nessuno in questa stanza, non sei un desiderio non sei istinto, Ma da loro forse scaturisci. Non hai miei… La tua forza mi sorprende mi obbliga a risponderti. Il mio ludico guardarti appartiene al capire, sappi che io so che tu non esisti sei solo un motivo in piú.
Non posso uccidermi per quel che tu mi chiedi ogni sguardo nel buio ricorda il colore dell'esistenza, ogni immagine della notte è una figura, ogni agire contro la vita è un amore sbiadito nel pernicioso cammino verso i non simboli.
Se io mi uccidessi agirei, darei un nome direi. Non sarebbe andarsene, nessun superamento ma vano ed inutile simbolo tra i simboli. Se mi uccidessi me chiederei: io fuggo dalla paura dell'incertezza e nel fuggire mi hanno determinato i simboli; ma tu chi sei per garantirmi la certezza del non nome se con i nomi parli con me.
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O sovrano della mia cupidigia, mi hai allettato e mi hai rivelato il simbolo. Fosse anche perso nella memoria dei molti, io non mi tormenterei più della vita che non si svela oltre tutto il mondo, che io non so capire.
Gesto del ricordo, attraverso te spero di affrancarmi del passato, per trovare il mio presente.
Soltanto nella genealogia dei motivi ho scoperto il tuo ripudio, il tuo obliare.
Sostituisco alla realtà le parole, che vane reclamano un significato.
Anodino alla vita è il segno che non ha più un presente da dare, che non trova più una luce per guardare, altra fortuna che quella eufemistica.
Sogno o soltanto riposo, su questo letto, materasso a molle, che non si inganna per giaciglio del giorno.
Lettere che si trovano per perdersi in un chiaro intento d’identità, soltanto recluse alla vita degl’incubi, che sovrani attendono di svegliarci.
Sono sveglio, sveglio, come i sonni profondi che i giorni comuni ti chiedono. Ho scoperchiato una vita senza sapere cosa ci fosse dentro, che reclamasse stoltezza, che si nasconde dietro il mio simbolo. Io sono il simbolo ma non ricordo di cosa; non ricordo in quale argilla mi frantumai.
Trovai un modello ma non seppi quale.
Poi prima che tutto nascesse si incontrarono le lettere; si trovarono perse e poi arse, consunte, come se fossero sempre esistite; soltanto un po’ maltrattate nella loro reclusione.
Ma è poi vero questo, o anche ciò è una chiara fantasia, di tutto quel che scompare e riappare
Ma a che serve ancora parlare, ora che la parola non esiste più, non significa.
Io mi inizio ora
IdeAlità
Desiderare l'opale di un ricordo costante. Lo sguardo d'acqua di mare nel desiderare il sognare, il sogno di ogni artista: rinunciare ad ogni forma essere la forma stessa. I desideri giocano e forse son anche altro, bisogni per vivere, come l'amore nelle sue forme.
Amare una Donna, il sentimento profondo in questo mio desiderio, in questa mia ultima ricerca, in questo mio studio. "Desiderio" d'amare una Donna. Stanco nell'attesa di agitata insicurezza scopro questo mio sentimento, questo mio bisogno d'amare una Donna.
Donna che bagni l'anima, che ascolti l'ombra dei pensieri e stringa il suo amore i miei sentimenti le nostre emozioni.
Respiro lo sguardo, la gioia e la tristezza la fierezza d'una Donna. Donna piú della terra. Io sia per lei la sorgente, che ella è per me. Amare una Donna essere amati da essa è tutto ciò.
…Cercare nel ricordo dei pensieri, quel gesto quel richiamo. Locupletato dal motivo di grande gioia l'amore fu deluso, […] ora in quell'attimo e fu "perché." Allora ho acceso dentro di me un fuoco che non aveva piú tempo per ardere. Ho raccolto le briciole di qualcosa che non aveva piú motivo d'esistere.
Rimembrato tutto ciò che di bello era e solo il dolore mi è rimasto, quante briciole dure, difficili, impossibili da dimenticare; Forse da far rivivere per tornare a esser di gioia. Son sempre lí statiche e perenni come dolore che dimentica e ritorna, loro mi ricordano il ricordo di te la tua esistenza, l'amore deluso.
…Vagare tra tempi qualsiasi, solo essi in desideri di donne stanche o forse agitate.
Una di esse: Quella voce che sento non ha forse un richiamo.
Dove giungi i tuoi gridi, dove canti i tuoi tormenti. Quella voce il suono, ascolta quella sera. Sola, persa, ignorata da te stessa, il gesto che tu davi: Sesso profumato di voglia.
[…] Solitudine astonia dei moventi, un richiamo del piacere, ridicolo. La movenza solo può legittimarti. Solo l'amore redimerti sollevarti, dalla volgarità.
…Oh atto soprano che ti raccogli nei giorni di pioggia e con l'aria di un uccello vivi quel raggio di sole che tra quel gesto si riprende e incontra nel tempo.
Ero un altro non ero io, Ma io ho visto te. Io ero lí ma chi ero in realtà. La congiunzione di quel momento. Ti ascolto, i tuoi pensieri nutrivano la stanza che d'improvviso tacque e senti solo te, il suono dei tuoi pensieri. Eppur ora io non sono piú lí non appartengo piú a me in quel luogo. Ora io incontro te. L'altro un'altra ha conosciuto.
Ero un altro, eri un'altra eravamo l'accader che accadrà. L'incontro nel tempo.
…Ora che siamo qui ti riprendo altri momenti di altro aspetto, ma pur sempre diversa sei se uguale appari nel trovarti. […] Un cercare senza aspetto ignara stessa cerchi, tra le braccia di un montone, qualsiasi. Supplichi la speranza del tuo bisogno: attesa, senza la coscienza. Ignara e insoddisfatta ti lasci, tra le coscie umide di solitudine. Non sai piú che un amore perduto. Ridestati in un gesto diverso, vero.
Tra il gesto e l'atto: Il respiro, l'ultimo […] Piove la luna che muta e si raccoglie in un'ombra di luce nella notte.
Là, là sopra sopra noi lontani. Tra il gesto e l'attimo: Amore.
Come un amplesso puro. Un all'orlo di niente, siamo. Vicini al sentiero del silenzio, aspettiamo, non piú vediamo congiungiamo soltanto; i ricordi di un ricordo, come un uccello la sua aria la vita l'acqua le strade le sue unioni. Fino all'apice anche le parole silentono [Amore.]
Poi fuggi scappi ritorni, non ricordi che era un'altra che si ama. All'improvviso torni mi agiti con ricordi tristi e delusioni acerrime. Per favore risolvimiti, era tanto che non tornavi a pensarti ma ladra L'Amore?
…Ti ricordi. Quante carezze ti ho regalato. In quanti mari di silenzi, colmi di pensieri, mi son ritrovato. Sereni e dubbiosi o soltanto veri. Quanti baci e abbracci; mai troppi. E sentirne la mancanza.
Baciare le tue lacrime sgorgate dalla sorgente dell'esistenza umana, nelle nostre esistenze. E noi dopo di noi i suoi perenni respiri. Cercarti mentre tutto il mio amore in te era e trovarti fanciulla, nella gioia e nel piacere d'esserlo, come soltanto la bellezza, tua mi guardava.
…Ti ricordi. io e te nella città dei momenti stati. Tutto era quieto approssimandosi il riposo; guardo e dico con l'immagine dei segni: non ora ma fu prima che riguardo; Ascoltando ogni eco,
che nella notte
ancor rivela. Il tuo passo era quieto
e tranquillo, io non ero ancora in te, ma tu la mano mi avresti dato quella sera.
Vieni che ti accompagno, dove tu sola puoi andare ma dove io
posso scrutarti nelle emozioni.
Soltanto sguardi ci parlavano, prima dei cancelli della fine del tempo, dove sorpresa ti condussi e senza "esito" entrasti, per ascoltarti.
[…] E quando la luna, in cielo giaceva chiara e piena e i suoni del centro della notte, ci giungevano: L'inizio della vita nel luogo dove un istante di essa si ricordava. Non oltre quella sera andammo.
Ci si era trovati, quella luce distesa sugli occhi, Ma in apparenza soltanto ci si cercava.
…A te, solo sguardi e parole non nostre ci uniscono, ora, Ma so ciò che ti spinge a cercarmi. Io so il tuo essere, ciò che tu immagini di me. E forse troppo ignoto ancor ti sono. È tanto che stranamente la sottile voglia d'incontrarci, non si compie, quasi avesse paura di coglierci in un momento non giusto. Ma so che ora tu stai pensando, nel mio stesso istante, che ti cerco nei pensieri. Forse prima di noi già ci trovammo insieme.
[…] Perché ora mi sento preso dalla mancanza, che si sprigiona su’ sentieri della terra, quando tu non ci sei. Persa nella vita e nell'incertezza, d'essa. Ora io ascolto il silenzio dei miei respiri, non piú incerti ma sicuri dei momenti stati, che non saran piú. Cerco qualcosa nel vento, nelle sue ali libere da ogni illusiva meta, cerco la sua certezza; riponendo su di esso, ogni, il mio fine. Come solo l'arte può fare Io cerco dietro ad ogni ricordo, ogni attimo di perfetta vita che abbiam creato, lieti per essi, giacché si ricorderanno, come tutto ciò che inizia.
[…] L'eternità di un primo amore in quel che trovato da scoprire, quando si spera in quel che sol si immagina.
Giovane Lady scorri i passi, dammi il tuo respiro a giaciglio degli occhi, togli le briglie alla tu testolina e bacia le tue labbra.
Oh giovane Lady
bagna il tuo viso, leggiadro con le lacrime dell'anima,
affinché possa anche io farlo.
Lady!
accarezza, prendi il mio umile ma per esso grande amore, custodirsi nel tuo animo. Regina della fantasia dei miei sogni. Giovane Lady giovane amore.
[…] Ricordare il tempo tutto perso e ritrovato. Vivere l'immagine di una Donna che passeggia, sulla riva d'una vita salina. Che emozione quella volta.
Oh giovane del mare, che sublime dolcezza accarezzi, gli occhi del mio viso e appaghi per l'istante i cieli dell'anima mia. Sognano i miei sentimenti nel vedere tanta, dolce fierezza, nella luce del tuo corpo. Corpo intravisto nella nebbia del tempo del soffio, quel soffio che ancor bagna il viso delle docili mie emozioni. Oh, sarà, sarà possibile distendere quell'istante così ricco d'emozioni. Dimmi piangeranno ancora i miei occhi si riempiranno ancora di lacrime colme di dolcezza e d'amore per la tua natura. Oh a te ho dedicato queste mie emozioni, che tu mai vivrai. A te, a te del mare. […] Mare così libero e sparso, come questi miei momenti ricordati. Frammenti in essi ricordi che si appropriano di un profondo attimo. […] Ciò che si traccia nella memoria ritorna libero da ogni sequenza. Ritorna nell'adesso di sempre.
…Cara lei, in questo istante io ti segno con i miei pensieri come il tempo le sue epoche e l'uomo i suoi momenti. Ora lascio su di te ciò che noi vorremmo avere, l'anelito di una speranza, che solo la certezza fa vivere, in ogni ovunque; nei passi e nei luoghi che fuori dai cieli degli atomi si ritrovano nella memoria dell'anima per sempre capire.
Ora io aspetto come tu sola mi hai insegnato ma come io solo ho imparato, gli aromi di ogni noi momenti, che come le lacrime del cielo nascono dai tuoi occhi e su le tue chiare gote distendono le loro esistenze.
Ora che le composizioni e i suoni delle nostre vite riempiono le nostre esistenze. Io aspetto lungo me, […] un istante e per l'eternità la tua reale realtà.
[…] Che cosa può se non quel che si sa, nel ritorno.
Un gesto mi ha rappresentato te una forma di un corpo era te. Una goccia mi ha ricordato le tue lacrime. Una carezza del vento il tuo respiro, il pensiero d'una foglia i tuoi pensieri. Un gesto mi ha rappresentato te, una forma di un corpo era te, [nei] perché dei miei pensieri.
…Se tu, altra, scandalosa; emozioni hanno accresciuto la mia ansietà nel dramma di sessi odoranti oltre ogni meandro di loro. Fuori da quei corpi così ignari …e se stessi e disperdersi nelle prigioni degli infranti limiti delle facoltà.
I sapori gli odori, assaggi della carne, ancora vibrano nella mente della notte che ha vissuto di scandali, dei coiti e delle disciolte vagine, arsendo ogni flusso di noi.
[…] Ricordo immaginato o immagine su uno schermo cinematografico, lontano in un gesto in sé, medesimo. Tu mi chiami e mi dovresti dire: quel profumo di terra e di vita: indonesia anima del cielo e palpo l'amore nel sogno, dell'indonesia; veduta nell'attimo che accende l'amore. […] Respiro della vita regalerò regalo dò, il mio amore il pensiero d'amore, precluso al concerto dell'acqua. Amore che aspetta l'attimo della simbiosi a cui mi disseterò.
Indonesia, che ho colmato di malinconica tristezza tutto ciò ch'è vita in quell'attimo d'amore del tuo presente.
…Dell'altro Ho sentito, un tremito dentro i miei occhi. Un tremito vicino al tuo cuore. Ho ascoltato il tuo respiro nei miei pensieri.
Amo i miei ricordi il tuo presente desiderio. Pane come me e te.
Ho sentito un tremito, dentro i miei respiri, ho respirato il tuo respiro; mi perdo in una nostalgia di desiderio.
Volger lo sguardo e vedere ravvisare l'incontro di una Donna in momenti di stasi, stanca incerta, ancora, senza rammarichi o piena di essi. Blu come quel pensiero che si flette ignaro, ignaro. Giovane Donna sorpresa da te stessa.
…Frivola frivolezza nel giocare col vuoto imagologico: sembri una densa puttana come ti cerco come ti voglio ti desidero sopra il mio glande Libera come solo una puttana innamorata può esserlo. Lo spirito mi soggiace mi chiama sui tuoi sensi e io ho voglia del tuo profumo, del tuo piacere del tuo godere.
Energia che fluttua in un'illusione di perfetta alchimia. Goderti fino in fondo oltre ogni possibilità materiale; coscienza.
Mia densa puttana ti ricordo e dimentico soltanto tu non hai memoria.
[…] Ed ora io cerco quel dimenticato senso oltre il silenzio.
"SILENZIO"
Oltre il silenzio tu! Oltre la cortina dei silenzi dove le ampolle scoppiano e i fiumi piangono le ceneri del tempo. Tempo dei gesti che esprime nuova umanità.
Eppure gli uccelli guardano dall'alto dei loro cieli, le malinconiche fiamme che piangono per un amore [vero] per la sincerità dei propri respiri, così tenui e silenziosi. Del silenzio oltre la cortina onirica non resta altro che esprima ciò che sento per te nel momento dei pensieri.
…Mi rimane il ricordo di un emozione che si ricorda in sé, in ogni istante.
Ma che pure appaia in un momento; quella volta. I lampioni ardono come torce dalla fioca luce. Gli occhi delle auto chinano i loro sguardi sull'asfalto dal pelo ormai nero. Pensieri all'unisono gridano l'ignoto.
Ossessione per l'uomo che corre senza udir nulla. Le auto distratte tendono le mani, come due mani che escono da scuola. Due occhi nell'oscurità della luce artificiale hanno incontrato i miei; un dialogo [caldo e profondo] ci ha uniti nel momento colmo di sensazione; ciò posso dirti […] incontro. …Ascolta i miei pensieri cerco nell'ignoto in ciò che non è statico nell'inopinabilità nell'amore senza niente altro cercami, fa' che i miei istanti prolunghino i tuoi te in me.
I tuoi occhi in tempo senza di esso: L'Amore.
[…] Abbandonare l'abbandono del ricordo nella certezza di quel vuoto. Questo incerto immaginare l'angoscia d'un tempo. Un dubbio, certo, sospeso su di un calesse stanco trangugia il roteare sulla strada di sequenze "unanimi." Solo il vuoto ti acuisce nel dolore che non smette di essere mai piú dimenticato.
E in tal senso eterno ricordo che sol L'Amore può scordare. Ma un oggetto rimasto è lí per te a dirmi che il ricordo…
…Il ricordo che ho dentro di me non ha uguali, non ha nessuno. Ricominciare abbandonare le delusioni illusioni. Fuggire dagli inganni giacché vano sarebbe scoprirli.
Lontano o vicino ma ricominciare. Guardo quel pensiero lontano, che si sveglia nei momenti attraverso quel sottile filo di seta coniugante al tempo.
Forse quel che tu non sai capire non mi sovverte, ma sgomenta la mia forte sensibilità.
[…] Dubbi tu nel mio deludermi aspetti sognando che io mi svegli.
Ma ritorna sempre quell'energia serena. Quell'atto di cielo d'Amare l'Amore d'Amore; ricordo di un uccello la sua aria.
…Pentimento che ora il concerto mi sospinge, io mi chiamo quasi volessi scuotermi. Non sento piú;
Ma non sento piú impegno. Ora libero mi sento da ciò che tu mi chiedevi. Forse generosamente ho dato, ti ho dato.
Coscienza e verità tu dovevi. Affralita ti ritrovi, confusa, improvvisa come la sua esistenza e i risvolti in essa. Ora forse ti tormenti.
Non farlo.
prendi ora, quel che [tu] hai trovato e non pensare al perso, tutto ciò non esiste ancora, non piú; come tutto quel che cambia del resto.
Ti perdono se è questo che a te serve Ma il tormento che ho dentro ora è solo mio mio soltanto.
Tuo l'amaro calice del rimorso.
Ma se ciò non fosse anche se è nobile il tuo gesto. Lei direbbe a lei: Butta tutto dalla tua finestra.
E poi getta anche la tua finestra, volgi e vivi, Ma cosa. Eppur il sole torna ad ogni mattina ed io con esso a chiamarti.
…Ti ascolto ma ancor non ci sei. Ciò che sento è l'immagine d'un pensiero; Che ricorda in me la tua speranza; Sempre presente, nei miei respiri di tua attesa.
…Vorrei, ma se mai ascolterò i tuoi respiri se mai spoglierò i tuoi pensieri… Allora io nel mio equilibrio solitario camminerò. Sfiorando te nei brevi frammenti [tuoi] in amori che un po' mi sperano te.
[…] E ora in preda alle pulsione. Sono. Spinto da non so quale energia pieno di passione e desiderio.
Ricordo boccadoro. Spiato nella vita nel mondo ora mi sento; cerco trovandoti in brevi istanti nelle altre, Ma ancor per te io amo.
…Vicina molto vicina. O forse già sei? T'incontro nell'ieri; tu eri un po' scettica e sorpresa ma già in te nasceva il pensarmi.
Ora mi guardi e non puoi fare a meno di amarmi. Oggi tu sei sicura e serena, di amarmi. Il perché lascio a te intuirlo.
Ma ora non esser come certe Donne. Quando tu dici di amarmi: Ti amo, ma tu piangi perché non puoi avermi; che strano quel che tu chiami amore. […] In questo svelamento oggi ho compreso che il tempo è instabile, perché di noi ha quel che tu non sei chi sei cosa siamo. Triagoni d'Amore, forse Triagoni d'Amore nei pensieri dell'anima. Triagoni d'Amore nelle menti dei nostri corpi. Triagoni d'Amore ogni oltre violento colore che cambia i volti dei nostri cieli.
Triagoni d'esistenze che incontrano inconsuete unioni nell'anima bagnata dei vostri visi. Triagoni d'esistenze da riviver nella realtà, di vite celebrate, ogni oltre confine vocale. E perdersi e ritrovarsi, perdersi e ritrovarsi in quel che sono o siamo; in ogni ridestarsi mattutino. Triagoni d'Amore d'ascoltare o ripudiare accarezzare o amare - disperdere nei meandri dei presenti consacrati per l'anima.
…Ti ricordi la realtà nel noi.
[…] Nel momento di quel luogo ho nello sguardo della mia mente il linguaggio dei muri di quella casa che scruta, la pianura d'acqua che accarezza la terra del suo posto. Tra questi ambienti ci siamo espressi nelle differenze delle nostre esistenze; e capire le nostre verità, prendendoci l'anima per guardarci fuori da noi, fin nelle piú labili essenze. Ho ascoltato le tue parole comprendendole a te e risvegliarti nella coscienza di noi. Cosa accadrà ora dopo la realtà, di te Di te che hai vissuto l'amore amandolo per la prima volta nel suo abbraccio di vita, dissolvendo ogni punto di frammento che guarda iconoclasti compromessi.
Ma io nell'Amore non so vivere nei dubbi e Amor all'Amore guardo, tra i gesti l'emozioni. Tra gli squarci delle nuvole tra i pensieri nascosti nella verità della bellezza dove ogni aspetto è bello se intravisto. E lí. Lí vorrei accoccolarmi sulla tua bellezza al riparo da ogni menzogna. Vorrei accoccolarmi nel tuo Amore al riparo da ogni tradimento. Vorrei che il mondo vedesse come sei bella dentro i tuoi pensieri; Di quei pensieri che donano il senso della bellezza al tuo corpo. Vorrei che tu mi accogliessi in te con tutto il mio essere ed ascoltassi insieme a me la dolce musica della felicità. Vorrei insieme a te raggiungere tutto ciò che all'anima di un essere solo è precluso. Vorrei unire insieme a te i nuovi orizzonti, vorrei crescere le nostre emozioni. Vorrei vivere con te [Ma vivere oltre noi].
Bagliori d'Amore dove sento la nascità di bagliori fusi. Sento la nascita di bagliori tenui e malinconici. Sento il pensare che mi chiama nel non piú sperare altri momenti senza il bagliore d'Amore.
…Certi capire quel fuggevole plesso che in una parte l'ansia di tutto.
Il sapore del corpo è solo un senso di una forma unita, così rara e fuggevole d'arrecar ansia nel suo uopo di vita. Un sol pensiero tu mi domandi. Un sol pensiero mi viene in mente ed è che t'Amo.
Uopo d'Amore, canta il vento mi sembra come un uomo che cerca, come un uomo che chiama: Uopo d'Amore tra le lacrime della pioggia che si raccolgono nei fiumi per un corso da seguire una meta da capire in un Amore da trovare, tra le ricerche d'una vita che così alta appare ai nostri chiederci per capire. Un semplice e supremo gesto d'Amore.
Un sentimento, lo sguardo d'una nuvola un pezzetto di celeste, la gioia di viverti le labbra è gridare Amore.
[E] semplice Amore.
La pioggia mi ha disteso sulla terra umida E sono felice, voi.
[che] amate chi vi dà un po' di luce per capirvi e amate chi volete essere ma non siete disprezzandovi stupidamente.
Care quanto vi amo Amerò ancora. E la speranza di trovar tra voi la Donna che ami d'Amore e non di necessità l'Amore.
Care in quanti momenti reali di sogno e fantasia vi ho incontrato, desiderandovi nude di verità per contemplarvi tra le linee dei nostri corpi che voi amate ma non comprendete.
Care siate Donne e l'Amore di voi sarà.
Ho camminato lungo i sentieri del tempo, ho immaginato te. Te parlo di parole. Ascolto dietro l'angolo il cerchio dei tempi.
Sguardo verso la luna in un cielo di luce blu; ricordo nei pensieri lo sguardo una mano verso l'altra avvolti dall'aria, congiungersi.
Ora lascio che il tempo ti ritorni indietro attraverso le immagini di un fuoco lento e inesorabile; ma tu ti ricordi certo bella.
Ora si placano i tempi. Bruna la notte spegne i gesti, che stanchi seguono i giorni. Cercare un sentiero dentro quel fluire nello spazio nella nostra vita.
Ascoltarti dentro quel viaggio. Ascoltarti dentro quell'ombra silenziosa che "attraverso" i nostri cuori, in cerca di poesie. A passeggio tra esse scoprire i messaggi dell'ignota realtà, sopraffatta da niente.
Abreazione sublime che altera il senso delle apparenze.
Locupletata conoscenza ora sublime gesto della coscienza.
La Lacrima Noetica.
Adesso
ancor son qui ad aspettarti,
giungerai.
Solo mi sento in questo luogo
ma anche nell'altro.
Io amo vivere in spazio sovrano al tempo
nel tenue sentiero
tra ogni inizio ed ogni fine.
Stanco della mia ubiquità
al pensiero statico e sempitèrno
nel mondo di ovunque.
Sogno il momento i luoghi
in cui desidero essere insieme a te
nell'istante di un riflesso.
Per quando Amore unico e puro
nell'Amore unico di noi due insieme.
Sento spesso il tuo grido che mi cerca
ancor non vedo distinto il tuo sguardo;
E arso dalla voglia di essere
quel che solo tu sovrana puoi essere.
È immane la forza che mi chiama a te,
come ciò che la vita stessa spinge
Raccolgo quel che tu sola puoi prendere.
Oh celeste plesso
sprigiona rapido il tuo svolgere
affinché presto
non piú te noi siamo ma un unico segno
nella dimensione dell'Amore;
soltanto allora io mi troverò
in ciò che tu mia musa troverai.
In quell'attimo eterno io ti aspetto
vicino all'istante senza piú esso
dove soltanto tu ed io possiamo essere.
Tra ogni inizio ed ogni fine
nell'eternità.
Oh ma forse pazzo
sono.
E se tu non fossi quel che nel desiderio sei;
se soltanto in esso tu mi apparissi.
Allora
chi capirà questi miei segni,
per chi invano saranno stati mai tratti.
Tu sola potresti viverci dentro
nessun'altra;
nessun'altra io vorrei in me.
Semantiche visioni d'un pazzo queste sono,
scusate la mia lacrima
voi che incerti e stupiti mi guardate,
dei pensieri correvano nella mia anima.
Solo pensieri,
per la mia Musa
Storia
È passato il tempo del mio ricordo, il sentimento trascorso dentro il nostro fluire. Ho abbandonato la certezza per il ricordo ed ora vano mi appare quel che ho trovato.
Certo non mi sento come avrei pensato; " l'illusione o la certezza."
Scoprirsi soli con un passo impaurito, sentirsi incerti tra quel che rimane.
Ti sei illuso e che ti rimane?
Ciò che avevo: "Il Dubbio."
Sciocco segui me il mio dirti e nulla avrai del dubbio. Io posso darti quella Donna. Io posso trovarti "RE".
Tu mi alletti in strane lusinghe, ma il gioco è vano, giacché il re non c'è. Io desidero e questo annebbia la mia certezza. Io la voglio in ciò che vorrei, tu mi dai quel che non esiste.
Non credere tu sei il RE, tutto è fatto per te, tu sei lo scopo del mondo. Senti come lei accarezza i tuoi sensi infiamma il tuo sesso.
"SÌ"
Tu sei Dio, lascia che gli altri partecipino alla tua festa.
"SÌ"
Il mondo risponde ad ogni tuo segno, ad ogni tuo richiamo. Godi dentro quel corpo di donna, sarà tua prima che immagini, ora vivi queste emozioni.
"SÌ".
Ma cosa sei non hai voce per gli altri e solo io ti sento. Tu mi dici strane cose che sembrano gesti veri, ed ogni respiro è un respiro. Ma io non credo, anche se mi sento ciò che tu mi fai sentir d'essere; io gioco con te e con la gloria dell'uomo, dico: "non è vero" non è reale ciò che vedo e che sento, io non ho quel che tu fai provare ai miei sensi.Tu inganni la mia paura d'uomo e illudi la mia incertezza. Sentirsi Dio è sempre stato il sogno della scelta, il tragitto della paura verso il suo ritorno.
Va' va', va' via, forse sei solo un inganno della mia mente il ricordo di un lontano inganno umano, ma anche questo io non so, strani fenomeni fisici guardano questi momenti, ma io sono soltanto.
Io riprendo il tragitto di un capire inconsueto, lo attraverso svolgendomi in tutto quello che m'appartiene. Tu, non hai nulla che io non ricordi, l'inganno dell'orgoglio. Le tue notti appartengono alle promesse che mi ricordi, sei dunque qualcosa o anche tu appartieni al mio dubbio al "DUBBIO".
Una volta la certezza e poi fu la morte, a ricordo. La paura, solo la paura ascolta questa voce — semplice follia o cos'altro non so. La somma ricerca, un frutto che non matura mai.
È lontano quel tempo del sapere, lontano ma in esso sempre presente, il riposo inquieto della certezza, il ritorno a Dio.
Continuare il viaggio nel dialogo dei propri sogni, scriversi l'arte della propria vita. Il cammino continua, in esso la ricerca, il suo studio.
Ma io ho ciò che tu cerchi, non illuderti io ti prometto il riposo dal dubbio. La giovinezza ti sarà data in essa rivivrai il tempo come tu lo vuoi. Vane sono le tue ricerche, a nulla seguiranno; io posso darti la soluzioni, io posso ricordarti ciò che hai dimenticato: "L'eternità".
Vattene, che strano gioco è questo, cosa sei che parli. Insinui in ogni mio dubbio la tua certezza, mi fai provare l'emozioni piú belle, ma nulla di reale me le conferma. Da cosa si eleva questo mio dialogo con te; io confermo la mia pazzia per eluderti, anche se la scienza mi dà il dubbio di ciò. Io non ambisco alla giovinezza né ad ogni altra epoca dell'uomo, ma, perso me, a null'altro che al tuo orgoglio che ricorda il mio primo atto, la mia prima ricerca. Per questo io sento la tua voce — tu sei una mia creatura, la forza da domare in me, il mio non riuscire a perdonarmi; l’aver perso "La compassiòne di Dio".
Lascio questo dialogo, il luogo, abbandono i tempi e mi riverso in ciò che non ho, la mia arte. E tu o me sarai ancor utile per capirmi. Io mi svolgerò in ogni mio personaggio e tu con me, in ogni mia storia, fino alla paura della morte. Un uomo nel vano gioco del capire.
Viaggio
Scrívi quéllo che ho da dirti, non sorprenderti délla stòria.
Ièri l’altro ho iniziàto il nuòvo tragítto.
Eri lí sedúta — Ti ricòrdi?
— còsa mi ricòrdo! — il ricòrdo.
In cèrti giórni è stràno quéllo che s’immàgina, non si ricòrda núlla, cóme se non esistesse.
Ripènso al malèssere che ignàro ti avverte dell’esistènza.
< BÀSTA!> non pronunciarmi così inutilménte.
“ Ora io ” — scrívo qualcòsa”, il rifùgio di quésto vuòto.
“In un luogo inutile,” come ogni gesto nella sua solitaria apparenza, — Art — ignaro del suo nome, sta sfogliando le scritte pagine ( in un bar) di tutti i giorni.
Stanco si alza dal suo poggiaculo ed esce fuori da quel bar.
“Fuori nello svolgersi” sulle piste delle macchine: insofferenza, fastidio, malessere, per quell’attraversare la strada.
Cammina, cammina, fin davanti “i portoni” della sua casa — si ripete quel rituale — dove si ripete quel rito, di cercare la chiave, la chiave adatta ad aprire l’involucro della propria casa.
Apre, sale le scale, apre ancora < dentro si trova dentro il rumore del portone che si serra alle sue spalle.
Percorre il corridoio, uno specchio che ha dinànzi ripete la sua immagine, si vede, ha paura corre nella sua stanza e si lascia cadere sul letto.
La sua mente si libera, Art abbandona il suo iatrogeno stato, si rivela.>
“Novembre” in una città come tante: i colori sfocati, le immagini a specchio — vive un cervello.
La stanza è dai colori inesistenti e mura trasparenti.
Art è supino sul letto senza rete e guarda il lampadario che non fa luce, appeso al soffitto senza fondo.
La mente (sua) è intasata da pensieri di vita morta.
Lentamente, si alza, “abbandona ogni precedente posizione” — verticalizza il suo stato.
Si muove esasperando il peso del suo passo ed esce fuori da quello spazio senza forma, attraverso porte di sagome umane.
Percorre un lungo corridoio tra pareti nere e dal soffitto intravede il pallore esterno di un sole — di un sole dal calore ignoto al suo tatto.
Il corridoio è giunto in fondo ad esso — ed ora al culmine del suo malessere ha davanti la paura del suo portone.
Quell’enorme immenso portone senza l’immagine, senza la luce.
Ora io éntro qui, mi intrométto e spèzzo il rítmo di qualcòsa che mi appartiene.
Rúbo l’incèdere alla stòria.
Io mi riguàrdo e mi tròvo presènte in tútto ciò, o la stòria interrompe il mio presènte.
Ma io sono in ciò che chièdo.
Di chi si parla qui, di chi? Di me dell’uomo, del suo pensièro, délla realtà che non si conosce.
“Mi ricérco.”
Le mani incominciano a tremargli guarda i suoi piedi ma non riesce a vedere nulla, non immagina piú le sue pupille, sente che sta morendo.
La sua mente cerca di pensare, improvvisamente nella camera dell’encefalo vede quell’enorme portone che gli ostruisce quel limite.
“Il portone in fondo al corridoio.”
Art ripete a se stesso pensa pensa pensa cerca di capire pensa. La chiave! la chiave! il portone è chiuso interiormente.
“Unì tutte le forze, prese la chiave dalla tasca della giacca e la infilo nella serratura — di quel senso — riuscí ad aprirlo e svenne.”
Tutto ciò accadde ora o nel suo ricordo, non so.
Non si può parlàre né ora né dopo, né allora; tútto è passàto presènte e futúro.
(Scrivere è la ricerca di un linguaggio che superi la temporalità dell’io.)
Quando “alzo” le palpebre si “ritrovò” sul pianerottolo delle scale, con l’immagine di un mondo orizzontale.
Si alzò in piedi ed incomincio a percorrere una, quella lunga scalinata. ( alcuni gradini dopo)
Dopo alcuni gradini si rese “cosciente” che scendere era estremamente faticoso — lo stesso disagio che salire.
Le gambe sono erano piú pesanti il respiro un affanno e ascoltare rimbombarsi nel cranio i palpiti del cuore.
Sullo sfondo della scalinata si diafana l’immagine di un punto di luce — sembrava irraggiungibile.
Interrompere per poter ripètere, cambiando, ma è poi miglioràre quésto.
O fórse non è semplicemente illudersi di quel che d’irripetíbile e único succède ogni vòlta; cambiare non è fórse “distrúggere”.
Improvvisamente quella luce diventò sarà sempre piú grande — i gradini della scala lo investono a velocità terrestre ed un soffio di aria gelida gli tocca le labbra.
Un suono “diveniva” sempre piú sottilmente forte, il cervello compresso da quel suono, la vista si tinge e tingeva di rosso: lacrime di sangue.
Or tanto quel punto di luce che sembrava inascoltàbile, continuava ad avvicinarsi, a velocità sempre piú... vicinissimo un forte soffio d’aria lo accolse dentro quella luce piena.
Era uscito da quella strana casa e si trovava disteso sul catrame della strada.
Fuòri da una casa; quale casa?
L’inizio di uno smembramento o una crísi di créscita.
A còsa appartengono quésti gèsti, a chi appartengono?
Fuggévoli eludono il lóro significàto, perdóno “il tempo” e chi li enuncia.
Si possono díre in molti modi i pensieri e le parole con essi.
Si alzò ed incomincio a mettere i piedi uno davanti all’altro .
Guardarsi intorno e subito rendersi palese agli occhi che i fianchi della strada erano case “giunte a se stesse in se stesse” senza finestre e con piccoli usci.
Negli spasmi che il timore lo accolse “dimentico” il tempo del suo incedere, dei passi della sua strada.
Esausto sedé sedente, sul lungo bordo bianco del marciapiede.
— Chino lo sguardo sul buio nero della strada, alzo lo sguardo — la speranza d’imprimere nella sua mente un’immagine diversa, ma non vide che quelle case senza finestre e dall’uscio piccolo.
Sempre piú déntro, nelle cosciènze in simbiòsi.
La luce di quella strada era propagata da enormi lampade al neon, ma la dimensione di quelle lampade era poca luce su quella strada.
Cielo sempre scuro, coperto da grandi, enormi condensazióni d’acqua, pronte a scaricare tuttA l’energia su quella strada.
Non vi è tempo, né giorno, né notte, ma una costante visione da “temporale.”
La natura e gli alberi: nudi e spogli da credere inverno,
ma calda la temperatura di quella strada, “il carattere di un’afa repressiva”— senza tempo, nessuna stagione.
Esausto mi addormentai.
—“Iniziano i sogni.”
— Quel giorno mi sarei alzato presto, era il primo giorno di vacanza.
In realtà sono dibattuto se alzarmi o restare a letto; oggi posso dormire quando voglio, ma fuori ci saranno già i miei amici ad inventarsi i giochi.
Mi alzo e in fretta mi lavo, faccio colazione ed esco.
È una bella giornata calda e piena di sole, sono così felice da non saperne il motivo.
Alcune volte penso che la felicità che ho senza nessuno sforzo, sia l’impegno che mi sono assunto nella vita: Riuscire a conservare questo dono.
Quando i grandi mi chiedono perché...? io non so rispondere, so soltanto che sono felice.
L’aria è profumata d’estate e quando mi sfiora la pelle provo la sensazione della libertà, mi sento leggero.
— Ciao Marco, che fai?
«Niente di particolare, aspetto qualcuno che giochi con me, con i bicchierini.»
«Ci gioco io, ieri ne ho martellati un bel po', guarda!»
«Giochiamo a costammuro?»
«Va bene, tira prima tu.»
Non so dove ho imparato questo gioco e nemmeno chi lo abbia inventato.
Prendo i tappi delle bottiglie, poi li schiaccio con un martello, li apro e li rendo tondi, piatti e rotondi, come monete.
— È piú vicina la mia!
«No! guarda bene, prendi quella stecca di gelato e misura; guarda è piú vicina al muro la mia» dice Marco.
«È vero!… Andiamo a cercare Alfredo?»
«Lo troviamo a casa? oh è andato al mare con la sorella?»
«Non lo so, andiamo a vedere.»
«Ti ricordi quando andavamo al mare con le suore?» mi ricorda Marco.
«Sí! mi ricordo.»
— Al mare con le suore, lo ricordo bene; la mattina erano sempre dei grandi pianti, io, preferivo stare a giocare con i miei amici, o andare al mare con le mie sorelle e fare il bagno senza problemi, come piú mi piaceva.
Invece a mia madre venne in mente di portarmi all’asilo.
— Alcune volte le suore ci portavano al mare.
La mattina quando mia madre mi trascinava in quel posto, la madre superiore per convincermi a restare in asilo mi diceva: Questa mattina andiamo al mare ti divertirai molto, insieme con gli altri bambini. Io rispondevo che avevo da fare un sacco di cose belle con i miei amici, (ne siamo proprio tanti e scorrazziamo liberi per il paese) poi gli chiedevo: Ma il bagno me lo fate fare? Certo! rispondeva la suora.
Al mare non si poteva fare niente, il bagno consisteva nel mettersi in piedi vicino la riva e bagnarsi un po’ le gambe.
Una volta io ed un mio amico entrammo in acqua, ci spingemmo dentro fino a quando l’acqua non ci arrivò appena sotto il costume, ci alzammo sulle punte per andare oltre, — ritrovandoci con il culo a terra e l’acqua alla gola. Ci guardammo per un attimo impauriti, ma seguì subito un sorriso di gioia e decidemmo senza dirci niente, che tanto valeva proseguire e farsi un bel bagno, finalmente! Alle suore ci avremmo pensato dopo.
Un giorno ero così arrabbiato di dover trascorrere quelle mattinate piene di proibizione, che bevuta una coca cola ne ruppi la bottiglia e lasciai i vetri sulla spiaggia, non me ne importava niente se qualcuno si tagliava.
Dopo un quarto d’ora camminavo tranquillo, d’improvviso sentii un dolore sulla pianta del mio piede; non mi ricordavo della bottiglia rotta, ma lei si era ricordata di me.
Non dissi niente e soffrii in silenzio. Il taglio era profondo e lungo, non so come ci riuscii ma fermai l’emorragia e non parlai piú fino a casa.
Un giorno trascorsi la mattinata al mare a dondolarmi un dente che mi doveva cadere, cadde.
Ci fu una mattina che andai all’asilo senza piangere.
Il giorno prima la suora mi aveva detto che se portavo il costume per cambiarmi, mi avrebbe fatto fare il bagno.
Quando arrivai all’asilo mi disse che quella mattina non saremmo andati al mare, ti pareva!
In quei giorni ci toccava “fare” le lettere dell’alfabeto sul quaderno, dovevamo riempirne le pagine e per di piú dovevano essere scritte bene.
Chi non le scriveva bene non poteva andare fuori a giocare.
Quella stupida della suora diceva che le dovevo scrivere meglio e piú me lo diceva e piú le scrivevo male.....
Solitamente i miei genitori dovevano venire a prendermi all’ora di pranzo, ma io quando vedevo che all’una non erano venuti, chiedevo alla suora se potevo andare al bagno.
Vicino al bagno c’era anche la porta d’uscita, io l’aprivo e scappavo.
È vero che in quel momento c’era sempre molta confusione, ma mi sembrava incredibile che non se ne accorgessero.
Certe volte mi toccava rimanere anche il pomeriggio e le suore dopo il pranzo, ci facevano dormire, seduti, con la testa appoggiata sopra i banchi.
Noi non avevamo mai sonno; io facevo sempre finta di dormire e sentivo la suora che diceva agli altri bambini come ero bravo.
Un giorno dissi agli altri bambini di fare finta di dormire come me, così la suora se ne sarebbe andava via e noi avremmo potuto fare quel che ci pareva; da quel giorno diventammo tutti bravi.
Era bionda con gli occhi azzurri, aveva dieci anni, cinque piú di me, ne ero innamorato pazzo.
Quella mattina, me la ricorderò per sempre, giunsi all’asilo come al solito in lacrime e trovai Katia.
I genitori l’avevano parcheggiata nel nostro asilo, insieme ad un’altra bambina e a due bambini, tutti romani.
Io, qualsiasi cosa facesse cercavo sempre di starle vicino.
Diventai amico loro e questo mi dette la possibilità di farmi il bagno di mare “vero,” erano piú grandi e per questo potevano.
Naturalmente la cosa piú importante era che così potevo starle vicino.
Al mare, la mattina, per divertirci inventavamo sempre dei giochi ed un giorno accadde!
Quel giorno si decise di fare la storia della “bella addormentata nel bòsco,” naturalmente la bella addormentata era Katia.
Io volevo essere il principe azzurro, ma c’era un bambino piú grande di me, che insisteva per esserlo lui; mi arrabbiai molto e guardando Katia dissi che volevo esserlo io, Katia disse di sí.
La storia si stava svolgendo e tutti i bambini si divertivano. Io pensavo a cosa avrei fatto quando avrei dovuto baciare Katia, come l’avrei baciata.
Il momento era sempre piú vicino, mi sentivo un poco emozionato, ma anche pieno di gioia.
Katia era distesa con gli occhi chiusi, io in ginocchio accanto a lei che la guardavo, avvicinai il mio viso al suo, l’abbracciai e premetti forte le mie labbra alle sue, era bellissimo, non sapevo quando smettere e Katia non diceva niente, mi lasciava fare; il tempo si era fermato, sarei rimasto così per sempre.
Mi staccai da lei e lei apri gli occhi.
Tutti dissero che ero stato bravo, che non si aspettavano che io avrei avuto il coraggio di baciarla sulla bocca, ma solo sulla guancia.
Presto l’estate finí, Katia tornò a Roma.
— Alfredo! Alfredo non c’è!
«Sarà andato al mare con la sorella. Marco andiamocene a casa, tanto è l’una.»
«Ci vediamo dopo al campetto, ciao!»
«Ciao!»
Chi è in quésto sogno, dove mi tròvo io in quésto sogno.
Un bambino che smorza gli affanni, che non ritrae la propria esistenza.
Un bambino che ricòrda, sé stesso, in un sogno che cresce nel pensièro.
Io mi aspetto qui, ancora, nei ricòrdi di quésto bimbo, anch’esso un passo délla coscienza che cerca.
IO Faust creo e son creato.
Caro diario oggi mi è accaduta una cosa nuova però prima di dirtela ho deciso di comunicare con te con la voce perciò non userò piú la punteggiatura tu mi ascolterai e non mi dirai che sbaglio come fa la maestra con me voglio essere libero di provare le cose come voglio così posso anche capire e scoprire io ho una calligrafia diversa molto particolare e ho incominciato a fare le emme e le ènne rovesciate quando stavo in seconda l’altro giorno la maestra era nervosa e si è arrabbiata con tutta la classe poi all’improvviso è venuta da me mi ha preso il quaderno e lo ha mostrato a tutta la classe dicendo se era possibile scrivere in quel modo io in quel momento mi sono sentito molto strano è vero che la maestra ha dei problemi con il figlio e per questo la perdono ma però è stata una stronza questa cosa mi sa che me la ricorderò per sempre ora parliamo della cosa nuova che mi è successa questa mattina stavo giocando nella casa in costruzione vicino a dove abito ero da solo i miei compagni ancora non erano venuti la casa ha già le finestre però senza vetri naturalmente i muratori non c’erano sento chiamare fuori penso che sia qualcuno dei miei compagni mi affaccio e mi appoggio non so come dire mi affaccio dalla finestra che è chiusa ma mi posso affacciare perché non ha i vetri è di quelle che si aprono interamente per potere andare sul balcone ed è formata da due vetri quando ci sono uno piú lungo nella parte di sopra e uno piú piccolo di sotto a dividere le due parti c’è il legno io nell’affacciarmi mi sono appoggiato a questo legno con le mani e la pancia ho messo il busto fuori mi sono affacciato di piú e mi sono appoggiato al legno dove c’è il pisello in quel momento il mio pisello era dritto e come sono sceso strusciandomi sul legno ho provato una cosa come una sorpresa mi ha fatto piacere l’ho rifatto alcune volte e mi piaceva come mi strusciavo con il legno la pelle del mio pisello si muoveva sono andato a casa sono andato in bagno mi sono sceso i pantaloni e mi sono seduto sulla tazza mi sono preso il pisello sulla punta con le dita e ho incominciato a muovere la pelle avanti e indietro mi piaceva l’ho fatto per un bel po' poi ad un certo punto ho incominciato a sentire come un dolore ma non era un dolore e dopo un po' ho smesso non so come si chiama questa cosa che ho fatto e se lo fanno gli altri bambini ma mi sa che lo rifaccio ciao diario alla prossima.
I sogni, quando ci appartengono? La vita nel suo svolgersi è già sogno . Ma còsa sono i miei desideri, se non la ricerca del mio sogno o fórse l’abbandono di esso.
Nello svolgere délle nostre vite c’è la realizzazione di altre esistenze, il sogno di un altro. Spesso siamo la vita altrui, da vivere. Ma se perdessi il sogno o il sogno fosse mio, còsa sarei io? fórse solo un’indagine da perseguire, l’ulteriore ricerca verso l’insondabile dell’esistènza.
Se fossi cèrto non mi immaginerei piú; immaginerei lo sviluppo degli eventi che mi accadono. Quanta confusione nello scoprire il progetto. Tútto per ingannare la paura.
La dignità di vivere la vita, per trovarsi nella vita. Scoprire di essere quel che altri vorrebbero essere, ma non riuscire a trovarsi in nessun altro.
Io ti scrívo giacché mi cerco, o fórse mi son già trovato e non basto a placarmi. Svegliati dal sogno Art, raccontami il tuo cammino.
Aprire gli occhi e scoprire di non riuscire a comprendere, preda di questa strada che ci guarda.
Sento un suono perso lontano, il suono di violini che gridano; mi istigano a dare una direzione al mio percorso su “quella strada.” Mi avvicino sempre piú al suono. Vedo! immagini dai lineamenti obnubilati che danzano abbracciate; un cerchio di figure urlanti che danzano intorno a chi?
Ascolto la musica e tutto mi sembra enorme; ma non riesco a vedere chi c'è al centro di quel cerchio umano.
Guardo al mio fianco e un uomo mi guarda e sorride; io non so cosa dire, ma gli chiedo: «Desidera qualcosa?»
— Sí, vorrei risolvere con lei un problema. — Con il sorriso inespressivo continuò, dicendomi: «Vede il mio sentimento per il nostro Art, mi porta ha credere che non possiamo piú aspettare.» Io risposi: «Io non cerco nulla, certo non capisco ma io non cerco nulla.» «Ti sbagli sai, non hai fatto altro che cercare fino ad ora. Ma non parliamo di te, pensiamo al nostro caro Art.» «Ma, io sono Art e non capisco casa dovrei pensare di me stesso.» «Non dica sciocchezze, io conosco molto bene Art; ma chi è lei che si spaccia per lui?! Non avrà mica pensato che io le credessi, dicendomi, così, di essere Art! Io conosco molto bene la famiglia di Art e mai e poi mai lo lascerebbero parlare come parla lei. Per favore ora la finisca con questi giochi e ascolti quello che ho da dirle. Dunque le dicevo che io ho bisogno di lei per un favore, si tratta di un favore molto delicato.» «Aspetti, prima che lei mi chieda qualcosa, le chiedo io un favore. Cerco degli occhiali che mi permettano di vedere, bene! quello che sta accadendo lí, tra quelle immagini, voglio vedere chi è quello che si trova nel centro.» «Ma che sciocco ma davvero non sa chi è quello? non mi prenda in giro!» «Lei mi offende, m’importuna per la strada, pretende da me che lo aiuti in non so quale favore, non mi riconosce e per di piú mi viene a dire che non sono chi io sono; ora dovrei anche sapere ciò che non so. Non capisco perché continuo a parlare con lei, non mi è di nessuno scopo, questa è tutta superfetazione.
“Cosa succede perché tutto questo mi allontana da me, non riesco piú a comprendere, non capisco, chi mi ha messo qui, in che posto sono?
Lei che sta parlando con me non può esistere, ed io, io esisto? Tutto questo non è forse niente altro che una storia scritta. Perché io devo assumere su di me il compito di una ricerca che appartiene a chi mi scrive. Ma chi in realtà sta scrivendo?”»
«Mi scusi non avevo capito la sua angustia, ma vede a me è proprio lui che mi manda, lui le sta chiedendo di aiutarmi, perché lei può!» «Io! io, ma come posso non ho forse incontrato la sua illusione, io. Potrei dire tutto solo con le parole e questo mi umilia, lui in realtà non sa che io aumenterò il suo dubbio, io lo getterò ancor di piú nell’incomunicabilità dell’essere. Dicevo che io posso dir tutto solo con le parole e questo mi umilia, in realtà questo non è proprio esatto, io non posso essere umiliato da ciò che mi dà esistenza, io in realtà sono il senso di qualcosa di piú profondo che appartiene a lui. Sono un suo limite con cui lui dialoga e certe volte lotta; lui ancora non si è accorto, non ha ben compreso, ma forse sí, lo stesso però non può non provare, non tentare ed io con lui, di vedere mostrando; proprio in questo si realizza l’esistenza, tutto il suo mutarsi.»
«Ma ascolti l’aiuto che le chiede è quello di non rinunciare a vivere nei suoi atti creativi, di aiutarlo finché è per lui possibile sostenerla nella sua ricerca, naturalmente se lei ritiene d’esistere.»
«Vede io non ho nessun motivo per negare la mia partecipazione, la mia esistenza non dipende da me, se non nel limite di ciò che lui può essere nel confrontarsi con me.
Io forse sono ciò che lui crede di capire, sono un suo linguaggio che fugge nell’impossibilità di esprimere la realtà della sua esistenza; ognùno può darmi un senso, ognùno che interpreta questi simboli senza l’armonia tra l’oggettività del mondo e la propria soggettività. Io non posso riuscire ad esprimere l’indicibile che lui vuole da me; in realtà io simbolo, appartengo a quel mondo di comunicazione che cessa in quel che l’uomo vive ma non può comunicare. Ma da esso scaturisco, dal bisogno che lui ha di comunicare la realtà, mi chiamo Art per questo, sono un atto di fede.»
« Non le chiederò piú nulla, credo che lei abbia ancora un cammino da svolgere, ma comunque voglio dirle che il suo aiuto è stato utile; tenga questa bustina, contiene — la polvere, — quando vorrà vedere chi è al centro di quelle immagini la disperda nell’aria. Arrivederci e grazie! »
Torno a guardare quelle danze, ascolto quei suoni, ma ripenso a quell’uomo che ora non vedo piú. Mi ritrovo in mano quella bustina, non so aprirla, aspettare ma, ma poi la strappo e disperdo la polvere nell’aria. Vedo tra quelle strane immagini un uomo immerso “ in recipienti ” pieni di acqua evaporizzante. Il recipiente è trasparente l’uomo nudo. Vedergli le spalle ascoltare il suo ridere, ridere di strano spavento, forte sempre piú forte. Due di quelle strane immagini si avvicinano “ai recipienti del suo recipiente.” — L’uomo. — Trascinano due grossi sacchi, ne versano il contenuto nel recipiente di quell’uomo — soda caustica, — l’acqua si agita ed enormi nuvole di acido, si gonfiano, si estendono, si espandono, riempiono di sé l'aria circostante. Ride l’uomo, ride sempre piú forte. Scompaiono quelle strane immagini, la musica cessa. Nell’aria riecheggiano le risa di quell’uomo: divorato corroso, dall’acidità, esogena forse.
Improvvisamente le spalle si mutano nel suo viso, — lo vedo — mi assale l’ansia; quell'uomo ormai distrutto, immerso nell’acido, con il mio vólto.
Fuggo scappo inizio a correre, lungo quella strada, corro finché le gambe non cedono alla stanchezza e respiro il profumo della terra l’ansia della disperazione; piango e le gocce del mio pianto nutrono la solitudine, così ignara ancora al mio comprendere. Ascolto il mio respiro e su di esso concentro la mia ipotetica imperturbabilità, il mio ritornare.
Guardo guardo, ma non vedo niente altro che la strada e le sue case. Cosa resta altro da fare se non alzarsi e continuare a camminare, proseguire il mio viaggio senza meta, giacché la mia meta è solo sentita, sentita, esiste, ma nel momento non mi resta altro che trovare; vivere trovando, scoprendo i pezzi che mi aiutano a riflettere, il coraggio di pensare.
Mi sento un abbozzo ma ogni cosa dell’esistenza è tale. Qui non riesco piú a vivere la notte e d’ogni cambiamento. Vivo il mito, ma neanche lo ricordo bene, sfugge con la mancanza di ogni riferimento.
Mi accorgo di avere dimenticato e che ogni agire non è neanche dire: Mi ricordo che era...
Il dimenticare è così profondo che è l'artefice di tutto l’agire e l’agire è forse il ritorno per non dovere piú ricordare. Ma quale agire perseguire, come sapere di non sbagliare. Brancolare nel buio, sarebbe già qualcosa, se si conoscesse il buio. Abbiamo dato un nome a tutto e con i nomi io stesso posso esistere. Io stesso che sono creato da lui che mi scrive, sono un nome: Art, ma la realtà del mio nome è il senso del cammino dell’uomo nella ricerca di scoprire nomi nuovi, che siano sempre piú vicini al mondo senza nomi. Sono l’impossibile visione di ciò che non è visibile; forse solo chi riesce a non vedermi nel guardarmi, riesce a capirmi; mi compio realmente nel limite del percepire e immagino di esistere in ogni respiro che si ascolti. Devo proseguire il mio viaggio!
Trovo i miei piedi che si muovono lungo quel tragitto su quell’asfalto scuro; trovo il mio corpo che respira e tutto si ripete, si ripete, si ripete.
Chino lo sguardo sulla strada e la vedo stingersi schiarirsi, sempre di piú con filologica progressiva. Ora è bianca di un bianco candido, sembra tutto piú leggero. Mi accorgo però che questo bianco candido è rotto dall’impronta delle mie scarpe; le tolgo nervosamente, ma i miei piedi lasciano ugualmente la loro impronta sulla strada bianca di cui ormai mi senti prigioniero.
Incomincio a correre, corro con la disperazione, l’angoscia che l’ineluttabile accadrà, mi sento l’ansia di non sapere e respiro la paura.
Vedo che qualcuno mi corre incontro, mi è vicino e si ferma davanti a me, mi dice: «Dove va? dove corre? non vada avanti fugga da qui!»
«Fuggire, ma come posso fuggire dalla fuga, come posso capire cosa sia il mio muovermi?
Piú fuggo e meno so cosa sia, non vi è la possibilità di altre realtà, solo illusioni sono, illusioni nelle illusioni, come scatole magiche, l’una dentro l’altra. Viviamo sempre nella realtà. La nostra illusione consiste nel non volere, non riuscire, per l’immensa paura che ancora non ricordo ad accettarne il vero significato. Ma in realtà tutto si perde nella similitudine, tutto acquista un senso nel senso, la paura dell’ipotesi. Il tempo del mondo non è altro che il nostro elenco delle cose, il pensiero nuovo per capire il nostro dialogo.»
«Non so cosa dirle, sente queste urla, se proseguirà le incontrerà presto. Forse tutto a un senso, addio!»
Vado incontro a queste urla, le sento sempre piú vicine, — le vedo. —
Quattro uomini ed una ragazzina di tredici anni. Gli uomini non hanno la testa e la donna al posto della testa ha una grossa bocca. Tre dei quattro uomini prendono la ragazzina, la mettono supina a terra, due di loro le divaricano gli arti inferiori, affondano le mani sulle cosce bianche e morbide, leccandola. L’altro la tiene ferma per le braccia, mentre il quarto uomo incomincia a infilare il pene dalla forma acquisita nella vagina arida della giovane vergine. Ogni volta cambiando la loro posizione gli uomini... e a turno penetrano la ragazzina.
La grande bocca, urla, urla, la ragazzina espelle dalla sua testa di bocca strazianti gridi d’impotenza a quella violenza.
Io sono fermo, le mie gambe sono come il marmo e osservo. Loro ogni tanto mi guardano, ma fanno finta d’ignorarmi.
Soddisfatti i propri piaceri gli uomini se ne vanno, lasciano la ragazzina da quella enorme bocca stesa sulla strada, bagnata dal suo sangue.
Tutto è immerso nel silenzio, lei è svenuta ed io sono bloccato, fermo ad osservarla. Non mi sono mosso, sono rimasto fermo mentre tutto accadeva, ineluttabile. Lei volta la sua testa di bocca verso di me; io guardo lei, il suo corpo il rosso del suo sangue sulla strada bianca; non so se ha ripreso i sensi o il movimento della sua testa è legato ad un sogno. Mi parla: «Tu non hai avuto il tempo, sei ancora negli inganni della memoria.» Tira su il suo busto, rimane seduta sulla strada, si passa una mano tra le cosce, sulla vagina, la ritrae serra le gambe le unisce e porta i ginocchi all’altezza del suo mento e le abbraccia. Seduta così, rannicchiata come per riunire in sé la sua esistenza, continua a parlarmi: «Tu non hai avuto ancora tempo, tu non ci sei è per questo che ancora tu non partecipi, sei ancora in attesa, solo e non capisci la solitudine. Io forse sono una violenza, un urlo disperato dei soprusi subiti, la lotta verso l’equilibrio della libertà o un inganno soltanto. Non mi ricordo ho perso il senso della mia esistenza nella sua impossibilità è per questo che non posso dirti bene chi io sia. Mi ricordo di un limite a cui appartenevo, quello della dignità e del rispetto; pensavo fosse tutto nella libertà dell’uomo, l’assoluto! e questo è stato il mio inganno maggiore, ho creduto di avere scoperto la soluzione, ma mi sono persa nel capire come dovesse funzionare. Io sono la vittima la mia vittima. Ti ho detto che tu sei solo e ancora non capisci la solitudine, in realtà neanche io, so solo ciò che una volta ascoltai dal mio Silenzio.
“Cara amica
amica di tutti i giorni
Amica dei pensieri che si ritrovano nella felicità
quando sembri non esistere
e amica nei giorni malinconici e tristi
Tu sei sempre l’amica per poter capire
Mi hai ascoltato ogni volta
che il mio pensiero parlava
Tu amica che mi sei stata al fianco
tra la folla cieca e sorda
Cara amica
che mi hai fatto capire e ascoltare
le parole della terra
Un tempo io non sapevo e non capivo
e in esso io non ti conoscevo
Mi eri ignota come amica come io ero ignoto a me Fuggivo dal tempo e mi ritrovavo solo, senza di te
Mi pensavo senza avere il coraggio di pensarti
mi parlavo senza parlarti
ero assurdo
Io dovevo essere l’artefice della comprensione
invece ne ero la confusione
Ora chi mi trova gioisce di me
perché trova te in me
Ti ringrazio di non avermi mai lasciato
Cara amica che non conosci tradimento
ti ringrazio e saluto
Ti saluto amica Solitudine.”
Questo mi ha detto il Silenzio, l’unico che io riesca ad ascoltare.
E tu che mi hai guardato non dire niente io non posso udire, io non vedo. So che ci sei perché percepisco l’ansia e la paura così profonde nella tua anima, che le ritrovo nella mia, la stessa ansia e paura che ci accomuna in tutto l’esistente, siamo uguali in questo. Continua il tuo viaggio. Ora chiudi gli occhi e poi aprili e tutto sarà trascorso.»
Chiudo gli occhi e li riapro, tutto è trascorso. La ragazzina il suo sangue, gli uomini non ci sono piú. Non so capire questo accadere; nella mia memoria tutto è registrato, ma quel che ho visto sembra essere stata un’illusione. Le ultime parole che ho ascoltato, che lei mi ha detto sono state: Continua il tuo viaggio. Questa è l'unica cosa da fare, ciò che è accaduto è accaduto, io non posso fare altro che prenderne atto senza giudicare.
Continuo il mio viaggio, ma per dove? anche a questa domanda, non so rispondermi, non capisco il perché. Solo ricordandomi di “lui” posso immaginarlo. Forse cerca in me il suo interlocutore, ma non mi parla, fa come tutti gli scrittori, lascia a me il compito di confrontarmi con i suoi dubbi e i suoi pensieri, negandomi anche le sue soluzioni.
Solo, in questa strada dove non ricordo un inizio; forse devo ancora iniziare e mi trovo qui per scoprirlo.
“Faust” cosa ti tormenta? cosa cerchi tramite il mio esserti. Mi hai mandato nel caos per dubitare delle tue certezze per scoprire il perché della paura. Io non conosco il perché, come te viaggio nella comprensione del dubbio. Forse è questo che vuoi è questo che io nel mio linguaggio fatto di simboli vivo: “accettare il dubbio” rinunciare alla paura, per viverla.
— Vorrei che tu dicessi qualcosa, che tu immaginassi un atto creativo che ti permettesse di parlare con me, vorrei che fossi “pazzo” per allontanarti da me, ed essere io una tua entità non da te controllata.
Mi volevi, mi hai chiamato con il mio desiderio di chiamarmi. L’orgoglio torna sempre nei momenti di debolezza, si trasforma in arrogante superbia e si ritrova ad adorare sé stesso.
Tu stesso hai desiderato l’impossibile non essere me, tu che cerchi, che sei la mia Arte: la voce del mondo senza simboli, fórse la voce délla mia Anima. Ma fórse è giusto quésto, cóme tútto quéllo che è inevitabile nel cammino délla propria vita.
Io ho cercato il tuo aiuto, cerco il tuo aiuto aiutandoti ad esistere. Hai detto una vòlta, se ricòrdo bene, che avresti aumentato il mio dubbio, ciò è vero, ma è anche inevitabile; tu stesso hai detto che sei fatto di parole e le parole sono l’espressione di qualcòsa che non ha simboli, tu abbandoni il mio significàto e ne vuoi uno proprio, tuo. Lo hai da chiunque ti legge, ed anche tu Art sfuggi in ogni trasformazione la realtà. La mia essenza ha bisogno di te, ma allo stesso tempo vorrebbe negarti, giacché tu sei la palese espressione délla sua incapacità. Ogni Artista nella sua Arte cerca la voce per comunicare l’incomunicabilità, ma ciò che lo spinge nella sua ricerca è il desiderio incònscio di sentirsi tutt’uno con la propria Anima, senza l’ausilio di nessuna Arte.
La pazzia, la voce dal demone, l’energia che si insinua nei nostri desideri, fino a renderli impossibili da non desiderare; la capacità di essere i demiurghi di sé stessi, ma non saperne cóme; volerlo fino a crederlo. Accade in ogni piú insignificante gesto dell’umanità. Non voglio parlarti di altro, non voglio lasciarti senza domande.
Continua il viaggio!
Continuare il viaggio è quello che tutti mi dicono, chiedono. La tua risposta genera in me altre domande, ma so che da te, ora non le avrò, forse perché sono da scoprire nel proseguo del mio cammino, o forse le vuoi tenere per il tuo di cammino? Chi c’è oltre te?
Guardo dinànzi e nulla muta nella visione dalla stancante retorica che ho nei miei occhi. I passi non mutano la propria direzione, il senso del mio camminare. Mi muovo verso Sud, Nord Est Ovest, non so, la direzione mi è data solo dagli eventi; in essi c’è la mia mobilità, nella capacità che ho di capirli.
Vedo in lontanànza l’immagine indistinta di un essere umano. corro, non corro incontro a quell’essere, che fare? chi è? a poi importanza saperlo, lui mi avrà visto? vorrà sapere chi sono? Forse non è niente altro che uno degli strani esseri di questa strada?!
È davanti a me a pochi metri di distanza, posso vederla: è una Donna.
La guardo negli occhi, così tristi e profondi, occhi di chi conosce bene la gioia e per essa lotta nella propria esistenza, ha le labbra calde e piene di armonia con le linee della vita. Anche lei mi guarda, che penserà?
Il momento trascorre, pieno di un materiale silenzio. Lei mi viene piú vicina, mi guarda e sorride, e mi dice:
«Anche tu qui?»
«Sí anche io.»
Perché questa domanda, perché mi parla così?!
«Non sorprenderti, di me, di come ti parlo ti aspettavo ero sicura di incontrarti, forse ci cercavamo; ma qui non sentiamo nulla di sicuro, nulla che ci appartiene, che ci ricordi cosa siamo che siamo. Tutto ci spinge a ricomporre il puzzle dell’agire inconsulto che ci ha fatto disperdere, dimenticare.»
«Tu mi ricordi un tempo in cui i respiri, i miei respiri conciliavano i miei ricordi. Con te mi accorgo che parlare è così bello, con te la parola perde l’obbligo di dovere spiegare inevitabilmente tutto; mi sento profondamente legato a te quando è necessario per capirsi il solo silenzio. Mi sento quieto e tranquillo giacché so di essere ciò che tu sei.»
«Io mi chiamo Anima, sono qui da molto tempo o forse solo da ora; sono in ricerca della mia voce, alcune volte mi sembra di trovarla, ma in ogni uomo riesco a viverci e dimentico il mio affanno. Cerco di dimenticare ma tutto torna di nuovo, ogni volta, ogni volta io respiro la sua dimenticanza. Vivo le sue angustie, ma non posso dirgli niente. Io appartengo alla sua certezza ma lui non può saperlo; sente il mio respiro come il suo respiro, ma non può fare molto. Cerca sé stesso e si accorge di non trovarmi, può solo credere. Io sono qui per continuare il viaggio, il tuo viaggio. Sono solo una Donna, forse, il caso ha voluto il mio nome.»
Art — Tu come ti trovi qui, in questa strana dimensione?
Anima — Come mi trovo qui? non so, non so come mi trovo qui, ma immagino che il motivo del “perché” sono qui è uguale al tuo.
Art — Io? ma io non lo so e non immagino nessuna motivazione per essere in questa dimensione, così, senza senso.
Anima — Senza senso?! ma hai mai cercato di capire, scoprire il perché ti trovi qui? non hai ancora capito che c’è una ragione , io credo precisa per cui noi ci troviamo in questa normalissima dimensione.
Art — Tu mi fai notare e mi parli di questo stato come della realtà. La realtà, quante volte sento dire la realtà. Ho il desiderio di dire la mia sulla realtà, ma servirebbe?! cosa ho da aggiungere a quello che già si sa, a quello che le filosofie il pensiero ha già espresso. “La realtà è chiudere gli occhi e dimenticare, aprirli e ricordare quel che si è dimenticato.” Io non ho mai pensato a questa dimensione come reale, io non riesco a pensarla, sono troppe le cose che mi sfuggono, sono confuso, ho voglia di vivere l’esperienza che avviene qui con te, ora che ti ho incontrata, senza perché, viverla!
Anima — Tu non sai che molti inviluppano e si espellono da qui, molte volte tra i loro due inizi della vita.
Art — Ma perché tutto ciò, che senso ha sentirsi così inconsciamente legati, repressi; voler fuggire, ma essere trattenuti, da un bisogno che in fondo ci appartiene, l’impossibilità di dire basta! I loro due inizi, non ti capisco, sai qualcosa che io ancora non so?
Anima — Apparentemente nessun senso, considerato che sembra di essere nell’irreale, ma quando potremo comprendere questa nostra esistenza, vita, ci accorgeremo di ciò che abbiamo fatto in essa. I due inizi di cui parlo sono: la nascita e la morte.
Art — La nascita, la morte! non conosco queste realtà, io mi vedo come “mai nato” e in questa strada non vedo nessuno inizio. Sembra che io abbia un avversario che mi è indefinito, ma che forza opporgli allora?!
Anima — Ora possiamo aiutarci.
Art — Sí! Ma come, come?!
Anima — Non so ancora come, forse gli eventi, l’esperienza che costruiremo con essi ci aiuterà. Non so immaginarlo ma un modo deve pure esserci.
Forse riuscire a capire è già tutto.
Art — Ciò chi mi importa è che non sono piú solo; ora comprendo la solitudine e la mia amo donarla. Unire le nostre estensioni solinghe è rientrare nell’esistenza, forse.
Proseguiamo a camminare, ci muoviamo lungo quel tappeto di catrame senza nessun motivo apparente. Non parliamo, assorti nei pensieri, assenti negli sguardi. Camminiamo, io all’estremità laterale destra lei su quella sinistra. È molto che muoviamo i nostri corpi, ci sentiamo stanchi. Vòlto il mio viso verso lei, la “guardo e la vedo” nell’altro lato della strada, noto il suo corpo, mi accorgo che è bello. Mi guarda, ci fermiamo, attraversiamo la strada con i nostri sguardi, mi siedo in terra e appoggio la schiena sul muro delle case. Lei dal suo lato della strada mi guarda è in piedi con le spalle appoggiate al muro delle case. È tutto pieno di silenzio e dei nostri respiri. Anima risoluta attraversa la strada, si siede vicino a me e mi guarda; io affondo i miei occhi nei suoi e in questa emozione ho voglia di sfiorarle le labbra con le mie, ma mi trattengo e non so perché. Parlo.
Art — Tutto mi sembra cambiato, tutto piú incerto e nuovo, meno mi opprime e già immagino che una possibilità per risolvere questa circostanziata dimensione sia piú vicina, reale.
Anima — Può darsi, che nell’indefinito compito dei nostri ricordi ci sia la “realtà”; sospesa in un limbo un dirsi diverso, che noi invano costruiamo nella nostra ipotesi, nell’irreale analogia.
Art — Ricordare, sempre questo il dilemma, ricordare ciò che non si ricorda di aver dimenticato. Ogni accadere ci riporta sempre allo stesso punto di partenza. Tutto ci appare diverso, in perenne trasformazione, ma in fondo il senso profondo del nostro agire, la causa perenne è il nostro oblio.
Anima — Quale difficoltà può riporsi in esso, quale soluzione trovare in noi, quale prova ricordarsi. Provarci.
Art — Sono pochi i confronti e insoliti anche, solo io e te e questa strada. Sperare soltanto nell’accadere, negli avvenimenti che qui si generano, sperare nella nostra capacità, possibilità di capire. Alcune volte ricordo dei nomi, ma non so se siano dei nomi, non riesco a capire a cosa si riferiscono, nomi come: animale, natura ateo-fede; mi ricordano un po’ quelle parole che hai pronunciato tu: Nascita, morte, provo la stessa sensazione di appartenenza ad esse, ma perché?
Anima — Tutto è parte dell’oblio che genera senza essere conosciuto, noi siamo solo un suo movimento fino a quando dall’oblio torniamo a conoscerci.
Art — “Lui” ci ha privato della sua stessa conoscenza, narra le nostre storie e nega anche ciò che ricorda; siamo l’esperimento di sé stesso.
Senza dire nulla ci alziamo e cominciamo a camminare, siamo vicini e ad ogni passo i nostri corpi si sfiorano. Il viso di Anima è pallido e immagino il mio in un vago ricordo. Siamo stanchi con la voglia di dormire che ci sconfigge in un sonno profondo: distesi in terra i nostri corpi abbracciati.
Dopo molto spazio temporale rimembriamo dal sonno, nulla è cambiato, la stessa strada le stesse case.
Riprendiamo a camminare in questo ignoto, tenendoci per mano, la guardo e le chiedo: Come ti senti?
Anima mi guarda per qualche istante negli occhi e non dice nulla. Non serve parlare, sembra che la comprensione trascenda le parole.
— Proseguiamo in silenzio per un lungo spazio con la sofferenza che crea in noi una presenza costante e forte e con essa vengono a noi i primi coscienti dilemmi. Guardo Anima che ha rivolto lo sguardo ad una di quelle case.
Anima — Guarda!
Art — Dove, cosa!?
Anima — Lí lí lí, lí! sulle pareti di quella casa.
Art — Sí, cos’è! corri andiamo a vedere.
Ci avviciniamo increduli e curiosi al muro di quella casa, guardiamo la scritta; Anima distende la sua mano e la tocca ma con un gesto rapido e pieno di paura, la tira indietro, mi guarda e vedo il suo viso sgomento, un misto di sorpresa e terrore.
Anima — È caldo ho toccato qualcosa di vivo. È sangue è sangue!!!! quello che è scritto qui è scritto con il sangue.
Vòlto lo sguardo verso la frase e incomincio a leggerla:
— Di fronte alle sofferenze del mondo tu puoi tirarti indietro, sí, questo è qualcosa che sei libero di fare e che si accorda con la tua natura, ma precisamente questo tirarti indietro è l’unica sofferenza che potresti evitare.
Franz Kafka
Rimaniamo lí a contemplare quella frase e la rileggiamo tantissime volte, fino a quando in noi non si crea la modificazione che ci aiuta a comprenderla.
Sí, si modifica qualcosa in noi, intuiamo che la sofferenza di cui parla la frase è la nostra sofferenza e che se noi la consideriamo, non la causa ma un sintomo, la voce di una “realtà” piú profonda — accettandola per capirla — allora è la chiave di molte porte.
Riprendiamo a percorrere la strada, ma ci accorgiamo che qualcosa è cambiato. La strada, le case, che sono così incomprensibili ora incominciano ad assumere un aspetto diverso, non so come definirlo, ancora è tutto così confuso così “incònscio”.
Noi abbiamo liberato la nostra sofferenza e dicotomie sempre piú aitanti si abbattono sul nostro essere. Gettano i nostri corpi le nostre anime, contro muri che sembrano invalicabili. In questi momenti capisco ciò che unisce me ad Anima, è la disperazione. So che è poco, ma non può essere altrimenti, siamo due esseri ancora senza noi stessi e forse in ciò è la nostra disperazione.
Intanto i nostri piedi continuano ad andare l’uno dinànzi all’altro. Proseguiamo così, senza dire nulla perché non vi è nulla che io so, che Anima già non sappia. Camminiamo da anni, giorno forse mesi o minuti.
— Voi! venite qui dove state andando, in quali luoghi volete giungere?! venite qui da me parlatene con me.
La voce proviene attraverso la porta aperta di una di quelle case, a parlare è un uomo. Io ed Anima ci avviciniamo.
— Prego entrate, entrate nella mia stupefacente casa. Mi presento, io sono la realtà virtuale. Volevo parlare con voi, esprimervi dei concetti, enuclearli dal contesto morfologico della vostra condizione.
Entriamo nella casa, ma ci troviamo immersi in un rumore di suoni, in una città. Vediamo uomini che si “muovono,” non riusciamo però a capire perché.
— Si siedano qui, prego.
Ci sediamo intorno ad un tavolo, nel mezzo di una strada di traffico automobilistico. L’uomo parla a noi , ma urla per farsi sentire.
— Certo tutto è diverso e al contempo uguale e cosa si vuole fare? lo sappiamo nel gergo dell’illusione cosa si vuol fare. Mi dicono che io appartengo a me stesso, io non appartengo a nessuno il mio linguaggio non mi esplícita e chi mi ha mi vuole. Ieri mi hanno aspettato tra le nuvole e oggi sotto terre. Il potere, il potere mi vuole, brama la mia opulènza. Io per il potere posso risolvere ogni problema di ergonomia esistenziale; alcune volte penso di essere io stesso il potere, il sopruso in qualsiasi uomo. Tutti mi accettano come vero e solo pochi ricordano che io sono la realtà virtuale. Oltraggióso è per loro riconoscere la propria relatività a tutto quello che essi sono come realtà. Hanno bisógno di me, mi hanno creato inventato, in effetti solo scoperto, giacché scoprire è l'unica capacità che possono avere, semplicemente lasciando il loro desiderio per quel che è cieco. Desiderare di desiderare, ma non sapere cosa. Così il desiderio si appropria di se stesso e si genera senza nessuna memoria, di uno smemorato uomo. Per l’uomo negarlo è lo stesso che immaginare il nulla, l’inconcepibile per la sua mente che lo anela e la mente stessa che lo nega. Alcuni ne hanno fatto un movente esistenziale; dicono che il superamento di ogni desiderio è l’abbandono di ogni arroganza per cui soffre l’uomo; superarlo annientando ogni desiderio di desiderare. In costoro scopro un desiderio sottile, oserei dire superiore, ma pur sempre desiderare è. Do atto a loro che si liberano dei molti desideri per rimanere con l’essenziale, un unico desiderio. Con esso possono confrontarsi nei propri limiti e forse riuscire ad accettarli, è vero loro mi sfúggono, come altri, alcuni ancora piú pericolosi. C’è chi vuole la propria soggettività diluita nell’oggettività di un esistere globale, accettando tutto, anche ogni desiderio ma nessuno specifico. Prendendo l’esistere nella sua mutabilità per scoprirsi deboli o forti nei suoi confronti, ma quel che mi stupisce, pur sempre uguali, non condannabili dal loro ente “sé stessi.” Mi è confusa questa idea come le altre e dovrei parlare ancora molto per capire.
Quel che volevo dirvi è che forse c’è una possibilità per eludermi, ma mi appare così sperimentale e così pochi i capaci di attuarla. Anche se in questi ultimi tempi ci sono delle strane fughe, delle osmosi in apparenza impossibili. Io realtà virtuale non ho le profondità fideistiche, ma solo l’opportunismo egoista del potere che mi genera in chi mi vuole, sí. Ma torniamo al mio discorso a quello che volevo dirvi, forse nelle mie divagazioni avete già intuito, percepito qualcosa, vero, sii, vero! L’uomo da sempre nella sua incapacità nel comprendere, nel sapere il tutto, si rifugia, per placare la sua paura nella mia realtà, io sono spesso la sua certezza. Io ho la possibilità di fargli credere quel che lui vuole credere. Certi, che chiamano scienziati scoprono qualcosina e con questo qualcosina, costruiscono una realtà indiziaria, fatta di logica marginale all’esistere. Ma è così scarsa, piccola la loro conoscenza che pensano che sia vera; riducono tutta la realtà a quel che loro sanno. Nel riproducibile è il loro sapere. Il riproducibile è possibile nel micro-cosmo, nell’agire nella piccola marginalità rispetto al tutto, di un tutto che si trasforma irreversibilmente. Ogni riproducibilità è un passo nell’irreversibilità. Come capite bene tutto si illude, l’unica realtà sono io, ma non so perché continuo a divagare.
Anima — Ci avete parlato della realtà, solo accennandoci ad alcuni suoi aspetti, troppo superficialmente e non ho ben capito il vostro ruolo nella realtà. Ci propiziate solo degli accenni di risposte ben piú complesse? ci ingannate! le vostre risposte non sono altro che domande.
— Non mi avete ben compreso, io non debbo dare risposte, io sono le risposte, vivo nei desideri, non lo avete ancora capito e sono l’illusione che ognùno si dà di averli realizzati. Io non ho il compito di far fare quello che un uomo vuole, ammesso che lo sappia, ma di farglielo semplicemente credere. Ma come pensate che si governi il potere ora. L’uomo ha bisogno di certezze e ha il coraggio di trovarle nell’illusione di credere che le sue lo siano. Io gli do questa tranquillità, con me può dimenticare la sua vera condizione di perenne incertezza, la sua paura, ma non fatemi dare risposte, non è il mio compito, devo solo dare l’illusione di esse. Spero che siate riusciti, anche nell’incomplétezza di questa illusione a capire che io sono l’unica realtà di cui l’uomo può disporre.
Art — Perché?
— Andatevene, fuori dalla mia casa, voi credete ancora nelle domande, cercate solo risposte e non volete accettare me, illusi!
Usciamo, siamo sulla strada, nulla è cambiato nella sua scenografia.
Anima — Siamo qui, in un posto immerso in se stesso, ne usciamo per mondi ancora piú inconsueti. Ha una fine questa dimensione e l’inizio, dov’è? Che la sua fine sia proprio l’inizio?!
Ascolto Anima che mi sta parlando, ma sono assorto per un istante in mie riflessioni. Penso a ciò che è successo e dentro di me mi accorgo, che il dove il quando di questa storia sono in grado io, forse, di stabilirlo. Se ciò è vero, in tutto questo accadere, io devo riuscire a capire me stesso, prima di ogni altra cosa. Con me capire tutto ciò e chiunque vive. Uscire da me, osservarmi, sedermi al mio fianco ignorandomi. Guardo me e mi conosco come un estraneo, rendermi reale come il mio stesso ricordo, pensare e capire il perché di ogni pensiero. Riuscire a guardarsi è anche scoprire il limite di ogni “realtà oggettiva,” è guardarsi nell’impossibilità di scrutare la profondità di un’antitesi inimmaginabile, un’oggettività autentica, oltre il proprio esistere. Fermarsi a questo limite e provare a differenziarsi in esso è l’unica possibilità, per stabilire un confronto in sé stessi. Anche se la marginalità dell’agire umano in ogni aspetto dell’esistere, evidenzia se stessa, il limite forse.
Anima — A cosa stai pensando?
Art — Nulla che tu già non sappia, mettevo insieme alcune deduzioni.
Anima — Prova a dirmele!
Art — Non saprei come spiegartele; io quando penso vedo delle immagini che collego a delle parole, se io ti spiegassi il mio pensare, tu saresti in grado di afferrarne solo le parole, allora io dovrei spiegarti anche le immagini e…
Anima — Prova a scriverle, immagina di dovermele spiegare scrivendomi.
Art — Io sono già scritto, ma non sono scritto per spiegare a chi mi legge qualcosa, ma affinché io, possa leggermi. In questa storia non do spiegazioni dettagliate, esaurienti, vi deposito semplicemente delle parole, pezzi di puzzle qua e là che ricostruíscono immagini e pensieri nella mia mente. Non mi pongo il problema di essere chiaro o astruso, cerco solo di sapermi leggere. Anche questo come l’esistenza esprime la marginalità, la parte visibile di una dimensione piú àmpia. Lascio solo le parole per immaginare, in fondo non è questo il compito della parola. Che poi ognùno immagini come vuole; anche se la speranza di chi scrive, non la mia in questa storia, è di scoprire con la sua ricerca l’immagine di un sogno comune a tutti. Le parole hanno un peso una valenza profonda, spiegarle significa abbandonarle, rinnegarle. Sono simboli e i simboli possiamo solo sostituirli con altri simboli, non riusciamo a comunicare senza di essi, ne siamo prigionieri, ma esprimono anche la nostra libertà la nostra voglia di cambiamento, se usati come sintomo di ricerca.
Anima — Ma tu, non sei il re dei simboli? non puoi avere questo pensiero di conflittualità con essi, sei l’espressione, forse la mia voce. Chi ti scrive parla di me con te. Lui è quello che cerca me attraverso te. Cerca di rendermi visibile, l’arte è la sua preghiera. Ma non può, sente la mia esistenza e non riesce a dimostrarla. Con te lui si sente piú vicino e alcune volte, in rari momenti in attimi di sfuggente perfezione lui riesce a sentirmi a capire che esisto. In un momento come questo tu hai potuto sentire la conflittualità, la sua conflittualità. Prima d’ora mai sei stato lui e lui te come in questo momento.
Art — Mi sento confuso, mi sento inutile nelle parole io voglio sentire con te, non avere bisogno di simboli, ma sentire; spegnere ogni racconto e ogni storia, voglio vivere le cose senza raccontarle e gli altri mi siano spettatori se lo vogliono. Vorrei uscire da qui, da questa storia e da queste parole. Sono confuso, tu mi dici che quello che provo io in questo momento è ciò che lui sente, ma allora chi sono io cosa sono io? In questo momento mi sento una dimensione parallela alla sua. Forse è vero vivo i suoi dubbi le sue angosce, lui è la mia realtà oggettiva, ciò che mi permette di vedermi e io sono la sua. Guardarci nei propri tormenti e nelle proprie ricerche, scoprirci disperati da un’arroganza: non volere accettare, forse, l’impossibilità che si palesa nell’esistenza di tutto. Umiltà, per riuscire ad accettare ciò che in noi stessi ci fa paura, perché ci toglie quelle sicurezze che in apparenza ci tranquillizzano. Scoprirsi ogni volta e viverci dentro. Ora so che mi attende una dura prova con quello che dentro di me si è accumulato nel susseguirsi dei respiri.
Anima — Ci attende!
Art — È vero, siamo nella stessa situazione, affrontiamo insieme i nostri “istinti culturali”. Già vedo nell’immaginazione la crisi per uscire dai condizionamenti e vincere la nostra alienazione.
Riprendiamo a camminare con il nostro silenzio, sulla strada dal suo consueto aspetto. Tutto è immobile fermo nella sua immutata prosecuzióne, all’improvviso come dal nulla come dal nulla, compare una specchio e come un muro invalicabile chiude totalmente dinànzi a noi la strada. Non siamo subito coscienti di ciò che accade, ci troviamo smarriti, perché vediamo due strani esseri: stanchi inespressivi e con il cuore che quasi fuori-esce dal loro petto “in ogni suo battito”. Restiamo attoniti a guardare quelle persone. Sento un urlo, un urlo di disperazione giro il mio sguardo verso quell’urlo, vedo ch’è Anima. Urla come un’ossessa sembra impazzita, poi mi guarda e dice: «Art guarda! guarda, siamo noi quelli che vedi davanti a te, siamo noi!» «È vero, Anima tu hai capito prima di me, quello che io da tempo, “ora non ho piú bisogno di aspettare”. Finalmente siamo di fronte a noi stessi Anima e vediamo non quello che pensiamo di essere, ma bensì quel che siamo realmente. Ci serve solo un po’ di coraggio per affrontarci. Se è possibile guardarci, questo vuol dire che siamo diversi, ora, da come ci vediamo; ci spaventa, lo so, vederci come siamo stati. Ma riuscire a guardare quelle immagini quei noi stessi ci fa capire che ancora esistono solo grazie alla nostra volontà. Possiamo fare due cose, voltarci e tornare indietro dimenticare chi cosa abbiamo visto, ma rimanere in questa strada, dimensione. Però in fondo soffriremo sempre e per sempre lotteremo con una parte di noi, quella parte che non accetta questa scelta; lei non vuole dimenticare e lotta per ricordare, ciò che l’altra nostra parte cercA a tutti i costi di dimenticare. In questa lotta senza né vinti né vincitori si svolgerà la nostra vita se scegliamo di voltarci. In realtà la nostra paura non è per ciò che ora scopriamo di noi; questo è solo un ricordo ritrovato, uno dei tanti lungo il cammino della nostra vita, fatta per ricordarci di quel che abbiamo dimenticato. Ricordo dopo ricordo, fino a l’ultimo, il primo “il ricordo.” È di questo che abbiamo paura, di questo ricordo che non ci dà risposta, di confrontarci con esso e ritrovarci addosso tutto il nostro dubbio, il ricordo della morte. In ogni ricordo che noi ritroviamo scopriamo un po’ di noi, ed ogni volta siamo piú vicini a cosa siamo realmente. Ci fa paura scoprire la nostra paura e allora ci inventiamo strane certezze, fantasmi a cui diamo un nome e con tale nome crediamo di renderli reali. Troppe parole che rivelano ancora quel che non ho chiaro in me. Dammi la mano Anima, adesso corri con me, piú che puoi!»
Corriamo incontro a quello specchio, incontro a quegli esseri che vi si raffigurano.
« Art!»
«Salta!»
Saltiamo, ci gettiamo contro quello specchio con i nostri corpi, cede lo attraversiamo, con la nostra paura che non esiste piú. Subito, oltre lo specchio siamo investiti da un flusso violento di abreazioni, scossi profondamente nella nostra emotività, sentiamo scorrere nelle vene il sangue, avvertiamo la carezza dell’aria sulla pelle e per la prima volta sopra a quella strada, sopra quelle case vediamo un cielo azzurro e infinito. Sentiamo il gusto di quel che ci accade e capiamo che ciò che stiamo assaporando, con i nostri sensi le nostre emozioni e i nostri sentimenti ritrovati è la “libertà” il primo bacio che la “libertà” ci dà. Siamo felici, per la prima volta in questo modo, inconsueto.
Superiamo il disorientamento, l’ebrézza della trasformazione. Ci guardiamo intorno e ci accorgiamo che i muri delle case sono intrisi di frasi, ci avviciniamo per leggerle, con una lettura senza voce una lettura mentale, forse la lettura dei nostri pensieri. Su un muro c’è scritto:
L’AFFERMAZIONE DELL’IO
LANGUIDE COME LE SPERANZE,
TIMIDE COME GLI SGUARDI,
ACCOLGONO QUEGLI SQUARCI UMANI
DOVE LE RECONDITE EMOZIONI SI RIFUGIANO,
ASPETTANDO L’EVOLVERSI DEI PENSIERI
CHE ATTRAVERSO LE INFAUSTE MENTI, COSì FERME
E PRIGIONIERE PER I PROPRI IPOCRITI MOMENTI....
FORSE NON VI È NESSUNO OLTRE LA CORTINA DEI
SENSI
MA UGUALMENTE AMO L’AVULSA SPERANZA
DELLA GENESI
CHE LIBERA DAI FILAMENTI I NOSTRI CORPI
LE NOSTRE ANIME
PER APPRENDERE OLTRE LA FINE
I NOSTRI APOCALITTICI MOMENTI
COSì SUBLIMI E IGNARI DINNANZI AI LORO SGUARDI.
COSA ATTENDERE ANCORA
OLTRE QUESTE EURISTICHE PARVENZE
PARVENZE EMPIRICHE PER UN PICCOLO MONDO
AGNOSTICO.
LE COMUNITA` SI SONO DISSOLTE
E NON RESTA ALTRO DA FARE
CHE COSTRUIRE, FORMARE
CREARE L’UOMO IN SÉ STESSO.
NON ESISTONO REGOLE,
NON ESISTONO SCHEMI IN CUI L’UOMO
PUO’ ESSERE,
MA È L’ESSERE CHE AFFERMA L’UOMO.
Non lascio nessuna firma, sono soltanto un uomo tra gli uomini. Vano sarebbe un nome, non vi si può leggere la mia esistenza, l’esistenza di un altro può solo ipotizzarla. Gradirei essere un gesto umano nell’umanità.
Mah! forse, anche se in un tempo diverso dal nostro, questo uomo è passato in questa strada, ha vissuto le nostre stesse vicende, è appartenuto alla dimensione dell’uomo. Questa dimensione uguale in ognùno di noi, la radice piú intima nei ricordi dimenticati, il respiro piú profondo dell’agire della vita.
Rimango assorto in questi versi, quasi inconsapevole di fronte a ciò che leggo. Intanto Anima ha trovato dei fogli distesi sulla strada, è presa dalla loro lettura, mi avvicino per vedere cosa sono, lei me li porge per farmeli leggere, iniziano così:
Troppe volte si rinuncia hai propri pensieri.
Se i momenti per agire fossero di eguale entità, di quelli per pensare!? Allora si aprirebbero molte porte, ignote e sepolte sotto una coltre di alienazione.
GIORNO, 0-0-0000 ORE 16,56.
Fuori non c’è niente, all’infuori del vago dell’insenso.
Fuori l’uomo serpeggia senza volere credere alla propria coscienza.
Seguire programmi già prefissati, programmati, inseriti nei sistemi di attuazione ingenerativi e astratti.
E per chi cerca un’altra essenza cosa c’è: nulla? noia? follia? astrazione generativa e alienante?
Molte volte quando non si sa cosa fare, si pensa a cose astratte e tremendamente concrete. Ricordi ricordi ricordi, allusioni con la propria esistenza emotiva cozzano piú volte contro quel muro che non riesci a sentire se non al momento della tua coscienza.
Avrei voglia, credo, di qualcosa che non ho, di qualcosa che spero di trovare in ciò che sento nel mio istinto emozionale, estroverso.
Molte volte cerco tra i pensieri, tra i momenti degli altri. Spero di trovare la risposta ad un altro perché geniale e affannoso.
IO e Anima siamo sopraffàtti da così tanti messaggi. Non sappiamo se c’è un ordine per la loro lettura, se sia poi necessario leggerli o no. Leggiamo seguendo la curiosità e il caso, su un altro muro c’è scritto un breve racconto. Anima e io ci avviciniamo al muro le dico: «Leggi a voce alta.» Anima mi guarda mi sorride poi volta il viso verso il muro e inizia a leggere.
IL “tempo” è un po' grigio, ma nonostante ciò sono così felicemente tristi, che io domando a me stesso se io sia pazzo oppure semplicemente fuori dalla realtà, così programmata e condizionata, che le fasce sociali culturali, ipocrite dell’umano non hanno mai deciso di affrontare.
1) Giorgio esce di casa il pomeriggio, vagando con il suo corpo autonomo, per le strade per le piazze, nemmeno lui sa per dove. L’unica certezza che conosce è il suo vagare, con quel suo corpo astratto e ancor piú con la sua anima.
2) Generando, aspetta che qualcuno si accorga della sua presenza è così trasparente che per accorgersi di lui bisogna morire.
"1" disse a "2" — «nelle città non si può piú vivere, se non si vuol far parte degli schemi che ci hanno assegnato prima di poter, noi stessi, individualizzarci.»
2 «Credo che noi dovremmo trovare una nostra dimensione ambientale, nello stesso tempo credere di meno nelle nostre possibilità di apprendimento, credere di meno nelle nostre facoltà di creare pensieri.
L’essenza di vivere agiatamente e senza problemi sta nel fatto che noi riusciamo ad annientàre le nostre facoltà, di cui sopra abbiamo diffusamente parlato. Adempiendo a ciò, noi non solo troviamo il nostro modo di vivere, ma diamo un emblema finale alla nostra vita. O véro riuscire ad annientàre quelle cose che sono la vita stessa.»
1 «È meraviglioso come l’uomo ci sia riuscito.»
Ritrovarci strani, ma curiosi di quel che si è letto. Forse non capire bene, riflettere per chiedersi quel che solo forse s’intuisce.
Corro, corro su questa strada, corro in mezzo a sinistra a destra, attraverso la strada da un lato all’altro tocco i muri delle case le scritte di cui sono intrisi corro corro corro mi fermo al centro della strada allargo le braccia le distendo in fuori giro giro giro su me stesso e tutto mi gira intorno cado le spalle sulla strada la nuca sulla strada e guardo il cielo. Anima è rimasta a guardarmi, corre e mi raggiunge, si disegna nel mio sguardo nell’azzurro del cielo. Sorride e mi guarda, io la guardo dalla mia angolazione alzarsi verso l’alto, distendere tutto il suo corpo nel mio sguardo, le sorrido anche io e la trovo bella. Mi stende la mano, la prendo nella mia e mi aiuta ad alzarmi. Sono di fronte a lei e la guardo negli occhi, l’abbraccio la stringo a me e la sento abbracciarmi.
Il profumo dei suoi capelli il loro contatto sulla mia guancia. È tenue e silenziosa l’emozione impalpabile, come un sogno. Ascolto il suo corpo respirarmi tra le braccia. Tutto si placa tutto è tranquillo. Il mio sguardo nel proseguo della strada, vedo qualcosa, sembra un piccolo pacco appoggiato, lí al centro della strada, dove finiscono le frasi finiscono i fogli. Guardo oltre quel qualcosa lí per terra e mi appare mutato, mutata la strada.
«Cos’è?»
Anima lascia l’abbraccio, solo una mano rimane nella mia. Entrambi guardiamo in direzione di quel qualcosa.
«Cosa?» mi domanda Anima.
«Quella cosa lí in terra.»
«Non so andiamo a vedere, siamo troppo distanti, da qui potrebbe essere qualsiasi cosa.»
Camminiamo e piú ci avviciniamo e piú le ipotesi su quel che può essere cambiano. Siamo vicini molto vicini, ci chiniamo e raccogliamo un pacco di fogli, sul primo foglio c’è scritto:
ELòQUIO
Chiacciere ma non troppo
«Sembra un líbro» la mia voce dice.
« È un líbro, un líbro da leggere.»
«Lo leggiamo ora?»
«Sí, sediamoci lí.»
«Sei sicura di volerlo leggere?»
«Sí, dai qua, inizio io a leggere.»
«Ma chi l’ha scritto?»
«Non c’è scritto è anonimo.»
«Anonimo!»
Un líbro anonimo. Anima inizia a leggere.
(voce fuori scena di Monalisa)
*
Parlare di me attraverso il tenue ricamo di un ricordo. Ricordare la mia immagine che osservo nei miei quotidiano gesti. Vorrei "sentire" sempre il senso accadermi.
È così che mi rammentavo in quel momento, lo stesso di ogni ricordo; per questo ora mi dico quel che mi accadde e che mi sta accadendo. Cerco in me lo spunto che mi permetta di alzarmi in volo; è imminente il precipizio e come un uccello mi sento vicina all'orlo del vuoto. Cerco il pensiero la parola per aprire le mie ali ed abbracciare l'aria di questo mio effemeride guardarmi. Dover dimenticare per vivere il mio ricordo.
Mi guardo allo specchio e mi chiamo "Monalisa".
(Monalisa e Elza nella libreria. Intente a sistemare i libri)
MONALISA
Elza, nei momenti di alcune giornate, guardo fuori, attraverso i miei sogni. Oltre la vetrina tutto si svolge come sempre, ma io rimango ad osservare nell'attesa di cogliere uno sguardo, un gesto, qualcosa che sia fermo nel tempo: la stabilità di un attimo, cogliere questo momento inafferrabile nella vita degli altri, mi ricorda la mia speranza. Vedere quel muoversi, la mia ricerca di un attimo… mi porta via nei pensieri. Guardo fuori attraverso i miei sogni ad occhi aperti e mi accorgo che sto desiderando ciò che ricordo. In realtà i miei sogni non sono altro che ricordi, forse emozioni costruite nel mio vivere. Sogno accadimenti nuovi, ma per rivivere le emozioni già vissute. E se tutta la nostra vita non fosse altro che la ricerca delle emozioni, la riscoperta di quelle emozioni, perse nell'intimità più profonda dell'essere umano?
ELZA
Monalisa sono le sette di sera, ovvero le diciannove nelle ventiquattro ore della giornata, abbiamo ancora uno scatolone di "amici" da sistemare ed io vorrei andarmene non oltre l'ora di chiusura. Cerca di tornare sulla terra!
MONALISA
Esci con Lucio, stasera?
ELZA
E già!…
MONALISA
E dove ti porta? in quale parte della tua realtà. Scommetto…
ELZA (garbatamente scocciata)
Lo so! lo so! che vuoi dire, che si atteggia troppo che getta il suo denaro in faccia agli altri per dimostrarsi superiore. Che non è niente altro che un orologio, la macchina, ecc. ecc. Forse è vero ma mi sento sicura vicina a lui, sembra non aver bisogno di nessuno, questo mi dà sicurezza e poi è così bello!
MONALISA
Beati i vent'anni, mi fai sentire una matusa a parlarti in questo modo Elza. Tu hai bisogno di sicurezze, che nessuno può darti e ti trovi così a disagio nel cercarle dentro te stessa. Hai così voglia di vivere che fermarti a riflettere è una perdita di tempo per te, sei piena di energia empirica e sai che vorrei che tutta, questa energia, tu abbia la fortuna di trasformarla in gioia. È giusto che tu viva come vivi, ma se qualche volta tu ti fermassi con un mio "amico" lui sarebbe ben lieto di diventare anche tuo "amico" e forse scopriresti che ti potrebbe anche aiutare.
ELZA (sorridendo)
Libri libri e ancora Libri!
MONALISA
Comunque fa' quel che vuoi, non vorrei che sbagliassi con i miei consigli. Lucio, sappi che non è altro uno che gioca a fare l'uomo ed è anche un pessimo attore. È solo un debole che come può nasconde le sue debolezze, negandole persino a se stesso, se fosse un uomo non avrebbe nessuna difficoltà a riconoscere i propri limiti.
ELZA
Come sei bella Monalisa, mi dedichi sempre degli sguardi, attenzioni, accendi dentro di me i tuoi ricordi. Mi vuoi bene e di questo sono felice. Penso spesso a quello che mi dici e rido di gioia quando ti vedo in ciò che mi succede. Sono con gli altri che mi guardano stupiti, mentre io rido durante i loro discorsi, modi, che sembrano seri e mi ricordo di quel che mi hai detto. Ed ora è lì davanti a me che sta accadendo, ed io sono felice, felice del tuo amore. Mi sento serena quando tu mi parli. Non sei mia madre, né una sorella e quel che più e bello neanche un'amica. Se avessi scelto Saffo non potrei con te. L'amore che mi lega a te è quello dei sorrisi dei gesti e dei respiri. Alcune volte senza che tu te ne accorga ti guardo, ma non per vedere come ti muovi i tuoi gesti, ma perché ho voglia di un tuo sguardo. Ti guardo per prendere l'attimo in cui i tuoi occhi accolgono me in te e mi sento così vicina, sento la tua gioia la tenerezza di cui sei capace. Come sei bella Monalisa.
MONALISA
Quanto respiro hai dentro e gli occhi di una venere piena d'anima. Quel giorno, quando hai aperto la porta e sei entrata: i tuoi occhi la linea del tuo volto, la gioia delle tue mani e il suono di quel ciao, la prima parola che mi hai detto, mi hanno fatto percepire i tuoi pensieri più emozionanti. Ricordo…: "Mi chiamo Elza e vorrei che tu mi aiutassi ad uscire dall'istituto in cui vivo da oltre i miei ricordi. Non guardare le mie lacrime è perché fuori è freddo… qui invece…"
ELZA
E tu mi hai risposto: "Forse, le lacrime, sono i tuoi desideri che si ricordano." Io in quel momento ho capito che mi avresti accettata.
MONALISA
E d'improvviso vidi il tuo primo sorriso. Ricordo l'emozione del mio respiro, la gioia di averti scoperta, la fortuna di esserci trovate. Ti domandai: Hai mai conosciuto i libri? "non molto, quando li guardo penso alle foglie morte, ma tu che vivi tra tutti questi libri non mi sembri una foglia morta." …Grazie
ELZA
Ti ricordi delle parole onomatopeiche?
MONALISA
Sì!
ELZA
Drin! questa e quella della porta che non hai sentito, è entrato "un ospite," vai tu, intanto io finisco di mettere in ordine gli amici.
MONALISA (perplessa)
Buona…sera!
FAUST
È bellissima!
MONALISA
Sì… certo… è… bella?
FAUST (guardandosi intorno)
Camminavo senza scoprire troppo dove andare, poi ho attraversato la strada… il suono dell'auto che frenava: istinto, corro più in fretta, supero la strada, salgo sul marciapiede e con lo slancio della corsa vado incontro alla vetrina di questo posto, la forza di gravità interviene e mi ferma appena in tempo. Il mio viso si guarda riflesso nel vetro… Faccio un passo indietro e mi allontano dalla vetrina, alzo lo sguardo e leggo l'insegna: "Monalisa". Afferro la maniglia è antica e bella, apro la porta e sono entrato. Poi ho visto… e ho capito che era inevitabile che io incontrassi in questo luogo… Con tutti questi "amici".
MONALISA (felice)
Amo sempre questo luogo e sono contenta se altri…
FAUST (interrompendola)
È il suo nome Monalisa?
MONALISA
Di mia nonna.
FAUST
E tu… come ti chiami?
MONALISA
Ha importanza… conoscerlo?
FAUST
Non so, è una domanda che non faccio mai!
MONALISA
Monalisa!
FAUST (interrogandosi)
Come la nonna… Ma…
MONALISA
Già, ma non è questo che volevi sapere, quando mi ha chiesto se il mio nome fosse Monalisa…
FAUST
Non far caso al mio sorriso è… è che mi piace… questo parlarci. Cosa volevo sapere… quan…
MONALISA
Volevi sapere il perché, di quel nome a questo luogo. Sbaglio?!
FAUST
No… non sbagli.
MONALISA
E poi il tuo sorriso… mi piace.
FAUST
È bellissima! Questa volta non dubitare, l'ho detto a te.
MONALISA
Quel buona…sera! sai volevo dirti ciao.
ELZA (Elza li raggiunge)
Salve! che c'è, che avete da ridere.
MONALISA
Questa è la bella Elza.
FAUST
E sì! è…
MONALISA
Ehi, guarda che sono gelosa.
FAUST
Se lo dici con quel sorriso…
ELZA
Ma cosa dite? perché non fate capire anche me. Sei un amico di Monalisa?
FAUST (indeciso)
Ma…
MONALISA
Penso di sì!
ELZA
Caspita! dove l'hai tenuto nascosto.
MONALISA
Forse nei miei pensieri.
ELZA
Ma allora lei non è un ospite? come si è trovato nei pensieri di Monalisa, ci ha capito qualcosa?
FAUST
Nei pensieri mi trovo sempre a mio agio, in quelli di Monalisa sono nei miei pensieri… Ospite, cosa vuoi dire?
MONALISA
Chi entra qui, mi piace pensare che sia un ospite: ospitato e ospitante. Questa libreria l'ho sempre pensata come posto per accogliere i pensieri. I libri sono pensieri. Pensiero che incontra il pensiero di chi legge leggendosi. sono "ospiti".
FAUST (rivolto ad Elza)
Chi non è più ospite? perché dici che non sono un ospite? Elza.
ELZA
Io non l'ho ancora imparato, non so ciò che si prova a non essere più ospite. È Monalisa che dice sempre di non "parlarne"; mi dice che è tutto in ogni parola, in ogni parola c'è il senso di tutte le parole. Forse dovrei riuscire a sentirmi un'unità con questo luogo…
FAUST
Perdere la parola per ritrovarla vera. Sei simpatica Elza… e bella!
MONALISA
Bellissima!
ELZA (prima sorpresa, poi decisa)
Ehi ma che ridete? Non mettetemi in mezzo hai vostri giochi… occulti. Okay! per stasera io ho finito. Monalisa chiudi tu, per favore.
MONALISA
Vai ci penso io. Divertiti!
ELZA
Non preoccuparti… Buonasera!
FAUST
Buonasera!
MONALISA (mentre chiude la libreria)
Anche per oggi la luce è nel buio, la notte ci placa e ci sveglia nei sogni… e le serrande scendono verso la terra…
FAUST
È un modo gentile per dirmi che è l'ora giusta per andarmene?
MONALISA
Perché?…
FAUST
Perché non ho capito? Ho afferrato ho afferrato, volevi invitarmi a restare, non ad andarmene. Le serrande scendono verso la terra, il giorno è nella notte…
MONALISA
E tu, cosa fai? accetti il cambiamento, resti o vai via…
FAUST
Avvisato, reso cosciente che in te in questo momento della giornata avviene una mutazione… Trasformarsi insieme, forse. Mi hai cautamente invitato.
MONALISA
Guarda! premo questo pulsante e le serrande scendono verso terra.
FAUST (scherzando)
Ho sempre pensato alla poesia di certe serrande elettriche, ma non avrei mai immaginato una serranda di questo tipo.
MONALISA
Oh serranda che così chiudi e apri, il tempo dei momenti: Grazie e arrivederci…
FAUST
Meglio arrivederci e grazie.
MONALISA
…Meglio arrivederci e grazie. Scendi al suolo, muta in iconoclasta immagine la visione di ciò che fu aperto…
FAUST
…Assurgi a te e nelle mattine fredde alzati verso l'olimpo dei cieli. Ti premo il pulsante oh mutande meccaniche. Amen!
MONALISA
Amen! Mutande? che c'entra?
FAUST
Ho detto mutande?
MONALISA
Hai detto mutande. Perché hai detto mutande, perché?
FAUST
Eh! I dilemmi della vita sono tutti nelle mutande.
MONALISA
E ci ridi pure!
FAUST
Lo so è pessima come battuta, ma ci stava così bene.
MONALISA
Ba…sta! non farmi ridere così…
FAUST
Oddio, mi manca il respiro, basta… se non sme…tti tu… di rider… Calma riprendiamo fiato.
MONALISA
Dammi la mano.
FAUST
Tien…
MONALISA
Zitto, silenzio. Solo la mano.
FAUST
Ascolto solo la mano.
FAUST
La libreria è chiusa e noi dentro, presumo che ci sia un'altra uscita, oltre quella principale.
MONALISA
Abito qui sopra, c'è una scala interna che va dalla libreria al piano di sopra.
FAUST
Giornata non usuale, carica culminante. Questa mattina ho preso la macchina e ho deciso dopo quattro anni trascorsi nella stanzialità, di muovermi di spostare il mio corpo. Ho viaggiato per alcune ore e ho incontrato questa città. Ho fermato la macchina per proseguire a piedi questo mio muovermi e camminato per… per… non so dire quanto, forse un'ora, prima di entrare qui.
MONALISA
Ti va se ci sediamo un po' lì, nel salottino. Dopo aver chiuso la libreria mi piace ancora di più. Ne respiro il silenzio nell'intensità del suo profumo. Tutta la materia di cui vive, sono gli alberi… Ascolta!…
MONALISA
Hai sentito?
FAUST
Nel silenzio, lo scricchiolio? del legno del pavimento.
MONALISA
Sììì!
FAUST
Quando sono entrato mi sono sentito, ho provato la sensazione di essere sopra un palcoscenico. Sembra la scena teatrale: l'altezza, quel piano che spezza in due lo spazio verticale, sorretto da queste colonnine in legno; legno quanto legno qui, il materiale del tempo!
MONALISA
Mia nonna l'ha voluta così: il pavimento le pareti, il soffitto, gli scaffali dove "attendono" i libri, provengono tutti dallo stesso bosco. Il suo bosco antico. lo chiamava così. Dove gli alberi erano forti e pieni, fieri del loro tempo. Qualcuno decise che quel bosco doveva morire, quel posto dove il respiro del tempo aveva dimorato per tanto, doveva trasformarsi in qualcosa d'altro. Quando iniziarono a tagliare il bosco, mia nonna spese gran parte del suo denaro per comprare più alberi che poté. Sono sicura che se avesse avuto il denaro sufficiente avrebbe comprato l'intero bosco. E così mia nonna si ritrovò con dei grandi alberi senza più radici.
FAUST
Cosa farne?
MONALISA
Già! cosa farne. Fu il nonno, come mi raccontava la nonna, che provoco la soluzione. Mi disse che non faceva altro che prenderla in giro, diceva che quel legno sarebbe finito nella migliore delle ipotesi come tavoli da cucina. Una volta gli disse che se ne potevano fare delle bare. Mia nonna rispose che sarebbe stato più utile per riscaldarci dei vivi anziché dei morti… Nonna diceva sempre che quella fu una strana giornata…
FAUST
…Ogni scoperta è una strana giornata.
MONALISA
L'incendio! mio nonno tornò a casa in preda a una crisi d'ansia, tenendo tra le mani un libro e dicendo alla nonna: "L'incendio! la sala teatrale è bruciata, il ’piccolo salotto‘ non c'è più…" Si sedette… "Ho comprato un libro." La nonna prese il libro, era "il Faust", guardò il nonno e disse: "La compreremo noi e diverrà ’la libreria‘. Il legno degli alberi del bosco, il suo corpo e i libri l'anima. La chiameremo: ’Diana del bosco‘." Mio nonno rispose: "Si chiamerà Monalisa!"
FAUST
Sembra non appartenere alla realtà una storia così, eppure non potrebbe essere più vera. Dove è finita la tenerezza, la voglia d'accarezzare l'ansia di un respiro… che è proprio. L'abbandono di ogni sicurezza e ritrovarsi tranquilli, vicino a chi… insieme si è vinto, la malattia dell'essere umano. Non si può essere, stanchi.
MONALISA
Sì!
FAUST
Quanti pensieri in ogni parola e quante parole in ognuno di noi. Ma quante di queste parole possiamo realmente vivere. Quali parole riusciamo realmente a capire? Ne basterebbe una e tutte le altre si svelerebbero in ogni pensiero, emozione. L'esperienza di leggere un libro sembra così comune, invece penso che l'esperienza della lettura sia così poco conosciuta. Quanti sentono: il disagio l'ineluttabilità, il termine ultimo della parola. Percepirne l'incapacità è il limite per riuscire a scrivere e poter confrontarsi nel leggere. Nell'arte dei sensi tutto avviene attraverso essi. Nell'arte della parola il senso è un tramite a bassa valenza. la parola che apre la porta della coscienza, la parola immanente nei pensieri…
MONALISA
…Il silenzio, la parola giunge fin lì, dove non esiste più è lì che si genera. ’Il silenzio che ancora non esiste, dove nulla vi è di dimostrabile: il limite.‘
FAUST
La parola che raggiunge i pensieri e da lì i sensi. Certe volte mi viene di pensare che il sogno di ogni autentico artista sia quello di non aver più bisogno della propria arte. Il bisogno che nasce di esprimere l'inesprimibile si palesa in ogni simbologia artistica e in essa il limite, l'insufficienza del simbolo. La sofferenza della ricerca nasce da questa consapevolezza non accettata, ma tale capacità è il vero senso dell'arte. Tutta l'arte legata ai sensi termina qui, va oltre solo per analogia. La parola non può non accettare la consapevolezza del proprio limite, e se in tutte le altre arti c'è il limite del simbolo, nella parola è il limite del pensiero, solo vivendola così se ne ha la sua pienezza. L'eterna lotta della consapevolezza porta l'uomo sia che lo rifiuti o no verso un mondo di paura, paura che assume di volta in volta volti diversi a secondo dei meccanismi dimenticati, a secondo del livello che si ha nel rifiuto umano del limite, il rifiuto di ricordare
MONALISA (riflessiva)
…La morte!
FAUST
L'incerto pensiero tutto nasce lì. La morte come perno costante della propria vita. Limite invalicabile e pure soltanto in questo estremo tentativo, compresa. Tutto è morte; nella vita tutto si cerca attraverso di essa. Viviamo nella più assoluta incertezza e nell'agire nella nostra quotidianità il bisogno di trovare, perlomeno cercare un momento di tranquillità: L'apparente certezza.
MONALISA
Ogni certezza che costruiamo è la fuga per dimenticare la nostra incertezza, placare per un po' la paura di aver scoperto di essere esseri a termine in un mondo senza fine, senza coscienza.
FAUST
La morte! è innegabile ed ogni agire che cerca di affermare il contrario lo conferma. La morte il nostro confronto estremo, l'unica certezza. L'unica certezza dell'esistenza è la prova "concreta" dell'assoluta incertezza dell'essere umano. Quale estrema tensione è la vita nel placare la ricerca di ogni uomo in tutto il suo bisogno psicologico. Tutta l'ansia di vivere in un confronto impari con la morte. Tutto nasce dove muore, "dall'incerta consapevolezza" della propria fine.
MONALISA
Vuoi dire che se io mangio respiro, se ho una vita biologica ciò avviene per vincere la nostra finitezza?
FAUST
La nostra vita biologica acquista la sua finitezza attraverso la nostra consapevolezza. Noi sappiamo che la biologia che ci permette di esistere è transitoria e agisce come ogni sicurezza umana, ha termine nella fine nella morte; nella trasformazione della compiutezza del nostro non più essere. Non solo la biologia, ma ogni desiderio è la costruzione di sicurezza, di pace psicologica col pensiero della morte. Una pace che si trasforma spesso in guerra, quando si accanisce nel negare l'innegabile.
MONALISA
Fammi un esempio.
FAUST
Un esempio banale in apparenza: Il fumo, la sigaretta. È palese che sia deleteria alla salute, che sia causa essa stessa di morte, ed è proprio in ciò che si palesa la guerra, la negazione dell'innegabile. "Io" ho la consapevolezza della marginalità della biologia che mi permette di esistere. Ma non accetto ciò, come mi pongo, confronto con questo dato di fatto volendolo negare, in nessun altro modo che sfidando la morte. Fumo vado contro la biologia che mi permette di esistere, in questo modo nego che la biologia di cui vivo abbia fine ed io con essa, non accetto il mio stato nella natura, faccio qualcosa che nega la realtà, la morte. In realtà proprio ciò non fa altro che confermarla, si dimostra innegabile, ogni negazione di ciò che è innegabile è la suo affermazione; la morte è l'unica essenza innegabile, la certezza!
MONALISA
Ma allora "io" se voglio avere la certezza, l'unica certezza, sono costretta ad uccidermi; il suicidio è l'unica cosa che rimane.
FAUST
Il suicidio non è la certezza, il suicidio non è la morte ma la sua negazione. "Io" mi uccido perché ogni mia ricerca di convivere con la consapevolezza di essere "biologicamente finito" non ha placato la mia ansia psicologia, la mia paura. Questa paura che non la si avverte ormai più nella sua purezza, ma attraverso la sublimazione che sfocia nell'inconscia sintomatologia esistenziale: depressioni, schizofrenia e schizofrenia culturale. Tutti siamo malati di paura, dietro ad ogni certezza perduta c'è la resurrezione o la morte. "Io" mi uccido perché non ho più il coraggio di riconoscere di essere limitato, una persona che morirà. Non accetto questo a tal punto da negarlo con l'atto più forte, estremo che ho: il suicidio. Il paradosso si compie nel suo estremo dramma, ultima illusione, nego la morte morendo.
MONALISA
Non vi è via di scampo è la morte che vince. È una partita senza avversario… senza né vinti né vincitori.
FAUST
Esatto, senza avversario l'errore è proprio qui considerare la morte la nostra contrapposizione. La vita è un gioco con noi stessi, la morte esiste perché esistiamo noi, noi stessi siamo la morte.
MONALISA
Accettare la morte è l'unica possibilità di esistenza, vivo con la consapevolezza di morire, ho la consapevolezza che ogni altro essere umano muore. Mi chiedo questo modo di pormi nei confronti degli altri non è nichilistico?
FAUST
Rifletti bene; tutto nasce dalla morte, ogni azione del nostro vivere quotidiano è motivato dal bisogno che abbiamo di superare la paura primordiale, nata nell'istante in cui l'uomo ha preso consapevolezza della morte e in essa di tutta la propria incertezza. La morte è l'unica certezza che abbiamo, ma in essa è anche racchiusa tutta l'incertezza. Ora il grado di consapevolezza che abbiamo della morte è variabile in ognuno di noi: minore è la consapevolezza della morte maggiore sarà il bisogno di surrogare "l'incertezza la paura" con la sicurezza culturale. La cultura non è altro che questo, l'uomo nasce come produttore di cultura prima della sua nascita, nell'archetipo ricordo della sua morte, di questa sua primordiale scissione. L'unica repressione biologica da cui nasce la cultura è quella di non voler ricordare la morte. Il nichilismo cos'è? Il nichilismo è l'onnipotenza dell'essere umano, ogni cultura che nega la morte la afferma. Quando si esprime il pensiero che il nazismo è la cultura della morte, non se ne comprende appieno il significato; è sì cultura della morte, ma perché ne è la negazione. Nel negare la morte l'uomo costruisce culture che eleva a certezze assolute, ma ogni certezza assoluta creata da un essere che muore nega tutte le altre. In ogni cultura c'è la ricchezza per aver placato la paura della morte, ma la cultura è malata quando non accetta il proprio limite la proprie fine, la propria morte. Nell'essere ciò nega tutte le altre giacché nelle altre culture non vede la conoscenza, ma il suo contrario, vede un avversario che rimette in discussione la propria certezza, il risveglio della paura. E quello strano orgoglio, perdita di umiltà di non voler riconoscere di aver paura, porta alla negazione di ogni altro pensiero umano, ci si perde nel sentirsi immortali. Hitler era prigioniero della paura di morire, incapace di accettare la propria fine. Il nazismo ha incarnato la paura di ogni uomo, il sogno folle di ogni essere vivente: non aver più paura della morte! Questa "schizofrenia culturale" è il nichilismo. Quando "io" essere umano nego con le mie "sicurezze" la possibilità ad altri di trovarne delle proprie. Siamo tutti malati ma lo siamo di più quando le "mie sicurezze" non sono in armonia con quelle degli altri.
MONALISA
Nasciamo per essere morti; questa consapevolezza può gettarci nello sconforto più assoluto, eppure è l'unico mezzo di comprensione. L'animale vive nell'armonia assoluta con la sua realtà biologica, come se questa scissione con la morte non sia mai avvenuta nella sua inconsapevolezza. Non vi è nessuna differenza tra "la negazione della morte e l'accettazione della morte, tra il negare di vivere e l'accettare di vivere." L'animale si spegne non avendo mai dimenticato. Quante guerre conflitti nella storia degli uomini e di ogni uomo. Ma di quanto perdono c'è bisogno per placarci, di quanta compassione verso ognuno di noi. Come si può condannare chi ha paura. Pentirsi in ogni senso assoluto, di ogni istinto di orgoglio; di ogni volta che si agisce pensando: "Io non morirò". Ma perdonarsi nella compassione di un Dio che io non conosco per aver dimenticato ciò. Io atea nella mia sofferenza cerco la comprensione della mia coscienza, nel gemito sofferente nella consapevolezza della mia fine. Come porsi di fronte a Dio, sia che esista o che non esista?
FAUST
Con l'oggettività della morte nulla cambia. Un ateo o un cristiano sono la medesima realtà. "Ogni agire è la placida conferma della fine, la negazione è la sua affermazione."
MONALISA
Ma chi è un vero ateo.
FAUST
O un vero cristiano. Credere nell'uomo, confidare nelle sue risorse; ma non accusarlo di onnipotenza. Credere in un uomo che muore; che attraverso la morte scopre il limite di tutti gli esseri. Il dramma di sentire in ogni respiro la propria fine, senza nessun riparo dal freddo di un esistenza immensa nella sua solitudine. Aiutarsi nell'uomo, tranquillizzare la paura guardandosi solidali tra noi; essere in ogni uomo nella sua epifanica pace. Sapere di avere perso la certezza, in un tempo, luogo, lontano nelle profondità della memoria umana. Nulla ci riporta alla certezza; come il nulla ci è indimostrabile. Ateo credo nel nulla ma solo con la fede posso dimostrare che il nulla esiste. Nella morte voglio vedere la fine, in realtà vedo solo la morte; anch'io nella presunzione della concretezza della vita vivo l'illusione di tutti gli altri; non mi accorgo di avere fede credendo in un concetto immaginato: il nulla! L'unica atea certezza è la morte, la mia paura d'essa, la voglia di vincerla. Mi accanisco con ogni mio pensiero per negare la sua esistenza, ma scopro solo la fine del pensiero. Confondo la vittoria con dei brevi ritardi, rattoppi in un corpo; spesso la mia arroganza trasforma questi umili aiuti nella vana ricerca di onnipotenza e con essa, nasce la paura di un altro: la tirannia. Supplicare le proprie angosce scoprirle in tutti e cosi trovarsi solo perdendo l'illusione di essere l'unico a soffrire; di germinare quei batteri di sofferenza che immaginavi essere solo tua. Scoprirsi uno tra i tanti riconoscere di essere stato un folle nel sentirti meno impaurito di tutti. E ora che sei in fondo a te stesso che scopri tutta la paura dell'umanità: esplodere e divampare dentro di te, ora, ti accorgi di voler essere, desiderare di appartenere all'ultimo te stesso. Ti rendi conto che tutto il mondo è impaurito come te, che tutta la morte è la morte e basta. Cerchi l'uomo, in ogni suo grido, ma non vuoi più gridare con lui , vuoi solo parlare, vuoi solo stendere la tua mano e dire: guardami, guardami, non ho nulla da darti nulla da proporti, solo di parlare parlare con me tra noi, cautamente pensare e, tranquillamente poter smettere di pensare, umilmente capirne la fine. Darci ad ognuno la possibilità di avere un po' meno paura, capirci avere quella perspicacia empatica che mi fa essere sicuro nella tua sicurezza e che la mia sicurezza sia la tua. Ora che mi scopro ateo mi placo e guardo ogni uomo come me stesso; accetto il limite di ogni essere e non parlo del nulla, non mi riguarda non lo conosco non è concreto. Concreto è l'uomo e l'uomo non è quel che dice di essere ma quasi sempre è quel che è. Concreta è la morte concreta è la vita che vi è in essa. Ho abortito ho fatto guerre ho ucciso vecchi e bambini, mi sono sentito dio più di una volta, sono stato un dittatore ho massacrato torturato, venduto embrioni pezzi di corpo, ho ingannato per essere più sicuro. Ho avuto potere ne ho voluto sempre di più di più, non credevo in nessun uomo se non in me stesso, io ero la misura di tutto. Toglievo sicurezze le rubavo ad ogni altro essere, lo umiliavo lo soggiogavo fino alla disperazione più assoluta poi gli rubavo anche questa, lasciandogli solo il bisogno di onnipotenza per vincere la propria paura. Scoppiavano guerre e vendevo armi. La paura primordiale cresceva, lottavano per non morire di fame? No! questo non basta perché la paura di sapere di morire c'è sempre. Nascono i pensieri con essi le culture, attraverso le culture della morte si dimentica di morire. Ogni cultura diventa certezza, ma la paura c'è sempre e la certezza non basta mai. Altre certezze, altre culture, potenziali rivali alla propria sicurezza. Ogni individuo è una certezza che si è costruito o appartiene ad una cultura. Ogni pensiero che non rientra nei suoi pensieri è un antagonista per lui; ogni uomo ha un'illusione che crede di essere certa; ogni uomo combatte con il suo prossimo; Ogni uomo muore credendo di non morire. Basta ora voglio essere ateo, capirmi e capire; non aver paura di avere paura, di non sentirsi sicuri e accettare di non esserlo, di non credere nell'assoluto giacché non è concreto per noi uomini; ogni assoluto non è parte della morte di cui noi siamo componenti essenziali. Accettare il limite dell'uomo e in esso guardarmi e guardare gli uomini. Non più negare la morte ma smettere di averne paura e conciliarsi con la vita. Che ogni sicurezza mi sia in armonia con la vita e, non con la negazione della morte. Che i miei simboli siano null'altro che il mio pensare, il mio pensare il mio essere il mio essere il mio agire. Che i simboli muoiano attraverso il mio capire gli altri.
MONALISA
Il tempo tenue e silenzioso si svolge nella suA compulsiva esistenza, in brevi istanti in apparenza mutevoli. La lotta per eludere un magnete così potente da far finire ogni conflitto. Lì dove tutto sembra muoversi il tempo è fermo, come tutto ciò che sta nella sua origine, nella sua fine ritorna.
FAUST
In ogni conclusione c'è il perché dell'origine, lo svolgersi che c'è in mezzo è l'illusione del tempo. La coerenza con il fine è già il fine realizzato. Il volere raggiungere sfalsa la coerenza e può degenerare nella fine stessa della coerenza, nella negazione stessa del fine; che in apparenza raggiunto ci mostra l'agire autentico del nostro passato, tutti i nostri infausti mezzi.
MONALISA
Riuscire a cauterizzare il tempo è già sufficiente; in questo compito mi imbatto in me stessa, muovo i miei pensieri, muovendomi con essi. Cerco di superare i momenti di paura scoprendoli e svelandoli a me stessa. Sono atea e già dirlo mi fa dubitare di me stessa; ho afferrato le pagine del vangelo e pure mi ci sono ritrovata nelle mie conclusioni; ho guardato Cristo e non ho potuto che amarlo chiedendogli il perché. Il compito della croce si è perso, dietro ai ricordi di Dio. Dietro a chi con la sua modesta memoria immagina Dio chiuso nella sua religione. Le religioni non sono altro che il ricordo confuso di Dio, e quando la paura dell'uomo si insinua in loro, la verità che custodiscono nel loro più umile ricordo svanisce, il bisogno di Dio si trasforma nel suo opposto e le certezze in olocausti. Ho immaginato l'uomo nel suo lontano paradiso, abbandonare Dio, quel Dio di certezza e scoprire la morte, (scelta) la nascita della propria paura. (dimenticata) Pensato a Caino malato d'invidia, che sente la paura tormentarlo nel pensare ad Abele che accetta la propria sorte, che placa la sua ansia. Caino guarda Abele e non accetta quel che sono, nega la tranquillità del fratello negandola a se stesso. Uccide l'altro sperando che più nessuno gli ricordi la realtà, che lui possa vivere delle sue certezze. Ma il pensiero nel suo limite torna a tormentarlo; torna la paura; solo, è lui stesso il suo nemico. Dall'alto di una torre ho immaginato l'essere umano in affannoso ritorno a Dio, con tale ansia che nell'impossibilità di ognuno di tornare dove l'origine è iniziare a parlare tutti la lingua di nessuno. Ogni essere nella propria certezza, immaginando Dio ha dimenticato ciò che l'essere umano è. La storia torna a compiersi ogni volta. Ho visto in un vecchio libro l'essere umano inumano, nominare e gloriarsi di Dio. Ho pensato a Dio Disperato ormai nei suoi tentativi di far vedere l'essere a l'essere umano, mostrandogli la propria inumanità. Ma l'umano ha immaginato Dio a volerla. E la fatica di Dio di oggettivizzare la vita umana si è persa nella paura. Io non so di Dio che quel che i miei dubbi sulla vita mi dicono, ma ogni pensiero di Dio è vicino al mio essere atea, all'essere umano. Penso a Gesù in croce solo per essere stato se stesso, per aver detto al mondo di essere gli unii negli altri, di essere liberi di amare non avere più paura. È stato ucciso perché rimetteva in discussione ogni certezza umana. È lo specchio di tutto il nostro limite. Ha chiesto all'uomo di accettare la vita, di non chiedere conto del nulla che non può sapere e del tutto che non può capire. Accettare la morte, che tanto finisce, anch'essa nella vita; ha chiesto solo di credergli, semplicemente riconoscendo quel che siamo, che moriamo. Per questo è morto; non ha fatto nulla di male e tutto il male dell'essere umano si è scagliato contro di lui. Ha preso su di sé tutti i peccati dell'umanità. Che sono, quali sono i peccati se non "la paura". Ha accettato tutte le nostre nevrosi, le ha subite; tutto il nostro negare la morte che lui ci ha ricordato. Ucciso dalla nostra paura dalla nostra schizofrenia culturale. L'umanità intera ha dimenticato, e non perdona Dio di ricordarglielo. Le religioni spesso non accettano il proprio essere umanità, trasformano Dio non nella misura dei propri limiti, ma i limiti vengono trasformati nella misura di Dio. Dicono che morto in croce sia poi risorto. Ci ha detto che basta avere fede, ma che avere fede non è credere, ma credere è accettare la vita. Basta vivere in ogni azione il coraggio della propria sorte, vivere in armonia con tutta la morte della vita. Lui ha vinto la morte. Io umile essere non so se questo sia vero e il mio essere atea mi pone in accordo con il pensiero di non poter sapere quello che non so; di prendere atto di un evento che non posso né negare né affermare, del pensiero che non posso conoscere. Ma è indubbio che Cristo con la sua azione sia uno specchio indeformabile per noi. Che ogni altra azione ispirata dal suo agire produce gli stessi effetti. L'azione di Cristo ci ha liberati dall'angoscia del giudizio spingendoci verso la conoscenza, Cristo ha distrutto la fatica delle sicurezze simboliche, non negandole, giacché l'uomo non ha pensiero senza di esse, ma avvicinando il simbolo alla realtà, negandogli l'effetto illusorio, riducendo il rito all'essenziale; alla fine di ogni tradizione oppressiva. L'agire di Cristo pone l'uomo dinanzi alla scelta di interpretare l'esistenza nella sua globalità, nell'umanità della morte. Agire credendo in Cristo o nell'essere umano, la cosa non cambia, la morte è la stessa e la soluzione anche. Se credessi direi che Gesù è stato l'estremo tentativo di Dio affinché noi riuscissimo a scoprire quel che siamo e scegliere l'uomo o la sua negazione. L'amore è la cura che ci ha mostrato Gesù. Da Atea non posso che riconoscere l'oggettivizzazione dell'umanità attraverso l'azione di quest'uomo. Il richiamo alla responsabilità della vita.
FAUST
È così difficile capire l'amore, un termine assoluto. Dio a posto in chi crede la fede come unica possibilità di comprensione e nessuno, nessuno è né infallibile né fallibile. Gesù ha fondato la sua chiesa sulla fede di Pietro, lo stesso Pietro che lo ha rinnegato; Pietro che poi ha scoperto l'infinita compassione di Dio accettando la propria debolezza, ricordando al canto del gallo quello che lui era sicuro di non essere. In ogni uomo può avvenire la scoperta di Pietro ed è lì la chiesa. Nessuno è infallibile, al di fuori di Dio. Nessun essere umano ha vinto la morte, nessuno può dare la morte. Tutto serve alla vita nulla è inutile. E l'ironia è una componente importantissima nel riequilibrare gli eventi. Stiamo rischiando di prenderci troppo sul serio e se facciamo ciò finiamo col dimostrare tutto il contrario di quello che abbiamo detto. Il sorriso libera dall'angoscia della morte e se non sbaglio l'essere umano è l'unico che ride…
MONALISA (rilassata e stupita)
L'unico fifone che conosciamo. Però! abbiamo pensato insieme per un bel po'.
FAUST
Chi è che bussa sulle serrande?
MONALISA
Che ore sono?
FAUST
Non so , non ho l'orologio.
MONALISA
Allora è Elza, questo vuol dire che è mattina.
FAUST
Tutte le mattine è così? bussa sulle serrande e tu sei dentro che aspetti?
MONALISA
Sì, cosa credi che questa è la prima volta che passo la notte nella libreria. Se avessi guardato con più attenzione ti saresti accorto che sei seduto su un divano letto.
FAUST
Non sembra! Mannaggia ad averlo saputo prima…
MONALISA
Non metterti strane idee in testa, eh!
ELZA (bussa sulla serranda e chiama)
(TAM! TAM! serranda) Monalisa!
MONALISA
Arrivo!
Monalisa alza le serrande e apre la libreria.
FAUST (ironico e tranquillo)
Oh serranda che così chiudi e apri, il tempo dei momenti…
MONALISA
Arrivederci e grazie!
ELZA (entrando)
Buongiorno!
MONALISA
Buongiorno!
FAUST
Buongiorno!
ELZA (falsa sorpresa)
Ehi! ancora qui! Non mi direte che avete passato la notte qui dentro?
MONALISA
E tu dove l'hai passata la notte?
FAUST
Be' è giunta l'ora di andare, Monalisa, tieni questo è il mio biglietto da visita.
MONALISA
Grazie!… Ti scrivo su un pezzo di carta il mio numero di casa, …tieni e telefona.
FAUST
Certo.… Ah! dimenticavo la cosa più importante.
MONALISA
Cosa?
FAUST
Un libro, comprare un libro.
MONALISA (gioviale)
Che libro desidera?
FAUST
Mi dia un libro che si possa considerare "il libro"!
MONALISA
Aspetti qui, torno subito.
MONALISA
Ecco un libro che può essere definito: "il libro".
FAUST
"Faust" di "Fernando Pessoa". Brava!… Ti telefono presto, appena finito di leggerlo. Ciao!… Ciao Elza.
ELZA
Arrivederci!
MONALISA
Ciao!
(DRIN porta) Faust esce
ELZA
Fuori le notizie!
MONALISA
Ti racconterò, ma non ora ancora è presto. Su mettiamoci a lavoro.
ELZA
Almeno dimmi come si chiama.
MONALISA
Non so, sai ho dimenticato… e lui non me l’ha detto.
CLIENTE (entra nella libreria)
(DRIN porta) Buongiorno!
MONALISA
Salve! in cosa posso aiutarla?
CLIENTE
Cerco "Aut Aut" di SÖren Kierkegaard.
MONALISA
Elza mi porti un volume di Kierkegaard. Permette che le faccia una domanda?
CLIENTE
Certo.
MONALISA
Studia la filosofia come storico, o è un filosofo?
CLIENTE
Filosofo.
MONALISA
E cosa pensa del suo pensiero?
ELZA
Ecco qui il libro.
MONALISA
Grazie.
CLIENTE
Vede io penso che il genere umano si divida, tra chi crede nei miti e chi crede in Dio. Chi crede nei miti vive delle sue proiezioni ha un concetto dell'esistenza, dell'altro esclusivamente soggettivo; la vita come sviluppo egocentrico. In ogni mito, dai genitori all'amico, la moglie, a dio che diventa il proprio dio, sono parti di se stesso che acquisiscono nomi diversi. Questo essere finisce con sé, in lui tornano gli dei dell'olimpo, il perché l'uomo ha inventato gli dei. L'essere della filosofia è lo sviluppo dell'essere umano, l'emancipazione dagli dei, la distinzione tra la percezione soggettiva e quella oggettiva. La nascita di Dio. Credere in Dio comporta la negazione delle proprie proiezioni pone il limite a noi stessi, l'altro è altro da noi. Per un filosofo credere nei miti significa assolutizzare il proprio pensiero, significa aver raggiunto il Logos L'episteme nell'egocentrismo della propria esistenza. È rinnegare la saggezza socratica, di sapere di non sapere. È il diniego stesso della filosofia. Nel momento che l'essere umano si stacca dai miti si stacca da se stesso, crede in Dio nel confronto, in un’esistenza che non finisce nel proprio limite, ma che la consapevolezza del proprio limite è il viaggio verso il logos. Scoprire il termine delle cose, essere consapevoli che il pensiero ha un limite giacché noi stessi la nostra esistenza è epilogo. Essere in cammino verso la comprensione con il pensiero in empatia è già sufficiente. Scoprirsi a scegliere è forse il logos. Io penso e ho come specchio l'assoluto, l'assoluto mi mostra la mia impossibilità è questo credere in Dio, lo sviluppo dell'oggettività.
MONALISA
Dire "io sono", è già affermare di essere. Aggiungere qualcosa a "io sono" è non sapere chi si è. Forse non centra molto con quello che mi ha detto, mi scusi.
CLIENTE
Di nulla, anzi. È evidente che mentre io parlavo è stata stimolata a riflettere e il pensiero che ha espresso non è affatto lontano da quello che le ho detto.
MONALISA
Ecco il suo libro, tenga.
CLIENTE
Ha il resto di…
MONALISA
Certo, …a lei. Arrivederci e grazie per i pensieri.
CLIENTE
Grazie a lei. (DRIN porta)
«Anima dai a me il libro, continuo io la lettura.»
«Tieni.»
«Allora, “grazie a lei”»
(Diversi giorni dopo. Monalisa al telefono di casa.)
MONALISA
Pronto?
FAUST
Ciao! ti disturbo?
MONALISA (riconoscendo la voce)
Salve! non disturbi, dimmi.
FAUST
Domani puoi prenderti una giornata libera?
MONALISA
Dipende, perché cosa hai in mente?
FAUST
Niente di straordinario, voglio invitarti a passare la notte fuori, insieme con me. Conosco un posto, una pianura bellissima tra le montagne degli Appennini. Giacché stanotte è la notte di San Lorenzo, ho pensato a questo luogo come ideale per guardare le stelle. E pensare un po' insieme.
MONALISA
Va bene!
FAUST
Vengo a prenderti all'ora di chiusura.
(Monalisa e Faust in viaggio.)
FAUST
Vedrai è un bel posto, ti piacerà. Sei un po' silenziosa, a cosa stai pensando?
MONALISA
Oh nulla in particolare, quando viaggio in macchina osservo gli accadimenti, i posti che si incontrano durante il viaggio e mi sembra di guardare un film a velocità accelerata.
FAUST
Non manca molto, anche se arriveremo agli ultimi raggi del sole, il posto lo troverai interessante.
(Giunti sul posto.)
MONALISA
Bello e quando spazio. Guarda che bello con le luci accese quel paese, lì sopra. Sembra vegliare sulla pianura.
FAUST
Sì è molto bello, anche se quella luce inquina un po' il buio della notte. Vorrà dire che ci perderemo qualche desiderio.
MONALISA
È abbastanza lontano…
FAUST
Prendo il sacco a pelo, così creo la nostra postazione d'osservazione.
MONALISA
Certo ch'è tutto un prato.
FAUST
Dovresti vederlo a primavera, l'intera pianura fiorisce, è uno spettacolo molto suggestivo…
MONALISA (guardandolo)
Ma che fai?!
FAUST
Mi spoglio nudo e mi sdraio sul sacco a pelo. Spogliati anche tu.
MONALISA
Così! qui!
FAUST
Ora mai è notte e non ci vede nessuno.
MONALISA
Ed ora che sono nuda che faccio.
FAUST
Ehi calma. Vieni qui sdraiati e rilassati.
MONALISA
È bello!
FAUST
Senti l'erba morbida sotto il sacco a pelo, ascolta sulla pelle quando è bella la carezza dell'aria.
MONALISA
Sembra di stare in mezzo al cielo. Sto pensando a quale emozione possa ricordarsi. Le emozioni sono la migliore opportunità, che abbiamo per muoverci e capire.
FAUST
È vero sai. Voglio raccontarti una storia, che con le emozioni ha molto a che fare.
MONALISA
Prima che inizi voglio dirti, che mi sento bene, sto bene con te perché è possibile parlare come si pensa e ho l'impressione che tra di noi ci sia un margine tale per la comprensione, che il giudizio perde ogni valenza negativa.
FAUST
Lo penso anche io. Ma non lo dici perché hai un po' paura che questa magia possa finire? …Non finirà!
MONALISA
racconta.
FAUST
Certe volte nella vita si scopre all'improvviso quello che non si immagina di sapere e la storia che ti racconto è una scoperta. La racconterò come se fosse accaduta a me e in tempo reale. Te la racconto come mi è stata narrata e spero che tu riesca a trovare la sintonia per capire. Ti dico che quello che ti dirò è vero, la persona che ha vissuto quest'esperienza è "autentica". Prima di iniziare la storia della sua scoperta ti parlerò di "Faust", è il nome del mio amico. Faust è un genio un autentico genio. Il suo percorso nella vita, non usuale lo ha portato a sviluppare un’armonia con la ricerca. Ha abbandonato presto tutto ciò che a suo dire gli impediva di avere un rapporto di perspicacia empatica intellettuale con la vita. Tutto ciò che rientra nelle sicurezze sociali. Tutte quelle certezze che per noi persone comuni rappresentano la nostra sopravvivenza. Ha abbandonato ogni accademismo o meglio lo ha superato. Lui dice che nell'istante che si sa fare qualcosa, in realtà non la si fa più, termina il confronto con lo scoprire. Ha lasciato per strada gli insegnanti ed ha sempre cercato i maestri e li ha trovati nelle persone veramente grandi e sapienti, lui li chiama i grandi umili. In realtà lui ama dire che ha imparato da tutti, giacché negli altri ha conosciuto una possibilità. Non ha tempo per il giudizio, ma quando, come lui ama dire constata i fatti è la persona più oggettiva che io conosca. Studia di tutto ma quello che lo affascina di più è non essere un intellettuale insicuro che fa del suo sapere il dogma per vincere le proprie incertezze, ma spesso gli piace dimenticare. Sembra non avere memoria per i nomi, immagina che quello che d'importante c'è da pensare sia dell'essere umano. In realtà non dimentica niente di veramente importante, solo che fa funzionare la sua memoria in modo particolare. Richiama le informazione quando sono veramente utili, in quel momento anche quello che sembrava dimenticato gli torna alla memoria. Vive le difficoltà di tutti quelli, che come lui rimettono in discussione se stessi e gli altri, senza nulla concedere all'apparenza. Dimenticavo ha una pensiero che tende ad unificare le conoscenze e farne una logica di sintesi. Ho cercato di darti alcune nozioni su di lui, ma naturalmente la sua umanità non vi può apparire. Le gioie le sofferenze, la globalità della sua vita non si può racchiudere in poche informazioni. Lui non mi ha parlato in modo approfondito delle conoscenze scientifiche che lo hanno portato a costruire, il come di ciò che ha fatto. Mi ha parlato della sua esperienza nella sua forma umana. Anche se alcune cose vi si possono cogliere, sono solo frammenti. Ascolta.
(Faust parla per Faust)
Il potere la bellezza di perdere ogni plenitudine nel potere. Cosa augurarsi, augurare se non di non avere più bisogno di potere, non incontrarlo più, sia nella sua forma banale, sia nella sua forma più banale. Alcune volte quando conosco una donna le domando: Ti piace guardare il mare? Se comprende la mia domanda, allora le dico: Può darsi che riuscirai a guardare anche me. Amare rinunciando a qualsiasi forma di potere che consciamente e inconsciamente abbiamo sull'altro, lasciarlo agire in se stesso fino alla scelta di amare, la capacità in entrambi è l'equilibrio in amore, l'amore.
La vita è ricerca, ricerca per la comprensione. Io sono stato sempre affascinato da ciò che avviene all'umano in questa sua ricerca. L'umano vive l'illusione nelle sue illusioni. L'uomo nasce schizofrenico, nasce già scisso; riesce a curarsi grazie alla cultura dove crea anche quel che non esiste, un se stesso da cui nascere, un mondo nell'illusione come punto di confronto. L'umano ha sempre dinanzi uno specchio un confronto inesorabile "se stesso". Non negarsi ma capirsi non conoscenti è l'inizio del cammino.
Nella vita sono sempre stato colpito dalla scienza; la scienza umana legata al riproducibile, alla scoperta della sua fallibilità. Questo mi ha portato a pensare se sia poi possibile superare la stessa scienza. Cioè uscire dalla similitudine con la natura ma essere la natura, scegliere ciò che la natura sceglie per te entrare nella neutralità del suo agire. Una delle forme percettive dove l'umano si è ritrovato come progetto della natura è la schizofrenia. L'umano è scisso dalla certezza è scisso dalla stessa incertezza perché ha dimenticato l'emotività della morte. Si è sempre schizofrenici anche quando si vive nella "realtà". Ma entrare in quella schizofrenia che nega nella forma più assoluta "la realtà culturale" è quello che mi è sempre interessato di più. Riuscire ad entrare nella follia scientemente esserne l'artefice e non diventare folli nell'incoscienza. Scoprire la porta per entrare in questo spazio percettivo, senza bisogno di nulla semplicemente assecondando la natura umana. Essere coscienti dentro questo mondo è il massimo della consapevolezza che l'umano può raggiungere. Forse è meglio che inizio a raccontarti.
Narrare un incontro è difficile, spiegare chi si è cosa si pensa in quel momento, ciò che ha reso propizio: il tempo il luogo adatti. Vivevo il desiderio di vivere le emozioni liberamente, incontrare la persona che ti dà la possibilità di aprirle al mondo. Guardarla negli occhi e desiderarla, scoprire che quello che non era accaduto che tu non contemplavi, verificarsi dentro di te, avere voglia di amarla. L'avevo sentita parlare in francese poi ho scoperto che parlava diverse lingue. Bionda con gli occhi celeste-verdi alta, indubbiamente bella. Ma perché tra tante donne belle lei. Sento di amarla di averla sempre desiderata, ricordo già di avere amato lei. L'emozione ch'è nata in me è forte e bella. Un'infatuazione, no! qualcosa d'imprevisto sì! va oltre la mia capacità di scegliere, è una forza che mi attrae ma che non so capire. Ho scoperto le sue labbra: calde morbide, la pelle del suo corpo il suo ventre l'umidità della sua vagina. L'ho guardata odorata gustata toccata, l'ho udita godere mentre godevo. "I nostri sensi sono pieni di noi"; odo la sua pelle mentre lei guarda il mio sapore, un vortice sinestetico. L'erotismo oltre l'erotismo, ci siamo sentiti i pensieri l'emozioni i sentimenti. I drammi e le gioie, la globalità della nostra esistenza; ma già ci si perdeva nelle nostre vite. I respiri svanire. L'amore la fine di ogni potenza declinare, la certezza di essere fragili esseri umani, di comunicarlo, e, non avere paura. Finire. La sparizione il nostro non esserci più, non avere più un corpo. Tutto è finito senza sapere perché è iniziato. Ma quell'emozione dentro di me è lì che urla. Non si rassegna a morire, esige di vivere, cerca quella persona che non c'è più e non si placa, non può, non può morire non vi riesce. Quest'emozione irrinunciabile in me è un conflitto inesorabile con cui vivo. Tutte le mie certezze le mie sicurezze tutto crolla. Si rimette in discussione tutto, tutto ciò che si è scelto di essere, lo si rinnega giacché impedisce di vivere l'emozione in cui ci si sente vivi: l'amore che sembra vivere in noi da sempre, l'amore ch'è quell'emozione che mi ha ricordato lei a cui non so più rinunciare. Lei non c'è più non esiste più per questo che la delusione è insopportabile. Poi mi accorgo che non posso rinnegare ciò che sono, che in realtà tutto ciò che ho scelto è realmente scelto. Torno a vivere con me stesso è l'unica possibilità che ho per non soccombere a quest'emozione che urla dentro di me. È forse il conflitto tra ciò che si è e quello che non si può essere. Una battaglia senza esclusioni di colpi. Per la prima volta, però, intuisco che la porta che tanto ho cercato mi è davanti l'occaso me l'ha offerta. Ormai anche volendo non vi posso più rinunciare, spero solo che la mia conoscenza mi sia di aiuto per affrontare questo viaggio. Me stesso si oppone all'esigenza di me stesso, un'esigenza che nella realtà culturale non può più avere riscontro. Non devo fare altro che credere in me e non rinunciare mai alla disperazione che la mancata realizzazione di questa emozione mi provoca. Continuare a disperare fino in fondo fino alla scelta etica. Credere nelle scelte che ho fatto e che dopo questa prima crisi sono tornate più forti e più reali; mentre l'emozione urla la propria esistenza dentro me, me che non ho nessuna possibilità di farla vivere come lei esige. Già l'emozione inizia ad entrare anche nei miei pensieri a far crescere essa stessa dei pensieri, ancora non mi oppongo a tali pensieri non è il momento; anche se rimango sempre fermo sulle mie posizioni. Così facendo alzo il livello del conflitto, lo esaspero è me stesso contro me stesso. Entro in un vortice di sopravvivenza, nel limbo di una strana consapevolezza. L'emozione genera in me pensieri sempre nuovi, ma molto più forti, sembrano prendere energia da quel me stesso che ha scelto con la parte conosciuta di sé e della cultura in cui vive. In realtà è l'aumento della conflittualità, l'innalzamento del suo livello che rende sempre più vicino il limite della parte di me che penso di avere scelto. L'emozione diventa sempre più forte e più forti i pensieri che genera nella mia mente. È più vicino il momento in cui i due "me" saranno allo stesso livello e l'emozione forse sarà in grado di scardinare la mia consapevolezza e impadronirsene. In quel confronto, in quell'equilibrio dinamico si deciderà la mia sorte, se crescerà ancora la mia consapevolezza o sarà persa del tutto. Pensieri crescono dentro di me, pensieri che lei tornerà ad esistere. Mi dicono che se farò delle cose lei tornerà. Vedo una villa e queste voci dentro la mia testa mi dicono che è mia che lei è lì dentro di andare a bussare a quella porta, mi aprirà. Io nego dico che non è vero è un'illusione. Ma i richiami le voci sono sempre più convincenti giacché quel che mi fanno pensare è anche quello che io nelle mie emozioni provo, la percezione della realtà è sempre più questo altro me. Decido di assecondare queste voci, Gioco cerco di avere il desiderio del gioco e non dare eccessiva importanza a quel che mi dicono. Faccio ciò che mi dicono, ma mi fermo appena lo ritengo pericoloso. Le emozioni sono sempre più forti e generano in me dei pensieri non possibili, la parte di me cosciente nega queste emozioni e pensieri, allora nascono pensieri "logici" per spiegare queste emozioni che cercano di convincermi della loro plausibilità. Sono più forti giacché hanno dalla loro parte la percezione esterna di quel che avviene. Io sono poca cosa in questo momento, loro tendono ad affermare che l'impossibile è possibile e io sono già loro. Mi rimane solo un mezzo: la fede un pensiero senza più emozionalità che vive in me senza che io più viva; io nego che sia possibile ciò che all'umano me è impossibile. Nego tutto quello che queste strane voci mi fanno sentire. Come ti ho detto ho iniziato a seguirle giocando non prendendomi troppo sul serio, seguendo il loro percorso per fermarlo nell'istante in cui l'azione che esigevano da me entrava in conflitto con il comune senso culturale. Se pure il mondo culturale dell'umano è un'illusione è su quello che io devo mettere i miei punti fermi per il confronto con questa mia nuova realtà. Il dialogo tra i due me prosegue, la lotta il confronto.
Schizofrenia: Scissione tra l'intelletto e i sensi. Mente-emozioni contro realtà culturale. Mente-emozioni negano e perdono la realtà culturale questa è la follia. Scissione tra la mente e l'emozioni: mente collegamento con la realtà culturale; emozioni scissione dalla realtà culturale. Nel confronto tra la mente e le emozioni; è qui che io mi trovo.
Avvengono strani fenomeni di somatizzazione attraverso i miei sensi che sono iper-reattivi. Provo la stessa sensazione sensoriale di fare l'amore con lei. Lei è un pensiero nella mia testa e questo pensiero provoca i miei sensi. Sfiorarmi la pelle e provare la sensazione dei suoi baci, sentire un contatto qualsiasi sul mio pene e percepire il calore intenso della sua vagina; quel che sento è la realtà emotiva, che nessuna capacità soggettiva può farmi dire non essere l'unica realtà. Una parte di me ha sviluppato, mantenuto le capacità di oggettivizzazione, con questa parte del mio pensiero rendo obiettiva l'esperienza che sto vivendo. Controllo queste scariche emotive, con tecniche di concentrazione sul respiro e l'immagine del buio, come punto di spegnimento, cancellazione. Appena intuisco che "l'esperienza" può annientare la mia coscienza la blocco. Ormai una parte di me vive di ciò che vorrei essere dei miei desideri o forse dei desideri dell'umano, tutto per essa nel mondo esterno è simbolo e analogia, vive la realtà culturale nel significato di sé e la realtà è nella sua percezione. Tutto in essa spinge verso l'onnipotenza. Il pensiero, quel pensiero senza più emotività che ancora controlla e dialoga con quest'altra parte di me, è affidato alla volontà che scaturisce da un atto di fede, nel dire che non è vero quello che sono, non sono onnipotente, ma un essere limitato. Con questo pensiero inizio ad ordinare all'altra parte di me, riesco a gestirla. Tramite le proiezioni che vengono vissute come autentica realtà dal me che genera le emozioni, ho iniziato a rivivere la mia vita. Con l'analogia dei simboli ho intrapreso il cammino del ricordo emozionale. Se incontro una persona per quella parte di me che è pura soggettività quella persona è l'emozione di un incontro avvenuto in un momento diverso e con una diversa persona, tutto è simbolo e analogia. Ho iniziato una strana auto-analisi con la parte di me legata al pensiero di fede e coscienza, acquisisco informazioni su la mia vita conscia e inconscia. (Un giorno scriverò un libro su questa esperienza) La difficoltà è nel riuscire ad usare una simbologia che non lasci trapelare al mondo degli altri quello che sta avvenendo dentro di me; utilizzare un'azione simbolica che mi permetta di capirmi, ma allo stesso tempo che non stoni con le sicurezze della socialità. Isolarmi in questo esperimento non è utile giacché la continua esistenza di una realtà culturale è uno stimolo all'essere vigile nel mio pensiero cosciente. Quello che permette a tale energia di esistere sono io quel mondo che in me non accetta la propria finitezza, che non può più esistere quello che in "realtà" non esiste più. Non accetto la mia morte è questa la realtà, questa parte in me non si rassegna a morire, nega l'evidenza e ambisce all'onnipotenza, essere ciò che non può essere, immortale. È un grido di una paura non accettata. Se pure l'altra parte di me è cosciente di ciò e per questo ancora riesce a lottare; non riesce con il solo pensiero a ritornare un'unità con le proprie emozioni, che non conoscono o forse non vogliono conoscere il ricordo della fine. Auto-analisi continua, ricordo dopo ricordo. Poi all'improvviso quell'energia è sempre più forte, forse ha incontrato una censura "si difende" e sono io è quella parte di me che non vuol ricordare, che urla urla sempre più forte, e, nasce un me inaudito. (Adesso ti racconto con il dialogo delle due parti dentro di me)
"Tu sei un re e tutte le persone che ti guardano che incontri lo sanno ma non possono rivelarlo, per ora è un segreto e così deve rimanere."
"Ma cosa sei non hai voce per gli altri e solo io ti sento. Tu mi dici strane cose che sembrano gesti veri, ed ogni respiro è un mio respiro. Ma io non credo, non è vero questo. Non sono nessun re, anche se mi sto comportando metaforicamente come se lo fossi. Se io fossi un re sarei un re giusto e non un tiranno. Bevo un bicchiere d'acqua e lo faccio come se fossi un re. Parlo con gli altri e mi sento un re, è questo che mi disorienta. Io mi sento come se fossi un re, ma so di non esserlo, nego ciò che provo. Vattene, che strano gioco è questo, cosa sei che parli. Insinui in ogni mio dubbio la tua certezza, mi fai provare l'emozioni più belle, ma nulla di reale me le conferma."
"Ma io ho ciò che tu cerchi, non illuderti, io ti prometto il riposo dal dubbio. Vai in quel posto, sopra quella collina e lì troverai lei."
"Mi sento onnipotente sicuro, senza più alcuna paura, forte. L'angoscia della vita, della mia finitezza non esiste più. Ma è un inganno questo, quando io sarò giunto su quella collina e la realtà mi si rivelerà: lei che non esiste più. Cadrò nello sconforto più profondo, e, subito quel me mi deriderà. Mi darà una nuova promessa, fino a quando mi chiederà di fare cose…"
"Se tu sei forte come dici scala quella montagna."
"No, non faccio cose contro la mia vita, tu non puoi, io qui ti fermo, ti uso e faccio solo ciò che è utile alla mia consapevolezza. Ti rispondo dicendoti che non ne ho voglia, non mi va di fare ciò che mi chiedi. Mi sento "tutto" ciò che nella vita ho voluto essere. Tutti i miei desideri sono esauditi, sento dentro me la loro realizzazione. Voglio essere immortale, mi dici di alzare una mano e ciò basta per sentirmi tale, è così in ogni più piccolo desiderio. Ma poi la realtà mi si rivela sempre e tu vorresti trovare in me il negarla giacché per me non esiste, è vero, in ciò che provo dentro le mie emozioni. E proprio questo non faccio, affermo che ciò che non esiste più nelle mie emozioni è ciò che posso provare di più bello, che la realtà è nella mia sofferenza, nel dramma della mia fine. Posso credere nell'immortalità solo con la fede, ma avere fede è accettare la realtà, la mia morte come naturale compimento dell'esistenza. Quest'energia che lotta dentro di me, forse è lo stesso Mefistofele, il male, o più semplicemente il peccato. Umano terrore, che ci porta a negare l'inaccettabile nella nostra esistenza, la propria incertezza dinnanzi al nostro più alto senso: la morte. Sono io che alimento la tua forza, la tua forza è la mia paura di morire. Tu mi dici che non morirò, ed io ho voglia di crederlo, mi fai sentire anche nelle emozioni immortale, nei miei sensi che sono la parte più palese del decadimento della mia fisicità e che ora mi sembrano non poter mai finire. Vorrei credere in questa meravigliosa illusione, non è in fondo l'illusione di tutti. Ognuno di noi non è questo che persegue nell'agire della propria esistenza: liberarsi dall'angoscia dell'incertezza della morte. E quale differenza c'è, tra il perseguirla nell'illusione di tutti gli altri, nell'assurda cultura che ci siamo creati in un mondo di maschere. E il coraggio di perdere ogni maschera e dire al mondo: Io perseguo la mia illusione fino in fondo nego ogni maschera e mi chiudo nel mio me, nella mia follia, negando voi la delusione del mio mondo. Mi fermo accorgendomi che il mondo con gli altri è pure vero che il mondo in me è vero; è in questo dialogo lo svelare il limite dell'umano, non negare la morte per affermare la vita."
"Giusto tu stesso dici che è bello quello che io ti faccio provare, ma perché è vero, sennò come potresti viverlo."
"In questi momenti mi sento spezzato, sento dentro di me la lotta tra 'te e me' queste energie, ognuna mi chiama , mi consiglia su ciò che devo fare, e io mi sento estraneo se pure in loro. Come se il bene e il male non mi appartenessero più, mi sento un'entità un corpo, luogo usato per il loro confronto. Ascolto il bene la mia conoscenza che dialoga con ciò che non conosco, e lotta con il male, la paura di conoscere."
"Ascolta, come hai già capito qualsiasi tuo desiderio può essere realtà, basta che tu lo voglia. Ma devo comunicarti un segreto. Ti senti onnipotente perché tu sei come cristo. ti devo dire che quando morì il cristo si riuscì a conservare alcune cellule del suo corpo, da quelle cellule si è riuscita a fare una clonazione: tu sei il risultato di questa clonazione. Tutti nel mondo lo sanno, ma è stato stabilito che a te non sia rivelato. In realtà ci sono altre clonazioni, come te, e tutte partecipate ad un esperimento. Tu nell'esperimento sei quello che ha progredito meglio: il superuomo. Ora hanno paura di rivelarti "che sei," perché se tu conosci la tua identità sfuggi al loro controllo; è per questo che tu senti la mia voce, questo è un tuo potere."
"È vero mi sento al centro di tutto, ho l'impressione che tutti mi guardino con ammirazione e invidia. Quando ascolto gli altri si rivolgono a me, anche se spesso parlano in codice, ma io riesco a capirli, anche quando parla-no in televisione è a me che si rivolgono. È pura follia, sono sintomi che i miei studi mi avevano fatto conoscere solo in modo teorico. Ora ne ho un'esperienza reale. Quest'energia in me, tu sei una mia creatura. La forza da domare in me. La capacità di non perdere, il mio bisogno di perdonarmi, di comprendere i propri errori e accettarsi in essi, scoprirli parte di noi: la fallacità. Accogliere dentro noi stessi quel po' che possiamo ottenere la compassione di Dio. Va' via da me Mefistofele, pazzo d'un pensiero. Alcune volte l'orgoglio è vita dell'amore umano e si dimentica l'umiltà che è amore per la vita; un amore umano che fa sentire la gelosia, esprime pietà. Ma l'amore è libertà, comprensione. La pietà è per lo schiavo; la comprensione per l'amico. Forse la compassione di Dio è il mio non sentirmi abbastanza amico dello stesso Cristo, del suo senso nella mia umanità. La mia incapacità di fede. Va' via Mefistofele, il mio orgoglio non c'è più. Ti butto in faccia la mia morte; me che hai così paura."
"Le incertezze e le paure dell'uomo: la malattia che mette in ansia con il suo richiamarci alla nostra precarietà. Se tu guardi una persona che sta male, tu la puoi guarire, ti basta pensarlo…"
"Basta, tutto sembra accadere, e sempre più mi avvicino all'incognita della vita. Sento dentro di me tutte le paure i desideri di ogni uomo. Mi sento vicino all'emozione di tutta l'esistenza, la più lontana; sto morendo, si appresta la mia fine. L'angoscia della fine chiama dentro di me. Vorrei urlare fuggire, gridare tutto il mio terrore; ma nulla di tutto ciò faccio. Mi concentro sul mio respiro e sull'immagine del buio più profondo di un buio che annulla tutto. L'estremo tentativo di Mefistofele, di me di negare quel che si è. Io accetto questa mia morte, non la nego e non mi oppongo, cerco solo di non perdermi nelle mie emozioni. Accetto tutta la mia paura, ma se debbo, voglio morire.
Dopo avere sentito la morte, L'alba è giunta, tutto si sta' placando: la paura la sua emozione lontana è vissuta appieno dentro di me, questa notte. E ora che mi sta lasciando non ne sento più l'angoscia; sento il mio corpo la mia anima i miei pensieri, calmi e rilassati. Mefistofele si è arreso. Ho pensato e ho vissuto la morte, il ricordo, l'ho accettata, ma era solo il terrore di essa, l'estremo tentativo di quel me mefistofelico di negare il proprio limite, il mio limite. Io sono incerto come ogni altro essere umano.( quella notte nei pressi della mia casa morirono tre persone, naturalmente con questo non voglio dire niente, coincidenze.) Ora Mefistofele è diventata una voce amica, indaga con me, inizia a fare parte della globalità della mia consapevolezza. Ci sono solo io con la consapevolezza accresciuta.
Il dialogo continua, presente in me, scandaglia. Ancora scandaglia, cerca; ma nulla più si oppone. Un dialogo armonico si è sostituito al conflitto. Il mio istinto sembra essere libero da ogni pregiudizio, in armonia con la natura e con me stesso. (Sono stato in una pianura in montagna, allontanandomi al tramonto dalla mia macchina; mi sono ritrovato in una notte fonda e senza stelle, nel buio, perduto. Ho provato a cercare la mia macchina, ma non riuscivo a vedere nulla oltre il mio passo; impossibile trovare una macchina nera nel buio. Allora ho chiuso gli occhi e mi sono concentrato sui consigli che venivano dal mio dialogo interiore, ho sentito il mio istinto che governava i miei pensieri e fatto ciò che esso diceva. Ho camminato seguendo la direzione che di volta in volta l'istinto mi diceva, e cieco, all'improvviso ho trovato la macchina. Non so dare una spiegazione a questi fenomeni percettivi, che si sono ripetuti in altre circostanze. È come se l'istinto fosse tornato in armonia con la natura, con i pensieri e la coscienza dell'essere umano, con i suoi desideri. Forse l'istinto non è altro che il desiderio senza più alcun desiderio. Prendo atto di queste coincidenze senza nessuna ipotesi.) Narrare ciò che non ha parola è purtroppo spostare il senso delle cose. Questo racconto forse è inutile alla comprensione; vi ho voluto dire poco, lasciare ad altri momenti, lo stile la capacità narrativa appropriata. Ho voglia di concludere la storia in fretta. Ascolta." " Proseguo la mia ricerca e scopro un triagono d'amore; scopro di aver amato tre donne, ma in realtà una, la prima. Dentro di me l'emozioni tornano a vivere, il sentimento si scuote del suo perché. Scopro il fuoco della sua mancanza, della scomparsa di Arianna, che ha acceso un bisogno insopprimibile di conoscenza e consapevolezza in me. Scopro attraverso la sua assenza nel mio bisogno di ritrovarla di avere amato Katia come ho amato lei, di aver provato la stessa emozione. All'improvviso quest'emozione scopre Alessandra. Mi ritrovo con tre donne che hanno tracciato in me la stessa emozione, tre donne che non esistono più a cui ho delegato il mio potere amare. Indago e scopro il perché di tutto. Ho amato Alessandra quando ancora in me non esisteva "più" il tempo, provando qualcosa che non aveva nome. A tre anni ho avuto un'emozione che mi ha fatto desiderare di pensare un'altra persona; una bambina poco più grande di me. ho desiderato la sua vicinanza il suo sguardo i suoi colori, e ho scoperto dentro di me l'emozione, l'emozione d'amare, la fine della paura. Alessandra è scomparsa lasciandomi un vuoto, un vuoto inspiegabile; ho dimenticato e iniziato a cercare senza sapere di farlo; cercare l'emozione che aveva placato l'ansia della mia vita. Ho scoperto Katia e sono stato felice senza sapere il perché, ma provavo la stessa emozione; avevo solo cinque, sei anni e scoprii il bacio. La mia vita procedeva e cercava per me quel che io non sapevo di essere. Giunsi negli anni della "maturità" e incontrai Arianna e con essa ritrovai la mia emozione, la gioia la felicità. Vissi i nostri corpi i nostri pensieri, scoprii la globalità dell'esistenza. Pensavo di amarla, in realtà amavo la mia emozione d'amore, che viveva attraverso lei, lei che era Katia e Alessandra, Arianna un'unica persona, simili anche nell'aspetto fisico. Arianna era altro da me, in molte cose opposta; ma in me era l'impossibilità di amarla; amandola di un inconsapevole emozione, la mia passione per lei. Arianna muore, muore della morte di ogni essere. Ma io non accetto la sua morte, la nego anche all'evidenza; giacché senza di lei la mia emozione non può più vivere, io non posso più amare. Nego la sua morte perché dire di sì ad essa significa accettare la mia fine, la rinuncia alla mia unica certezza, all'unica possibilità che ho di placare la mia paura. Riprovo ciò che provai con la scomparsa di Alessandra, lo stesso trauma, che avevo dimenticato. Così inizia tutto, tutto ciò che ora so, ora che finalmente sono libero di amare, di scegliere. Ora che ho scoperto il perché della mia emozione." Il movimento dell’anima.
FAUST (Faust finisce di raccontare)
Ha concluso così questo suo strano modo di raccontarmi, il perché lo abbia fatto non è facile spiegarlo. Mi sono trovato con lui in un momento adatto.
MONALISA
Stringimi, per un attimo, solo per un attimo. …Così.
FAUST
È quasi l'alba. Il cielo sta schiarendo. Ho una idea; giocheremo una partita a scacchi, postale, comunicheremo in questo modo. Accompagneremo ogni mossa sulla scacchiera con un nostro pensiero. Quando ci vedremo non parleremo di questa nostra partita. Solo quando sarà finita ce la sveleremo.
MONALISA
Io non ho molto tempo. Sto morendo, è quando mi hanno detto i medici.
FAUST
La vita è vita, sempre. Tutti conosciamo il nostro destino, facciamo finta d'ignorarlo. Quando pensiamo di conoscerlo dimentichiamo ciò che abbiamo sempre saputo. La vita è vita sempre.
MONALISA
Qual è il tuo nome?
*
Ho forse concluso il mio racconto. È trascorso un anno da quella notte, sono successe tante altre cose. Oggi è di nuovo la notte di San Lorenzo e la trascorrerò insieme con lui. È trascorso un anno e sono ancora viva.
È finito il tempo di questo libro, ma con esso anche qualcosa dentro noi. Siamo felici. Il mondo la nostra vita, è diversa ora. È viva, viva come non mai, come sempre e questo è bello, meraviglioso, incredibile. Ora vediamo ciò che ci è sempre appartenuto: il nostro ricordo e l’assurdità che ce l’ha fatto dimenticare. Si perdono gli oggetti, ogni possesso, tutto si stacca, si allontana. Finisce l’ansia di avere, liberi anche da noi stessi. Respiriamo. Siamo felici. Il mondo la nostra vita, è diversa ora. È viva, viva come non mai, come sempre e questo è bello, meraviglioso, incredibile.
Art e Anima continuano a camminare lungo quella strada, ma non sono piú gli stessi, la loro sensibilità, le loro emozioni, vivono in armonia con il pensiero. La propria consapevolezza. Guardano avanti e vedono nel cielo una piccola macchia, una piccola macchia che li cerca: un uccello, una rondine. Ora è distinguibile anche a loro. L’osservano volteggiare alta e silenziosa. La rondine disegna nel cielo due cerchi invisibile, due giri sopra di loro, poi galleggiando sull’aria scende verso terra e si posa di fianco a Art e Anima, li guarda e poi dice: «Ho da dirvi qualcosa.» Anima e Art rimangono sorpresi sì sorpresi nell’udire parlare quell’uccello, ma al contempo affascinati da quella diversità. La rondine li guarda ancora e dice:
«Era una strana sera
e fu per questo che accadde.
Camminavo contemplando la solitudine
di quella spiaggia notturna,
ascoltando il tranquillo dialogo del mare
che risaliva sulle sponde della terra.
La luna diffondeva i suoi riflessi e tutto era avvolto
da una strana quiete.
Sembrava che tutto, tutto l’universo fosse in quell’ambiente della notte.
Era una strana sera
e fu per questo che accadde.
Ero lí nell’unione dei mondi dove strani uccelli volano
e dove qualcuno mi attendeva.
Non avevamo nessun altro
niente altro che io.
Io era lí ad abbracciare ancestrali presenze e futuri dialoghi
nei pensieri del mio presente,
ma perché ciò
si diffondeva nella mia anima.
Era una strana sera
e fu per questo che accadde,
che l’ignota presenza, quell’ignota presenza ch’è in ognuno di noi, ora è fuori di me.
Fuori nel buio della notte, libera come la libertà,
era là, là fuori ad attender me ed altri nel mio medesimo atto.
Gridai sì gridai, ebbi la forza di urlare alla mia presenza
a lei che null’altro aveva da fare che attendermi,
aspettare il mio momento.
Era tutto lí, tutto l’universo in quell’ambiente della notte
ora ne ero certo.»
Detto ciò volò via.
Anima e Art rimangono sereni dopo aver ascoltato quella strana voce, quell’originale uccello.
Aveva ragione è tutto lí e sono vicini a ciò che li attendeva. Si fermano e seduti in terra, uno di fronte all’altra: si guardano. Anima prende le mani di Art e le avvicina al suo viso, Art dolcemente sfiora il suo profilo. Non sanno come incominciare. Insieme per dirsi qualcosa. Ciò che è dentro di loro forse non è esprimibile con le parole, forse non servono, ma il suono ancora deve dire qualcosa. Basta che uno dei due parli e tutto accadrà semplicemente. Dice Anima: « C’è ora una storia, questa che abbiamo condiviso.»
Art— Già! una storia che ormai ci appartiene. Che non è finita. Anima… qualcosa? sento qualcosa.
«Cosa senti?»
«La tranquillità dell’amore, tutta la sua energia. Amore per la vita, per il mondo per te. L’amarci Anima.
Dentro noi, nella bellezza dei pensieri, nei nostri sentimenti. ma mi chiedo non è forse semplice e superficiale, è facile per chi ha ormai perso la giovinezza del proprio corpo.
Non piú amare quel che si è desiderato ma ciò che si ha. Ciò che è dentro un corpo stanco e vecchio, senza tempo né immagine; in un mondo colmo di ciò ch’è vero.»
«Tutti conoscono l’amore.»
«La completezza. Nessuno forse potrà capire tutto quel che in noi è avvenuto. Ora che siamo giunti al tempo, alla fine, che la morte è così vicina. Forse il nostro ultimo ostacolo.»
«Non è piú un problema la morte, non vi è piú problema nella nostra vita ora che ne viviamo il senso. Ora che la consapevolezza il ricordo dell’emozione lontana di essere già morti, è tornata nella nostra vita.»
Art dice ad Anima di avvicinarsi al suo viso alle sue labbra, con le sue.
In quell’istante, la strada, le case, quel luogo esplode, e tutto si allontana da loro, in ogni direzione, senza alcun rumore. Frantumi della materia di quel posto che schizzano via e scompaiono. Tutto finisce e Art e Anima sono.
Il sole è alto e riscalda i loro corpi nudi, i loro corpi distesi sulla terra, che hanno ripreso la loro giovinezza.
Il sapore salato del sudore, una goccia scivolata come per miracolo dalla tempia, lungo la guancia, finisce nella bocca.
Io Faust apro gli occhi, la mia stanza. Mi alzo dal letto, vado verso la finestra, guardo fuori.
Appunti Interni
E ora, ora.
Oggi il mondo forse è un po’ cambiato, il mio mondo. Tutta una vita, senza appelli né sentenze, dall’inizio solo un cammino.
Ma prima di parlare prima di dire le ultime parole, leggo questi miei ultimi appunti, dopo non avrò più voglia di leggere.
La vita è giunta al termine e non vi è mai in essa il tempo per potere modificare quello che è già avvenuto, così le parole sono scritte come si possono vivere e come “scrittore” non ho più il coraggio di correggere, cambiare, né qualcuna né nessuna di esse. Le parole come la vita si scoprono tardi, dopo, dopo aver vissuto e non si possono più cambiare. Il loro segno è forse superiore a quello che rappresentano.
Morte!
morte è
morte è il
morte è il li
amorte è il lim
a morte è il limit
La morte è il limite
La morte è il limite.
La morte è il limite.
La morte è il limite. .
La Morte e il Limite
la morte è il limite.
la morte è il limite.
La morte è il limite..
La morte è il limite.
La morte è il Limite.
La morte è il limite.
La morte è il limite. Perché la morte nell’esperienza della vita dell’esistenza umana, legata alla parola è vista come pura negatività? Per quale motivo è legata al nichilismo *[più] estremo; all’unico nichilismo. La parola è legata ai pensieri, i pensieri sono l’antefatto della morte, quindi di conseguenza noi arriviamo a pensare la morte, ad immaginare la morte, alla paura della morte, ma non sappiamo cos’è la morte e qui con le parole possiamo solo fermarci, di conseguenza anche con i pensieri. Ora questo “scollegarci” dalla morte, essere lì vicini ma non poter raggiungerla; può essere interpretato come una dicotomia. La morte è altro dalla vita, in realtà questo non è. Questo avviene e quindi assume forma di nichilismo, forma di negatività assoluta della morte, proprio perché c’è questa contrapposizione, quindi c’è una negazione: la negazione: la vita nega la morte, la morte nega la vita è una contraddizione è impossibile ciò; giacché la morte è la vita, la vita è la morte, quindi sono un’unica cosa. La morte non può essere negata, non può essere negata da un essere che muore, legato al pensiero, al limite della parola nel pensiero; quindi nell’incapacità di sentire realmente la morte. Per tale essere la morte è un punto ineliminabile, innegabile, non può essere negata, la morte non può essere negata; quindi un essere di tale specie che cerca di negare un’ente innegabile come la morte inevitabilmente l’afferma e lottando e discostando la vita dalla morte, la vita inevitabilmente diventa negatività, nichilismo, diventa negazione; negazione intrinseca implicita in se stessa. Perché negando una parte della vita ch’è la morte, automaticamente il senso di globalità dell’esistenza viene negato (da chi nega la morte). Negando ciò che è innegabile avviene la sua affermazione. L’unica cosa: ente, “pensiero”, l’unica cosa che noi possiamo affermare come esistente, come certezza, come forma d’innegabilità ch’è in noi, è la morte. A questo livello ancora non percepiamo non sentiamo
[1]* Il [più] qui inteso, significa che il nichilismo di cui parliamo è l’unica forma, la forma assoluta del nichilismo. Nichilismo stanziale, che perpetua se stesso, nell’implosione della negazione dell’armonia del vivere, generando e rendendo artificiosa la morte.
Incontreremo andando avanti nel testo il termine “più assoluto,” in questo caso l’avv. Più in associazione ad assoluto, serve per far capire che il più assoluto del sentire la morte, non è l’assoluto-eternità.
l’essere più assoluto della morte. *QUINDI NEGARE QUALCOSA D’INNEGABILE (pertanto più assoluta) SIGNIFICA AFFERMARLA. Tutto il tragitto dell’essere umano si basa su questa apparente conflittualità, tra l’accettare la morte e il negare la morte. Come si esce dal nichilismo, dal vedere la morte come forma di nichilismo.
Ora è vero che noi con le parole e il pensiero possiamo arrivare solo al pregiudizio della morte, ma il pregiudizio è realmente un giudizio, è conoscenza è consapevolezza è scelta etica, no! non lo è, il pregiudizio è un’ipotesi, un’ipotesi di conoscenza, una presunzione di conoscenza, indizio di conoscenza, il pregiudizio, quindi non è la conoscenza reale e se noi non abbiamo una conoscenza reale della morte, è perché abbiamo il pregiudizio? perché i nostri “pensieri-vita” sono legati all’attimo precedente la nostra morte? perché abbiamo paura della morte? La realtà così come la viviamo e come la vediamo ha forse senso? Dobbiamo chiederci questo.
La realtà storica è legata alla realtà dialettica, a una realtà di avvenimenti legati alla parola-pensiero, quindi legati all’antefatto della morte, il precedere la morte, non al sentire la morte e questo scaturisce dalla paura della morte.
* Immaginiamo un’essere umano che vuole suicidarsi. Tale spinta al suicidio, nasce dall’incapacità di accettare le espressioni della vita che palesano l’impossibilità di placare tutta l’ansia dell’esistenza, che nasce dal non riuscire a scoprire il perché ultimo. Ma tutta l’ansia della vita noi la conosciamo sapendo di dover morire nel non accettare questo, e la morte ci palesa la nostra impossibilità. In questa crisi non generativa, (verso il suicidio) dove i pensieri, le sensazioni, la parola-pensiero si esprimono nel non equilibrio; ecco che aumenta la paura il panico della propria incertezza: scoprire la morte. Ora nel suicida si crea il desiderio, di fuggire, di non sentire più l’angoscia di essere incerto di dover morire (espressione di molteplici stati dell’esistenza) e qui avviene il paradosso: il suicida fa: Mi uccido perché non voglio più provare la paura della morte ch’è in me (inconscio, voglio vivere con l’armonia, serenità che è nella vita). Ecco il paradosso: per vivere come desidera deve accettare l’intero dell’esistenza: La vita! quindi anche la sua naturale conclusione di dover morire. Si uccide per negare ciò che la morte produce in lui: il dover morire. Nega la morte, la paura della morte, perché vuole vivere, uccidendosi, ma muore non vive più ed ecco che nel negare la morte l’afferma. Si uccide perché non accetta l’esistenza della morte, (negazione della morte) e nell’uccidersi muore (affermazione della morte).
Noi abbiamo paura di morire e da ciò nasce la realtà storica; ma l’esperienza realtà-storica se avesse realmente valore in sé non si ripeterebbe. Esperienza è modificazione successiva è emancipazione successiva, è armonizzazione successiva. Nell’esperienza realtà-storica questo non avviene è un ritornare indietro un ripetere, un ripercorrere, un risbagliare (o sbagliare nuovamente (variabili senza modificazione finale). Questo perché? La realtà-storia da cosa è mossa, da cosa nasce!? dal bisogno assoluto che risiede nell’essere umano: il bisogno della certezza; quando l’essere umano si confronta con la certezza, ha un’unica cosa, certa, nell’esistenza: la morte; ma di fronte alla morte l’essere umano è *‘niente’, è il non esistere, ha la
* “Il niente, come il nulla è indimostrabile. Pertanto il niente di cui faccio riferimento qui è il niente che si palesa nella realtà dialettica, nella parola pensiero: esistente e pertanto non nulla non niente. E Proprio questa impossibilità della dialettica è espressione del suo limite. La dialettica enuncia il niente come assoluto, ma se il niente può essere enunciato allora esiste, ma se esiste non è il niente. ecco che la dialettica per palese contraddizione ne afferma l’esistenza, pertanto nega l’esistenza del niente.” [Il fatto di dimostrare con la dialettica, l’esistenza e la non esistenza di un ente, è forse dimostrare che quest’ente è assoluto? e quindi l’incapacità dell’essere umano di comprendere, dialetticamente quest’ente? La percezione di quest’assoluto forse avviene attraverso l’espressione del limite della dialettica?]
Allora il niente diventa l’espressione dell’incapacità della dialettica di accettare, la propria impossibilità il proprio limite, di negare il fatto di non avere un’assoluto. Con tale sintomatologia la dialettica afferma che dopo la morte c’è il niente, afferma di essere a conoscenza di un’assoluto che non può dimostrare, in tale atto è palese che nega il proprio limite; con l’unica possibilità che ha, di considerare il proprio agire anche quando erra l’unico possibile. Ma questo atteggiamento è l’ipocrisia, giacché si giustifica falsamente l’errore come facente parte di un sistema inevitabile; questo sistema nasce dalla presunzione della dialettica di dimostrare il niente: palese atteggiamento di onnipotenza dimostrata dalla stesso essere della dialettica, trasformare il proprio limite nel limite assoluto. Questo atteggiamento di onnipotenza, di degenerazione, parossismo dialettico, unilateralità, genera la negazione stessa del limite dialettico. L’uomo a questo punto implode in se stesso, negando il proprio limite inizia a negare se stesso, entra nella spirale dell’autodistruzione, della distruzione della propria “umanità”, non il confronto dialogante con l’altro ma solo, ma solo l’affermazione del suo ego, ego che nega il vero intimo della sua umanità; negato da se stesso si ritrova nel terrore; che cerca di placare riversandolo sugli altri (nichilismo). Per illudersi di vivere non gli resta che negare e negando il suo limite, nella sua inconsapevolezza, non si è accorto che sta negando il limite più assoluto dell’essere umano, l’espressione di tutta l’incertezza dell’essere umano, l’unica possibilità di comprensione di vita, l’unica certezza: l’accettare la morte.
Ogni volta che neghiamo un nostro limite, ne perdiamo la comprensione, perdiamo la possibilità di accettare noi stessi e neghiamo il limite più assoluto: la morte.
E’ indispensabile riappropriarsi dei nostri limiti, accettarli, per cercare di accettare il limite del nostro morire.
Stabilire di vivere il limite nella possibilità di equilibrio che in esso è.
E l’equilibrio del limite della dialettica, è indispensabile per il perseguimento del sentire e accettare il dover morire, non rassegnazione ma la vita nella sua globalità.
visione speculare di tutta l’incertezza; questo è inaccettabile per l’essere umano. E da questa inaccettabilità dell’essere umano di confrontarsi con la morte, nasce l’incapacità di scoprire la certezza: e il bisogno, la voglia, il desiderio pregiudizio, l’aumento della “paura” di scoprire la certezza (la morte). Ma il bisogno di certezza è ineludibile nella ricerca dell’equilibrio umano, come il morire. L’allontanamento da tale oggettività: il negare di morire, sviluppa una vasta sintomatologia psicofisica, e quando il livello di paura è acuto, il bisogno di sicurezza reale (accettare la morte) è forte a tal punto che il surrogato sintomatico non è più gestibile ad un basso livello di disturbo, sfocia nella patologia.
Ma cercare la certezza senza confrontarsi con l’unica reale concreta certezza la morte, significa andare contro la morte; quindi significa percorrere un tragitto che ci porta a negare la morte, sempre. (vivere nell’illusione) Quindi noi nel negare la morte, inevitabilmente l’affermiamo; ecco che la realtà storica, l’esperienza realtà-storica è allegata a questo movimento”. Noi ripetiamo riaffermiamo la morte nella nostra realtà storica in cicli successivi; perché c’è sempre un bisogno di sicurezza, un bisogno di sicurezza che però sviluppa nella negazione (e non nell’accettazione della morte) e genera incompletezza nella totalità dell’esistenza. Di un’esistenza che si ferma all’antefatto al precedere la morte e inevitabilmente la cancella l’annulla nella generale inconsapevolezza e crea l’illusione di diminuirne il senso nella vita. Ma la morte vince sempre, in questo non dobbiamo vedere negatività né nichilismo, ma la consapevolezza di ciò è vedere il riappropriarci dell’intera esistenza.
Ma come è possibile superare la parola-pensiero e il limite supremo e quindi “il sentire e il capire” andare oltre questo limite che sembra invalicabile nell’essere umano, come è possibile?
La realtà storica esiste per contraddizione con la realtà della morte; esiste la realtà storica perché esiste la morte. Se l’esperienza storica non ha nessuna efficacia nel modificare gli eventi che si dimenticano nel proprio emozionarsi, nessuno effetto armonizzante è perché manca la capacità nell’essere umano di sentire la morte, il movente primo del suo nascere. C’è una possibile memoria lontana nell’essere umano che dimostra che l’essere umano ha già sentito, vissuto la *morte? (quindi di una dimenticanza, che deve tornare cosciente).
* Se l’essere umano, vive l’angoscia di dover morire nella realtà dialettica e per questo genera la realtà storica nell’illusione di fuggire da tale angoscia, questo può voler dire che non conosce la morte. Ma nella dialettica questo stato del considerare la morte può anche assumere significato di conoscenza: [Dialettica: io non conosco la morte. Ma se non conosci la morte perché ne hai paura? Io non ne ho paura. Ma se non ne hai paura perché nella realtà storica fuggi da essa? Io non fuggo da essa io affermo essa. Sì ma l’affermi producendo nel parossismo della realtà storica la morte e uccidere vuol dire negare la globalità dell’esistenza che comprende la morte, vuol dire anticipare gli eventi naturali che nella vita sviluppano nella comprensione del perché moriamo, e se neghi la comprensione del perché moriamo, neghi lo sviluppo della vita, neghi il dover morire della vita; in ciò neghi la possibilità che la morte dà della comprensione della vita, neghi la morte e se neghi la morte così l’affermi ma non la conosci; allora hai ragione quando dici di non conoscere la morte. Ma se uccidi per negare la paura della morte, vuol dire anche che sei la morte, che generi morte, che muori, ma allora se muori conosci: la morte! E allora perché hai così paura dell’incerteza che la morte ti fa vivere e perché non accetti la sua certezza? Forse conosci quello che c’è oltre la morte, quindi il superamento della morte? ma allora perché hai paura della morte; “cosa hai fatto di cui hai tanta paura,” o è il mistero che ti fa paura; ma nel mistero c’è solo la paura di chi non conosce, allora non conosci la morte e nemmeno cosa c’è oltre. Hai paura della morte perché non la conosci, del suo mistero; ma è lo stesso mistero della vita, il mistero che ti fa paura perché ti fa sentire relativo, insicuro. Hai paura di ciò che non conosci perché pensi che ti possa ricordare quello che non sei; di fronte al mistero hai paura di scegliere, di sbagliare. Solo con la fede il mistero assume forma e si accetta. E se non conosci la morte vuol dire che non riesci a sentire la morte. Diciamo allora che tu non conosci la morte, ma conosci la paura di dover morire. — Sì. — Ma se non conosci la morte e conosci la paura di dover morire, significa che hai paura di morire. ora Immagina che ci sia un omicida che sta facendo stragi, ma questo omicida vive lontano da te, ora tu non ne hai paura perché per te in questa condizione non è un pericolo; ma immaginiamo che questo omicida incominci ad avvicinarsi al posto dove vivi tu: lentamente, ogni giorno un po’ di più, e hai notizia che nell’avvicinarsi commette delle stragi efferate. Le tue sicurezze incominciano a confrontarsi con la possibilità che tu possa incorrere in questo omicida, che la tua vita può essere in pericolo. Ogni giorno l’omicida si avvicina sempre di più a te e le tue sicurezze incominciano a diminuire, sempre di più. L’omicida è nella tua città, nel tuo quartiere, ti sta cercando, ora avverti la paura di morire. L’omicida ti ha raggiunto è nella tua stanza è sporco di sangue e ha in mano un grosso coltello, non sai come difenderti, sta per affondare la lama nel tuo cuore. — E’ vero che io conosco l’atto del morire. — Ma se tu conosci l’atto del morire dici che muori. Allora l’atto del morire genera il morire, ma se è cosi allora dialetticamente tu dici di conoscere la morte; quindi tu conosci la morte. Potremmo continuare all’infinito, questa è la dimostrazione dialettica del circolo vizioso della realtà storica, l’esistere compulsivo della realtà-storia. Con la dialettica possiamo dimostrare tutto e tutto il suo contrario. Ma ciò che è importante dimostrare è il suo limite; giacché quando la dialettica si esprime nella consapevolezza del suo non poter, genera consapevolezza. Il limite che nel senso dell’equilibrio, va accettato reso consapevole per poterlo superare nel sentire. E mai negare se non si vuol degenerare nel nichilismo. ] ha paura della morte perché la conosce; E se dialetticamente conosce la morte, non essendo ancora morto vuol dire che l’esperienza della morte è insita nella memoria dell’essere umano: quindi è già avvenuta: quindi dialetticamente si dimostra che esiste una dimensione dell’essere umano che precede e va oltre la dialettica; una memoria archetipo che ci ricorda la nostra invenzione della morte, il trauma di poter scegliere; di avere scelto l’abbandono dell’assoluta certezza dell’eternità, eden, la certezza di Dio, [proviamo il senso di colpa, nelle azioni della quotidianità, quando le nostre scelte non sono conformi alle nostre possibilità. E quando la consapevolezza che abbiamo delle nostre possibilità è in sottostima. Superare il senso di colpa sviluppando la possibilità del riappropriarsi del proprio possibile, non cadendo nell’errore della negazione di non riconoscere di aver sbagliato] e aver scelto la possibilità di scegliere e creato la morte; in essa tutta la certezza e l’incertezza: la scelta.
Si può dimostrare questo forse proprio perché a livello di produzione della realtà storica, questa energia questa voglia di negare la certezza, quindi l’allontanamento dalla morte è presente. Se questo evento esiste qual è il percorso, qual è il tragitto per ritrovarne la memoria; per ritrovare questo sentire che ci tolga dal circolo vizioso della realtà storica, che trasformi la realtà-storia nel suo annullamento, la realtà-storia nel modificarsi e non nel ripetersi: nella vera storia. Nella realtà storica possono apparire dei mutamenti ma sono dei mutamenti marginali, in confronto al senso alle motivazioni profonde che fanno la vera storia; nell’agire umano come produttore di realtà-storia c’è la motivazione, del bisogno della ricerca della certezza; ma la spinta a tale ricerca nasce dalla paura di morire; nasce dal *“fatto’ storico” di non accettare la consapevolezza di essere incerti, perché tale consapevolezza non è “sentita” e quindi negata. — Essere umano so di essere incerto ma non accetto questo e creo la realtà storica, partendo da un punto antecedente la morte e quindi la realtà storica nega un punto, fondamentale reale dell’esistenza: la vera storia dell’esistenza, che nasce dal suo cammino verso la consapevolezza della morte, nella trasformazione il modificarsi verso la morte. Ogni giorno noi siamo concretamente vicini alla morte e questo è inaccettabile, è La paura di fondo per la realtà storica.
* “Fatto’ in riferimento all’espressione fattuale della realtà-storia.
Ora nella filosofia spesso si fanno degli errori, nel senso che vediamo la morte come una proiezione soggettiva; la morte è negativa, la morte è bella, in realtà la morte non è né negativa né bella, la morte è! Quindi l’oggettività della morte è un altro punto innegabile, la morte è! Ogni pensiero filosofico deve spingere verso l’oggettività, e l’unica oggettività della morte è che la morte è! Questo è il primo livello di avvicinamento del concetto del pensiero della parola alla morte, prendere atto che la morte è! Da qui si può generare la cultura.
Ora noi vediamo nell’ateo l’affermazione che dopo la morte non c’è niente, nel credente l’affermazione che dopo la morte c’è la vita eterna. In ambedue i casi noi vediamo la stessa energia: la fede; giacché sia il niente che la vita eterna del credente sono dimostrabili attraverso la fede. L’atteggiamento di non considerare né l’una né l’altra non è reale è illusorio perché è “proiezione” nella ricerca della consapevolezza. Di conseguenza se si divide in vari livelli la “consapevolezza” questo atteggiamento è nell’il-lusione primitiva.
Quale differenza si determina nel credere? L’unica differenza che si determina è quella di essere oggettivi o essere soggettivi. Se nell’atto di fede di credere nel nulla o di credere in Dio c’è una propria proiezione, bisogno di vivere la propria incertezza la propria paura,”(incapacità di vivere ‘il sapere di morire’) questo avviene perché siamo legati al pensiero e alla paura di morire e quindi alla parola di morire; se c’è questo atteggiamento vuol dire che crediamo fondamentalmente ancora negli dei: (e la fede non è oggettiva, è illusoria, non concreta. E’ nella Dimensione simbolica-tradizione-pregiudizio) non abbiamo un atteggiamento oggettivo della realtà. Se avessimo un atteggiamento oggettivo della realtà diremmo la morte è! di fronte a questa affermazione la morte è! noi diciamo l’essere umano muore, dicendo che l’essere umano muore noi dobbiamo spingerci alla comprensione, consapevolezza al sentire l’accettazione della morte, (Crediamo in Dio; sviluppiamo una sana simbolicità, tradizione, libera non vincolante, una piacevole religiosità.) quindi far rientrare la morte nell’interezza della vita è togliere quella dicotomia tra la vita e la morte; la morte come negatività o positività: la morte é! quindi la vita é! Ora da questa consapevolezza dall’accettazione cioè dalla non negazione, noi possiamo costruire la cultura; la cultura è l’armonizzazione delle proprie capacità ed altrui; nostre, di convivere con l’incertezza, (la cultura di cui parlo qui è legata al sentire la morte, ma vi è un altro livello di cultura che è legato alla parola-pensiero ch’è un pregiudizio anch’esso; cultura-proiezione) riuscire a costruire modi esistenziali in cui ci si sente meno impauriti e il confronto con gli altri da ancora più sicurezza. Quindi non è un confronto distruttivo come avviene quando c’è la paura morte; quando c’è la paura della morte il confronto con l’altro si svolge nella lotta per affermare le proprie sicurezze su quelle degli altri senza che ciò arrechi nessuna vera consapevolezza; con la debolezza di non sapere rimettere in discussione le proprie sicurezze. Quindi nego che esista la morte, nego di essere insicuro, quindi sono insicuro ecco, che nasce la conflittualità la mancanza di cultura. Quindi tutta la cultura il pensiero reale nasce dall’accettazione della morte; dall’accettazione della propria insicurezza, dall’accettazione dell’insicurezza dell’altro e l’accettazione della nostra insicurezza.
Tornando al discorso precedente come possiamo noi sentire la morte. Arrivare ad un livello tale che possiamo superare il pensiero e la parola e superare il pregiudizio, quindi l’antefatto della morte l’ipotesi di vita, la paura della morte e di conseguenza nella propria azione sentire la morte. Sentire la morte significa essere nella scelta etica assoluta; essere nella scelta etica assoluta vuol dire riuscire a scegliere, a scegliere indipendentemente da se stessi. Cos’è l’etica se non cercare di capire ciò ch’è vero indipendentemente dalle proprie convenienze o dalle convenienze altrui, questa è l’etica; L’etica così fatta quindi supera la realtà storica; evolve dall’antefatto della morte, della parola-pensiero. Diventa reale (vera storia). Entra in un tragitto individuale dell’essere umano, personale, soggettivo in cui l’essere umano attraverso se stesso sente e percepisce la morte; con essa la propria insicurezza oggettiva, l’insicurezza di tutti: legante e assoluta in cui l’essere umano è.
Nella conflittualità che inevitabilmente si genera, che nasce ai primordi tra la negazione della morte e l’accettazione della vita, quindi la fatica di accettare la morte; inizia un processo, d’impossibilità, sfaldamento di capire le proprie sicurezze, in un confronto dai ‘toni esasperati; in questo confronto l’essere umano incomincia a scindere se stesso; l’unica possibilità che ha è proprio quella di scindere se stesso - l’essere umano non è solo ciò che pensa attraverso le proprie parole, l’essere umano è ciò che sente; e se c’è un equilibrio fino all’antefatto della morte: tra il pensiero la parola e ciò che sente, oltre questo antefatto della parola-morte l’essere umano può solo sentire, può solo sentire la morte e “forse” affermare la parola morte nella propria intimità e sentirla concreta, ma indimostrabile con le parole, perché ora è sola del sentire.
Per arrivare a questo è indispensabile la conflittualità, l’aut-aut, la scelta; quindi “la scelta etica” *[più] assoluta. “Io vinco la morte, no!
* Il termine [più] assoluto, qui è riferito all’etica. Nel senso che l’etica è una possibilità che l’essere umano può raggiungere nel sentire la morte, che però sviluppa gradualmente attraverso la crescita verso tale consapevolezza; l’etica è assoluta quando l’uomo è nel sentire la morte, cioè al più assoluto dell’esistenza.
L’etica nell’eternità-assoluto non potrebbe sussistere; perché nell’assoluto non vi è necessità di scelta; giacché ogni azione è già assoluta.
Quindi l’etica è assoluta perché nell’ambito della sua possibilità d’esistenza: il più assoluto; è l’assoluta forma morale.
Perciò uso il [più] in questo modo per dire: che l’etica è una forma assoluta, ma nell’ambito della certezza-incertezza della morte, della percezione del più assoluto dell’essere umano; e in esso si esprime il suo limite.
io sono la morte, io vivo la morte, io sento la morte”. Questo avviene attraverso un procedimento di rimessa in discussione continuo, di confronto continuo, d’inaccettabilità continua, della negazione della morte, di scontro, di scontro anche violento; all’interno di tutto l’essere umano che sceglie di accettare la morte. Perché non dimentichiamo anche che tutto nella nostra biologia si ferma all’antefatto della morte, ogni nostra cellula si ferma all’antefatto della morte, agisce come antefatto della morte, ma inevitabilmente muore; più che morire è legata al sistema animale: non vive più. Ma questa forza e generazione del non vivere, contro il generare del morire dell’essere umano, porta una forte conflittualità, perché l’essere umano entra in conflitto con la propria esistenza biologica negazione della morte. La biologia è spinta, energia naturale neutra — Dobbiamo accettare la fine della biologia, cioè la morte biologica. Per realizzare questo, dobbiamo negare quella biologia che noi associamo alla negazione della morte — Negare la negazione che la biologia non Muore; quindi portare il non vivere biologico al morire, ( la propria genetica al morire, sentire la propria fisicità al morire). — La Biologia è sì spinta verso la vita, ma se è legata all’antefatto, al pregiudizio, alla realtà storica; la biologia assume valenza di negazione della morte; perché la biologia che è allo stato del non vivente assorbe gli attributi dell’essere in cui vive. L’animale è biologia, [(e?)] quindi in essa è già in armonia. Armonia inconsapevole nel proprio ordine naturale. L’essere umano è ricerca di consapevolezza, raggiunge la consapevolezza armonia biologica quando “accetta di morire.” In questa terra di nessuno dove sembra che tutto scompaia, dove sembra che le certezze più grandi scompaiano e dove le energie più sconosciute si confrontano, è la capacità dell’anima; in questo superamento, in questa battaglia assoluta, dell’essere umano, tra il non vivere e il morire.
Attraverso l’analisi della propria emotività e la ristrutturazione della propria emotività legata alla parola-pensiero, noi dobbiamo riuscire ad arrivare all’antefatto (pregiudizio morte) in perfetto equilibrio. Arrivati all’antefatto, iniziamo la lotta del non vivere negazione col morire, tra la ricerca della consapevolezza del morire e la biologia negazione del non vivere (inconsapevole), questo ci porta ad un ulteriore scontro, ci porta alla lotta più forte. Noi arriviamo a questo scontro estremo, attraverso l’esperienza del confronto, ricerca di consapevolezza, consapevolezza non ancora reale, perché noi stessi ancora negazione della morte; ma in quel momento che affermiamo sentendo gradualmente la morte, questa energia del non vivere negazione e del morire, diventa consapevole in noi. Qui arriviamo al punto focale, alla scissione di noi stessi, perché il non vivere negazione e il morire, lotteranno strenuamente l’uno contro l’altro per affermarsi, e in base a chi dei due si supererà ci sarà la nostra possibilità evolutiva. Nel non vivere negazione noi torniamo a negare la morte ad un livello inconsapevole e “andiamo” nella sua degenerazione nella schizofrenia, nella pazzia nella follia, giunti al punto estremo. Ma se noi tra il confronto del non vivere negazione e il morire, scegliamo il morire “entriamo” nella schizofrenia ed “entriamo” nel relativismo (apparente) “[più] assoluto.” entriamo nella disperazione, (che solo all’inizio dell’esperienza è una sofferenza marginale) in quel momento è una sofferenza estrema; in quel momento noi accettiamo: il soffrire il morire; accettiamo il morire nel confronto con il non vivere negazione. Attraverso questo confronto noi iniziamo a sentire; sentire lo scontro estremo tra questi due titani, fino alla possibilità e la scissione più totale e la lotta più estrema, estrema, tra il bene e il male; perché è qui che avviene il conflitto tra il bene e il male;
(Qui si possono verificare fenomeni, anche strani, fenomeni non spiegabili scientificamente; (non falsificabili) fenomeni che possiamo definire, scariche energetiche a cui non dare nessuna spiegazione, ma accettazione neutra.)
schierandoci con l’aspetto del morire, l’accettazione del morire, l’accettazione della propria insicurezza arriveremo a sentire, a sentire profondamente; collegare il nostro sentire e collegarlo con la percezione della morte e superare la parola-pensiero antefatto della morte, per sentire non la paura di morire, legata alla realtà storica alla parola-pensiero, ma sentire di morire. In tale percorso, arma indispensabile di equilibrio è l’aspetto ludico, giocare con le percezioni che avvengono al nostro interno; non prendere mai troppo sul serio i noi stessi; questo ci permette di non sopravvalutare. Avere fede, (credere in Dio, affermando sempre che solo lui può essere assoluto, nessun essere umano, e in questo ricordare sempre di essere un essere umano) Perché quello che sentirai dire, che i tuoi sensi sentiranno, l’emozioni proveranno, sarà la tua immortalità, la fine dell’angoscia, l’illusione assoluta all’interno di un essere che muore; a quel punto avrai solo la volontà della fede per negare la negazione della morte e affermare la realtà. aggrappati alla dimensione della realtà, pre-culturale in cui hai vissuto, e lotta per affermarla sulla dimensione della negazione della morte, che ti farà credere che la dimensione pre-culturale è priva di sofferenza, dolore, Morte; di sempre con tutta la volontà che non è vero che morirai. Giunto al punto estremo, i tuoi sensi, le tue emozioni, tu! Sentirai di morire, la negazione della morte ti farà sentire tutta la paura di morire, nel suo estremo tentativo che tu, ora possa negarla. Accetta di morire, controlla quelle emozioni, non dimenticare che accettare la morte è accettare la realtà della vita. Ora sei libero, Hai ricordato, il tuo non vivere e morire sono in armonia. Sei.
Ma perché arriviamo a questo, quale è stato il trauma da cui tutto è nato; cosa è stata questa scossa così forte che ci ha fatto rimuovere il sentire la morte; che ci ha fatto andare verso la negazione della morte. Questo bisogno di onnipotenza, impossibile in chi non è assoluto; e cos’è questo bisogno di onnipotenza, se non il ricordo forse dell’eternità perduta.
Se l’esperienza realtà-storica non modifica l’esperienza realtà-storica successiva, è perché l’esperienza realtà-storica nasce dall’antefatto della morte. dal pensiero-parola che finisce prima della morte. L’esperienza della morte è insita nell’essere umano è dimenticata, rimossa, incosciente. Ora la riappropriazione della storia, come evoluzione trasformazione nel senso e quinti autentico EPISTéme LOGUS, oggettività è proprio nel riappropriarsi e nel sentire di nuovo la morte.
La fine della disperazione è la certezza, la certezza di morire. L’accettazione totale e l’abbandono di ogni sicurezza fittizia, per sentirci tutt’uno con la morte-vita di tutti. Quindi l’approfondimento estremo della soggettività, ci ritrova nell’oggettività più forti; nella soggettività comune.
La realtà-storia finisce di essere la realtà-storia; evolve nella vera storia la realtà-storica non esiste più.
Atto di coerenza con il fine, in ogni momento del percorso trovarsi sempre dalla parte dell’eticità, oggettività, nell’intento di perseguire il bene)
(Il perseguire della scelta etica assoluta, avviene attraverso la scelta etica della quotidianità del vivere, nello scegliere di voler sentire l’amore etico.
AMORE coraggio dell’accettazione del nostro limite.
Possibilità di accettare la fine della vita, per il conseguimento della responsabilità.
Sentire tutta la propria e l’altrui vita, sentire il limite.
Amore assoluto incondizionato: Dio
L’amore per l’essere umano è fondamentale, ma l’essere umano è nell’impossibilità di conoscere tutto dell’amore: L’amore è un’ente assoluto, che oltre il limite della morte continua ad esistere; per noi legati a questo limite c’è la possibilità della fede, che forse ci fa sentire quest’assoluto. L’amore è la forza che ci fa vincere: la negazione della morte, che ci fa accettare di dover morire. L’amore ci spinge nella morte, nella dignità della vita, allontanando da noi la paura, la nostra “negazione” e riporta nell’armonia lo svolgersi della nostra vita. L’amore ci fa sperare che oltre la nostra massima certezza-insicurezza: La morte, noi possiamo ancora esserci.
Dire che siamo stati (Amore) siamo la-Morte- saremo Amore).
Questa è la nostra ipotesi di vita eterna.
Abbiamo capito conosciuto che non è giusto affermare che la morte, è bella o brutta. Ma se noi affermiamo che la morte è bella o brutta, affermiamo anche che la vita è bella o brutta. Ma in ambo i casi noi non siamo coerentemente in possesso dell’intera esistenza; per il fatto che la vita che noi sentiamo è legata al nostro pensiero-parola che è l’antefatto il precedere la morte, l’istante prima della morte. Ora proprio per questo possiamo affermare che la vita è bella o è brutta, perché si ferma lì! Ma se noi prolungassimo la nostra vita fino all’istante della morte, non potremmo più dirlo; perché la morte è pura oggettività, non è né bella né brutta. La morte è! e in essa la vita è! tutta. Quindi ci rapporteremmo con l’oggettività, con la realtà più assoluta e fuori dalla nostra soggettività. Entreremo in un vero rapporto con l’etica; cos’è l’etica? L’etica è il superamento della propria egoistica soggettività, l’armonizzazione della soggettività-positiva con l’oggettività è il guardare dov’è il giusto, oltre le convenienze. Questo è possibile soltanto nell’oggettività, attraverso il confronto tra la soggettività e l’oggettività più assoluta, e l’oggettività più assoluta è la morte. Noi non siamo in grado di confrontarci totalmente con la morte; anche noi siamo legati al pregiudizio, all’antefatto della morte; quindi possiamo pensare la morte; enunciare la morte come parola. Ma non siamo in grado di sentirla, non ricordiamo, cos’è sentire la morte; questo lo abbiamo dimenticato rimosso.
Ma se noi avessimo raggiunto il sentire la morte superato il pregiudizio della parola-pensiero, anche a questo livello, ecco che non potremmo arrivare al superamento dell’etica: che è nel vivere assoluto, l’eternità. La nostra etica è sempre legata alla soggettività-nell’oggettività. La nostra soggettività è inevitabilmente corruttibile. Ecco che la corruttibilità, componente ed espressione di noi stessi esiste perché non siamo in contatto con la conoscenza assoluta, la conoscenza assoluta dell’eternità, cosa impossibile nello stato dell’essere umano. Perché se anche l’essere umano riuscisse a sentire la morte, a quel punto dovrebbe fermarsi. (La corruttibilità al livello della consapevolezza del morire: è fisica. — Al livello inferiore la corruttibilità entra nel sistema di acquisizione del negare la morte, (realtà-storica, cultura) e si esprime in intensità variabile a seconda del livello di negazione della morte dell’essere umano in cui è situata.) Entrerebbe nella soggettività-oggettività più assoluta, quindi riuscirebbe a costruire l’etica, l’etica sul proprio limite. Sul superamento del limite del linguaggio del pensiero, sul limite del sentire la morte. Quindi riuscirebbe a scoprire tutta la sua soggettività e di conseguenza i motivi le motivazioni e le ragioni della sua soggettività. In base a questo, affondare le radici, le ragioni, in ciò ch’è comune in tutti.
Incertezza assoluta: la morte. Da qui può nascere la scelta etica; perché da qui è la massima possibilità che abbiamo di conoscenza, è l’ultimo confronto, l’ultima possibilità di scelta. Quindi quando noi allo stato del pensiero-parola, il pregiudizio della morte: — chiamiamo “l’etica;” in realtà non è etica, è una presunzione di essa è un pregiudizio di essa. Perché è legata all’antefatto della morte. Quindi noi abbiamo un pensiero della morte, pregiudizio della morte e di conseguenza non sappiamo tutto dell’oggettività e non conosciamo fino in fondo la nostra soggettività, cioè non abbiamo raggiunto il limite della nostra soggettività, il limite più assoluto in cui la nostra soggettività si unisce con l’oggettività più assoluta, con la morte: che è! Quindi la morte non è né bella né brutta; la vita non è né bella né brutta. Ma noi possiamo affermare, ripeto, che la vita è bella e brutta, perché è legata all’antefatto della morte, al precedere la morte al pregiudizio della morte, non a una sua conoscenza reale. Quindi è sempre legata ad una nostra soggettività. In questo confine rimane la nostra soggettività e conseguentemente possiamo dare un giudizio di soggettività, legato a ciò che noi siamo. Ma se noi conoscessimo realmente ciò che noi siamo arrivando al sentire la morte; quindi la nostra soggettività portata al suo reale limite, reale confine. Noi non affermeremo che la vita è bella o è brutta, affermeremo come la morte: la morte è! oggettiva; la vita è! E qui finirebbe il circolo compulsivo della storia. La storia avrebbe finalmente una linearità, uno svolgersi verso che, un senso etico, reale che nasce dalla conoscenza. Da una conoscenza reale, non più legata alla paura ed al pregiudizio. Dall’accettazione di ciò che noi siamo: esseri finiti, esseri che muoiono. Questo non ci porta al panico alla paura; come ora, ché noi non sentiamo la morte e abbiamo il pregiudizio della morte; questo, ci porta alla fuga dalla morte. Portandoci alla fuga dalla morte noi torniamo alla negazione della morte e negandola l’affermiamo.
Noi possiamo “affermare” l’esistenza non inglobando nell’esistenza la morte, quindi accettando la morte, accettando il limite della nostra soggettività: l’impossibilità alla nostra onnipotenza, del nostro essere assoluti. Accettando questo noi accettiamo l’oggettività della morte, l’oggettività della vita e stabiliamo la scelta etica: la motivazione reale concreta, la conoscenza. Ciò ch’è il bene soggettivo con il bene oggettivo. E quindi nell’interpretare, nel vivere e sentire la morte in questa forma, noi non abbiamo più motivi di fuga; quindi non abbiamo motivi di negazione della morte, ma di accettazione della morte; in tale atto noi ci armonizziamo con ciò che siamo: l’accettazione della nostra fine soggettiva, l’accettazione della possibilità di vivere con la nostra capacità acquisita nella fine soggettiva e quindi placare l’ansia, la paura della morte.
Con la conoscenza della morte smettiamo di aver paura della morte, l’accettiamo e la nostra prospettiva verso le cose verso gli altri cambia: è un incontro, finisce lo scontro. Da qui nasce la scelta etica. La scelta dell’oggettività e la conoscenza della fine della soggettività, del termine della soggettività. Se ciò per ognuno è un discorso individuale, un percorso individuale, da percorrere, alla conoscenza della fine della soggettività, alla conoscenza della morte, in quel punto ognuno di noi si ritrova, ma si ritrova in tutti. Quindi è il cammino della soggettività che ci porta all’oggettività; la soggettività finisce nell’oggettività. Qui abbiamo un punto di estrema forza etica. Un punto legato alla fine della soggettività di tutti. E da quel punto di pura neutralità, noi possiamo vedere ciò ch’è giusto e ciò ch’è sbagliato. In quel punto noi non vediamo più la convenienza; vediamo ciò che possiamo e ciò che non possiamo. E’ la fine, il termine delle possibilità. Ma lì possiamo anche scegliere perché è la fine dell’angoscia; perché noi viviamo l’angoscia finché non conosciamo (accettiamo) la morte.
Quello che l’angoscia è, è la paura e l’incertezza che noi abbiamo. Questo ‘adesso’ deriva dal fatto che noi non conosciamo: la morte, l’abbiamo dimenticata. Ricordare per accettare la morte per noi è l’unica possibilità di eternità. E questo “sentirci eterni” ci “porterebbe” a svolgere la nostra esistenza con linearità (ateo, sente e accetta la morte e tutta la possibilità, che tale consapevolezza dà all’essere umano; accetta tutto il limite, la conoscenza dell’incertezza che scopre in essa; ha fede nel nulla il suo mistero). Con linearità significa che il nostro senso, avanzerebbe e di conseguenza avrebbe nel suo movimento la coerenza, l’approfondimento. Giunti alla morte; il nostro senso l’approfondimento di esso, non avrebbe più motivo di un punto di fuga; a quel punto noi esisteremmo. Cadrebbe ogni forma d’illusione; ogni forma di movimento inconsapevole; cadrebbe il pregiudizio, entreremmo nel giudizio reale. In poche parole, arrivati alla morte noi accetteremo di morire. Al sentire la morte noi accetteremo di morire. Perché quello è il punto estremo, l’ultima possibilità: l’accettazione di noi stessi.
—Ecco che qui il nostro vivere attraverso il sentire, e il nostro vivere attraverso il pensiero-parola-sentire, sarebbe finalmente tutt’uno— e torneremmo un’unica persona. Perché è inevitabile che quando noi fermiamo tutto alla parola-pensiero, il nostro sentire non è completo ; nasce da qui la nostra conflittualità: tra l’esigenza del sentire e la paura di sentire. (Il pensiero-parola ci mostra in questo limite e si ferma al pregiudizio, quindi alla nostra paura.) Ma il sentire vuole andare avanti, vuole scoprire. E da questa lotta, tra questi due noi stessi è determinata la nostra conoscenza, la nostra consapevolezza. Gestire questo male e questo bene dentro di noi, è forse nella capacità dell’anima.
Ma dato per scontato, che arrivare all’etica assoluta, quindi a sentire realmente la morte non è per tutti possibile. Ché non tutti riescono attraverso la propria soggettività, a spingere la propria soggettività, al loro estremo limite. Dobbiamo chiederci: il pregiudizio in cui noi ci fermiamo, all’antefatto della morte, ha una sua oggettività. E anche lì è a tutti noi possibile giungere a questa oggettività? Non vi è dubbio che lì, è il limite precedente il limite più assoluto; è il limite legato al pensiero-parola e quindi in se stesso è già oggettivo. E’ oggettivo in quanto limite preciso; in quanto componente estrema di una componente essenziale dell’essere umano: la parola e il pensiero. Il pregiudizio è l’oggettività parziale, l’antefatto della morte, ma è legato ad una concretezza, all’impossibilità di andare oltre la parola-pensiero; all’impossibilità di generare oltre la dialettica, con la dialettica. Quindi un pregiudizio che nasce dalla non conoscenza del più assoluto; ma ch’è conoscenza di un limite: il pensiero parola. Oltre questo limite vi può andare il sentire, che ci fa sentire la morte.
Ma questa parola questo limite; inevitabilmente come qualsiasi altra possibilità di confine e quindi come qualsiasi altra possibilità di limite, verso il limite più assoluto ci porta ad avvicinarci al sentire la morte. Quindi l’acquisizione di ogni limite è la fine dell’illusione-sicurezza, è l’acquisizione che ci avvicina alla certezza, da cui noi tendiamo sempre ‘di allontanarci: la certezza-sicurezza di morire. Quindi c’è un punto di fuga anche dal pregiudizio oggettivo parziale; assistiamo a vari livelli d’esistenza; perché anche al pregiudizio oggettivo, non è facile giungere. Il pregiudizio oggettivo è legato a questa capacità, di porsi in relazione alla fine della nostra dialettica; di porsi in relazione all’incertezza (fine) della nostra componente realtà-storica. Quindi all’accettazione di antefatto dell’incertezza assoluta e già questo ci fa capire che moriremo, ma questo non ci dà la possibilità di conoscere realmente tutta la nostra soggettività. Perché non siamo in confronto con la realtà oggettiva più assoluta dell’essere umano: la morte. Quindi anche il pregiudizio l’oggettività parziale non è a tutti raggiungibile. Anche dal pregiudizio ci può essere un punto di fuga. Quindi il pregiudizio è l’avvicinarsi alla verità più assoluta alla conoscenza, ma non è né la verità più assoluta né la conoscenza. Il punto di fuga dal pregiudizio è un’ulteriore allontanamento dalla verità più assoluta e dalla conoscenza. Quindi assistiamo a ritroso a diversi punti di confine. Punti di confine che sono estremamente legati alla soggettività di ognuno di noi. Ognuno di noi ha un punto di confine; un punto di confine ch’è sempre più illusorio, tanto è più legato alla propria soggettività che va verso un egocentrismo egoistico. Quindi ci sono vari livelli, vari stadi, ed ognuno è un punto a ritroso verso la fuga, anche dal pregiudizio. Sempre più nella soggettività, sempre più nell’illusione; un’illusione sempre più profonda.
Per ipotesi possiamo dividere gli uomini, in diverse categorie. Senza poter dare nessun giudizio assoluto, se non legato all’incapacità dell’oggettività parziale del pregiudizio e dell’oggettività della morte è! (più assoluto). Senza dire ciò ch’è bene e ciò ch’è male; anche se: più ci si allontana dall’oggettività parziale del pregiudizio. E più ci si allontana dalla morte è! dall’oggettività reale; Più si è nell’illusione e più si è nell’errore, nella non conoscenza. E quindi ci si allontana sempre più dal limite del pensiero-parola ma sempre più anche dal sentire.
La componente di maggiore armonia è la saggezza. Nel saggio vi è la massima consapevolezza; il saggio è colui che ha accettato la morte, che ha superato il pregiudizio.
Il genio globale.
L’intelligente.
Il genio parziale.
Il furbo.
Ogni essere umano è formato da tutte queste componenti, che nell’ideale devono vivere nell’equilibrio.
Ogni possibilità d’incontro è una possibilità per ognuno, di capirsi e capire. Siamo tutti indispensabili ognuno nel suo voler “essere”.
Sapere che la morte ci appartiene ci dà coscienza della vita.
Non scegliere il suicidio, non negare la morte.
Opera d’Arte. In un museo, vi è una persona seduta che osserva. D’improvviso si alza ed esclama: — «Ma come posso… Non capirmi!»
L’opera d’arte è ricerca di un limite speculare, un’ansia di assoluto, da cui ognuno può trarre consapevolezza.
È Passato altro tempo, oltre quello della mia vita, forse, ma non riesco a capire cosa sia tutto quello ch’è accaduto, non m’interessa più.
Ho letto questi appunti e tu che sei giunto sino a queste mie ultime parole, ti sei accorto che sono un mio promemoria, sono appunti interni a quello che ho vissuto. In essi ho inventato le parole per dire ciò che non può essere detto con esse, sono giunte dove loro sono impossibili. Questi ultimi appunti interni sono il mio abbandono dell’arte, o meglio il mio non averne più bisogno.
Penso che spiegarsi oltre non sia possibile, ma neanche mi interessa farlo, oramai le parole non dicono più nulla.
Mi sento lontano da tutto e se sono ancora qui è solo per il senso di rispetto che ho per un lettore, per colui che per caso ha trovato queste mie pagine. Lascio detto a lui che nulla in esse può essere modificato, perché ogni parola ogni punto, ogni virgola, accento rappresenta un giorno della mia vita e come i giorni ormai vissuti non si possono più cambiare, sono scritti così, come la condizione della mia anima.
Adesso sento che tutto esce senza più patemi: angosce gioie… e le parole sono diventate leggere, ma sento anche che non ho più bisogno di loro, non ho più bisogno d’interpretarle. Ciò che stato scritto, vissuto qui è stato possibile perché io ho vissuto ciò, ma ho trovato l’incapacità delle parole per raccontare la mia storia. Ora che sono giunto alla fine voglio dirvi che il mio modo di scrivere è quello di un interprete, giacché voi capirete chi io sono, non solo dal senso delle parole, ma anche dalle loro ombre. Vedete se ora io provassi a riscrivere tutto, non potrei farlo, più, come è già stato fatto, perché quella persona, quel Faust che ha già scritto non esiste più, ma è ormai esistito: Interrompere per poter ripetere, cambiando, ma è poi migliorare questo. O forse non è semplicemente illudersi di quel che d’irripetibile e unico succede ogni volta, cambiare non è forse distruggere.
Ora non mi aspetto più, non aspetto più nulla, ed anche se sono giunto vicino agli ultimi giorni, non posso dirvi come sarà l’aldilà. Non più angoscia ho, se le parole non possono, se io non posso spiegare, sono ormai alle ultime, poi non ne avrò più bisogno, ma in cuor mio voglio dirvi che ora so, che ora sento.
Quando tra un po’ sarò morto e non esisterò più; quando sarò tutt’uno con me stesso, trovate un muro e su quel muro scrivete queste mie ultime parole:
Inizio nel non più
Ora,
Dopo il tramonto, verso l’oscurità
solo ora riesco ad ascoltare le mie emozioni
troppo languide e tristi.
Emozioni così poco astratte lungo il viale dei cipressi,
da sembrare speranze cristalline.
Ma nel pensare ciò mi chiedo quale arcangelo
annuncerà il mio destino
agli spazi del Sé
Di quel Sé che germoglia nell’opinabilità
che genera nella coscienza e vive nell’amore;
in quell’amore così tanto Atavico
da prendersi prigioniero nelle chiuse della mente.
Ma, in fondo solo nel non più
possiamo guardare nel cielo creando il ridestarsi
degli umani momenti.
E ora
Soltanto ora che gli specchi d’acqua son calmi
fermi come la morte
la luce mi si diffonde dinanzi
riascoltando in me la bucolica speranza.
Faust
soliloquio
[libro grande piccolo parole scritte illusione. una di legno bianco una di legno. una stampante computer televisore video cassette molti fili cd videoregistratore casse acustiche giradischi telefono scatole di legno una di cartone lettere casco da motociclista borsa di mio nonno cuffia giornali L.P. cuscino coperta lenzuolo segnalibri quadri lampade scrivania legno pavimento porta occhiali blocco note calcolatrice cuffie bacchette per batteria carta nautica squadrette nautiche agende letterarie agende scatola vuota cartoncino disegni su carta scarpe vestiti camice pantaloni spillatrici una grande e una piccola colla stick riviste di vendita per corrispondenza di libri inviti di mostre programmi custodia macchina da scrivere fogli con appunti vari nailon per coprire sintetizzatori e computer audio cassette piccoli cavalli mani giunte intarsiate in legno piccola agenda cartoline penna di gabbiano cartolina antica da collezione appendi abiti cinta tute racchetta da tennis immagini in cuoio francobolli scatola con parecchi oggetti vecchie penne fumetti scatola di liquirizia scatola di menta madonnina con l’acqua di Lourdes clessidra ad acqua taglierino taglia unghie gettoni telefonici porta chiavi con piccola bara in legno ricetta oculistica piccola spazzola maschera da sub occhialini per nuoto filtro per tastiere batteria elettronica termosifone abbonamento torneo di calcio termometro riviste di psicologia riviste letterarie riviste di cinema riviste scientifiche, stilografica rotta biglietti da visita finestra serrandine in plastica chiesa cupola piazza palme pini macchine strade pullman cassonetto dei rifiuti asilo scuola lampioni divieto d’acceso senso unico camion portone della chiesa aiuole bambini che giocano al calcio macchine parcheggiate scivolone campane ricordi sole notte buio neve pioggia inverno estate primavera autunno mimose panchine bicicletta motocicletta automobile fontana acqua sete bere scuola sciopero professori idioti musica gilè spillette concerti cerbottane carrettuccio fionde siluri cani randagi mare spiaggia sole amore ricordo palme palme seccate palme nuove cacca di cane pallone gente che si lamenta rumore tappi di bottiglia schiacciati costa muro figurine calciatori eccitazione Pitosforo recinto scrittura monache preti cinema parrocchia torneo di calcio piede tagliato ferita acqua di mare foruncoli litigare cadere correre inseguirsi nascondino campanone primo amore scoperta del sesso primi incontri senza sapere cosa fossero liberi casa di Polifemo rubare ortaggi insalata campagna ville liberi lattaio con la bicicletta chiave sulla porta camion liquirizia radici di liquirizia tartarughe lucertole bisce rane rospi stagni sigarette case in costruzione giochi toccarsi scoprirsi senso di colpa morale nebbia neve aut buio giochi scherzi chiapparella rialzo carte scacchi dama monopoli risico Zorro chissà chi li sa TV dei ragazzi primo secondo canale tele cavo immagini distorte incomprensibili compleanno cane primo gatto ricordi. è tutto passato, forse non vi è altro che possiamo ricordare, non vi è altro che possiamo ricordare, tutto sembra trascorso, eppure in ognuno di noi c’è quel barlume del ricordo che improvviso in un istante senza capire, senza comprendere, fermo come il sole ritorna …macchina bianca, passi di una persona che lentamente si avvicina alla sua auto, senza pensare a nulla giacché sta riflettendo su qualcosa che non sa a semplici cose; cosa ha detto la moglie cosa ha dimenticato di fare in ufficio. lo guardo attraverso la finestra. perché piccoli passi uno vicino all’altro, salire in macchina far finta di nulla partire andare incontro a qualcosa che già è avvenuto, ieri l’altro, ieri e avverrà domani, senza nessun ricordo senza nessuna memoria ma perenne verificarsi dello stesso istante …ho tanti libri tantissimi libri e ho letto molto questi libri, tanti, che alcuni non li ricordo neanche eppure sono stati importanti, si sono forse depositati in ogni mia piccola cellula ed ora fanno parte di quel che io ora sono. che mi rimane da raccontare certe volte mi perdo e le parole non si sentono più, non le sento più dentro, non le sento dentro quell’immagini che ognuno ha di se stesso, è come se tutte insieme volessero uscire ma nessuna di esse è la prima, non vi è una priorità in loro c’è l’anarchia, l’anarchia totale ma senza prevaricazione, senza che nessuna superi l’altra. aspetto spesso che tutto quel che ho dentro ritorni o che si senta qualcosa di nuovo, qualcosa che… qualcosa che non si sa ben spiegare… è come genuflettersi e pregare è come abbandonarsi alla fede senza comprendere bene quale sarà il suo effetto, sperare nei propri desideri immaginarli reali, ritrovarli nelle proprie azioni, stare lì fermo ad osservare. mi vengono altre parole ma non so bene cosa devo dire, non so capire nemmeno ciò che voglio dire. la gente è affannata la gente è stanca la gente è disonesta, menefreghista, superficiale, tutto sfugge tutto si perde nell’utilitarismo senza nessuna dimensione che ci porti a comprendere a capire, che parole vane che stupide conseguenze di ciò che sto dicendo. mi ricordo di quando eravamo ragazzini. quanti giochi quanta spensieratezza, vivere in un mondo dove le chiavi erano sulle porte delle case, dove tutto sembrava essere fatto di fiducia. mi ricordo del lattaio che veniva tutte le sere a consegnare il latte, mi ricordo dei giochi della libertà, uscivamo liberi per tutto il giorno, senza nessuna preoccupazione o forse le nostre preoccupazioni erano solo quelle di vivere, di conoscere, di comprendere. ora dove è finito tutto questo, dove sono quelli che dovevano essere ”noi stessi, quelli che dovevano migliorare quel noi stessi, non ci sono più e tutto il mondo è finito dentro una stanza, dentro quella stanza che ognuno di noi si porta dentro, senza capire il perché, il come. stanza piena dei suoi sogni dei suoi giochi da dove attinge tutto quello che può realizzare, tutto quello che può sognare. certe volte questa stanza diventa una prigione, un sogno inconsueto, una trappola è quello che succede a molti a molti ragazzini d’ora, dove sono, noi vivevamo con il primo il secondo canale, la TV dei ragazzi le fionde, tutte stronzate stronzate che sono qui a ricordare a ricordare, che cosa… era un altro mondo un’altra dimensione, un altro ricordo, quante illusione e quante stupidaggini sentivamo e quel periodo, quel periodo dell’adolescenza che abbiamo trascorso con un delitto al giorno… accendevamo la televisione che ci diceva chi era morto quel giorno, quale attentato. la lotta politica e intanto una parte veniva tolta alla nostra generazione, una parte del tutto nuova da scoprire, tutto si è riversato nel disimpegno. ma che sto dicendo? bianco rosso verde giallo non ci sono più colori che sto facendo qui? che cosa sto aspettando? è una crisi totale, una crisi di parole, non ho più le parole adatte e quelle che uso mi sembrano sempre più insufficienti senza nessun significato. quante volte intorno a me ho visto gente morire strane cose, strane sorprese i concerti ma che sto dicendo quel ragazzo avete visto… mai qualcuno avere un’embolia. io non c’entro niente con tutto questo, non l’ho mai fatto, eppure osservavo intorno a me tutto quello che accadeva, gli stessi ragazzi che giocavano liberi facevano, con bastoni, fionde che con la fantasia sostituivano i giochi sofisticati di ora, un giorno comparve quella strana cosa, sono comparse le siringhe, la gente si drogava, non sapevo cosa dire cosa pensare, sapevo che era un errore e non l’ho fatto, non c’era motivo di farlo, a me la vita piaceva, non so forse mi piace ancora ma è così difficile sentirla, eppure c’era chi lo faceva chi sognava quel paradiso, quella fuga, quell’incapacità di comunicare i primi disagi, quella stupida voglia di non capirsi. mi rendo conto che è estremamente difficile parlare estremamente complesso sognare, quasi impossibile, così mi trovo a dire parole senza senso, senza significato a ricordare cose frammentarie e senza nesso logico, nesso logico, qual è il nesso logico della vita tutti stanno bene, tutti, eppure muoiono ma muoiono prima di dover morire, che pensiero idiota che concetto idiota che cosa cavolo voglio io dalla vita, qual è il sentimento l’origine che mi ha spinto ad essere quel che ora sono? non capisco bene le cose e credo che non le capirò mai, tutto ciò è come se non avessi avuto… che sto dicendo mi ricordo che andavo all’asilo alfabetizzazione coercitiva, la scuola, quei professori… dovrei parlare meglio con migliori ricordi tutto con un’immagine vocale autentica reale, forte, equilibrata quasi che quello che io sto dicendo avesse un suo motivo per essere detto, in realtà non c’è è tutto sconclusionato frantumato, distrutto, respiro, è una società senza realtà. molta di questa gente qui fuori dalla stanza è gente venuta dalla campagna, gente che ancora sogna il titolo nobiliare, l’emancipazione da un ruolo subordinato ma non sa ”più come fare è uscita… ama il titolo, vanno a scuola, si laureano, per l’orgoglio di mamme prigioniere della loro storia e della storia di chi le ha precedute, così orgogliose e felici di dire… che ci faccio qui in mezzo io? che non sono capace di uscirne, che rimango vittima dei loro giochi perversi d’imbecillità, che cosa sto facendo? sto parlando, ma a chi? forse a me stesso o a qualche altro, è poi vero quello che sto dicendo? è tutta una finzione un’invenzione perché io non so bene a chi appartengo, non so bene chi io sia e forse neanche voi lo sapete qual è il mio nome e il vostro c’è forse un nome per ognuno di noi ma ognuno di noi, non ha molti ricordi da dare, io ne ho ma non so come dirli, vorrei narrarli in maniera bella con una costruzione che… ma vedete che mi vengono addosso, mi vengono addosso confusi senza un nesso, senza una loro bellezza forse scrivendoli… ma io non sto scrivendo sto solo parlando parlando a me stesso qui in questa stanza. non c’è nessuno, io non so a chi sto dicendo queste cose, chi le ricorderà, io no, no di certo non le ricorderò, non le narrerò più ma neanche le ricorderò, ora non so più bene cosa dire, mi sono confuso mi sono perso, non so come continuare forse bisogna partire da un momento e proseguire in maniera lineare, forse bisogna trovare un circuito, il circuito il circuito della storia, quello che ritorna che ritorna e che porta avanti la medesima situazione in attimi diversi e sembra che tutto si muova, in realtà è tutto fermo, sì forse devo partire da questo momento ma dov’è questo momento nella mia vita, dov’è? non so bene che cosa sia e non so neanche… non so niente, non so proprio niente; vorrei essere nudo e non ho il coraggio di spogliarmi, vorrei essere solo e non riesco ad esserlo non riesco ad essere solo come vorrei, non riesco a capire perché perché, vi ricordate del personaggio di *** in quel film e di lei. sono così vicini pur nella loro lontananza, tutti nella loro storia. Lui sembra essere la strada su cui lei deve passare per capire, per conoscersi, ma che c’entra questo, perché sto parlando di queste cose? perché forse vorrei dire cosa sono, cosa faccio, di cosa mi interesso? ma a chi importa, certe volte la cosa migliore è pensarle senza dirle le cose. quel silenzio dove il pensiero galleggia si muove sospira respira e lì, in quel silenzio, al buio con gli occhi chiusi, stare lì e pensare, ma pensare senza neanche le parole, sapere che tutto c’è e in un attimo sapere che tu hai pensato la tua intera esistenza e invece ci sono le parole. ma che stupidaggine come sto parlando male, come sto pensando male, come sto sognando male sto dicendo stupidaggini, stupidaggini su stupidaggini, perché non so cosa dire e quando uno non sa cosa dire dovrebbe tacere e io invece in questo momento non so farlo perché ho bisogno di dirmi le mie storie, di parlare di me anche se sono qui solo nella mia stanza, non vi è nessun movente non lo trovo perché io non parli non racconti a nessuno solo a me, solo a me stesso forse solo così riesco a capire, comprendere, perché stia facendo questo. tutto sarà frammentato come una vita intera, quanti libri così importante è la parola, certe volte sono in crisi non so bene cosa sono quando mi chiedono che faccio, non so bene cosa rispondere, io *** ma che significa *** in mezzo a chi non sa cosa sia è come dire io non esisto, ma il tuo corpo è visto e che significa dire non esisto per chi non sa, per chi non sa che cosa è per chi non si conosce, che sto dicendo? non riesco a focalizzare ciò che dico, non riesco a trovare il centro da dove dipanare tutte le strade che mi potrebbero portare in una dimensione completa, reale, che mi porterebbero a sperare in qualcosa di diverso, che significa quello che sto dicendo? non lo so sto brancolando nel buio eppure c’è tanta luce intorno a me forse è questo, forse sono abbagliato dalla luce non riesco a capire cosa sia, dovrei parlare delle persone che ho conosciuto, delle tante storie che ho incontrato lungo la vita, parlare di me o soltanto degli altri di come ho osservato gli altri, di quello che facevano gli altri e di quello che io facevo. non capisco sono confuso già sto annoiando me stesso …cosa sia che cosa sia non lo so, non lo so che cosa sia è un bisogno che ho dentro e questi sono solo pensieri, esatto io adesso non parlerò più penserò soltanto, cercherò di raggiungere quel silenzio che soltanto attraverso le parole le parole nascoste, tenui, malinconiche che escono così all’improvviso, senza nessun apparente motivo e sono dentro di noi e sono sono la spiegazione, sì la spiegazione di quello che potrebbe accadere, sembrano elucubrazioni i miei pensieri, elucubrazioni senza senso elucubrazioni tratte da una storia che non si vuol spiegare, elucubrazioni frammentate dalle immagini, dalle immagine che ognuno di noi ha degli altri di se stesso, sembrano parole di un folle eppure la follia ha una sua logica, come è logica la follia, ci sono cose stupende nella follia forse è l’unica arma che noi abbiamo per liberarci, pensare, impazzire sapendo di esser pazzi, senza abbandonarsi al gioco incosciente. avete mai letto il diario di *** è stupendo quella è la vera parola, quella è la vera letteratura è lì che la parola si libera da se stessa si appropria di se stessa si oggettiva, rimane sola in se stessa, concetti che sembrano senza senso che si liberano del limite stesso che la parola gli impone e lì la parola si frantuma si distrugge, liquefa, forse diventa quel pensiero silenzioso che ognuno di noi ha ma che non ha il coraggio d’inventarsi né di sognarlo, né esserlo Ma che sto dicendo che sto facendo anche la parola ha un ritmo troppo veloce per i miei pensieri, o sono i pensieri che hanno un ritmo rallentato rispetto a tutto quello che avviene, sembra quasi che essere muti sordi è la realtà È bellissimo leggere, se io non avessi avuto i libri non so cosa sarebbe accaduto di me, ma non so se ciò che i libri hanno fatto di me sia positivo o negativo. è strano è strano ma è come appropriarsi della propria anima, lentamente giorno per giorno poi dimenticarla, esserne tutt’uno senza capire bene perché. come sentirla la parola è qualcosa che ti libera ma al allo stesso tempo ti imprigiona, ma quel tanto quel niente che ti permette di scioglierla, liquefarla, ti tormenta acutamente fino a farti sentire il piacere. che voglia di sensualità, ho sempre voglia di fare all’amore, ma poi quella dimensione intellettuale che mi appartiene mi guida mi impedisce Come si fa a pensare se non si hanno le parole, se le parole non vogliono stare con te, come si fa? Ho solo voglia di urlare di urlare di urlare, per questo che le parole mi sfuggono via, sono troppo ferme silenziose ossessive e io ho voglia di gridare, ho una gran voglia di fare all’amore, ho una gran voglia, di leccare una fica di sentirne il sapore, ho una gran voglia, solo questo e allora cos’è questo? è solo il bisogno di comunicare o l’incapacità di farlo o forse l’impossibilita di adattarsi a comunicare Che cosa accade, che cosa sta accadendo? Gente sempre più adulta che si droga senza nessuna remora, senza nessun capire, stanno lì, vegetano come zompi senza sapere perché come, non sarebbe meglio fare all’amore e invece no neanche più quello basta, come se tutto fosse passato, trascorso e solo la paura è rimasta di fronte alla paura, solo il salto può salvarci, il salto in una fede che non si sa bene cosa sia, ma che che ci dà una speranza. e invece, invece ci sono altre strade per alcuni per molti, certo certo è come dici è come dici, lo so lo so lo so quello che stai dicendo può, appartiene a qualcun altro ma non a te e invece lo senti tuo lo trovi tuo, lo scopri tuo. che strano il disagio che provo di fronte a qualcuno che non sa capirsi, di fronte a qualcuno che non sa capirti ma che vuole giudicarti è questa la realtà? cazzo che mi succede non riesco a parlare non riesco a pensare non riesco a sognare non riesco ad immaginare, mi sento in ansia agitato angosciato e non capisco perché perché Non guardo più i telegiornali non leggo più giornali tutte puttanate tutte puttanate però mi ricordo, mi ricordo di quando li guardavo tutti i giorni mi ricordo quando andavo a scuola mi ricordo quel giorno quando in televisione dissero di aver ritrovato il corpo o Aldo Moro, che periodo strano gente che diceva cosa era giusto cosa sbagliato, tutto sembrava netto e noi a vivere sotto quella cappa, quella cappa incomprensibile di stupido odio. ogni giorno un morto ogni giorno un attentato, ogni giorno un perché senza risposte. il terrorismo era nato nero rosso non so ho sempre nella memoria l’immagine di una lunga strada una macchina e un cadavere era un giudice non so se di Genova, di dove. era stato ucciso forse da gruppi neri, terrorismo nero. Poi tutto inizio a trasformarsi dicevano che i terroristi erano rossi ma i morti erano sempre gli stessi, era una strana confusione vivevamo con uno strano malessere, le crisi crisi esistenziali senza motivo era forse normale nell’adolescenza ma noi avevamo quella strana dimensione attorno. Seduti nei bar a discutere senza niente d’importante e lì vicino una macchina con qualcuno che ci osservava, quanti morti quanta gente chiusa scomparsa sparita e poi quel giorno, quel giorno dove tutto stava accadendo era accaduta quella notizia avevano ammazzato Moro, era l’apice forse di tutta quella catena di odio, di strano di strano tormento che si trascinava dietro una intera generazione che avrebbe schiacciato la mia nostra, che ci avrebbe tolto ogni possibilità d’immaginare, di sognare In quel contesto assurdo noi vivevamo dei strani giorni dentro l’ambiente scolastico, ricordo una volta che fui sospeso sì fui sospeso c’era una supplente che stava spiegando qualcosa non ricordo cosa… La scuola era estremamente noiosa, futile, arrogante, stupida Io passavo le mie giornate fuori in mezzo alla vita a conoscere la vita, leggevo a scuola ci parlavano di cose così, così inutili per la comprensione, un mondo stupido senza creatività. sono patetico sì sono patetico dicendo questo perché vorrei dire altre cose, vorrei spiegare bene come erano quei momenti, vorrei spiegare come avveniva che a dodici tredici anni noi scioperavamo, che a dodici tredici anni ci chiedevamo i perché, che a dodici tredici anni agivamo con quella coscienza che non era nostra, ma era il nostro bisogno di trovarci il nostro bisogno di confrontarci. era strano eppure ancora adesso non riesco a capire, non riesco a vedere quei momenti con lucidità ma forse è solo in questo momento che non ci riesco, patetico Chiudo chiudo ogni accesso di luce nella mia stanza voglio il buio, voglio che fuori non appaia nulla che non ci sia nulla di me che io non riesca a vedere oltre, non riesca non riesca a vedere fuori cosa c’è. qui al buio nel silenzio vi è un mondo artificiale, un mondo tutto mio è già accaduto sapete è già accaduto. avevo quattordici anni e mi chiusi in casa ad ascoltare musica per un anno intero, per un anno intero chiuso dentro casa senza uscire mai, mai un attimo, una protezione una strana protezione avevo il terrore di quel mondo che stava fuori di quello che era accaduto, erano strani quei momenti, inconsapevoli eppure così intensi forti reali, pieni di sogni e di paure. Non ricordo come accadde, eh sai come quando si è tra amici tra piccoli ragazzi, ragazze si è curiosi e ci si scoprì ci si toccava e successe il senso di colpa, quello strano disagio un mondo che non ti accettava, che non ti accoglieva. la scuola quel tormento assurdo, quei professori idioti, quel preside imbecille una volta ricordo bene un professore affermò qualcosa che a me sembrò esagerato, istintivamente senza pensare feci un suono un oh semplicemente, per dire esagerato. il professore si rivolse alla classe e chiese chi era stato e che se il “colpevole” non si dichiarava subito avrebbe punito l’intera classe. dissi che ero. io. mi mandò dal preside, il preside inizio col chiedermi che cosa avevo fatto, io non sapevo cosa avevo fatto e non riuscivo a capire cosa dovessi spiegare, mi disse che avevo fatto un rutto e che non dovevo farlo mi fece telefonare a casa e dire a mia madre che avevo fatto qualcosa, ma non riuscivo a spiegare cosa Fuori morivano ogni giorno morivano, c’era gente che diceva che era giusto quello che stava accadendo e le brigate rosse o chi per loro era tutto giusto solo i mezzi erano sbagliati, non so forse era vero, forse no, io capivo che non dovevano, non si doveva uccidere nessuno poi c’era quella cosa assurda, stupida, di non capire il meccanismo in cui erano intrappolati. ogni forza, ogni azione violenta genera altra violenza e queste violenze si stimolano vicendevolmente finché quella che riesce a sviluppare una forza maggiore, organizzazione, sopprime l’altra. questo era quel mondo dialettico assurdo in cui… finiti e nella sua politicizzazione assurda il terrorismo non lo ha capito. da qui è nata la sua fine e quando iniziò era già finito. sono state morti inutili, senza nessun senso, perché la storia la fa la memoria e la memoria è già passata dimenticata, ora già c’è un’altra memoria e un’altra storia, forse? Io sono qui e non so bene cosa sto dicendo, parlo senza un nesso logico, senza una motivazione reale, soltanto ascoltando ogni parola che lentamente esce dalla mia bocca e la pronuncio qui in questa stanza e qui si perde, vaga e dopo un po’ scompare e forse si dimentica Vorrei dire tante cose ma non so da dove iniziare da dove cominciare e tutte quelle cose che a me sembrano importanti quando le dico mi rendo conto che sono anodine, inutili, vaghe, insensate, che interesse può avere quello che sto dicendo, che cosa esprime? non lo capisco non lo capisco proprio, forse dovrei tacere tacere, dovrei raccontare raccontare raccontare, ma raccontare che cosa raccontare? che cosa? dove è accaduto? che cosa è accaduto? quando è accaduto? non lo so, non so che sta accadendo, patetico, inutile non ho nulla da dire parlo per paura, solo per paura è la paura mi fa tacere è la paura che mi fa parlare è la paura che mi fa pensare che m’illude di pensare, un raziocinio senza speranza, chiuso immobile, sepolcrale, senza nessuna indipendenza. sì è l’indipendenza è questo che mi manca la voglia di liberarmi, invece sento sempre qualcosa che mi ferma che mi prende, mi ossessiona e anche queste parole sono bloccate, non rivelano nulla, è come se io parlarsi parlarsi non non riuscissi ad afferrare il succo di quello che voglio dire l’essenza il paradigma. Che sto facendo? qui che sto facendo? ho chiuso le finestre e non vedo nulla di ciò che c’è fuori eppure so che cosa sta accadendo, spesso arrivano come degli zompi dentro una macchina, aspettano assorti, fanno finta di dormire di ascoltare la radio, ma sono già morti. poi arriva arriva quello con la droga la passa… potrei raccontare in mille modi queste scene, cercare una forma letteraria, ma io non voglio gliela passa semplicemente e loro corrono corrono in un posto nemmeno tanto nascosto e si bucano. quanta gente, quante persone lungo la strada ho visto perdersi io non so… non sono mai stato così ma poi in realtà non so bene se neanche io mi sono perso, forse in un altro modo, in un’altra situazione, in un’altra immagine. che confusione è faticoso è faticoso è molto faticoso, non riesco a capire a sognare non riesco a fermarmi sembra, che tutto tutto sia così vicino e posso riuscire a staccarmi a parlare senza che nessuno ascolti, senza che io stesso mi ascolti, mi è impossibile per quanto io provo, provi non vi riesco, non vi riesco vorrei sapete vorrei che vorrei Ho voglia di masturbarmi sì di masturbarmi farlo e poi rifarlo non so bene da dove mi nasce questa esigenza ma ho questa voglia, quando scoprii la masturbazione… ma che importanza può avere questo, questo è qualcosa legato alla mia individualità e in questa stanza che io mi dica queste cose che so, che senso ha, io non devo dire niente di ciò che so dovrei parlare di ciò che non so di quel che accade altrove La mia visuale è piccola è limitata è limitata riesco a comprendere sta diventando un affanno questo, questo immaginare sta diventando un tormento un sospiro un inganno quest’immaginare Cerco spesso, che. Cerco spesso e nemmeno in un ordine pulito, vi è, escono le parole, non c’è niente da dire, non c’è niente da fare, ho solo una gran voglia di sensualità di sesso di sesso, sì vorrei raccontare le mie storie, ma non ne ho che io non sappia, le mie storie io le so e perché raccontarle a chi in questo claus… claustrofobico mondo. questa stanza ( sospiro) cerco cerco cerco cosa trovo, non lo so non riesco a comunicare con quel mondo, racconto delle storie, delle storie che ho saputo, delle storie che ho inventato Certe volte mi affaccio alla finestra e vedo delle persone che passeggiano o stanno ferme qui davanti alla fermata del pullman le immagino nude… vorrei, vorrei farci all’amore, sì senza sapere il loro nome il perché e il come. è stata già troppe volte una delusione conoscersi capire, cosa c’è da capire non c’è nulla da capire è tutta un’illusione un assurdo gioco della mente. scoparsi scopare rovesciare sugli altri il proprio sperma sentire l’umidità scivolosa tra le cosce di una donna quante volte può accadere questo, poche poche volte anche se si fa all’amore mille volte, ma cos’è che accade poche volte? non capisco che sto facendo? mi masturbo me lo prendo in mano e incomincio a menarmelo poi aspetto e quando sto per godere me lo stringo più forte quasi a fermarlo, faccio uscire lo sperma ma lo trattengo bestialità av… che ho perso, tutto quello che avevo trovato, dov’è immaginato, quello che poi, in un tempo ormai lontano in una dimensione mnemonica che non ricordo più… oggi ho perso Cercavo di ricordarmi ogni volta che incontravo qualcuno come fosse la cosa, come fosse dovere amare, quale fosse l’amore quel gioco. quante volte mi sono trovato a dire che amare qualcuna significa il solo pensarla, avere il più piccolo contatto e sentire di amarla, essere a mille chilometri di distanza e non sentirsi soli e quante volte ho stretto tra le mie braccia una donna sapendo che era tutta la mia vita? quante volte l’ho amata? Tutta un’illusione tutta un’illusione è solo l’immaginazione che non ha nessuna realtà, tutto è utilitarismo. certe volte è meglio incontrarsi, sfiorarsi e poi dimenticarsi, perché quando si rimane insieme non è mai per amore è per utilità, l’utilità l’utilità. quante volte ho sentito agire questa parola negli altri e se provassimo come io ho provato a far si che… impegnarsi per essere completamente inutili, cercare di rendere tutto inutile, non destare nessun interesse, essere la delusione di ogni desiderio, superare questo muro sarebbe veramente amare? in realtà questo non accade mai l’utilità! se non c’è un’utilità, le cose non avvengono è forse una legge di natura biologica, ma l’utilità di una cultura qual è? come si svolge? come si sviluppa? quali sono i suoi rami, che frutti nascono da quei rami? l’utilità. le parole sono false non c’è niente di più falso delle parole. quante volte ascoltiamo persone enunciare concetti, pensieri, emozioni, sentimenti così belli da illuderci che siano veri e quante volte scopriamo in quelle stesse persone la falsità di quelle parole. questo è un insulto per chiunque a che fare con le parole, la coerenza con le parole è fondamentale per la verità. dire qualcosa che non si sente, che non ci appartiene è un insulto troppo grande per la verità. la menzogna. che peccato che tutto quel che io so non riesco a dirlo, non ne ho la forza, il motivo, mi sento apatico, immerso in una abulia che si rigenera, è spenta iconoclasta. cerco di sopravanzare cerco di immaginare che tutto quello che è immaginato, sognato, perduto abbia un significato, un senso, un’immagine, un motivo. che astrazione guardo i cardini delle finestre e penso quali sono i miei cardini, forse è questa stanza, questa stanza è il mio cardine. dovunque io vada, dovunque io pensi, torno sempre in questa stanza, chiuso in questa stanza io riesco a difendermi L’individualismo cos’è l’individualismo? non è forse sognare, sognare i propri sogni senza avere nessuna capacità per realizzarli e cos’è il contrario? l’illusione ancora più grande di un sogno comune. non esiste nulla vorrei parlare con Dio, vorrei avere fede, vorrei saltare quel muro che mi… sapere dalla certezza. invece sono chiuso claustrofobico, inventando e dimenticando ciò che ho inventato Sogno spesso che qualcuno determini la mia esistenza un ente superiore è bellissimo poterlo immaginare ma poi mi angoscio quanto la realtà mi sbatte in fronte come un sogno caduto male Sono sdraiato sul letto e non faccio nulla non penso a nulla, forse sono i miei momenti migliori, in cosa mi posso riversare, in questa stanza non c’è molto da obbiettare Ci sono i libri sì molti libri quindi qui dentro c’è un mondo intero, c’è tutta la mia immaginazione i miei sogni le mie parole le parole di altri, ogni libro che compro è immettere nuove parole in questa stanza, io me ne nutro ma anche le dimentico Ricordo ciò che mi raccontò una persona che una volta per caso incontrai, era una persona strana, strana per quanto semplice, era sposato ma aveva lasciato sua moglie non per un motivo ma… che importa, che motivo c’è che io racconti queste cose, queste cose io le so e non c’è un motivo logico… c’è il telefono, potrei telefonare a chiunque, ma che cosa accadrebbe? nulla, nulla immagine superficiale di qualcosa che non cambia, immagine inconsueta di un mondo che si trasforma, solo il nulla… parole che non interessano e momenti che interessano ancora meno cosa accadrà? sarebbe necessario poter dimenticare tutto quel che ho detto perché confuso, perché non appartiene a qualcosa che si può ricordare. è strano tutto questo è stranissimo eppure ora mi sta prendendo un grande sonno, un sonno profondo non è stanchezza non è… diversa… è sonno, ho una gran voglia di sognare e ho un gran voglia d’immaginare, dormire, dormire e fuggire, dormire e fuggire in una dimensione che appartiene ad un archetipo profondo solo Una volta ho fatto all’amore qui dentro, ho fatto all’amore con una donna che pensavo di amare, ho preso le sue labbra, i suoi seni la sua pelle bianca il suo sapore, il suo calore e il mio godere godere Sono fermo ad aspettare, quante volte l’ho fatto? spesso tutto… e quella sera d’estate Milano tra episodi stanchi c’erano persone che io… è tutto superficiale sto parlando per ricordami forse qualcosa? ricordarmi tutte le emozioni le sofferenza i fastidi di giorni… me li rammento tutti anche se non li dico Ma mi annoia ricordare vorrei guardare avanti, ma avanti non c’ è nulla da vedere, fare, da dire e allora passeggio dentro la mia stanza conto le mattonelle, passeggio in su in giù di fianco, di lato, cammino, cammino non ho niente altro da fare, penso mentre cammino, ma che importanza ha pensare forse mi fermo leggo un libro ho un po’ di mal di testa che succede, che cosa succede? mi sembrava tutto chiaro all’inizio ed ora tutto si è confuso. non ho un ordine, non ho un motivo sono fermo imprigionato vorrei spazzare via tutto distruggere tutto Vorrei dirlo per non ripensarci più, vorrei dirlo per non ripensarci più. ma dire cosa, che cosa? certi giorni mi sembra di pensare a qualcosa che non esiste Sono pazzo forse, non non sono pazzo questa non è pazzia la pazzia è lucida io non sono lucido sono confuso che significa? Cerco spesso attraverso i miei ricordi di rintracciare la felicità Ma poi penso che sia fatica vana, perché farlo, la felicità non è nel passato la felicità è improvvisa e quando c’è non si può più rammentare, va’ ti accoglie e poi svanisce sono fortune momentanee. non esiste forse l’eticità? forse esiste? ma è faticosa, le parole chi è quella persona che eticamente è coerente? l’arte dove cazzo sta, l’arte! che stronzate non ho capito però come può una persona, non lo so non lo so che sto dicendo? che sto facendo? che discorso è questo, che discorso è questo?! che discorso è questo. non riesco vorrei farlo, ma non riesco Le parole non vengono fuori È un deserto autistico ma il deserto è tale solo nella sua apparenza. che discorso è questo che sto facendo? perché continuo a camminare a parlare? dentro questa stanza. nulla accade nulla cambia sono fermo eppure mi muovo ma il mio movimento non sortisce nessuno effetto è una stanzialità senza se stessa, un movimento senza se stesso, un discorso sconclusionato una elucubrazione che non ha ricordi. forse è il momento in cui posso iniziare a ricordare a raccontare ma è così faticoso raccontare dipingere le parole, parlare, dialogare. ho una gran voglia fuggire fuggire, fuggire, fuggire fuggire fuggire fuggire ma che significa fuggire e come? Uscire che cosa significa? uscire che motivo c’è di uscire quello che ho detto prima in questa stanza vorrei cancellarlo, non è più utile è stupido non c’è motivo per cui venga detto non ho voluto dire no non volevo dirlo ma le parole mentono non dimenticarlo, quindi ho detto cose che non sono vere. niente di quello che sto dicendo qui è vero nulla! io non so cos’è vero non lo so cosa è vero, neanche cosa è falso, cosa è giusto?! cosa è sbagliato?! mi approprio… con una osmosi strana e attraverso le finestre entra qui in questa stanza, una luce artificiale, un suono artificiale, ma questo mi disturba, disturba la mia retina, disturba i miei timpani è troppo non vorrei neanche questo, non lo vorrei ma sono obbligato a sottostare a questa dimensione a questo rumore questo rumore di fondo che non fugge, che non scappa ma che ti prende e ti imprigiona ti blocca ti inibisce. è un’ossessione senza nulla e se questo nulla potesse apparirmi, io forse capirei! che cosa vuol dire? non so che cosa sto facendo? Perché sto qui? Che mi succede. una volta ho fatto l’amore qui dentro lei era bianca calda, profumata non so forse già l’ho detto prima, ma che vuol dire, la stanza lo ha dimenticato io posso ridirlo Calda Calda ed è stato bello È stata l’ultima volta che ho fatto all’amore, dopo che lei è uscita qui non vi è più entrato nessuno. è tutta immaginazione, questa forse, anche quella volta è stata immaginazione perché altrimenti è uscita, perché è scomparsa? se fosse stata reale non sarebbe scomparsa Perché le cose finiscono se sono vere? tutto quello che accade se poi finisce non è vero È tutta una finzione una menzogna, no non è vero, dire finzione menzogna non è vero, non esistono, quindi io, non ho fatto niente non è accaduto non è accaduto mai nulla Certe volte immagino immagino di non so che cosa, non so che cosa. accendo la televisione e guardo quello che mi viene detto, lo immagino diverso mi astraggo, sento la televisione e penso penso, poi c’è qualcuno che viene ucciso sparpagliato non lo so, mi sembra assurdo e Dio, Dio dove sta? perché non mi dice niente? perché mi lascia qui, solo? perché non mi aiuta? no! non lo voglio il suo aiuto, non lo voglio, voglio essere disperato voglio essere incazzato voglio che tutti quegli stronzi che si bucano muoiono, non lo voglio il suo aiuto, nessuno deve aiutare nessuno, nessuno deve ascoltare nessuno Tutti, ognuno, persi, devono morire dobbiamo morire, sì dobbiamo morire io qui ho questa paura che mi attanaglia, che mi blocca, che mi fa stare qui seduto Dormire camminare accendere la luce non so se sono sogni o incubi i miei pensieri Quando dormo cosa faccio ho voglia di fare cose losche ma poi non ne sono capace, sono fermo immobilizzato non concludo nulla non realizzo nulla, non immagino nulla. sono solo cazzate quelle che faccio ma non le faccio neanche è… è… comico tutto questo, quando la drammaticità supera una determinata intensità si trasforma in… La mia vita è comica o forse solo patetica Comunicare, non riuscire a dire niente, che cosa significa tutto ciò? che sto facendo? perché continuo a camminare e a parlare, qui dentro, quando nessuno mi può ascoltare. queste mura cosa possono assorbire dalle mie parole? e tutti questi libri, con tutte queste parole, cosa cazzo vogliono dire? Vi dimentico vi dimentico ma vi amo, amo. se non vi avessi avuto, se voi parole non foste state mie amiche, che ne sarebbe stato di me. che cosa, non cerco null’altro, non cerco niente, attraverso solo il tempo, fermo, immobile, è forse lui che attraversa me che modifica… è come gettarsi nel vuoto e lasciarsi cadere, cadere cadere Come posso fare entrare il mondo qui dentro Forse vi è già entrato Quanti libri i libri è il mondo, la musica è il mondo, l’immagine è il mondo cinema sogno scrittura poesia vita immaginazione cosa sto dicendo? cosa sto facendo? sono abbonato a tante cose, non esco mai, i giornali me li portano a casa, mi arrivano per posta non devo uscire non devo uscire se esco impazzisco Ricordo una volta che conobbi una persona è comico farò ridere, ma farò ridere chi? Sì io so che c’è qualcosa, qualcuno che mi ascolta qui dentro, so che c’è qualcuno c’è un’altra essenza di pensieri, d’immagini sono qui e ascoltano senza dire niente, però possono fare qualsiasi cosa. le mie parole vengono captate elaborate studiate, non so da che, non so da chi è così, io so che tutto questo appartiene alla realtà e tutta quella realtà che si vede, quella è finta. …volevo dire che una volta ho conosciuto una persona che viveva avvolto da buste di plastica, lui mi diceva che si avvolgeva con quelle buste per non far ritirare in suo corpo con l’aria. io pensavo che fosse un pazzo, invece ”non è vero, non è vero, lui era solo un disperato, impaurito, cosciente della propria nullità, come me, come me, non so più… perché non so più cosa, mi si fa pensare, che cosa dovrei pensare? io che cosa dovrei pensare, non lo so, cerco sempre d’immaginarmi è come se tutto si fosse inaridito… forse ho capito, non sento più l’emozioni, sono chiuso dentro di me e non vivo più nessuna emozione aspetto che qualcosa accada per paura di togliermi di dosso questa corazza che mi imprigiona, cosa sto facendo qui? Perché sono ancora chiuso qui dentro? Questa è follia sì è follia Certe volte quanto passeggio al buio sento la presenza di qualcuno di qualcuno che mi è vicino, sento come se il mio corpo venisse attraversato da qualche energia da un corpo estraneo ma questa è… Sì sono vicino forse ad impazzire Non so quanti anni sono che sono qui dentro Tutto ciò che è accaduto nel passato è stato un sogno rispetto a questa realtà Ed ora questo che sto vivendo, quanto è vero? e quanto domani ne sarà scomparso Senza più ricordarsi ricordarsi Ascoltate ascoltate, sentite sst zitti zitti ascoltate oh ascoltate certe volte mi sembra di udire il suono unico e profondo del respiro di tutto il mondo Come se ci fosse un’altra entità parallela a questa dimensione Grido sì grido grido ma non con la voce ma con i pensieri Il mio grido è muto inascoltato da tutti, anche da me stesso Ipocrisia tutto è ipocrisia, ma forse se tutto è ipocrisia, se tutto è generando dell’ipocrisia, la verità è ipocrisia… Perché noi fingiamo, non è perché vogliamo fingere ma perché non sappiamo cosa sia la verità e allora qualsiasi cosa facciamo è sempre una finzione è sempre una finzione, ognuno di noi ha una sua finzione. finisce che due finzioni si incontrano e l’uno pensa che l’altro finga e l’altro pensa che sia l’altro a fingere ma tutti e due sono una finzione, non esistono e non lo sanno, non lo sanno, pensano che invece tutto faccia parte di quel discorso, di quel discorso ch’è la vita. cos’è la vita? chi la fatta la vita? chi la generata la vita? quale inganno è la vita? La vita. Io sto qui fermo, chiuso in questa stanza e mi sento bene perché la vita è fuori, lontana da me, non si immischia nei mie fatti Sono angosciato perché ho paura che un giorno dovrò uscire, ed è assurdo questo pazzesco Io no non uscirò, non uscirò, lascerò che la vita si svolga fuori, che tutta quell’illusione quella finzione sia fuori di me, forse forse domani non aprirò più neanche le finestre, non lascerò entrare più neanche l’aria. sì l’aria, l’aria trasmette i microbi, i microbi vengono da fuori incontrano altre finzioni, altre persone e vengono qui a mischiarsi a mischiarsi con la mia vita No io non ho una vita, la mia non è una vita, non voglio che sia una vita, i pazzi vogliono una vita io non lo sono, non sono pazzo, non voglio una vita non voglio che tutti pensino che io ho una vita Non voglio che cosa voglio voglio, voglio non respirare più, voglio non toccare più, voglio non odorare più, voglio non assaggiare più, voglio voglio, non voglio. Fornace una fornace con una grande fiamma, con una fiamma che non dia nessun calore, una fornace con una grande fiamma senza calore, sì vorrei stare lì dentro dentro quella fiamma, protetto da quel fuoco, dentro quel fuoco talmente forte, abbagliante che dall’esterno non sarei visibile, nascosto lì protetto protetto, forse lì non c’è la vita la vita non mi contaminerebbe non mi ossessionerebbe, no, non mi farebbe impazzire, io non avrei più nessuno a cui a cui pensare questa è la cosa, questa è la scoperta, questa questa è la cosa, non avere nessuno a cui pensare sì perché quando uno ha qualcuno a cui pensare è lì che incomincia a impazzire, quando deve pensare a ”qualcuno, quando deve pensare alle azioni di ”qualcuno e quando pensa alle proprie azioni e le confronta con quelle di ”qualcuno è lì che inizia la follia è lì che tutto si svolge è quella, quel mondo lì. io non voglio impazzire, voglio essere protetto dentro quella fiamma dentro quella fornace, non essere visto, non essere visto non pensare a nessuno e che nessuno mi pensi, perché sì è un altro problema… ed è quello che gli altri ti possono pensare, gli altri possono pensarti, immaginarti, questa è una violenza inaudita spaventosa che gli altri… possono averti nella loro testa e pensarti in un modo o immaginarti… che tu sia questo o quell’altro, immaginarti è questo che che forse li rende li rende partecipi della tua vita ma, ciò è un intrusione una violenza che io non voglio non voglio. i desideri sono un tormento non li voglio i desideri, sì perché quando desidero, desidero qualcosa con qualcun altro desidero qualcosa, con qualcun altro non li voglio non li voglio, non li voglio non li voglio non li voglio i suoni i suoni, devo annientare i suoni, i suoni, chi produce i suoni, ormai non vi sono più suoni prodotti naturalmente, ogni suono è prodotto dall’uomo è prodotto dall’uomo, anche questa è un’intrusione. perché devo pensare questi suoni, perché devo sentirli, perché questi mi fanno pensare a qualcosa a qualcuno. non voglio non voglio sì dentro quel fuoco, dentro quella fornace, il suono del fuoco sarà talmente forte che io non udirò più niente altro, sarà un suono così assordante e così assoluto che riempirà tutto, non ci sarà niente fuori, nessuno fuori, non accadrà mai più, mai più che qualcuno mi pensi, ruberò i pensieri agli altri, andrò in cerca dei mie pensieri dentro le teste degli altri. non voglio che ci siano dei miei pensieri dentro le teste degli altri. perché perché perché perché è accaduto questo. tutto funziona male proprio per questo motivo perché non è stato capito, Dio perché non hai capito questo, non capisci che questa è la follia, far pensare far pensare gli altri che tu sia dentro la testa di qualcun altro, che la tua immagine sia dentro la testa di qualcun altro, che il tuo odore sia dentro la testa di qualcun altro, che il tuo sapore. io non esisto non esisto, pensare non esisto, per questo per questo non voglio più nascere, non voglio più nascere, non voglio, ma non voglio neanche morire, non voglio morire, non voglio morire, perché morire significa consegnare un pensiero definitivo di te stesso. tu non puoi più agire, non puoi più modificare i pensieri sbagliati che gli altri hanno di te, si appropriano di te ti masticano ti generano come loro vogliono, ti falsificano è questo morire, io non voglio morire, no non voglio che ciò accada non voglio, voglio soltanto che… che ci sia qualcosa che… sì aveva ragione quello a mettersi le buste in testa, le buste sul corpo tutto può ristringersi acutizzarsi perdersi, volgarmente perdersi perché ciò accade, hai sbagliato Dio, hai sbagliato non dovevi far accadere questo, non dovevi immaginare questo, non dovevi tormentarti di questo… e tu hai iniziato a pensarci, perché hai iniziato a pensarci e ci hai generato, se tu non ci avessi pensato noi non saremmo esistiti, se anche tu esisti solo perché noi ti pensiamo, allora cos’è questo pensiero? da dove nasce? questo pensiero perché? non ha freno non ha limiti, può fare qualsiasi cosa, certe volte è cosi ossessivo arrogante presuntuoso, così coercitivo che ti toglie ogni respiro, ogni possibilità ogni immagine ogni sogno, sogno sogno sogno sempre questa parola, ma il sogno è una malattia è una malattia come la concretezza. non c’è niente di concreto nella vita, non c’è niente di concreto nei sogni. io già non esisto basterebbe che annullassi questi pensieri e già scomparirei, non esisto è questa la realtà, per quale motivo dovrei esistere Sono qui dentro ma nessuno sa niente di me, però mi pensano devo riuscire a togliere i pensieri agli altri i miei pensieri agli altri, il pensiero di me agli altri. è pazzesco è pazzesco pazzi sono tutti pazzi, sono tutti pazzi impazziranno non lo capiscono, impazziranno pensando e non lo capiscono, non comprenderanno nulla si affanneranno ma solo impazziranno, c’è solo la pazzia che li aspetta dietro tutti i loro pensieri non c’è niente altro solo la pazzia, è come un mare, un mare enorme un mare senza fondo, senza orizzonte e le rive non esistono, la riva non esiste, la riva è un inganno è tutto mare è tutto mare Recita recita continua a recitare continua continua continua a recitare dalla mattina alla sera brutto porco schifoso sei solo un attore un lurido fottutissimo sporco attore recita recita, recita ma che ti ha scritto il copione? chi sei? solo un estemporaneo senza talento La tua vita è così piccola meschina banale uomo di merda uomo di merda sono tutte cazzate quelle che ho detto prima tutte cazzate quando parlavo della droga tutte cazzate quando parlo della televisione dei telegiornali delle notizie, le notizie, stronzate le notizie sono niente non appartengono a niente non hanno niente le notizie non esistono le notizie si perdono si trovano così casualmente, sono invenzioni. queste invenzioni che ci entrano nella testa ci condizionano, la storia è fatta di queste invenzioni la storia non esiste non esiste puttanate, parlare di questa cose dovrei superare queste cose, superare questa astrazione totalizzante superare il pensiero superare la mia immagine il mio pensare me stesso e il mio non pensarmi Bisogna morire e la morte la morte è tutto basta morire e tutto sparisce tutto si annulla tutto scompare in un pozzo senza fondo in un cielo senza orizzonte dove va a finire dove va a finire ma io non sono sicuro di questo, dove va a finire? che succede? quando si muore che succede? che succede perché io non lo so? perché io non lo so. quanti corpi si guardano e li vedi così giorno per giorno mentre si putrefanno, loro ridono piangono cagano pisciano scopano ma si putrefanno, muoiono ogni giorno, ogni giorno perché non accelerare questo evento cosa si aspetta se questa è la fine perché non accelerala. che significa aspettare? che significa aspettare. perché ci è dato questo tempo, questa attesa? questo momento? non lo capisco c’è qualcosa che non funziona, qualcosa di sbagliato che non riesco a capire ossessiona quello che ho detto prima quello. che ho detto all’inizio? vorrei cancellarlo vorrei non averlo detto vorrei distruggerlo, vorrei che questo amore non avesse assorbito queste parole, perché sono vacue, non so come dire sono inutili sono inutili non hanno, non hanno motivi per esistere non dicono nulla sono così… così… non lo so, non lo so sono, così, cristo non lo so cosa sono, non lo so cosa sono, non lo so cosa, sono non lo so, non lo so cosa sono, non lo so cosa sono. perché vorrei scoppiare, ho voglia di urlare di gridare d’impazzire apro le finestre sì devo aprire le finestre ma no, non posso non posso, se alzo le serrande delle finestre qualcuno lì fuori si volterà e guarderà verso questa stanza e io non devo, non deve fare questo non devo attirare l’attenzione, io non devo esistere, non mi devo far notare, devo scomparire scomparire scomparire. sento per la strada la gente che parla perché parlano parlano di me? lo so parlano di me è di me che parlano, ma io non voglio non voglio che si parli di me, non voglio non voglio che si parli di me. basta basta dove cazzo vogliono andare a finire dove vogliono condurmi io sto qui sto qui, sto qui sono vestito ma vorrei essere nudo no! perché nudo no! vestito vestito è meglio vestito. quando guardo i quadri penso a chi li ha fatti non me ne frega niente, non me ne frega niente di niente, rubo qualche parola a quella e però… Dio cosa cazzo volete da me lasciatemi in pace io non vi voglio non vi cerco lasciatemi in pace lasciatemi in pace non ho voglia di nessuno non ho più neanche voglia di scopare no non ho più neanche voglia di scopare, scopare è faticoso è inutile fa sudare fa sudare Faccio ridere vero, sì faccio ridere so che la gente ride di me, ride di me sempre quando passa qui sotto la mia stanza, ride di me quando fanno i discorsi, parlano sempre di me e ridono di me ridono ridono ridono di me lo so che fanno questo. lo stato lo stato è una merda, cosa mi ha dato lo stato lo stato non mi ha dato niente perché? devo dare qualcosa allo stato, lo stato va distrutto cancellato, va distrutto cancellato, lo stato non esiste non c’è bisogno di stato non c’è bisogno di nulla non c’è bisogno di niente non c’è bisogno dell’uomo lo stato lo stato di merda Lo stato ossessivo che cazzo c’entrano le brigate rosse perché ho parlato di quelle stronzate chi sono questi stronzi coglioni che non capiscono un cazzo e che ne sanno loro dei pensieri che cazzo c’è entrato nei loro pensieri. che stronzate sulla sinistra e su quelle cazzate, ma anche io anche io sto spiegando i miei pensieri in questo modo perché sto pensando a queste cose? perché sto pensando allo stato? perché sto pensando ad un diritto che non esiste, giacché l’uomo non c’è. l’uomo non c’è l’uomo è un illusione, la giustizia è un’illusione tutto è un illusione il papa perché il papa Dio non c’entra niente in tutto questo. che cazzo c’entrano queste cose? non ho nulla io e perché sto parlando qui? eppure eppure ho paura ho paura che mi sentano ho paura di dire certe cose sulla stato sul mondo sulla sinistra sulla destra sulla chiesa, sulle chiese le religioni ma ho paura so che sono qui dentro so che mi sentono hanno messo delle spie, sì delle spie dei microfoni, sono sicuro sono sicuro che stanno qui ad ascoltarmi, vogliono sapere cosa io penso, hanno paura di me hanno paura di me, io gli faccio paura voglio fargli paura voglio che mi temano voglio che impazziscano. io li annienterò li annienterò riuscirò ad annientarli a pensarli e a distruggerli sì perché se io riesco a pensarli li imprigionerò li terrò fermi dentro di me fino a schiacciarli a schiacciarli, cos’è l’amore non me lo ricordo non me lo ricordo cos’è l’amore cos’è l’amore mi è fuggito questo pensiero e non capisco perché perché dove è andato a finire questo pensiero perché non lo ricordo me l’hanno rubato si me l’hanno rubato me l’hanno portato via me l’hanno portato via ladri ladri non me ne sono accorto come hanno fatto in quale momento in quale situazione è successo perché perché dove è andato a finire perché non posso più pensarlo non lo posso pensare più dove è ch’è successo e lo stato e lo stato e lo stato è stato lo stato sì è stato lo stato che mi ha rubato tutto, che mi ha rubato i sogni che mi ha rubato le paure che mi ha rubato i gridi gli urli e chi, chi glielo ha ordinato. come hanno fatto ad entrare nei miei pensieri come hanno fatto mi hanno rubato l’amore mi hanno lasciato la sua parola vuota vana e inutile e io non riesco più a sentirla a capirla, io non sono un automa non sono gestito dai desideri degli altri io sfuggo, sfuggo al loro ordine io non sono decodificabile non possono capirmi io non mi ripeto non possono sapere cosa c’è dentro la mia testa, il mio comportamento è diverso da quello che vogliono loro è così tutti… stato, lo stato mi ha rubato l’amore lo stato ha innescato un meccanismo così perverso da iniettare dentro le teste di ognuno di noi… lo stato ha rubato l’amore. la paura di amare, ci ha messo il bisogno a posto dell’amore l’utilità a posto dell’amore lo ha soffocato me l’ha rubato ma come è entrato lui dentro di me non è possibile che anche io sia caduto qui in questa trappola che anche io abbia perso questa dimensione non è possibile che anche io abbia trovato un mondo che non c’è più, come è avvenuto questo, come hanno fatto quelle energie. lo so quelle energie, hanno fatto entrare qui dentro dell’energie, le sento che mi sono a fianco non sono i microfoni sono ancora più sofisticati sono come fantasmi, ma i fantasmi non esistono sono qualcosa di altro queste energie forse con l’aria con l’aria sono entrate mi sono entrate nella testa e mi hanno portato via tutto l’amore tutto l’amore l’amore è diventato un bisogno un’utilità non c’è più non c’è più
Ho sognato, dormivo sul mio letto le pareti colme d’insetti erano nere coperte completamente dagli insetti scarafaggi in terra topi I topi io sdraiato sul mio letto ma nessuno nessuno insetto nessun topo nessuno si avvicinava a me era come se il mio letto fosse immune da tutto ciò questo mi procurava angoscia molta angoscia Ho finito il tempo non c’è più tempo tutto lo spazio si è consumato tutta la mia memoria si è consumata forse è finito tutto il passato nel presente il passato nel presente il futuro non c’è più non ci sono più epoche nulla può essere più storicizzato per questo io sono qui in questa stanza questo punto così fermo fuori è tutto confuso non è reale questa stanza è reale immagini che qui dentro nella mia mente sono reali tutto ciò ch’è fuori è finto falso ipocrita senza movente senza movente come sono patetici tutti quelli che fino ad ora sapevano spiegare tutto guardavano un poco il loro passato e sapevano spiegare il presente il futuro adesso tutto questo si è rotto questo giocattolo assurdo si è spaccato in mille pezzi e non comprendono più nulla non sanno più che cosa è giusto che cosa è bello cosa è sbagliato vivono vivono fuori dal caos sì addirittura fuori dal caos perché il caos ha una sua progettualità ma questa loro dimensione non è neanche dentro il caos io invece sono qui in questa stanza illuminata luce una luce che vedo bene quando chiudo gli occhi una luce che mi ricorda tutto non ho una storia non ho un inizio non ho una fine e non ho un presente il mondo è vago qui dentro sono solo queste mura esterne alla stanza che sembrano fermarti la realtà della mia mente è vagabonda è inconsueta per me stesso inconsueta per tutto quello che c’è qui dentro no non volevo dire questo Certe volte avverto l’umidità l’umidità dentro di me eppure questa stanza è asciutta non vi può penetrare umidità non vi può penetrare pioggia eppure la sento sento che lentamente si avvicina sento che mi prende e che entra dentro me io non so bene cosa devo fare in questo momento avverto degli strani dolori non capisco perché strani mal di testa non so perché se avessi una storia da raccontare se avessi una storia se ci fosse una storia forse ci sarebbe anche la spiegazione invece non c’è nessuna spiegazione non vi è nessun movente non vi è nessuna finalità è muoversi muoversi al di sopra dell’incoscienza e al di sopra della stessa coscienza ma la coscienza non esiste non esiste è solo un’illusione è un frammento gettato via senza nessuna senza nessuna intenzionalità, potrei dire che ho voglia di dimenticare ma cosa ho voglia di dimenticare non lo so già che non ricordo molto di me non ricordo molto di nessuno però questa esigenza di dimenticare che ho dentro di me non è una fuga è solo paura è una paura di vivere di vivere sì di vivere Ho i pensieri che vengono fuori a singhiozzo e non hanno nessuna linearità eppure c’è una strana concatenazione in loro come se si rincorressero e spiegassero a vicenda e si scambiassero informazioni senza che io ne sia consapevole come se i miei pensieri agissero al di fuori di me come se loro mi governassero Io non sono un oggetto non sono un oggetto però è come se mi vedessi così, se mi vedessi dall’esterno è come se tutto quello che mi succede io lo osservo ma non ne sono partecipe sono lì a guardare quello che sta avvenendo quello che i miei pensieri producono su di me sulle mie azioni ma io non sono, io sono solo un osservatore non sono io o meglio non so chi sono ma non sono io non sono quello che credo quello che forse, quello che forse credo di essere C’è stato un periodo che che pensavo che esistessero due soli sì ne ero convinto era una strana voce che mi aveva spiegato anche perché, forse ero così sicuro di questo Perché quel presentatore che vedo in televisione mi sta dicendo di uscire lei lo sa che io non posso uscire che io voglio stare nella mia stanza che non posso che stare nella mia stanza e allora perché mi stai dicendo di uscire perché lui lo sa lo sa e allora perché mi istiga lui è un nemico lui è un nemico una spia una spia mandata da chi? non lo so ma da qualcuno sicuramente è una spia io spengo la televisione così lui non mi dà più fastidio però le sue parole rimangono nella mia testa continuano a parlarmi non capisco che cosa voglia da me Io glielo dico che non posso uscire ma lui lui non è che mi dice di uscire ma pronuncia delle frasi che vogliono dire quello lo so lo so è sempre così fa sempre così Molte volte fanno dei programmi in televisione sapendo che io li sto ascoltando e si rivolgono a me soltanto a me Io non so, solo però sono sicuro che c’è qualche cosa che trama Però alcune volte penso che potrebbe essere a favore mio potrebbero essere degli amici mi mandano dei consigli io sorrido piango mi emoziono a queste loro, di queste loro di queste loro, di questo loro interessamento verso di me sì è bello è bello, che però, perché allora, perché questo vuole che io esca, perché che cosa cerca da me che cosa vuole dirmi è una spia lo so è una spia è un nemico è un nemico Sentite sentite ascoltate ascoltate voi lì fuori con la mia mente sentite anche voi i fantasmi dentro la mia stanza sentite anche voi questo rumore e questi odori così forti questi odori così forti queste sensazioni che si spandono così acute acute senza nessuna possibilità di mediazione senza nessuna possibilità d’interrompere questi flussi mio Dio non so non so perché, sentite questo rumore lo sentite sentite e sentite quest’odore questo afrore questo profumo questo odore ignoto che non avevo mai ascoltato prima che sinestetiche situazioni che follia forse No la follia non sono io, io non sono folle io sono semplicemente una persona che ha deciso di vivere in una stanza protetto ma nello stesso tempo prigioniero prigioniero di ciò ch’è fuori non di quel che mi appartiene qui dentro prigioniero delle angosce altrui prigioniero di non potermi più vedere attraverso… sì ho rotto lo specchio ho rotto lo specchio che era nella stanza così adesso non vedrò più la mia immagine non la vedrò più non la immaginerò è questo che crea l’immagine che crea la vera essenza dell’immagine, la profondità la specularità immaginare la propria immagine sognare la propria immagine rendere la propria immagine piena di di di non so che cosa ecco che vorrei dire delle parole che non sento è questo il problema non sento e sentire è tutto nella vita io voglio sentire sento è questo che conta sentire ma queste parole mi obbligano a pensare e questo pensare allontana da me tutto il sentire di cui io ho bisogno e non riesco non riesco a sentire come vorrei perché le parole mi ghettizzano e tirannizzano le parole le parole forse i suoni i suoni forse sono meglio la musica sì la musica la musica è diversa la musica non t’imprigiona ti lascia libero però anche nella musica no non lo so non è vero non è così dio mi sembra d’impazzire non capisco eppure so che gli altri sono pazzi gli altri che non sanno fare niente altro che parlare ma non con la voce con i propri pensieri per questo che impazzisco, qui io ora mi sento come loro è per questo che mi sento pazzo perché ho bisogno di queste parole bisogno di queste parole nel cervello non capisco quando vi siano entrate quando è stata la prima volta che sono entrate queste parole io non volevo non volevo sono sicuro che non volevo è accaduto ma non so perché sia accaduto che sia stato il colpevole forse sono io sono io il colpevole la colpa è mia è tutta causa mia sono io il colpevole Ma poi esistono i colpevoli che cosa è il senso di colpa chi lo ha inventato io l’ho inventato sì l’ho inventato io nessun altro può averlo scoperto nessun altro può averlo sentito, questa mia prigionia questa mia catena che come mi muovo… mi allontano un po’, sento che mi impedisce di andare oltre mi ferma io tiro tiro ma ma poi mi rendo conto che è meglio tornare indietro è una forza ancora più forte che mi dice che è meglio tornare indietro no non allontanarsi non allontanarsi ed è questo che imprigiona tutto il mio sentire è questo che fa si che le mie parole annaspino annaspino continuamente perché perché non riescono ad afferrare quello che vorrebbero perché non farmi sentire quello che io, quello di cui io ho bisogno Avete mai ascoltato i rumori della gente sì i rumori della gente quando parlano ti rendi conto della loro immondizia della loro assurda presunzione di sapere mettono insieme dei suoni a cui danno un significato completamente falso e questo angoscia e questo mi crea uno strano tormento vorrei eliminare quelle parole mi rendo conto che sarebbe inutile sarebbe vano chi le ha inventate chi è che gliele ha messe nella testa a quelle persone chi è che ha organizzato questi strani suoni era meglio prima prima sì prima quanto le parole non c’erano non ci si capiva ma si sentiva io non lo so come era prima però come era prima? io non sono mai nato prima mi sono trovato con le parole nella testa e non so bene perché, ce ne sono alcune che tornano sempre ossessive sempre e vedi quando io ascolto queste parole attraverso altre persone sono sempre a me che si rivolgono parlano con me certo è un po’ difficile capirle subito, bisogna interpretale bisogna avere la capacità di capirle perché sono subdole vogliono dire una cosa ma ne ne enunciano un’altra e allora tu devi capire capire ch’è a te che si rivolgono ma poi è facile è un gioco così semplice che ti rendi conto che è come se tu fossi il centro del mondo è come se tutto ciò che si può svolgere attorno a te può avere un collegamento con te come se si superasse, l’astrazione non c’è più, astrazione, c’è precisione una precisione ossessiva forte che picchia costantemente che ti impedisce di dormire che ti impedisce di pensare nuove parole ma ma perché ogni parola che ti entra dentro occupa uno spazio sempre più grande sempre più grande sempre più grande per questo per questo io sono qui in questa stanza per tenere fuori molte di queste parole quando penso che entra l’aria penso che quest’aria è mossa dal suono da questo suono che produce delle vibrazioni dentro la mia testa sui miei timpani queste vibrazioni alcune volte possono essere parole questo è tremendo io voglio che l’aria non entri più e che anche qui dentro non ci sia più alcun movimento che l’aria sia ferma rarefatta consumata inesistente è così che posso fermare le parole è così che le posso imprigionare è così che posso essere puro, da esse Che si facciano ammazzare gli altri che impazziscano dietro a guerre o ideologie ideogrammi ideologie l’ideologia non è niente altro che quel parossismo assurdo la trasformazione in dogmaticità dell’ideale ma che m’importa io sono qui dentro qui dentro Stanotte ho sognato che all’improvviso le mie finestre si spalancavano entrava tutta l’aria ch’era fuori tutta l’aria ch’era fuori tutti i gridi che erano fuori tutte le parole che erano fuori io io impazzivo io cercavo di mettermi le mani alle orecchie e poi ho iniziato a urlare sì a urlare per cercare di coprire con i miei urli i suoni che non erano miei per riappropriarmi del mio suono poi mi sono svegliato per fortuna per fortuna c’era la stanza calma silenziosa sì soprattutto buia il buio è fondamentale anche se poi mi ossessiona il buio, certe volte sono ossessionato dal buio allora non so che fare cammino mi agito perché il buio mi ricorda i colori sì il buio mi ricorda i colori mi ricorda che c’è qualcosa di altro oltre il buio e questi sono i colori io non posso non posso pensare ciò perché il buio deve essere assoluto e non può esserlo perché perché mi ricorda qualcosa d’altro allora il nulla cos’è non c’è il nulla perché il nulla mi ricorda qualcosa d’altro allora non c’è purezza questo mi angoscia mi ossessiona vorrei urlare incazzarmi ma non ce la faccio non ce la faccio è tutto è tutto… mi corrode dentro sento che dentro c’è qualcosa che mi corrode non riesco a capire cosa sia non lo riesco a comprendere non lo riesco a capire è assurdo è tutto assurdo Ho lavorato un periodo ma poi non l’ho fatto più perché è assurdo lavorare è assurdo mangiare è assurdo bere è assurdo pensare di essere felici È pazzesco è pazzesco quante persone rincorrono la felicità quanta fatica sprecata perché non consumare quell’energia per qualcosa di più reale di più vero quante persone in preda alla paura agiscono convinte di essere se stesse è tutto subliminale perché ora è il potere che governa tutto questo assurdo richiamo il potere Il potere che crea l’angoscia il potere che crea la felicità ma se il potere non è l’uomo l’uomo è esule dal potere se ne appropria convinto che sia lui a gestirlo ma in realtà da se si governa è lui che governa stritolato ucciso Il potere è un’illusione suprema e quanti stolti sciocchi pensano no non è vero anche io ho potere questo mi angoscia ho potere di essere qui dentro dentro questa stanza di difendermi da tutto il resto il potere di non fare entrare nessuno qui dentro ma allora, ma se anche per me fosse come tutti gli altri se io anche io pensassi di fare qualcosa… invece mi è indotto da qualcuno più forte di me e pensassi che è come se, io, no… è portare gli altri a fare quello che tu vuoi senza che gli altri ne siano consapevoli ma anzi facendo credere loro di essere essi gli artefici di ciò che fanno e se questo stesse accadendo anche a me sì anche a me, infatti quando mi mandano quei messaggi attraverso la televisione la radio o i suoni o i profumi chi è che me li manda è qualcuno che mi vuole mi vuole imprigionare nel suo potere sì è qualcun altro che mi vuole imprigionare nel suo potere e io e io non sono consapevole di questo non sono consapevole l’informazioni le informazioni hanno distrutto tutto ma nel distruggere tutto hanno iniziato a creare qualcosa di nuovo le informazioni modificano e si modificano a loro volta rapidamente questo ha distrutto ogni pensiero ogni tradizione ogni illusione di certezza questo ha gettato nella paura molte persone ma a me no io no io vivo bene in questa dimensione Voglio che tutto sia sia liquefatto distolto da se stesso senza più arroganza senza più prigioni però c’ho sempre quella catena quell’ossessione che mi prende nei momenti che mi prende sempre, che la sento sempre che blocca le mie mani che blocca i miei gesti che blocca i miei pensieri Le mie parole io non ho parole le parole me le danno gli altri io sono nato prima prima delle parole. È tutto subliminale è tutto un potere subliminale giocato su un piano superiore giocato su un piano apparentemente astratto ma scientemente sviluppato non vi è più violenza non vi è più violenza voglio dire non vi è più quella violenza fatta di forza fisica, ma è una forza mentale ché attraverso la gestione delle parole inculca le stesse nelle menti è attraverso questo che le menti agiscono sui corpi e pensieri sono espropriati di ogni loro facoltà queste queste nuove parole come virus si insinuano nei concetti li modificano fino al punto che i loro concetti sono trasformati da chi da chi a generato, quella macchina infernale che è la persuasione Ma ci saranno persuasori che a loro volta saranno persuasi da altri e poi da altri e da altri ancora e chi sarà il primo chi è il primo o sono solamente follie dell’inconscio che si appropriano di se stesse che hanno semplicemente una raziocinità apparentemente superiore a quella degli altri e quindi possono imporsi sugli altri possono inventare quelle parole che riescono a penetrare negli schemi concettuali di ognuno di noi e a modificarli a loro piacimento Il potere è questo ora. è questa forma assurda non più meccanica ma violentemente inesistente e ora noi non esistiamo più perché non abbiamo più i nostri pensieri i nostri concetti perché queste parole virus hanno contaminato completamente la nostra emozionalità siamo così intossicati da tutto che la nostra emozione non ha più nessuna integrità non possiamo più emozionarci perché queste parole non ci fanno vivere più la verità e ci fanno decodificare male il messaggio che è già falso in partenza. La decodifica non ci riporta all’ordine ma allo sviluppo di un potere che ci sovrasta Oggi mi sono ricordato che il mondo è pieno di radiazioni quindi neanche più mi proteggono… onde elettromagnetiche e radiazioni di chissà quali tipi entrano qui dentro attraversano il mio corpo e poi forse creano dei miei duplicati come queste presenze Questi strani fantasmi che sento vicino vicino a me ma non sento cioè, non vedo forse, questi sono miei duplicati sono mie clonazioni, clonazioni che hanno superato me stesso e che ora vogliono annientarmi sì vogliono annientarmi perché vogliono essere liberi da me Come io voglio essere libero da quel qualcosa che mi lega e mi imprigiona ma che non so cosa sia è questo sono sicuro di ciò sono sicuro di ciò un giorno entrerà qui una voce e me lo dirà ma io non so se potrò credere a questa voce da dove proviene quella voce adesso capisco capisco quando… quando Apro un po’ le finestre non i vetri ma le serrande, appena appena e osservo fuori perché e tanto che non lo faccio perché è tanto che ho chiuso anche le serrande che vivo qui al buio o con la luce artificiale ma… ma ho pensato che la luce elettrica viene dall’esterno e se io accendo una lampada qui è perché l’energia mi giunge dall’esterno e allora cerco di ridurre al minimo questa, questa intrusione Osservo fuori osservo la gente che passeggia che apparentemente fa cose semplici ma non è così io so che c’è una trama ben precisa un discorso logico ben preciso che se quelle persone ora si comportano in quel modo è perché sono state indotte da un meccanismo esterno più forte di loro che le ha imprigionate in quelle loro azioni che metodicamente ripetono e ripetono e ripetono ciò li porta anche a liberarsi dai pensieri è come se le loro parole agissero su di loro e pensassero indipendentemente da loro sì è così io lo so e comprendo anche quei pazzi che ogni tanto vengono qui li vedo sì drogano i drogati e se fossero loro i rivoluzionari di questa epoca se fossero loro che hanno capito questo meccanismo e cercano di liberarsi di queste parole di queste parole che inducono dentro loro la paura, il terrore le hanno scoperte o forse no forse non le hanno scoperte però sanno che ci sono le sentono le sentono più che ascoltarle e hanno bisogno di qualcosa per liberarsene hanno qualcosa che li illude di liberarsi No ma ciò non può accadere o forse sì forse sì non hanno il coraggio di compiere quell’atto definitivo e allora annebbiano tutto il sistema delle loro parole del loro cervello e così le inibiscono le parole virus ma se però anche questo facesse parte di un potere? Di quel potere occulto che semina parole nelle menti e avesse scoperto in queste menti la facoltà, una debolezza e su di loro avesse attecchito un nuovo virus un virus un virus di parole senza risposte è per questo che queste persone non hanno un discorso chiaro nelle risposte non c’è bisogno di introdurre parole virus che trasformino a loro piacimento… perché queste persone, queste persone sono mine vaganti che possono fare sviluppare l’azione in qualunque direzione quindi queste parole virus che sono state iniettate nella loro testa sono parole che inibiscono tutto bloccano tutto e trasformano l’azione in inazione e questo per tenere calmi e buoni quei meccanismi concettuali che ancora non possono essere governati gestiti è una forma di potere coercitiva finale delle parole quando non vi è più nessuna parola che può generare una concettualità Oppure si insinuano queste parole che come una… che con procedimento metastico si appropriano di ognuna di quelle parole sparse che possono sviluppare in ogni direzione e le bloccano le paralizzano le fanno implodere Ecco perché adesso ho capito mentre per molti di noi c’è questo meccanismo che che tende a trasformare i nostri concetti a loro uso e consumo in altri in cui questo non è possibile si agisce in modo ancora più drastico annientando completamente ogni possibilità spingendo verso l’autodistruzione, la pulitura di una parte dell’esistenza che vuol superare le parole perché vuol sentire e questo è qualcosa che sfugge al potere è per questo che si preferisce annientarle annientare completamente radere al suolo quelle ipotetiche coscienze
Spesso ho bisogno di
toccare le cose due volte o con tutte e due le mani contemporaneamente è come
se questo atto mi facesse sentire più sicuro come se questo gesto preordinasse
un evento successivo più importante Spesso scopriamo all’improvviso quando
ognuno di noi non sia niente in rapporto al controllo delle cose Ci sentiamo
sovrastati dagli eventi di ogni tipo: naturali sociali culturali e allora anche
un piccolo gesto due mani che toccano contemporaneamente un oggetto può essere
una piccola forma di controllo una piccola forma di potenzialità a cui possiamo
aggrapparci per non disperdere completamente tutto quel piccolo bagaglio di
esperienze e di coscienza che abbiamo dentro Ci sono molti pericoli in giro e
anche qui, dentro questo stanza mi rendo conto che ce ne sono di subdoli e
nascosti non so se sono i microfoni o i fantasmi Ma certi miei gesti che
sembrano preordinati forse forse non sono miei però… ho come la sensazione che
che siano determinanti per un mio strano equilibrio un giorno quanto i più
grandi riformatori della storia riusciranno a liberarsi a dimostrare che la
loro dimensione è unica autentica vera perché la… reale dimensione di tutto
l’evento umano be’ quando queste persone che sono i pazzi che io purtroppo
ancora non riesco né a capire né ad essere… quando queste persone si
approprieranno dell’intera situazione umana forse in quel momento avremo superato
quell’assurdo concetto che governa la nostra mente saremo veramente liberi
avremo superato tutto ciò che ci fa sentire quell’angoscia individuale che non
ci fa vivere la felicità Ma questi sono i più pericolosi sì lo sanno lo sanno
in giro che ci sono queste persone e sono molto pericolose perché queste
persone non sono gestibili dalle parole virus queste persone possono controllare
le parole virus hanno degli anticorpi che… le distrugge le parole virus e
questo fa paura a quel sistema di potere che non vuole niente fuori dal proprio
controllo Alcuni pensano che possono controllare tutti senza nessuna
distinzione mettendoli in quelle gabbie socio economiche in cui ognuno di noi è
costretto a vivere Ma poi c’è quell’atto quell’atto inconsueto e strano la pazzia
alcune di queste persone impazziscono e si ribellano a tutto si staccano da
tutto distolgono le energie che le parole virus gli avevano iniettato per
obbiettivi ben determinati non rientrano più negli schemi, non hanno più… una
direzione, alternativa in cui dirigere e allora distruggono… distruggono il
sistema lo liberano da altre parole virus si trasformano in anticorpi contro le
parole virus e e le paure aumentano in chi non sa di avere le parole virus
De-stabilizzazione la de-stabilizzazione è questo che che fa paura La
de-stabilizzazione l’incertezza sì l’incertezza, perché queste parole virus
sono governate da una paura ancora più grande la paura che tutto finisce che
nulla c’è questa paura assurda eppur vera è questa paura che… che spinge le parole
virus a contaminare, e chi ha consapevolezza di questa paura o ha più paura
degli altri diffonde con maggiore intensità queste… ma non si rende conto che
certe volte queste parole entrano in meccanismi in cui la sensibilità è troppo
forte e quindi si acuisce a tal punto la paura e si crea una situazione di
rigetto creare una sutu… e creare una situazione di rigetto a un punto tale che
la paura vien… a tal punto sibl… sublimata viene a tal punto sublimata da generare
quel magma puro informe ch’è la pazzia e la forza generata dalla paura virus
raggiunge un tale parossismo che si riversa contro se stessa torna indietro
alla ricerca delle parole virus che vivono nella normalità e le mette le mette
specularmente “dinanzi” a se stesse a chi le ha ma non è consapevole costui
sente dentro questo disorientamento avverte che c’è qualcosa che non va pensa
che sia la pazzia quella cosa che non va ma non si accorge che sono le parole
virus che ha nella testa che non vanno queste imprigionano e questo e questo fa
ancora più paura fa paura è un crogiolo di paura una fusione di paura la
follia sì è la fusione stessa della paura la liquefazione di ogni possibilità
della paura il suo superamento nella totale con-fusione con il sentire. il potere
non ci è dato il potere non lo vogliamo no non lo vogliamo io continuo a
comportarmi come questa stanza mi permette e io in questa stanza… disobbedire a
me stesso devo tornare a quell’ordine di cose che la stessa disubbidienza mi
ha fatto scoprire e mi ha fatto perdere nel medesimo istante io devo ritrovare
quelle cose è soltanto un’altra ulteriore spietata disubbidienza può farmi
riappropriare di quella dimensione che forse è l’unica possibile quella che
mi libera da ogni bisogno utilità di ogni potere Dio cosa sta accadendo cosa
succede dentro di me in questi momenti in quei momenti in cui è come se delle
forze delle energie mi portassero via lontano da me stesso lontano dal mondo
ma nello stesso tempo fossero condizionate dai desideri di tutto il mondo tutte
le domande le richieste è un dolore un dolore sordo senza se stesso che passa
sopra al mio fisico senza che abbia avuto un movente che io conosca ma forse è
il dolore in se stesso che la mia mente non sopporta e fugge dal mio corpo se
ne allontana allontana dal mio corpo che gli procura questa sofferenza Oh Dio
mio Dio mio incomincio a sentire tutti i desideri tutti insieme che chiedono
chiedono chiedono devi fare questo quest’altro quell’altro io non so non posso
seguire tutti questi ordini è come impazzire è… soltanto pensando a te riesco
a concentrarmi a fermarli a dire che non esistono è una stanchezza è una
sofferenza sì è una lenta sofferenza è una lenta sofferenza si soffre perché
più si va avanti e più si è consapevoli di questa profonda e assurda
solitudine di questa mancanza totale di amore di questo perseguire non si sa
bene cosa… il corpo la mente non esistono più si dissociano si allontanano e
cercano qualcosa di altro un altro mondo un’altra realtà e ne creano diverse e
parallele e io non voglio non voglio più Sto qui nella mia stanza e cerco di proteggermi
ma questo che mi è entrato dentro mi allontana anche dalla stanza e la
protezione che può darmi questa stanza svanisce mi devo fermare perché più accelero
il ritmo dei miei pensieri delle mie azioni e più tutto si dissolve più tutto
diventa libero indipendente incontrollabile devo fermare rallentare i pensieri
i suoni le emozioni per fermare queste scariche interne di sostanze che
producono il mio cervello e sono prodotte dal mio cervello L’agire che non ha
più un motivo perché ha superato la motivazione stessa ma tutto in un ordine
biologico tutto si svolge e la mia coscienza non può far altro che osservare allontanarsi
la fine per approdare oltre la fine Ma fare questo significa offuscare la coscienza
e lasciarla andare, io non voglio più questo Sono nella stanza e conto i passi
conto i passi e una voce mi dice di contarli contarli ma non voglio mi rifiuto
cerco di calmarmi e non capisco più che il mondo è là fuori ma quello di fuori
appartiene solo ai miei desideri neanche quello esiste è solo un’immagine che
ho dentro di me è un’acuta sofferenza che ho dentro di me ormai continuo
imperterrito e so che se continuo così se seguo queste voci che vogliono
fuggire dall’angoscia mi ci perderò dentro e non so se sarò in grado di ritornare
Ogni giorno ogni notte trascorrono così senza quel momento dentro ognuno di
noi di pienezza e consapevolezza Notti di fuga di fuga di fatica sempre più
fatica di fatica ad accettare tutti i desideri del mondo tutte le passioni di
un mondo tutte le esigenze di un mondo che io non riesco a soddisfare
continuo a parlare a queste mura e cammino cammino lungo il perimetro di
questa stanza lungo sopra le mattonelle di questa stanza tra i mobili in
attesa che tutto finisca che si ricomponga che questa mia passione torni ritorni
dentro me ma perché tutto questo accade l’ho già detto ma ogni volta si dimentica
e quindi ritorna questo momento che confusione o forse o forse questa è la
chiarezza la chiarezza glaciale questa è la chiarezza che non sopporta menzogna
questa è la vera condizione davvero il loro fallimento, di tutta un’esistenza
L’amore se n’è andato e con esso ogni possibilità di sopportazione della vita
ci si ammala ci si logora si evade verso un mondo sconosciuto un mondo che non
ricorda più la sofferenza un mondo che spegne tutto nella coscienza
prigionieri prigionieri non si è più capiti non si è più capiti non si è più
non ci si capisce più ed è tutto anche l’annullamento della sofferenza vano
Queste crisi sono tutte quante dentro la mia incognita percezione della realtà.
Parlare parlare eppure ho anche un po’ paura di parlare anche se non ho nulla
da nascondere in fondo sono qui solo in questa stanza ma allora cos’è questa
tenue impressione di essere “ascoltati” è una sola illusione unA sola
illusione o nessuna molte, se vi raccontassi raccontassi a queste mura le cose
che giungono alla mia mente se vi dicessi che i pensieri delle persone entrano
nei miei pensieri e chiedono chiedono ma io non posso rispondere a tutti non
posso È come se i loro desideri li chiedessero a me, sono entrati anche qui
dentro tra queste mura mi domandano vogliono che faccia strane cose e io certe
volte alcune volte l’ho fatto mi sono lasciato andare ma tutti questi richiami
tutti questi messaggi tutte queste interpretazioni simboliche sensoriali a cui
la mia mente dava sfogo ed elaborazione. a un certo punto era come se l’anima
parlasse Se uscisse fuori la sua voce e mi dicesse cosa fare cosa non fare
cos’è quello che quella persona sta pensando e cos’è quell’altra però anche lei
è molto esigente mi chiede troppo troppo ed è come se andasse più veloce del
mio corpo tutto andasse più veloce del mio corpo il mio corpo non può, non ce
la fa a seguire ciò che la mia mente produce Però sono degli strani viaggi, non
sono disprezzabili neanche brutti, anche se ora ho scoperto il sistema per
controllare queste cose e sinceramente quest’ora mi alletta ancor di più Una
volta ero con una ragazza, al mare, stavo leggendo e strana stranissima
combinazione lessi sul mio libro un nome ed era lo stesso nome che quella ragazza
stava pensando da lì compresi un modo strano per poter comunicare Se per
ipotesi due persone pensano la stessa cosa conoscono la stessa cosa è un
mezzo, non, forse nessun mezzo, certe volte non serve neanche un mezzo
simbolico esterno È pura comunicazione Ma il mio linguaggio qui sta diventato
troppo plausibile troppo razionale, non deve non voglio questa stanza non mi
deve condizionare voglio che sia libero spontaneo irriverente Leggo anche i desideri
inconsci sono soprattutto quelli i desideri inconsci delle persone che vengono
nei miei pensieri Forse sono strane intuizioni o forse è una semplice facoltà
che non conosciamo In certi rari momenti potrebbe sembrare che anche gli altri
riescono a sentirmi comunque al centro di queste esperienze c’è come se ci
fosse la conoscenza degli altri di tutto ciò che sono io c’è questa mia percezione,
di tutto quello che ho fatto, questo per me non è un problema non mi dà
nessuna angoscia, forse quando succedono queste cose sono anche i miei
desideri ad agire ha lottare con un io, io che si vuole affermare e
equilibrare Ma la cosa positiva è ch’è come una acquisizione di esperienza per
l’intelligenza infatti quanto tutto si riequilibria dicime così anche
se non è esatto la tua intelligenza è aumentata le tue capacità induttive
deduttive istintuali sono aumentate e quel che prima potevi percepire con una
pura energia che… che… sempre in bilico nel controllo o nel rischio
dell’andare fuori controllo nella fase successiva con la semplice
intelligenza è la sensibilità che si è accresciuta equilibrata e rafforzata,
riesce a capire gli eventi Le capacità di controllo sono nella nostra capacità
di modificare i nostri comportamenti e in ciò nel modificare i nostri processi
interni psichici chimici C’è la sensazione che ci sia qualcosa qualcuno in
ascolto forse un complotto chissà Ogni simbolo può significare molte cose ma ci
sono alcuni che hanno dei riferimenti oggettivi con la nostra vita soggettiva
e il percepire il saper distinguere quelli che appartengono a noi e quelli che
sono altro da noi è una capacità una peculiarità che dobbiamo perseguire…
Questo si verifica i giorni si susseguono sembrano interminabili ma sono rapidi
fugaci apparizioni sembrano scoprirsi dentro quell’emotività quel sentire
acuto forte che dentro di me sprigiona tutta una simbolicità astratta eppur concreta
tutta una risma di desideri così presenti dentro di me da non poter più dire
che non sono miei Eppure sono desideri così impossibili che io devo
raccoglierne le briciole e da quelle briciole costruire la mia quotidianità
Cerco sempre qualcosa che mi dica quel che deve essere ma poi sembra… come se
tutto svanisce tra stati di esaltazione e di depressione tra stati di
esaltazione e di abbattimento continuano così questi giorni dentro questa
stanza questa stanza che non ricorda tutto ma ch’è presente in tutto Questa
stanza dove avvengono tutte le emozione tutti i ricordi tutti i futuri e i
possibili e le realizzazioni Tutto questo avviene e tutto questo avviene
perché tutto il dolore la paura l’angoscia mi porta a fuggire o a risolvere
tutta se stessa attraverso le manifestazione che la mia psiche genera nella mia
stanza sopra al mio corpo nel mio corpo Ma ormai tutto hanno rivelato, esperienza
dopo esperienza queste manifestazioni hanno comunicato ciò che volevo sapere e
ora non mi rimane che l’angoscia il fastidio di superarle rimanere qui in
attesa che finiscano senza che abbiano nulla da dirmi mi hanno raccontato
tutti i miei desideri tutti i miei dover fare Ma ora non mi rimane che la
difficoltà di un mondo che non accetta di un mondo che non aspetta di un mondo
che stritola tutto quanto Tutto ciò ch’è sensibile dietro quella morsa dentro
quella morsa inesorabile volgare brutta della inconsueta e pur sempre presente
inospitalità della vita Quindi non mi rimane che aspettare che tutto passi che
tutto torni tranquillo modesto reale Perché non ho più tanta forza Ma comunque
tutto questo sentire io non posso obnubilare, lo devo tenere dentro non posso
far altro che accettarlo e scoprirlo e fare in modo che si acclami e acclari
tutto quello che c’è tutto quello che posso Ritornano spesso quei pensieri
ritornano sempre gli stessi ogni volta che mi perdo in questi flussi di
energia, ritornano certi pensieri certe forme certe esaltazione certi abbattimenti
sono sempre gli stessi Ma mentre nelle prime esecuzione nei primi avvenimenti
tutto questo era molto forte e soltanto un dialogo interiore con me stesso con
me stesso riusciva a gestirlo, adesso tutto si attenua tutto lascia un’apparente
conflittualità E tutta quella bellezza dell’esaltazione il superamento di
tutte le angosce e sentirsi veramente liberi ora non è più così ora avverti
solo il malessere di una realtà che non ti appartiene di una dimensione che
non è completamente tua che ti rendi conto che non riesci completamente a
sentire come se ti vivesse addosso eppure questa stessa dimensione mi ha dato
molto mi ha fatto capire comprendere tutto ciò che per me era inconscio e tutti
quei desideri che si esprimevano in questa mia dimensione parossistica in
questo evolversi senza freni mi dimostravano quello che io realmente sentivo e
dovevo essere Ma adesso perché mi rimane solo la conflittualità con
l’oggettività del mondo che non accetta quello che io sento che non accetta
quello che io troppo sono troppo sono È questa la difficoltà troppo essere e
troppo sentire Ma in questa stanza forse c’è una protezione forse c’è una
dimensione che mi salva da quello che mi può accadere Forse c’è, per questo
aspetto chiuso in questa stanza tutto quello che può accadere tutto quello che
si può generare attraverso l’immagine o attraverso la presenza, ma forse
neanche questa è una fuga neanche questo è fuggire o rifugiarsi uno… uno
scappare da quello che… Cos’è quello che sembra ignoto eppure così concreto
presente forte realizzabile essere se stessi essere se stessi e accettare
tutto del suo essere se stessi accettare le conseguenze di non essere compresi
l’insufficienza altrui l’incapacità altrui l’immodestia altrui la stupidità altrui
non accettare di essere questo per una parte dell’altrui dimensione e
accettare di essere tutt’altra cosa e accettare di appartenere ad una
consapevolezza più alta e superiore di quella altrui
Nefasto ma nel loro superamento il mio superamento di questa dimensione così grigia spenta stupida c’è anche la mia affermazione io devo essere convinto di questo devo capire che posso essere me stesso anche se sono solo in questa stanza in questa stanza io posso essere me stesso e forse un giorno riuscirò ad uscire a trovare una dimensione che mi permetterà di confrontarmi senza subire la stupidità e l’ignoranza, la mia sensibilità non mi renda vittima ma mi renda partecipe, eppure tutto questo mi fa comprendere che ho bisogno di un minimo di gratificazione che ho bisogno di qualcuno che dica bravo è giusto, per quel che stai facendo di qualcuno che comprenda e che disprezzi anche, ma comprenda il tuo ruolo il tuo mondo la tua sensibilità, ché quel che senti è indispensabile questo per proseguire questo tragitto per proseguire questo cammino per proseguire questo sogno questo sogno che appartiene soltanto a me o forse il sogno di ognuno in ognuno c’è la stanza in ognuno ognuno ha la sua stanza Io l’ho rappresentata fisicamente questa stanza vi sono dentro, ma quante persone prigioniere delle proprie stanze non hanno consapevolezza di questa loro dimensione si sono inglobate nella speranza che tutto ciò che accade fuori non li tocchi hanno eletto queste barriere a salvaguardia del loro sentire e grazie a queste che forse riescono a sopravvivere Io come se non avessi barriere non avessi pelle, stessi fuori e sentissi tutto, questa acuta sensibilità mi permette di generare tutta la mia creatività ma nello stesso tempo mi impedisce mi impedisce di non soffrire di non sentire fino in fondo ogni pensiero ogni emozione ogni conflittualità di sentirla così forte dentro di me fino in fondo fino in fondo lungo tutto il mio tragitto lungo tutta la mia esistenza lungo tutta la mia riflessione e ora sono in questa stanza accolto da una luce artificiale perché anche la luce esterna in questo momento mi dà fastidio, non è che non la sopporto ma è… non l’accetto voglio questa luce artificiale una luce più intima una luce che è mia L’ho accesa io, questi colori, in questa stanza hanno una particolare dimensione che mi fa sentire bene Io proseguo questo tragitto attraverso questo luogo e questo luogo queste voci queste dimensioni, che, in certi momenti si placano e mi riportano ad una lucidità superiore, una lucidità armonica io in questi momenti riesco a capire tutto quello ch’è avvenuto in quello stato parossistico, dimensione in quel mondo parossistico Dimensione sempre questa parola che ritorna e non so perché la ripeto la ripeto la rivoglio come se rivolessi la mia “dimensione un appropriarsi della mia dimensione” Un mondo che sia come io lo sento ma ciò è impossibile il mondo è come è e tu lo senti tutto lo senti tutto e non riesci a capire fino in fondo qual è il tuo mondo qual è il tuo stato Un mondo che si angoscia che si perde dietro mille paure forse l’unica paura tutti hanno paura paura di essere paura di sentire e più sentono e più sono felici ma più sentono e più impazziscono e più impazziscono e più ritornano a quel che erano a quell’inconsueto organismo che non capisce più nulla che si abbatte fino fino alle estreme parvenze di una normalità che non lo è Vorrei sconfiggere tutto questo vorrei trovare un nuovo un nuovo ordine ma forse non c’è un nuovo ordine solo la capacità di accettare tutta la nostra finitezza l’impossibilità di capite tutto accettare la nostra nullità, sì sentirsi nulli eppure così partecipi e pieni essere consapevoli di tutto quel che si è e sentirsi così vicini a tutto ciò che non si può più essere che nessun uomo può essere è questo che porta questo sentimento di angoscia questo sentimento di tormento questo sentimento di fatica quanti ordini quanti ordini umani ordini politici sociali religiosi tutti questi ordini non sono niente altro che bisogni per vincere strane paure per vincere quelle paure che ci portiamo dietro quelle ansie angosce che ci svegliano e non ci fanno più riposare che non ci fanno più capire qual è qual è la vera fine Ma questo ci fa brancolare, brancolare e ci tormenta e ci tormenta ma io vorrei vorrei scoprire un nuovo ordine un nuovo ordine delle cose un nuovo ordine dove ognuno è accettato per quello ch’è dove ognuno è scoperto per quello ch’è e dove ognuno non ha bisogno di prevaricare, non ha bisogno di provare nella morte dell’altro la propria sicurezza non ha bisogno di scoprirsi impaurito attraverso l’altro ma attraverso l’altro scopre la forza per placare la propria paura il proprio inconsueto ordine delle idee parlare parlare parlare ma perché poi parlare in fin dei conti quello che vorrei dire non viene fuori non viene fuori, mi rendo conto che anche queste parole non hanno senso non hanno alcun ordine sono sconnesse scomposte e non appartengono a quel qualcosa che vorrei enunciare perché forse quel qualcosa è così legato a ciò che sento che non mi riesce chiaro nella mente non riesce realmente ad essere esplicitato con le parole eppure so che non mi resta altro che questo frammentario dialogo questo mio frammentario diario che io sto narrando nella mia stanza a queste pareti per spiegarmi forse per spiegare… qualcun altro ma non so a chi Chi vorrebbe sentire quello che io sto dicendo chi potrebbe sentire quello che io sto dicendo sto semplicemente parlando in questa stanza a queste mura e nessuno può ascoltarmi forse la mia coscienza può ascoltarmi sì un dialogo con la mia coscienza sto parlando alla mia coscienza e vorrei che la mia coscienza partecipasse e sentisse quello che io ho da dire vorrei che tutto si annebbiasse per ritornare limpido vorrei che tutto scomparisse per riapparire e tutto tornasse come era una volta come ero quando ero appena nato come era quando si era appena nati, come si era quando si era appena nati quella prima scoperta quella prima paura forse l’abbiamo risentita, quel tormento forte della morte ma però non ci affliggeva, quella serenità quella libertà quella angoscia per un futuro che non si sa qual è non c’era e forse se c’era eravamo ancora capaci di gestirla di sentirla addormentata e senza quel fastidio acuto forte che ci sorprende ora nei momenti più strani più impensabili più normali quelli sono momenti che circondano con acuta forza, che dobbiamo morire ma forse non è questo il problema non è questo perché nell’ambito delle nostre follie nei confronti con quest’ordine di cose con quest’ordine del morire io costruisco strane simbologie simbologie della mia esistenza del mio vivere e attraverso queste sicurezze infatti questa stanza non è niente altro che un ordine diverso delle sicurezze e lo stesso ordine lo stesso disordine che ognuno di noi ha io mi sono costruito questa stanza queste mura e dentro questa stanza sto parlando alla mia coscienza e non so se comprenderà ma spero tanto perché vorrei che la mia coscienza mi aprisse una possibilità una ulteriore possibilità di sentire di sentire in armonia senza l’angoscia, senza il tormento e ognuno di noi ognuno di noi nelle sue strane stanze, chi non ha stanze forse sente ma c’è gente che non sente neanche che non comprende che ha la sensibilità corrosa e non ha queste preoccupazioni o forse si preoccupano ma non sanno di preoccuparsi vivono angosciati anche loro tormentati impauriti pesanti nella loro anima
I numeri si perpetuano e tutto intorno ai numeri sembra fermo in realtà sono i numeri che sono fermi ma i numeri non sono fermi perché i numeri sono una certezza apparente e perché questa certezza apparente noi dobbiamo convalidarla perché dobbiamo dare sicurezza a questa certezza apparente tutto è relativo anche i numeri sono relativi anche la matematica è relativa tutto è relativo e noi siamo relativi è questo che mi tormenta mi tormenta e queste mura vorrei che si stringessero attorno a me che mi proteggessero che mi dessero calore e che mi togliessero questa paura di essere relativo e togliessero a me uomo tra gli uomini questo tormento inconsueto eppure così consueto e normale che appartiene a tutto ciò che ho fatto a tutto ciò che vorrei fare e che non so più capire che non so più pensare vorrei che questo relativo non ci fosse più vorrei essere già morto ma non ho il coraggio di morire il coraggio di morire… così forse apparirebbe oltre la morte io non lo so non so pensarle non so capirla non so, so solo che c’è questo tormento questa angoscia forse questa è patologia questo mio assurdo momento è forse solo, patologia dovrei solo curarmi ma non so come curare questa angoscia come superare questa angoscia dovrei andare da un medico forse da un altro medico forse da un altro medico ancora e forse avrei delle soluzioni o forse soltanto dei momenti in cui si placa questa angoscia, questa emozione si attutisce, il mio sentire… e riesco a sentire questa mia paura, perché non la conosco anche se so ch’è presente non la sento e questa forte emozionalità che mi fa sentire tutta la vita mi fa percepire anche la fine d’essa e io forse non sono in grado di ciò forse non sono in grado di sentire tutto o meglio non sono in grado di sopportare tutto il sentire perché anche “sentendo tutto io non riesco a difendermi non riesco a capire anzi riesco a capire di non capire e questo non mi placa ma mi angoscia ancor di più quali sono gli ordini politici che ci possono salvare quali sono… il parossismo di ogni dittatura una destra una sinistra un narcisismo nella costruzione di ogni ordine politico non vi è sicurezza, non vi è sicurezza in loro soltanto, una apparente menzogna ch’è una certezza di verità questa è una frase che non la si comprende non la comprendo nemmeno io perché… non so sono parole che escono e che queste mura raccolgono che si imprimono su queste mura come piccole macchie piccole macchie di muffa che qui germinano germinano germinano e che mi ricordano quello che io ho detto e che mi ricordano quello che io non sono e che mi ricordano quello che io sono. trovo strano tutto questo eppure so ch’è normale so che in questa stanza tutto è normale perché la mia vita qui dentro è normale forse altri potrebbero pensare che sono pazzo ma non sono pazzo io sono dentro le loro paure e loro fanno finta di niente vivono facendo finta di niente ma io so che non si può far finta di niente in eterno c’è sempre un momento un cui tutto quanto viene fuori tutto quanto si palesa tutto quanto ti dice quello che realmente sei ordini ordini ordini ordini strutture dittature e democrazie ma che cosa sono? tutte cose… sono niente dovremmo superare tutti questi ordini dovremmo sentire che tutto ciò che abbiamo è finito eppure tutto ciò ci impaurisce ognuno ci impaurisce gli altri ci impauriscono dobbiamo sopprimere gli altri e questo non avviene non avviene non lo farò mai io preferirò morire impazzire ma non ucciderò la mia paura uccidendo un altro ma tutto questo avviene quotidianamente tutto questo avviene quotidianamente ma cosa sono queste mie parole cosa sono questi miei dialoghi perché parlo con queste mura? forse è solo pazzia, questa pazzia che si imprime sui muri di questa stanza muri bianchi che si macchiano delle mie parole si sporcano delle mie parole e così più parlo e più questi muri si tingono assumono la veste di un colore colore un colore tenue e malinconico e forse solo il colore di quel che io vorrei che non riesco a realizzare parlo parlo senza capire bene cosa sto dicendo e forse chi solo mi ascolta comprende quello che io sto dicendo? se ci fosse qualcuno in questa stanza mi disturberebbe ma forse c’è qualcuno, quando sento la presenza di questi strani fantasmi ma ora sto bene sono lucido e so che ora non ci sono e tutta la dimensione di angoscia di euforia quel terrore adesso non c’è eppure eppure anche adesso che sono lucido riesco a capire a sentire che la sola paura che c’è dentro di me e la paura che c’è in ognuno di noi in noi tutti lo stesso terrore non si può salvare nessuno, ma forse solo io mi sto salvando ma perché? che c’è in me di diverso che mi fa salvare forse la consapevolezza la certezza di sapere quello che sto dicendo o forse la certezza la consapevolezza che ciò che sento è ciò ch’è vero ma se ciò che sento è quel ch’è vero perché gli altri non fanno la stessa cosa perché fanno finta di niente o perché trovano un sistema o modo di vivere che gli permette di far finta di niente non non sentire la paura l’angoscia la morte. invece sentirla quotidianamente nei piccoli gesti ma continuare a far finta di niente trovare dei mezzi, palliativi che li illude di allontanare quello stato. hanno paura, hanno paura come ho paura io. questa stanza mi protegge, ma come? queste mura non mi proteggeranno più e quando queste si frantumeranno e non avranno più la certezza che io gli ho dato, cosa accadrà? forse vivrò accetterò la morte o forse avrò fede, forse sì dovrei avere fede per accettare la morte, ma la paura la paura quest’emozione non svanisce anche accettando la morte la paura non svanisce e il mio cervello reagisce in maniera strana. certe volte sembra impazzire ma perché non riesce a sopportare non riesce a sentire quello che io con i pensieri posso comunicargli il sentire non riesce più a gestire le parole o sono le parole che non comunicano più con ciò che si sente? e tutto è come se se si frantuma, stacca ma so che si sente. è così forte che non può più accettare la realtà e trasforma tutto quel sentire, trasforma anche le parole è come se ci si liberasse. a me non mi liberano più ormai so che anche quella non è una dimensione reale e la pazzia non mi è più di consolazione. cosa sono allora? ora io non sono pazzo, non sono sano a cosa appartengo? qual è la mia dimensione cosa sto aspettando qui dentro in questa stanza? che accada che cosa? forse non è forse non è tempo perso quello che sto trascorrendo qui dentro e queste parole invece di dirle alla mia coscienza a questi muri non vorrei che fossero solo disperse e quel che io immagino la mia coscienza non sia soltanto, che una parete un muro. se io non maturassi elaborassi queste parole se io non le sentissi affatto? perché sto parlando? forse sto solo pensando, sto solo pensando e le mie parole sono depositate solo nel mio cervello nelle sue riflessioni dentro la mia mente, le mie parole non hanno suono, non “dimenticate” che non hanno suono. ma se ci fosse un’alterità se avessero suono dove finirebbero? ci si può stancare di parlare ma di sentire no, perché non si può fare altrimenti si può dormire, svegliarsi, placarsi, angustiarsi, ma la gioia… forse l’amore… sì soltanto quei momenti d’amore valgono tutta quell’ansia. se potessi avere un po’ più d’amore, ma l’amore è rubato da… la socialità che ti imprigiona nei suoi desideri nelle trappole di una ragionevolezza senza nessuna libertà, ti ordina, ti obbliga con il suo dirsi inevitabile. una società piena di ansie, tutta l’ansia della propria fine. non c’è libertà è sulla paura che si costruiscono le certezze, la paura che non dà niente altro che la propria illusiva fine. io non posso amare, non posso vivere perché c’è questa paura che ha originato tutti i sistemi politici culturali, ché un’atarassia senza nulla, che impedisce di modificare, un’atarassia strutturata sulla logica economica a cui l’umanità deve essere soggetta. cosa dobbiamo comprare per ottenere qualcosa e cosa non comprare, non possiamo far altro che adeguarci a queste sicurezze non possiamo fare altro che fare finta di niente e così placare la nostra paura il nostro istinto, stordirci con quel non c’è niente altro da fare. riprodurci riprodurci non più come vorremmo ma solo attraverso l’atarassia economica che ci impone la sua inevitabilità… ma tutto questo è falso tutto questo è superato perché se bastasse questo, basterebbe scomporre tutto e tutto ritornerebbe daccapo, in realtà nulla ci riesce di far tornare. siamo sempre convogli di paura di tormento per noi stessi, paura di mo… paura di essere, questo sconcerta, terrorizza, ogni costruzione sociale che ci permette di rendere tangibile un’azione dà l’illusione alle nostre nazioni di essere reali noi le generiamo attraverso sicurezze che si perpetuano a tal punto che tutta la realtà ci appare trasformarsi verso una inevitabile unilateralità per sublimare quella di essere già morti. morte sopra morte poi in alcuni istanti tornano acute le sensazione della realtà da cui si rincorre una fuga e riscopriamo attraverso noi il vero sguardo di ciò ch’è la nostra fine della morte dentro noi, che consuma corrode; non c’è più la speranza forse tutta la speranza è nostra ma non sappiamo come generarla come armonizzarci con essa Perché tutto questo? io non capisco non ci riesco per questo ora mi sono costruito questa stanza sono dentro questa stanza per potere essere libero da tutte le sicurezze altrui, voglio la mia sicurezza la mia sicurezza chi che mi dia l’opportunità di vivere, ma non riesco a realizzarla non riesco a realizzarla perché essa non mi permette di scoprire gli altri non mi permette di amare perché non è la sicurezza di tutti gli altri, tutto questo mio sentire è destabilizzante per tutti gli altri sono qui in questa stanza io sono destabilizzante forse in questo ho trovato la mia stabilità non lo so forse non l’ho trovata ma gli altri impazziscono perché pensano pensano pensano sono già pazzi la morte li ha corrotti fino in fondo non riescono più a sentire e quel non che sentono lo trasmettono hai loro pensieri e quei pensieri bloccano tutto i pensieri producono delle sovrastrutture e quelle sovrastrutture sono le strade che obbligatoriamente devono percorrere pur credendo di essere liberi non hanno compreso che ormai è questo il potere subdolo e subliminale che ti fa fare delle cose che ci convince. che sta accadendo? io mi sono costruito questa stanza per uscire da questo, ma forse non so più se sono stato realmente io a costruire questa stanza o sono state queste situazioni così dinamiche e allo stesso tempo così subdole che mi hanno obbligano a chiudermi in questa stanza per trovare un ordine diverso, quest’ordine diverso mi allontana questo forse mi avvicina a me stesso sì mi rende più presente dentro i miei tormenti dentro le mie emozioni tutto questo è il mio sentire ora ora ora ora ma forse dovrei impazzire di nuovo ma non ci riesco perché tutto mi sta diventando più chiaro tutto quando mi si sta… rivela per quello ch’è, tutta una struttura una trappola un grande marchingegno escogitato da chi da chi non lo so da questa paura ma chi è che ha generato questa paura dov’è che si sta sviluppando questa paura dov’è nata questa consapevolezza di essere morti giorno per giorno no di essere già morti prima del giorno di essere già morti, questa cosa qui che ha generato tutto questa trappola sociale, tutto quando. certe volte tutto ciò si scompone a tal punto che non riesce più ad armonizzare con niente e anche quella trappola della convivenza si dimostra ancora più inconsueta e paurosa e non placa non placa nulla allora tu cosa devi fare a cosa devi aspirare qual è la vera libertà cosa vuoi da me cosa vuoi da me?! con chi sto parlando? a chi mi riferisco? questa mia coscienza, quali sono i messaggi che mi manda? quali sono le liberazioni alle quali posso appartenere? dove sto andando? qual è il tragitto? è un mondo che si sta liquefacendo è un mondo ch’è già morto ma ripeto sempre questa parola perché non riesco a dirla non riesco a dirla come vorrei la parola morte già non mi è più sufficiente non mi è più sufficiente elencarla dirla ripeterla non c’è più niente da fare o forse già è stato fatto tutto forse io dovrei fermarmi qui io aspettare il silenzio sì cercare solo il silenzio il silenzio il silenzio silenzio in fondo quel silenzio acuto forte estemporaneo ma nello stesso tempo sempiterno che non lascia più spazio che assorbe tutto e chiude tutto in se stesso fino a tal punto da non lasciare fuggire più nulla e non lasciare più niente e trovare questo muro queste stanze mettermi in perfetto equilibrio da la stessa distanza dalle pareti sotto sopra laterale e trovare il punto di equilibrio dove non entra più niente in me, dallo stesso niente esce. fermo lì e stare fermo in questa dimensione è forse l’eternità ma anche questa è un’illusione tutto si sta distruggendo e io chi sono in questo mondo non riesco ad amare non riesco a far nulla la gente ama e fa tutto ma è poi vero questo è poi vero non so c’è solo che ho paura
Quando andavo in giro e passeggiavo sì passeggiavo tra la gente quando avevo quelle strane percezioni mi sembrava di sentire i loro pensieri i loro desideri io li percepivo li sentivo e loro mi dicevano delle cose attraverso i pensieri mi dicevano cosa dovevo fare o non dovevo fare se dovevo attraversare una strada o toccate un oggetto anche io sentivo queste strane cose e pensavo fai questo quest’altro e poi certe cose si verificavano cominciavano ad apparire a scomparire e poi ho trovato questa stanza anche perché tutti questi fenomeni si attenuavano sempre di più e io non riuscivo più a capire quali fossero quelli veri e quelli falsi quale fosse quella dimensione di me che desiderava e quell’altra dimensione di me che voleva. ero lì dentro dentro me stesso e tutto quello che avveniva avveniva perché doveva essere così poi ho trovato questa stanza sono tornato in questa stanza me ne sono andato da questa stanza ma ora sono in questa stanza sto parlando alla mia coscienza
In certi momenti come all’improvviso ti senti perso perso senti dentro di te che cresce un ansia un tormento qualcosa che vuole urlare uscire dal tuo corpo ma non riesci a capire cosa sia perché c’è? e ti senti trascinare giù giù giù senti il panico dentro, il terrore lotti con esso con te stesso per fermarlo controllarlo ma certe volte è impossibile l’angoscia un’angoscia che non ha termine. quando pensi che tu sei in fondo e pensi che tutto sia finito ti accorgi che non è vero che c’è ancora strada tempo per tutta la paura che hai dentro e ce n’è ancora tanta tanta non riesci a nasconderla non riesci a capirla la senti soltanto ti senti disperato tormentato e non puoi fare niente e allora cominci a stringere i pugni stringere le mani cerchi di stringere tutto il tuo corpo ma non riesci non riesci vorresti tenerti fermo ma non riesci è troppo è troppo tutto quanto è troppo non riesci non riesci come tranquillizzarsi non si sa io non lo so passeggio conto i passi le mattonelle di questa stanza ma non succede nulla nulla e ho paura che tornino i fantasmi che la tua mente perda il suo controllo che le tue allucinazioni non siano più esse ma la tua realtà cosa sognare no non è giusto chiamare sogni queste queste non so dare un nome non so definirle so che c’è uno stato d’animo dentro di me che non accetta non accetta nulla assorbe tutto ma non accetta nulla lo avvita lo distrugge e non non dà segni di rinascita di catarsi è una disperazione senza più nemmeno essa è non avere più niente se non la paura soltanto la paura allora i pensieri non hanno più energia per controllare per razionalizzare queste emozioni questi stati d’animo e fuggono si trasformano non ti appartengono più ti conducono in altri mondi o forse nella profondità dell’unico mondo che ti appartiene ma che non riesci a capire che non conosci ed è un terrore sì solo il terrore ti rimane la disperazione il terrore non sai a cosa afferrarti non sai perché afferrarti non sai niente o forse non riesci a sapere niente ti inganni continui a dirti cose che ti rendano plausibile tutto quello che ti sta accadendo ma non ci riesci non è plausibile è reale Non sono io quello che impazzisce non e da me che nasce la mia follia non sono io che sono chiuso in questa stanza sono gli altri tutti quelli che non mi permettono di uscire tutti quelli che si trasformano nei miei fantasmi che non mi danno nessuna nessuna arte nessuna… non ho parole non ci sono parole cosa c’è da dire cosa c’è da raccontare che cosa c’è da immaginare già immaginare se tutto questo fosse immaginazione basterebbe, basterebbe per rendermi tranquillo basterebbe per rendere anche piacevole… ma non è immaginazione i miei fantasmi non sono immaginazione sono terrori coscienti, che sono tornati. non sopporto la sofferenza ma non la sofferenza non sopporto la sofferenza non sopporto padri che si affaticano non sopporto figli che si perdono non sopporto madri che non si ricordano non sopporto la solidarietà che non c’è più non sopporto tutto l’amore che si è perso non sopporto più più non capisco non so ho solo i respiri mi posso concentrare solo sul mio respiro e poi conto ogni mio respiro un respiro due respiri tre respiri quattro respiri poi mi accorgo e ho paura ho paura per tutti gli altri che sentono per tutti quelli che non riescono a capire ciò che sentono e prigionieri sono fermi nel loro terrore nella loro angoscia senza nessuna possibilità senza nessuna giustificazione “per quel che mi accade per quel che accade loro, dimentico mentre parlo anche di cosa sto parlando Non so non so se non ci fosse nessuna possibilità io cosa sono qui che cosa sto cercando di ottenere perché continuo a muovermi perché sto fermo perché sto al buio perché accendo la luce dove voglio giungere a cosa voglio giungere che motivo c’è di agire io lo so che ora tutto quel che noi facciamo tutto quel che noi pensiamo io lo avevo detto sì lo avevo detto lo facciamo senza nessuna consapevolezza e tutto attraverso una strana persuasione io lo so lo so me ne accorgo quando vedo la televisione quando accendo e con il terrore guardo quelle immagini che entrano nella mia stanza mi accorgo mi accorgo di come agiscono su di me di come stimolano certi miei pensieri che fuggono più di quelli dei miei fantasmi, dei pensieri che non sanno neanche immaginare nascono attraverso quelle immagini quelle immagini. persuadere dare dei desideri a chi non sa che cosa è il desiderio e pilotare le azioni di costui fino a quel desiderio che non si desidera ma che non si comprende se non fin quando se ne è prigionieri. continuo a camminare non ho altro da fare spengo la luce sono al buio ma cammino mi sembra di avere meno terrore mi sembra di provare meno angoscia mi sembra di allontanarmi di muovermi eppure tutto diventa affannoso faticoso faticoso sentire il panico dentro di sé non riuscire a dormire svegliarsi sudati impauriti è faticoso io sono. Uno sbadiglio che arriva all’improvviso e mi consola sì uno sbadiglio può essere una risorsa insperata la stanchezza può salvarti in alcuni momenti la stanchezza blocca quel flusso di energia che non riesci a controllare quell’agire quotidiano di cui tu non sai il perché la stanchezza ti ferma di obbliga quasi a riflettere si impossessa di te e in quel momento tu forse riesci a vedere qualcosa qualcosa che non che non che perderai appena acquisterai le forze e appena ti rigetterai in quel flusso di cui tu non sei cosciente non sei padrone di cui tu non sai niente non sei niente per esso Succede a volte succede a volte succede che penso alle donne, succede che mi masturbo aspetto di godere ma poi trattengo lo schizzo non riesco più a realizzare. dove sono finiti quei momenti d’amore quei momenti di profonda sensibilità di unione con un’altra persona, non ci sono più non ci saranno più non è possibile che ci siano questa è una società che ci distrugge dentro che condiziona tutto il tuo agire che ti pone dei blocchi sociali culturali per poter realizzare l’illusione di una unione amorosa in realtà è solo la paura che ci unisce ad un altro essere e ci sono troppi limiti troppe cose che ti obbligano a fare soltanto per raggiungere questa illusione non c’è più un’unione e in quei momenti in cui sono riuscito a costruirla quei momenti così lontani da questo umore da questo istante ora non so più ricordarli come erano? mi stanno sfuggendo non riesco più a fermarli a realizzarli eppure quei profumi quegli aromi quei sapori quel gusto ogni tanto torna poi quando sono al culmine delle mie crisi no non sono crisi quando sono sono quando sono… scompare anche ogni dimensione della mia vita sessuale riesco a raggiungere dimensioni quasi mistiche in cui riesco ad avere il vero controllo dei miei istinti non so se è reale controllo o la mia esaltazione euforica una delle mie crisi di grande intensa depressione ma perché sto parlando qui in questa stanza dove nessuno può ascoltarmi a cosa può servire questo mio parlarmi a cosa può servirmi? ora in questo momento che sento che anche i fantasmi non ci sono, quindi non posso parlare con altri interlocutori in questo momento devo tacere poi torneranno e ascolterò di nuovo le loro voci quelle voci che io solo riesco a sentire quelle voci a cui io do risposta che mi ordinano a cui io ordino ma ora non ci sono ora forse sono lucido lucido che significa che significa mi sento un profugo un profugo dell’esistenza che ha perso i contatti con il resto dell’umanità che non sa più cosa sia ma ne sente tutta tutta la sofferenza è come vivere senza nessuna pelle e sentire tutte le sensazioni vive sulla carne non ce la fac… non ce la faccio più sempre più spesso ho un’idea che mi viene così improvvisa senza motivo un pensiero il pensiero della morte non della morte del suicidio del mio suicidio non ce la faccio a capire tante cose non ce la faccio più a sentirmi la vita addosso non riesco più a difendermi dalla sua incertezza non riesco più a trovare un equilibrio un punto che mi permetta di sopravvivere a tutta la paura che questa incertezza genera dentro me]
Il Gesto dello scrivere
Mezzo Plagio
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi -
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.
Cesare Pavese - 22 marzo 1950
La morte negli occhi,
questo ci accompagna
dal mattino insonne,
sorda come un vecchio rimorso.
Così ogni mattina sola ti pieghi
nello specchio, cara speranza,
giorno supremo e sei il nulla.
La morte è lo sguardo
negli occhi di un vizio,
nello specchio di un viso morto.
Un labbro chiuso
muti.
“La fine del… Libro”
…Tu materia es el tiempo, el incesante
Tiempo. Eres cada solitario instante.
Borges, L’apice
I mortali sono coloro, che possono fare esperienza della morte come morte. L’animale non lo può. Ma l’animale non può nemmeno parlare. La relazione essenziale tra morte e linguaggio appare come in un lampo, ma è ancora impensata. Essa può, tuttavia, darci un cenno quando al modo in cui l’essenza del linguaggio ci rivendica a sé e ci trattiene così presso sé, per il caso che la morte appartenga originariamente a ciò che ci rivendica
(da “Il linguaggio e la morte” di Agamben.) Heidegger
Be-Bop
Io sono vivo, io sono il
sogno, io sono il suo
pensiero
BIRD LIVES!
Ehi che va’ (puttana) non ti trovi è! lo so è come un rovello incandescente nel cervello (ciao bello vuoi venire con me) sembra che qualcuno ti tiri via per un braccio; che ti succhi il collo ti morda la carotide e te l’ha strappi via (quanta ne hai? È di prima scelta).
STOP
Che cerchi? Questa è al via della nostra protagonista, è quella lì accoccolata in terra è tanto che vive fuori di casa che le sua casa sono i vicoli: i nottambuli puttane spaccio ricco e non e via di questo genere
È sempre bella. Te lo chiedi. come Faccia a stare così, succulenta come il miele sul capezzolo e sapessi quando è saporito senza miele il suo capezzolo
È la follia la follia di tutti STOP
E tu cialtrone di un lettore che vuoi da me, che cerchi. Vuoi emozionarti, va’ a cacare e leggiti il giornale Tu vuoi solo passare del tempo pensando di non far niente tenendo un libro in mano, be’ se fai questo non leggermi; o un dotto un trom trem un trim Sei stronzo.
E lui che trancio di vita vuole: mi chiedi di chi parlo ma di quell’altro stronzo dello scrittore. Cerco sempre sempre e ora mi sfugge, succede che alcune lettere del mondo le a le b le c si ribellino o perché ignoranti o capitate in un libro sbagliato, un sigillo clamoroso come il vento, un archetipo di quell’unione perfetta che anche loro hanno dime,nticato: si inalberano per questo con il rumore di chi non le sa capire, di chi ignaro non sa di aprire la mano verso il tempo che ha mancato, lo scherno verso un miagolio di un piccolo gatto.
Sono qui lettore vicino alla nostra protagonista, soltanto un fantasma per lei la osservo guardarmi attraverso e poter sentire il suo sguardo i suoi pensieri, l’osservo alzarsi e allontanarsi attraversando inconsapevolmente il mio corpo e fermarsi per un attimo stupita come per una sua strana sensazione, per poi proseguire facendo fintA di niente. e io sento le sue sensazioni; e così incomincio a parlarti di lei, di, questo mio fantasma, della tua apparizione. FLASH
Lento molto lento, am sono sempre io: lettera parola, fu, scrittorelettore dimentico enel ricordo di, tutto ciò ch’è vero in sempre scordato.
La nostra protagonista passeggia passa le giornate attraversando i viali, sentendosi diversa da altre cose: sentendosi una cosa e basta. Guardiamola lettore: di non l’ha desideri forse non l’hai sempre cercata: scrittore del nulla io l’ho trovata; e dentro qui c’è la storia. Il: mio nome non ha nome, come i tuoi occhi che non sono di nessuno lettore, per essere noi dobbiamo tutto a queste parole che non ci guardano, che dobbiamo afferrare immaginare.
Lettore vieni con me ti porto dall’altro protagonista/ Guardalo quello lì cinquant’anni, passa le giornate a digitare su dei tasti, le protesi della sua memoria che ancora deve avvenire. Chi è il nostro protagonista, inchiostro e carta; scrive sai scrive come me, attraversa i colori per sputarli sul foglio, per noi cercarci.
Guarda che mattina uggiosa lui corre con i pensieri mentre attraversa il parco, sente l’erba umida e respira l’odore degli alberi: viene qui nel mattino, passeggia tenendo il giornale in tasca e osserva uccelli che percorrono brevi tragitti veloci da un albero all’altro: guardalo fermarsi, respira con più partecipazione osserva vagoSTOP
Torniamo lei ha raggranellato da mangiare, qualcuno che nella prima mattina consegna paste nei bar gli ne ha data una; corre presto senza, come deve ritirare l’analisi saprà come, non cercherà di capire. Passeggia sul marciapiede prima deve trovare qualcosa d’altro: il perduto dialogo quella impolverata polvere che non l’immagina per nulla: si droga non sa cosa dire, scappa corre ma si ferma: “dammene una fai in fretta”
Passa i giorni così tra un ansia di pensiero e l’altra. È uscita a preso le analisi, “attr,versa le strade corre!
Lui vede giungere a i suoi piedi una palla — osserva i suoi colori si china a raccoglierla le sue mani ne assorbono la forma delicatamente, quando inizia a tirarsi su vede che c’è una bimba che lo guarda interdetta perché non sa se sorridergli — solleva la palla osserva la bimba e le sorride “tieni” prende la palla e torna a giocare. Va verso la panchina pensa io sono lo scrittore esisto mi auto genero con le parole. sta per sedersi…
Lei ha preso insieme un’altra e ora entrano nel bosco: che dicono” camminano e si stanno avvicinando alla panchina dove è seduto uno, lui “che importa saperlo.
“La fine del… Libro”
Ho dipinto un quadro ed era cieco
— sordo come queste parole.
Nessuno
Silenzio. Cerco senza
voce un perché, tra ciò che mi sembra rimasto, tra quello che non si può più
dimenticare. È già patetico questo inizio, ma non mi resta altro. Tutto si
spegne in un richiamo verso quel buio anonimo e incomprensibile. In quello che
non ho più da dire, cercare, tutto è perso nel passato, non date credito
a chi ve lo rammenta. Le emozioni sono finite e con esse gli attimi della
nostra vita. È una fatica avere ancora parole, pensieri con cui non trovo
più un senso. Sono pieno nella mia depressione e ogni gesto non è paragonabile
a nessun vero eroismo.
Spesso mi trovo a
pensare desideri inesistenti, mi stupisco di questi sogni ad occhi aperti, mi
chiedo da dove provengano. Pensieri che agiscono su di me senza che io ne sia
consapevole e guardo muovermi da quel vuoto così profondo, così sconosciuto, il
senso della vita. Mi capisco profondamente ignorante del mio motivo d’esistere
e compatisco con me ogni essere umano. La volgarità ha preso tutto ormai, non
ha lasciato che le briciole della consapevolezza e non vi è studio, ricerca che
non ne sia uccisa. La volgarità è la menzogna, questo assurdo vortice di
paura in cui si è immersi. È un discorso incompiuto fatto di mezze frasi completate
solo dal silenzio, un nero vortice di sgomento.
Guardo lontano
attraverso gli occhi di un ricordo, in un caldo pomeriggio tra i binari di una
lontana ferrovia. Tra bambini nella vita, che scoprono, cercano comprendono la
follia dell’ignoranza di non avere più voglia di capire. Marta Sandro e
Io. Siamo lì tra i binari ad osservare come il calore della terra trasformi in
ombre di luce le cose. Godiamo dell’aria calda dell’estate e del silenzio della
natura. Poi tutto accade, come seguito da uno strano motivo. Marta mette un
piede in un posto che non c'è, che non c’è in ciò che immaginiamo. È ferma tra
i binari, bloccata da uno strano gioco di curiosità, e sorride. Io la guardo
non capire, Sandro sorride e gioca con gli occhi di Marta; poi avviene,
avviene. Il treno corre, i nostri gridi, io sono fermo e guardo stupito la mia
inconsapevolezza. Marta piange e Sandro la guarda, il treno ormai non è più
solo un suono.
Sandro si volta, come
a non voler vedere ciò che sta per accadere, io non so più cosa vedo. Sandro
mi guarda, (il treno non ha più tempo per frenare) si volta vede il treno —
guardo i tendini delle sue gambe esprimere: la voglia il desiderio di volare,
saltare verso Marta. Il treno non c'è più io non ci sono più, solo lo sguardo
tra di loro, tra Marta e Sandro così lontani da ciò che sta succedendo.
Sandro spinge le sue mani su quel petto — sarà già donna — fino a trovarne il
cuore e spingerla via dai binari. Poi le sue ali scompaiono, precipita sulla
ferrovia; il treno lo maciulla, lo spappola lo frantuma, senza senso come una
cosa.
Chissà ora dove sarà Sandro? Questo eroe
compiuto in quell’attimo, dove ha trovato la verità, la scelta etica
assoluta, libera e la misticità di un santo. Ha vissuto l’eternità,
l’amore nella purezza troppo grande per una vita fatta di giorni. In un
attimo tutte le illusioni sono scomparse, ma solo in quell’attimo. Poi la
paura torna a svilire l’esistenza a riempirla di tempo e tutto torna irraggiungibile.
Ho attraversato i
percorsi dell’arte, l’inesprimibile di ogni sua forma, ma ora ho dimenticato i
suoni i colori, le forme, l’odore. Mi rimane solo la parola, questo limite
supremo di ogni pensiero e il bisogno di riscrivere ogni parola, di scoprirla
nuda, senza sicurezze. Errata o giusta, utile o inutile, ma soprattutto
mancante silenziosa, persa. Sono in cammino per raggiungere Sandro e ho
soltanto i mezzi di una vita. Una vita soltanto per guarire di un’umanità che
nasce malata. Ho ancora l’arte da dimenticare, l’ultimo viaggio forse.
Mi ricordo giovane e
angustiato dall’ignoranza di chi non ha più niente di un mondo sociale.
Di un paese fatto di arroganza. Quanto rumore, rumore. Quel vocio assordante e
inutile, ‘inconsapevolezza.’ Le sirene dei sistemi di sicurezza che assordano
con la loro volgarità. Sistemi di sicurezza che non funzionano, guasti, Che non
placano l’ansia la paura di morire. Allarmi, allarmi per chi vive nel terrore e
nell'ignoranza di capire, di conoscere. La paura, la paura.
Siamo poi in grado di conoscere, sono in grado io di capire.
Perché quell’uomo ha aspettato trent’anni per morire. Perché ha negato a se stesso ciò che lui aveva sempre saputo e perché ha scelto di non morire.
«Salire queste scale è così diverso questa volta. Dentro di me un misto di angoscia, rabbia, di non volere o forse di un confuso volere. Ancora pochi gradini, la porta si apre e dal buio delle scale entro nella luce del giorno, di un sole qualsiasi. La terrazza è silenziosa e circondata dal vuoto, il mio prossimo vuoto. Mi avvicino alla ringhiera e mi getto via.»
Vedo quel corpo non poter volare, ma resistere per poco a ciò che ha già deciso. Attraversa l’aria, gli ultimi respiri poi la terra. Tutto si riempie di ansia di convulsa gente, tutto continua, è mancato solo un protagonista. Una goccia di sangue esce dalla sua bocca e accarezza la terra.
Ora
Sono qui attraversato da me stesso da ciò che penso. In questo “profumo” che mi sveglia nel presente, che toglie da me la mia impossibilità — la mia paura terrore di scrivere. Di affrontare la parola nei suoi segni per sentirla inadeguata, sola insufficiente per la vita — scoprirmi anch’io l’altro che sono: l’uomo. Scoprirmi reale, la fine di ogni respiro, l’inizio di tutti i pensieri la-mia-morte. Sembra esagerato ma è così. Quando scrivo mi sento vicino al mio limite, sento la paura di morire e mi sembra vana qualsiasi forma, qualsiasi tipo di scrittura. E più la forma è conclamata, accettata riconosciuta, considerata acquisita come sicurezza… Quest’esperanto, illusione non esiste, questa parola non esiste. Non vi è più una forma acquisita — Verso il vuoto o verso tutto ci si muove alla scoperta di nuove sequenze e ogni parola è un grido lancinante di ciò che non posso pensare. Lì c'è tutto il mio terrore e non ho più la forza il coraggio di esserci, a stento riesco a tenerle nella testa — “le parole”.
(Per quanto io cerco
di sfuggire alla morte
la vita
non sfugge da me.)
Scrivevo libri, leggevo libri e nel farlo e rifarlo, nel cambiarmi dentro mi sono accorto che tante parole scomparivano. Leggevo una parola e questa rendeva un fantasma la parola successiva. Iniziai a cancellare dai libri le parole che non esistevano, erano tante molte, mai troppe. Quello che rimaneva era il suono la musica, la vita. Tutte le parole rimaste avevano un unico equilibrio esistevano, senza più né punti né virgole. La mia anima, la poesia mi chiedevo…
Un giorno. Un giorno pioveva e le gocce — limpide, chiare, diafane cadevano su un mare calmo quasi fermo, come un foglio di una pagina e come punti invisibili scomparivano nell’acqua.
La realtà è in ogni parola seguita da un punto un punto invisibile Nessuna parola segue le altre Ho iniziato a scrivere libri di una sola parola, basta prenderne una per capire tutte le parole di un libro Ho scritto un libro di parole “sole”, ogni parola è sola come ogni uomo
Poi sono scomparse le parole e immensi fogli bianchi che si ripetevano — sono la mia paura Non riesco più a finire il mio libro, sono fermo terrorizzato Tutto si è cercato ritrovato perso e sono così vicino a tutto quel che è il senso della mia vita, l’incapacità di esserlo
C’era un libro che diceva — Ho tutta la saggezza, ma per vedere tutta la saggezza devi attraversare la follia —
Non ho avuto il coraggio di leggere questa vita, ma ora sono qui a pensare a queste cose, sono qui a sperare di essere tutt’uno con la mia paura Di scoprire le ultime parole solitarie, l’ultima parola sola del mio libro
IERI
Io, era seduto sulla panchina, distratto per il tempo che passava. Pensava: «Oggi ho forse cinquant’anni, se avessi un luogo diverso una storia della vita fatta di altre immagini, forse festeggerei questo mio compleanno.»
Io era seduto su una panchina, situata ai bordi di una strada ghiaiosa. Osservava con occhio distratto gli esseri che vi passavano, con irregolarità improvvisa. Un uomo anziano che camminava al centro della strada e con la punta del suo bastone scostava le pietre un po’ più grandi. Gridi, nomi urlati; un gruppo di ragazzi che correvano con le biciclette. Leggere nuvole di polvere si sollevavano dalle loro scie. Passarono davanti a Io e Io sorrise incrociando i loro visi sorridenti, si alzarono sui pedali aumentando la corsa, raggiunsero l’uomo, già una ventina di metri oltre la panchina dove era seduto Io e passarono vicino, tanto vicino all’uomo anziano, sfiorandone il corpo, giunti oltre si voltarono gridandogli: «Nonno le pietre sono tutte uguali.» L’anziano sollevò il bastone verso di loro, ormai già lontani, imprecando, chissà perché, contro il suo passato. Poi riprendendo la sua occupazione, cercando quelle pietre un po’ più grandi, disse, come rivolto a qualcuno che lo ascoltasse: «Tutte uguali, tutte uguali, vede se avessero capito, immaginato ora non direbbero che le pietre…» Non finì la frase.
Io era seduto su una panchina verde, ai bordi di una strada fatta di ghiaia, che attraversava un bosco, un bosco di alberi secolari. Era assorto nei suoi pensieri e ascoltava quell’immenso suono, delle foglie agitate dal vento che insieme al canto degli uccelli erano la voce di quel bosco. Chiuse gli occhi per “sentire” meglio, restò così per qualche istante.
«Allora come sono andate?»
Nell’udire questa voce Io aprì gli occhi e vide due donne di non più di vent’anni, erano agitate nei movimenti e nel loro passo. stavano attraversando lo spazio dinanzi la panchina dove era seduto, una di fianco all’altra. Quella che Io poteva vedere meglio si voltò e lo guardò per un attimo. Io osservò attentamente la sua figura. Aveva i capelli neri, lisci tirati indietro, lunghi appena sopra le spalle e il suo viso aveva un ovale quasi perfetto… ma questa piccola imperfezione lo rendeva più interessante: labbra regolari e morbide, il naso che ti faceva venir voglia di accarezzarne il profilo con un dito, due occhi immensamente scuri profondi, l’incarnato bianco e delicato, come porcellana. Le spalle i seni i fianchi, tutto perfettamente proporzionato. L’altra ragazza disse all’amica: «Vieni sediamoci e raccontami.»
Si sedettero a due panchine di distanza da quella di Io. La donna dagli occhi neri chinò lo sguardo sulle sue ginocchia, disse qualcosa all’amica, ma Io non riuscì a capire tutta la frase, captò solo l’ultima sillaba dell’ultima parola: “…va.”
«Sei sicura! sai almeno come è successo.» Questa frase fu detta per impotenza e sia Io, la donna dagli occhi neri e la sua amica che l’aveva pronunciata, ne percepirono il vuoto.
«Non c’è nulla che importi sapere: Sono sieropositi-va!» Questa volta Io udì perfettamente. «Ho bisogno di farmi, io vado; ci sentiamo.» La donna dagli occhi neri si alzò e percorse al contrario la strada da dove era venuta. Passò nuovamente davanti a Io. L’altra la guardò allontanarsi, poi andò via dall’altra parte. Questa volta non si voltò, neanche per un attimo. Io la osservò allontanarsi, si alzò e la seguì.
La donna camminava decisa, sembrava certa di quel che voleva, aveva una sicurezza che nella vita le era sconosciuta. A Io sembrava quasi che avesse della fierezza. Accelerò il passo, camminava sui marciapiedi affollati e qualche volta urtava qualcuno, ma né lei né l’altra persona sembravano più farvi caso. La gente tutta si urtava, toccava, ma nulla ormai sembrava più scuoterli dall’indifferenza, quasi passiva rassegnazione. Non era magnifica tolleranza, come ad un occhio disattento” poteva sembrare. Attraversò d’improvviso la strada ed Io stava quasi per perderla. Poi la vide dall’altra parte mentre svoltava verso una via laterale e abbandonava i flussi della folla. Io le corse dietro attraversò la strada, sentì lo stridio delle gomme di un’auto che si fermava a pochi centimetri da lui, non vi badò, balzò sul marciapiede, si fece largo tra la folla, raggiunse la via dove aveva visto la donna girare e… Fece appena in tempo a fermarsi, lei era ad una decina di metri e stava parlando con una persona. Fortuna per lui nessuno dei due si era accorto con quale impeto era giunto in quella strada. Io, proseguì camminando con passo tranquillo, passò loro vicino superandoli e riuscì a sentire un frammento della loro discussione.
«…Soldi, bella!»
«Non li ho, ma…»
«Vattene!»
Io continuò a
camminare, era ormai a una decina di metri da loro. La donna lasciò l’uomo, andò
nella stessa direzione di Io. Io continuò a camminare cercando di sembrare tranquillo,
sentiva la sua presenza dietro di sé, era sicuro di non perderla, non c’erano
vie laterali poteva solo tornare indietro, solo in quel caso correva qualche
rischio di lasciarsela scappare. C’era un’edicola poco avanti, Io la raggiunse,
si fermò a comprare un giornale e osservandola con la coda dell’occhio “vide
lei” che superava l’edicola. Aspettò qualche istante e tornò a seguirla. Dopo
poco lei si fermò, si mise sul bordo della strada e con la mano iniziò a fare
cenno alle ‘macchine’ di fermarsi. Io capì che non aveva molto tempo per
riflettere sul quello che doveva fare e… «Mi scusi non sono di questa città e
ho l’impressione di essermi perso, mi sa dire dove posso trovare un taxi?» «È
qui vicino, basta che prosegue per la via, alla prima a sinistra gira e… lì
riesce a vederli.» «Perché non mi accompagna? alloggio all’Etimo, così posso
offrirle qualcosa… da bere.» (visi che si guardano) “Faccio solo
bocchini, voglio centomila e ho fretta.” “Andiamo.” Io aprì la porta del suo
alloggio, entrarono dentro. Io accese la luce, lei osservò rapidamente il posto,
disse che era bello (aggiunse) — È un’appartamento, quanto tempo è che
sei qui? — “Ci rimarrò ancora per poco.” Lei si avvicinò a Io, si
inginocchiò e prese a scioglergli i pantaloni: «Calma.» «Dai che ho fretta.»
Mentre lei gli apriva la cerniera, Io estrasse il portafogli e le offrì le
centomila. L’allontanò con garbo: «Non occorre, prendi i soldi di cui hai
bisogno e torna.» Lei lo guardò era sul punto di gridargli in faccia tutta la
rabbia che aveva accumulato durante il giorno. Io capì di avere suscitato il
disprezzo, verso se stessa, ma non aveva altro modo. Lei aprì la porta e
uscì.
…Guarda?
— Dove!
— Là… (dove non esiste, pensò)
— Ma non c’è niente.
Passi solitari nei cammini di un ritorno. Era stanca già prima di avvicinarsi a quel posto; nei suoi passi il rumore della ghiaia del viale, brevi sassolini che si toccavano sotto il peso di una sconosciuta. L’immagine di un suono nello sguardo di qualcuno che si volta ad ascoltare chi è il motivo di quel rumore.
Lei aveva percorso quel viale non pensando alla sua paura, al silenzio che l’opprimeva da giorni, non ricordava quanto tempo era passato dall’ultima volta che vi era stata. Era prossima all’ingresso, stava salendo i gradini che lo precedevano; gradini di un marmo stanco dal tempo, levigato dal percorso di sconosciuti tutti uguali. Le fu aperta la porta, con ossequio e reverenza e con un garbo dal gesto antico. Entrò accompagnata da alcuni suoi passi, poi si fermò e si stupì, mentre l’aria lievemente spostata dalla porta che veniva chiusa alle sue spalle l’accarezzava.
Il suono correva si spostava senza provenienza nello spazio che in lei assumeva una sensazione d’immensità in quel luogo. Immense colonne che si perdevano in un soffitto altissimo, sembravano modellate dalla carezza d’infinite lacrime, lì a sorreggere il tempo ossequioso di ogni incontro, di ogni possibile capire. I colori erano trovati dalla vita e immessi sui muri, nei dipinti e nei colori altrove, non lasciavano adito d’esistere a nessuna immagine non creata. Lei fu còlta da vertigini, dal disagio d’emozioni così penetranti che quel luogo aveva; si avvicinò prima di cadere ad una sedia e trovò in essa sollievo, chiuse gli occhi e ascoltò il suono, era musica, era la “Lulu di Alban Berg” si sorprese nello scoprire che non l’aveva riconosciuta, si sentì triste.
La sedia su cui si era seduta era di legno e nel guardare la sua mano poggiata sul bracciolo, si accorse che su di esso vi era inciso qualcosa, scostò la mano per vedere meglio e lesse che il legno di quella sedia apparteneva ad un albero di mille anni, che quell’albero era stato tagliato e conservato e… Lei si accorse che calcolando il tempo che l’albero aveva vissuto, il tempo che era stato conservato, poi trasformato in sedia, fino al momento in cui lei vi era seduta erano trascorsi duemila anni. Guardò il pavimento e pensò che chi lo aveva fatto, lo aveva semplicemente scoperto nell’immaginazione, trovato nelle combinazioni dei suoi pensieri. Si sentì meglio, più vicina a quel luogo, si alzò dalla sedia attraversò lo spazio che la divideva dal portiere e lo raggiunse. L’uomo la guardò e le chiese senza bisogno di pronunciare parola cosa desiderasse. Lei rispose se per favore poteva chiamare il n… per sentire se c’era… Il portiere lasciò che lei non finisse la frase, alzò il ricevitore e compose il numero, attese qualche istante e sentì la voce di risposta. Lei ascoltava il portiere dire, che c’era una donna che voleva… guardò lei con aria interrogativa, che capì e disse che voleva andare da lui. Il portiere tornò a parlare al telefono e lei lo ascoltò dire che una donna lo voleva vedere. Presa dall’ansia che lui non la volesse più, con la voce alterata dall’incertezza, precipitò la frase al portiere mentre stava abbassando il ricevitore.
— “Ha detto che voleva rivedermi, di tornare?!”
Il portiere la guardò e le chiese: “Lui vuole sapere come si chiama?” L’espressione del suo viso, l’atteggiamento del suo corpo, per un attimo mostrarono un’impercettibile sorpresa in lei. Il portiere assorbì quel lieve mutamento nella sua indifferenza e attese in quel tempo che giungesse risposta alla domanda, per potere svolgere il ruolo di neutro mediatore a cui gli eventi lo avevano portato. Lei disse: “Marta”
Il portiere prese una penna da sopra il lungo banco, (in legno) che lo divideva da lei e da chiunque altro lo raggiungeva lì. Le sue mani scomparvero dietro il banco alla vista di lei, che pensò che stesse scrivendo qualcosa; ricomparvero tenendo in mano una busta bianca. Il portiere portò la busta alla bocca e con la lingua inumidì la parte gommata, la chiuse, l’appoggiò sopra il banco e con le dita la fece scivolare verso lei: “Tenga!” poi prese il ricevitore, lei capì che non aveva riattaccato, lo aveva semplicemente appoggiato, lo porto verso il viso e come ebbe raggiunto la giusta posizione disse: “Marta” e subito riattacco; poi guardando Marta: “Lo raggiunga!”
Marta si allontanò dal portiere e si avviò verso la scala. Il portiere le rivolse un ultimo sguardo e guardò la sua figura di spalle che si allontanava con nella mano la busta che le aveva dato. Marta raggiunse la scala e iniziò a salire, nel suo procedere ascoltava la musica allontanarsi, attenuarsi, divenire sempre più tenue, fino all’inudibilità. Ora saliva quelle scale in silenzio, gradino dopo gradino, il tempo che sospinge, sospinge tutto, pensava. Era davanti alla porta, chiuse la mano a pugno, alzò il braccio, mentre stava per bussare il suo braccio si fermò rimase così, sospeso in aria per un attimo, lei voleva fuggire, tornare indietro, ma poi con rabbia picchiò il pugno contro la porta. La porta si aprì mentre bussava e il suo pugno s’infranse contro l’aria. Lui la colse con l’espressione sorpresa, che rapidamente si trasformò in irritazione; lei entrò, lui chiuse la porta.
— “Siediti.” Lui la invitò a sedersi.
— “Perché?! ho voglia di stare in piedi. Sono tornata, ma mi fai schifo, sì sono tornata per dirti questo. Tu sei un porco, mi hai fatto la carità solo per sentirti migliore, per dimostrare che c’è qualcuno peggio di te, be’ la prossima volta spero che ti capiti qualcuno che ti rompo il culo…”
— “Cosa ne sai se ci sarà una prossima volta.”
— “Certo che ci sarà, quelli come te hanno bisogno di considerarsi e si ritrovano dietro l’ipocrisia di sentirsi filantropi. Cercano nel laidume i loro soggetti, questo li fa sentire… diversi, originali; si erigono su un piedistallo come i soli che riescono a capire ciò che gli altri sentono; vogliono sembrare democratici quando sono in mezzo alla feccia, dimostrandosi tolleranti. Porco… schifoso.”
— “Puttana, sei soltanto una troietta che non ha il coraggio di dirselo, ti nascondi dietro i tuoi problemi esistenziali pensando di essere il centro del mondo. Io forse avrò bisogno di considerarmi, ma allora tu! tu che credi di dover essere capita a tutti i costi, e giustificata. Tu che hai bisogno di soldi per paura di dirti quello che sei; sei una puttana, (la prese la portò davanti ad uno specchio) guardati dillo, sono una puttana! (Marta cercava di fuggire, ma lui con le mani la teneva ferma per le spalle e la costringeva a guardarsi nello specchio).”
— “Ti prego… lasciami.”
Lui guardò il viso di Marta nello specchio che la ritraeva e vide la certezza, che Marta aveva di essere disperata. Gli occhi di Marta si riempirono di lacrime, lacrime che sembravano prigioniere, poi abbassò le palpebre e quelle lacrime scivolarono via sulle gote. Lui voleva trasformare la stretta delle sue mani in abbraccio, baciarle le guance per sentire il sapore delle sue lacrime, ma capì che questo suo desiderio era solo voluto dalla debolezza del momento, dalla situazione di confusa emozionalità che c’era. Strinse le sue mani sulle spalle di Marta e la spinse allontanandola. Marta lo vide nello specchio mentre si voltava, guardò le sue spalle e sentì la tristezza che li avvolgeva. Si sentiva stanca senza più tensione, e non sapeva se quel silenzio in cui ora si sentivano, l’aiutasse.
— “Il portiere mi ha dato una busta, penso che sia per te.”
— “No! la devi tenere tu, l’aprirai quando non ci incontreremo più.”
(… di nuovo un’incontro.)
— “… Chi sei? perché io sono qui a parlare con te? perché vuoi che venga se non vuoi quello che io posso darti… (sottovoce) qualcosa simile al sesso.”
— “Chi sono, già che sono? In vita mia non ho mai saputo rispondere a questa domanda; le risposte che ho dato di volta in volta, sono stato costretto a darle nella necessità del momento, ma sempre dopo essermi dichiarato, trovavo la mia risposta: incompleta, non sufficiente a spiegare quello che io sentivo. Vedi ora in questo momento mentre sono qui e parlo con te, dentro di me vive un’ansia che a stento riesco a non lasciarla trasformare in panico. E questa paura che mi pensa dentro, non è legata alla crisi d’identità di un uomo, io potrei essere nient’altro di quello che sono tutti gli altri. La mia paura genera dalla consapevolezza di ciò che sono e questa mia consapevolezza mi toglie la possibilità, di eludermi con un simbolo, ragione, professione che mi allontani dal confine in cui sono, non ho più la possibilità di tornare indietro, di fare finta. Forse una volta avrei potuto dire di essere un’essere umano, e in quando tale potere esprimere la mia umanità nella sua molteplicità. Ora credo che neanche questo potrei affermare. Sono fermo imprigionato dall’unico motivo della mia vita: la parola, sono giunto in lei a sentire il limite delle sue e mie possibilità. Nella fine di ogni pensiero, linguaggio; dinanzi alla morte, che non riesco a sentire, saperla così esistente, ma non riuscirla a capire. Questo è tutto il terrore che ho dentro, il terrore che mi rimane, non poter capire, ciò in cui tutto il nostro essere è, non ti lascia null’altro che il timore l’avere paura. Ora che sono qui, non posso più tornare indietro, non vi è più movimento e ogni volta che mi accingo a scrivere pensare, sento tutta l’insufficienza, l’impossibilità di rendere completa la mia vita, immaginare la morte, con l’unico mezzo che ho: scrivere, ma poi finire in inutili punti di fuga: la storia. Questo vortice questo gesto compulsivo, avvenimento senza esso; la storia che si nega di se stessa, del suo senso. Movimento centripeto, fermo in quella stasi assoluta che è la fine del pensiero la fine della parola, l’attimo prima della comprensione della morte. Paura ho tanta paura di questa mia consapevolezza, di avere ricordato quello che non si può più dimenticare. In certi momenti, quando il terrore dentro di me mi sembra insopportabile e mi sento muovere in nessuna direzione, senza nessuno appiglio; in quei momenti i fogli diventano bianchi, l’ultimo mio afferrarmi scompare e nella disperazione in cui la mia dialettica mi ha scaraventato, quando il mio pensiero si comprime, vicino all’implosione: mi illudo e afferro la morte, l’accuso di non esistere di essere ‘fittizio’, solo un’inganno. La rifiuto, la rifiuto e vorrei uccidermi, dimostrare che io posso negarla, esistere al disopra di essa. La morte che vince che palesa se stessa attraverso la mia negazione; il suo affermarsi sopra me, il suo esistermi. Mi riprendo stordito, rotto dentro ogni mia emotività, aspetto chiuso in me, nella reminiscenza di una condizione fetale, il ritorno, la consolazione delle parole. Sono morto nella storia, rinascerò alla sua fine, rinascerò nel sentire forse?
— “Sono tornata senza sapere, sentendo soltanto. Ora ascolto le tue parole e mi accorgo del silenzio che creano intorno, se chiudo gli occhi sento il suono del silenzio, in questa stanza; poi le tue parole sono un silenzio ancora più forte, tanto d’annullarlo.”
— “Perché?”
— “Penso spesso alle frasi che c’erano, prima d’ora nella vita.
Buongiorno mamma!
Buongiorno Marta.
Buongiorno papà!
Buongiorno bambina.
L’inizio di quel giorno fu l’ultimo. Tutto prima d’allora mi appariva sereno: i dialoghi con mia madre, i giochi insieme a mio padre. Le mie compagne di scuola. La regolarità di una vita ripetuta in eterno. Il mio tranquillo crescere.
Un giorno tornando (…) con mia madre e mio padre, ero così piccola, ho chiesto: Chi è Dio?
Non ricordo la risposta dei miei genitori, neanche il perché della mia domanda. Chissà perché ciò che in me non aveva bisogno di consapevolezza smise di essere chiaro.
L’inizio. quel giorno la scuola non ci fu, forse per uno sciopero, non lo ricordo, quei giorni sono così tragicamente vicini. Tornai a casa, suonai ma nessuno rispose, i miei genitori non c’erano, entrai in casa con le mie chiavi, posai i libri in camera mia, poi andai in cucina per bere un bicchiere d’acqua, mentre bevevo mi ‘accorgo’ che sul tavolo c’è una busta, mi avvicino al tavolo, prendo la busta, sopra c’è scritto il nome di mia madre, riconosco la calligrafia di mio padre, mi sento incerta, forse… Apro la busta spiego il foglio
— Cara Luisa spero che tu capisca questo mio saluto. Ieri sera forse… ma non sapevo più come fare, come potervelo dire. Luisa sai che sin dall’inizio io sono stato sempre così, il nostro matrimonio la nascita di Marta, sono lo sviluppo della mia incapacità di accettarmi. So anche, che ora che ho preso questa decisione, non sono consapevole. Inconsapevole come il giorno che ci unimmo per placare la voce della gente. Per quello che sono vi ho amato. spiega tu a Marta e fa in modo che non mi odii Non so più bene cosa sono, ma devo capire la mia omosessualità.
Mi sento come un essere senza più ossa lasciai cadere la lettera, uscii di casa, avevo trovato la risposta alla mia domanda; ‘ihvh’ spazzò via i miei dei nell’implacabile realtà.
La casa trascorreva, perdeva i nostri sensi, quel nostro mondo non trovava più, fermo nell’angoscia, ci rifugiavamo dentro noi: io, figlia e mia madre. Brevi saluti accompagnavano i nostri incontri dentro la casa: colazioni, pranzi, cene, nel silenzio, poi un’urlo scosse tutto…
Era caldo, i vetri delle finestre appannati e brevi gocce che scorrevano rigavano quel colore uniforme sul vetro, mi avvicinai a quella finestra, vi poggiai la guancia, le mani, il seno, assaporai con la lingua il gusto di quella umidità. Udii mia madre che mi chiamava: era distesa sul letto, nuda.
— “Marta vieni qui. sdraiati vicino a me.”
Ero appoggiata sulla mia spalla, incorniciata dall’infisso della porta, la guardai un attimo, poi i miei piedi sentirono il fresco del pavimento… Mi distesi vicina a lei. Mi accarezzò, baciò la fronte e disse: “Come sei? io non so nulla, nulla! Dimmi tu la mia storia, sei mia figlia, sono tua madre; perché non comprendo, non ritrovo più un motivo; sei stata mai amata?”
— “No.”
— “Perché?”
Mi guardò negli occhi… le sue labbra si posarono sulle mie, sentii il calore della sua lingua, sfiorò la mia spalla con la sua mano, scivolò lungo il braccio e prese la mia mano; lentamente, molto lentamente l’avvicinò a sé, sentii la sua fica bagnata e con la sua mano sopra la mia m’indico come dovevo fare. Sentivo i suoi baci sempre di più… sussultò gemette e mi abbraccio forte, mentre con la voce spezzata mi chiedeva di fermarmi.
Continuò, baciò il mio collo, mi baciò tra i seni che strinse tra le sue mani e poi tra le cosce. sentivo sempre più forte la carezza della sua lingua e il mio corpo che non conoscevo, poi sentii un suono acuto forte allo stomaco e… spinsi via la testa di mia madre dalla mia fica. Ero serena, tranquilla, mi strinsi al suo corpo e mi addormentai, la paura era svanita.
I giorni successivi trascorsero in sorrisi silenziosi, tra il desiderio e un leggerissimo imbarazzo. Poi un giorno mi avvicinai a mia madre e le dissi semplicemente: “Ho voglia.”
Mia madre morì: dissero per problemi polmonari. Di mio padre non seppi più nulla. Ed io per caso scoprii di essere sieropositiva.
Quello che accadde dopo, è la storia di tutte quelle come me!
— “La tua storia cosa mi racconta di nuovo, se non quell’eterna impossibilità di capire. In un bisogno di cui non conosco la domanda. È possibile fuggire da questo nichilismo, trovare un momento di quiete, di obiettività. Mi sento disperato, pieno d’angoscia, senza! Come è possibile essere, sentire l’obiettività, di cui la parola mi si mostra vuota. Dove mi approprio di un’etica? Mi aggrappo a essa alla mia parola.”
— “Se questa stanza fosse solo un cervello e noi i suoi pensieri… la nostra voce il suo linguaggio… (pensando tra sé) Dio se fossimo il suo pensiero, il suo limite…”
— “Quando scrivo la mia voce scompare, il suono diventa “silenzioso” non esistente; la mia voce sul foglio che era bianco. Ma il linguaggio si ribella, a se stesso a me, che non ho capito il coraggio di affrontare la paura dell’obiettività il mio limite, la mia parola e poter sentire tutto, forse capire la morte e tornare a scrivere ciò che è vero. Non so.”
La stanza torna nel silenzio, gli interpreti ora tacciono. Non si guardano è tra il silenzio che sentono dentro, il loro sguardo si perde in direzioni diverse nella stanza. Il loro respiro è l’unico labile suono percepibile. Il respiro che non ha possibilità di asincrono, tutto della stessa aria della vita. Lentamente come il movimento di un immagine rallentata, la testa di lui si volge verso Marta, i suoi occhi ora la vedono, vedono il suo profilo e senza pensare a nulla dice a Marta:
— …Guarda?
— Dove?
— La’… (dove non esiste pensò)
— Ma non c’è niente.
Marta lo guardò e uscì.
Uscì da quel posto, fu avvolta da un vento forte e caldo. Si ricordò della busta, che aveva ancora; Alzò il braccio tenendo stretta tra le dita la busta, la guardò in alto nella sua mano, che si aprì. La busta venne accarezzata dal vento e sospinta in alto volò via con esso.
Marta se ne andò e sentì le pietre sotto i piedi che si stringe-vano.
Tornò da Io altre volte. S’incontrarono nei loro racconti e forse odiarono dei propri fantasmi. Ma ciò che accadde non è dato a noi conoscere. Solo l’ultimo incontro è ricordato.
Lei uscì dalla doccia
ed andò nella camera da letto. La stanza era nella penombra… solo la luce delle
strade illuminate nella notte, vi penetrava, attraverso le finestre. Io disteso
sul letto, vestito, guardava il soffitto, ascoltava la radio e nella
stanza c’era la Suite su rime di Michelangelo Buonarroti, op. 145a di
Shostakovich. La vide, nuda in piedi in fondo al letto… la pelle chiara che con
quella luce assumeva una perfezione sconosciuta, i capelli umidi i seni duri
come i suoi occhi, la rotondità delle sue forme così armoniche, il suo pelo,
così come era sempre stato… Lei andò verso la finestra, vi si fermò davanti,
alzò la mano destra e la posò sul vetro, ebbe un leggero brivido quando il
palmo della sua mano ne percepì il freddo e l’umidità… Io le chiese se stava
bene… Lei si voltò, lo raggiunse sul letto… iniziò a baciarlo con ansia, con
ansia e passione, forse… lo spogliò, baciò il suo torace il suo ventre… poi
prese il suo pene tra le labbra… finché lo senti sussultare, riempirsi la
bocca di sperma… continuò, ma lui la fermò… Lei con ansia, fretta, desiderio ne
cercò la bocca… lo baciò con in bocca quel che le era rimasto, di ciò che
lui le aveva dato.
Lei si sdraiò supina al suo fianco, distese il suo braccio con il palmo della mano in su e disse: «Fallo!» Io Si alzò dal letto, andò all’armadio, prese tutto il necessario e tornò da lei… Con calma sciolse la droga, preparò la siringa… Trovò la vena nel braccio di lei, la guardò, lei sorrise e disse nuovamente: «Fallo!» Bucò la pelle entrò nella vena, spinse lo stantuffo della siringa… sfilò l’ago dal braccio, aspettò un’istante di niente… Il sangue leggero uscì da quel piccolo foro… Io posò le labbra su quel braccio e succhiò, succhiò il sangue, già malato… Lei lo accarezzò sulla nuca, delicatamente, fece un respiro profondo e disse: «Non è nulla… è solo un ricordo.» Io lentamente si staccò dal braccio di lei, lo leccò un’ultima volta. Poi la baciò, serenamente. Baciò il suo collo i suoi seni, sentì con le labbra la forma del suo ombelico… Dopo aver leccato la linea delle sue labbra, con la punta della lingua iniziò a massaggiarle il clitoride
OGGI
Di scoprire le ultime parole solitarie, l’ultima parola sola del mio libro Sono qui nell’odore intimo di questa donna e tutto è cambiato rispetto ad un attimo fa Sento i suoi suoni, il desiderio di godere Il suo clitoride eccitato sulla punta della mia lingua, le sue cosce nel gesto più ampio, come per aprire se stessa all’esistenza di tutto il vivere di cui è capace… Mi accorgo che in me è cambiato qualcosa, non ho più nessun motivo, interesse, di essere qui con lei, nel fare quello che sto facendo; più nessuna utilità, perché quel che volevo l’ho oramai ottenuto Mi accorgo che se sono qui e che se sento tutto il suo piacere è perché l’amo, ma presto il dolore…
DOMANI
Lei si sveglierà. Il suo corpo disteso sul letto, volgerà lo sguardo verso lui, ma non lo vedrà. Non ne sarà sorpresa. Scoprirà una busta, l’aprirà e leggerà la lettera che contiene.
— Poche parole, giacché tutte le parole non bastano. Io ora sento di genuflettermi alla vita, chino il capo all’esistenza; anche se sento ancora l’ansia di ciò che non comprendo. Potrò dunque tornare a scrivere, finire il mio libro; ora che ho reso un po’ più certa la mia morte. Non più l’obbligo di vivere — poter scrivere. Domani sarai libera, non ti lascerò il mio amore, per questo me ne vado.
Eppure quanto tutto sarà quieto, mi sederò tranquillo e non aspetterò nulla — non scrivo, non penso, finalmente non serve più. Ho tutta la disperazione dell’esistenza — la grandezza di un uomo perduto e parola dopo parola il ”silenzio” di tutta una vita. Non aggiungo altro, oltre questa parola, ora che sono Nessuno, ”non necessario alla fine: l’inizio.” Silenzio.
P. Scriptum.
Passò un uccello,
guardò in alto
e sentì qualcosa di caldo
sulla fronte.
C’era una volta un tempo in cui le storie sembravano vere, in cui i silenzi toccavano i pensieri e i luoghi avevano tutti i colori. In questo luogo vivevano duemila anni.
Un bastone solitario passeggiava tra le pietre di una via che cercava.
Alla mano di quel bastone vi era un uomo che cercava, che aveva già trovato un suono, un suono da ritrovare e spostando le pietre un po’ più grandi sperava in una sorpresa.
Aveva sentito molte voci quel giorno ed ora era seduto in una panchina vicina all’albero. Ascoltava Bach, suonato da un’orchestra lì vicino. Su quell’albero appoggiata ad una foglia vi era una busta; l’uomo respiro profondamente e chiuse gli occhi e un soffio di vento scosse le fronde di quell’albero; la busta si mosse delicatamente nello spazio e planò sulle gambe dell’uomo; l’uomo aprì gli occhi, osservò la busta e l’aprì: il nome.
Armando La Rochelle
La mia opera consta di due parti: di ciò che qui è scritto, e di tutto ciò che io non ho scritto. E proprio questa seconda parte è quella importante.
Ludwig Wittgenstein
Una metà ostentata e un’altra lasciata intravedere valgono più di un tutto apertamente dichiarato
Baltasar Gracián
La metà è più del tutto.
Esíodo
Non dovrei essere qui a scrivere, il mio fisico è stanco, ed ho un leggero mal di testa
Ho comprato quattro libri, da qui a due giorni fa e non so cosa vi sia dentro, forse solo il mio credere, immaginare qualcosa, come continuare. Non compravo libri da più di un anno, non li leggo da tre. Ancora non so se questi ultimi libri comprati li leggerò, o mi accompagneranno solo fisicamente
C’è una pozza d’acqua, la vedo se mi affaccio dalla finestra, è formata di tante gocce che ho osservato: precipitare e poi schiantarsi a terra. Quella depressione nel terreno le ha intrappolate, tra non molto non sarà più la stessa pozza di acqua che vedo ora
Mi chiamo Armando
Ieri mi sono svegliato con un leggero disturbo allo stomaco. Il sole si era, si era già levato e ho osservato la luce che penetrava nella stanza, attraverso i fori della serrandina, cadeva in punti precisi, ma solo apparentemente fissi. Sono rimasto ad osservare questi raggi luminosi il loro muoversi dietro la loro origine, poi sono scomparsi, forse è bastata una nuvola
Scrivo lettere a persone che mi immagino. Invento delle storie e dei dialoghi epistolari con degli sconosciuti. Spedisco le mie lettere guardando l’elenco del telefono, così do anche un nome alle personalità che invento
Spesso guardo la televisione, ricordo la prima volta che ho visto la TV a colori: c’era un monologo recitato da Carmelo bene, la scenografia era piena di rosso, ed è il primo colore che mi è rimasto impresso nella memoria, quando penso alla televisione a colori
Ieri ho scritto una lettera ad una donna
Spesso non pensiamo all’uso che possiamo fare dei nostri piedi, parlo o meglio scrivo dell’uso vero, quello di camminare. La cosa più semplice: attraversare luoghi, scoprire cose non viste. Ma se vogliamo fare dei nostri piedi un uso realmente semplice, non è necessario altro che metterli uno dinanzi all’altro e lasciarsi condurre senza un dove, dimenticare di dover raggiungere, ma solo trovare. Queste passeggiate zen sono le migliori, le più semplici e pertanto complesse, come ogni cosa che esiste prima dell’uomo. Comunque se stiamo attenti questo miracolo avviene ogni qualvolta i nostri piedi svolgono il loro camminare, in quel momento l’altra nostra estremità il nostro pensiero consapevole si dimostra per quel che è: inconsapevole. I nostri piedi così si muovono senza alcuno scopo, ma sono così vicini al loro essere che sono lo scopo
Questa metafora che mi sono inventato, può voler dire che la verità non sappiamo mai dove realmente collocarla e spesso quello che ci appare come deputato alla spiegazione in realtà è forviante. Oppure che l’esistenza si colloca in un divenire ch’è già compiuto e “quindi in ogni respiro c’è la possibilità!…” O che dire: “Tu ragioni con i piedi” non è poi così denigratorio come si pensa! Ma iniziamo a svelare i veri perché, a mostrare i primi elementi per la soluzione che collochiamo nei “ché” della quotidiana esistenza. Il mistero non ha sorta di soluzione, come il titolo di un libro: “La fine è nota” sappiamo qual è l’epilogo di ogni esistenza. Dunque per quanto incredibili gli accadimenti del vivere, debbono si meravigliarci, ma non sorprenderci. In questa dimensione di meraviglia si colloca questa questione, questo dire
Ma poi esiste la purezza?! oh tutto è irrimediabilmente debole, fallace e la nobiltà è sì vincere sia pure una, una soltanto delle umane debolezze, per dare un senso improvviso, per sentirsi liberi
Sono uscito di casa, ho attraversato quel tempo che mi porta dalla mia stanza all’automobile, ho pensato ho riflettuto o forse non ho fatto nulla, eppure di lì a poco avrei dovuto prendere delle decisioni. Collocarmi sulla carreggiata stradale, decidere quale percorso percorrere, quale sequenza temporale dare agli avvenimenti che nell’illusione di ogni persona sembrano già prestabiliti eterni. Tutto accade come una prima volta, soltanto noi esseri umani dimentichiamo, per gli affanni del nostro passato, che quel che accadrà non lo abbiamo ancora vissuto
Quando scrivo le mie lettere al posto del mio indirizzo ne scrivo un altro anonimo, sempre preso dall’elenco del telefono. Chissà se le persone che ricevono le mie lettere poi si conoscono. Le mie lettere sono sempre interessanti
Ho percorso la strada che costeggia il mare, la luce del giorno era già in un altro giorno. Per consolarci del giorno che non ci guarda più, abbiamo inventato delle palle che emanano una luce arancione, che fanno assumere alla pelle di noi umani, il color epatite. Ad un tratto dei miei pensieri ho rivolto il mio sguardo verso il mare
È un mistero perché senza nessun motivo volgiamo il nostro guardo in un altrove; è poi vero che non esiste motivo alcuno?! Perché ci soffermiamo ad osservare qualcuno, qualcosa e perché l’emozione che ne deriva rimane così sospesa, spesso lontana; cosa realmente ci suscita un’osservazione e perché non facciamo… seguito a ciò che ci suggerisce di fare. Il più delle volte accade che ci vengano in mente pensieri innocenti, ma quello che sgomenta è che tali pensieri non sono neanche liberi di essere immaginati. Quante possibilità neghiamo alla nostra immaginazioni, quante opportunità di modellare la nostra vita, di scoprirci, basta una semplice parola per dare corso a degli eventi che possono essere determinanti, o semplicemente vita. Ingarbugliati dalle nostre paure, in una vita che si trasforma in una non più vissuta. Fantasia da miserabili
Lei che sta leggendo queste parole, si distragga un attimo da esse e si guardi intorno, dove si trova? in casa fuori all’aperto, sdraiato su un prato. Vede sarei veramente felice se lei potesse descrivermi il luogo dove queste parole l’accompagnano, se lei potesse dirmi perché ha deciso di leggerle, chi sono le persone che lei conosce, come sono gli occhi della persona che ama da così tanto tempo, o perché ha deciso di vivere da solo, lo ha veramente deciso o la vita ha scelto per lei. Se lei potesse accogliere questo mio desiderio
Nel mio altrove ho veduto la Luna: bianca, un auto mi sorpassa e il mio sguardo il mio tempo, tornano sulla strada
Ho ricevuto un biglietto di auguri da La Rochelle, mi dice che tra un po’ è il nuovo anno
Il tempo non ha continuità e io non so che giorno sia oggi, avverto solo la mutevolezza e non so dare la misura esatta alla vita. per me il giorno è il contrario della notte e la notte e il giorno sono sempre identici. Una volta nei periodi di festa non mi sentivo a mio agio se non avevo il mio momento per festeggiare, se non scoprivo insieme con altri questo modo per dire cosa è il tempo. Ora non ho più feste e non provo né tristezza né gioia quando gli altri festeggiano. È un modo di concepire il tempo che non mi riguarda più. Sia esso ricordo o previsione c’è solo il presente
Scrivo solo pensando al presente
Mi è venuta in mente l’ultima immagine del film: “Il the nel deserto” di Bertolucci. Il narratore, che nel film è interpretato da «Bowels» lo scrittore del libro «The Sheltering Sky» dice alla protagonista.
Scena: Lei entra nel locale, va incontro al narratore, che gli chiede — «Si è persa?» Lei con un espressione di gioia risponde — «Sì!» Il narratore rimane in primo piano e dice: «Poiché non sappiamo quando moriremo si è portati a credere che la vita sia un pozzo inesauribile, però tutto accade un certo numero di volte, un numero minimo di volte. Quante volte vi ricorderete di un certo pomeriggio della vostra infanzia, un pomeriggio che è così parte di voi, che senza non riuscireste a concepire la vostra vita. Forse altre quattro o cinque volte, forse nemmeno; quante altre volte vedrete levarsi la luna, forse venti, eppure tutto sembra senza limite
La luna è sempre là, un po’ più alta nel cielo, ma bella! Che notte limpida è un peccato lasciarsela sfuggire. La saggezza dice di godere di tali spettacoli ché la natura ci dona, senza nulla chiedere in cambio, ma in realtà non comprare la propria vita è il coraggio più alto
La Rochelle, ridente cittadina sita sulle sponde, ad occidente della terra di Francia. È bagnata dall’oceano Atlantico
Oceano Atlantico mi fa venire in mente il Portogallo, ho una gran voglia di visitare il Portogallo
Ci sono certi miei periodi dell’anno, che sembrano diversi da sempre
Penso che si è veramente soli, quando non si sa di esserlo, lo scopriamo quando comprendiamo che non è la nostra solitudine che ci intimorisce, ma ciò che immaginiamo essa sia.
Le giornate di pioggia possono essere come tutte le altre, ma oggi per me non è così. Mentre scrivo vorrei chiedermi chi sono, se poi mi sono così indispensabili questi segni, o sono soltanto un tormento che ho io e nessun altro. Vivere nella dimensione grammaticale della parola è come non sentire ciò che la vita non ricorda, guardare un collezionista che non si accorge che non può fermare il tempo. È poi indispensabile scrivere, vero è perdere tutto, tutto, anche la parola, cercare Dio lottando con ciò che è impossibile. Se abbandonassi tutto cercando la mia liricità, forse riuscirei a capire un po’, quel tanto che basta per sentirmi sereno. Non essere così significa non scrivere bene, ed io sento che non sto scrivendo dentro i sogni di un altro, che non riesco più in nessuno dei miei sogni. Io non esisto sono solo ciò che queste parole mi fanno apparire, la condizione di chi mi osserva e dopo l’ultima parola io non esisto più. Eppure, se anche solo in queste parole non riesco a sentire la libertà, da una condizione. Ascoltate: da una condizione, sentite la perdita di identità che sviluppa questa frase, l’incapacità di sentirsi liberi, senza ispirazione, sono in questa condizione. Queste parole mi sembrano che non esistano, sono così leggere effimere e desidero che siano semplici. Dio quando vorrei che sparisse la mediocrità, il sapere che esiste, cercare di non dover fare nulla per cercare di esserci. Non ho voglia di scrivere, ma sono qui che violento la mia incapacità. Dovrei meditare progettare, costruire un modus narrativo, per scrivere, forse un romanzo o qualcosa di altro, ma ogni ricerca in tal senso mi sembra vana. La parola genera in me insofferenza, lotto con lei come chi cerca nella propria immagine riflessa in uno specchio delle risposte che nella testa sembrano scomparire, ma sono tutte lì: tiranne e inattaccabili. Forse è solo uno stato della mia anima, ora. Perché ci sono giorni che scrivo e sento quello che scrivo ed altri in cui distruggerei ogni parola. È così bello tutto questo. Forse la mia intollerabilità, cercare di non avere bisogno di sapere più nulla. Chi sono?
Sento le parole scomparirmi ed ogni, volta che sono con loro un esperto ho pena di me
Avvolgere tutto nel silenzio
Dio non c’è, quando è vana questa frase. Dio forse non c’è, ma che importanza ha se c’è o no. Cambia qualcosa dinanzi alla consapevolezza di dover scegliere dell’uomo, non si vuole che Dio ci lasci liberi. Quando è futile la speranza e quando ridicolo l’accusarlo. Se c’è o non c’è per noi il mondo non cambia e noi non siamo il mondo, non siamo il crogiolo creativo, siamo solo una frase. Ho voglia di non sperare più in lui, di non credere in nessuna possibilità oltre quelle che non ho. Essere soltanto un essere che prende consapevolezza della sua responsabilità, accetta il non intervento divino. Credere come un ateo vivere come un cristiano
Quanti dubbi si perdono dentro la mia coscienza, quante possibili soluzioni svaniscono appena il mio pensiero muta, appena trova un suono un po’ più forte del silenzio che lo distrae. Quale è quel suono che oscura il silenzio, forse quello della vita, della vita che nega la sue stessa era, la sua stessa metamorfosi. E quante vite parallele vivono, quali mondi oscuri ho dentro la mia sola persona e dove ognuno trova la possibilità di scomparire, di svanire senza che mi sia accorto della sua esistenza, senza capire quando io sono stato il suo dirsi. Scoprirli tutti insieme dove il tempo non ha più futuro, dove si compie nello stupefacente presente, tutto nell’apparente grido che si comprime fino ed oltre, in un istante palese, immediato: La Morte
Scrivere, mettere le parole in successione e poi lasciare che qualcosa accada, si riduce forse a questo lo scrivere, o non è l’estremo sforzo di pensare, trovare la combinazione giusta per esprimere ciò che in esse non può essere detto, portare ogni parola lì, dove sembrano scomparire, nell’impossibilità di un’emozione che le supera
Ho un libro tra le mani e non so ancora quale parola colpirà la mia consapevolezza, ma se poi in esso non ci fosse questo frammento, se non ci fosse il dubbio che si genera in ogni consapevolezza
Cerco sempre di scoprire
Alcune volte ogni motivo è inutile, in questo certo tempo avviene che il tormento svanisca, si liquefa nell’inconsulta metamorfosi del soffrire
L’identità, si riduca a questo: il tormento e io chi sono? Sono ciò che appare su questo foglio. Io Armando fuori da queste parole non esisto, non sono le parole di un altro, forse ciò che loro non hanno mai detto — ma se anche fosse, io non esisto. Questa mia condizione di privilegio mi permette di ignorare totalmente la realtà, di sublimarla nella vita, di raccontarla nelle illusioni di chi esiste, di chi ha perso la morte per la strada
Quante storie, incontri, amplessi nella fantasia nei miei desideri
Una giornata qualsiasi. Ero seduta e guardavo l’acqua del fiume che scivolala silenziosa e placida, ogni tanto raccoglievo qualche sasso e lo gettavo nell’acqua, poi respiravo e chiudevo gli occhi e pensavo a l’aria calda di una giornata d’estate. Alcune volte mi succedeva che quando li riaprissi ci fosse un passante che mi osservava, che interrompeva il mio sguardo sul fiume
Lui mi osserva, è una giornata qualsiasi. Io sono seduta guardo l’acqua del fiume che scivola silenziosa e placida, ogni tanto raccolgo qualche sasso e poi lo getto nell’acqua. respiro e chiudo gli occhi, penso a l’aria calda di una giornata d’estate; quando li apro c’è lui che mi osserva, che interrompe il mio sguardo sul fiume. Lui può essere tutte le persone che io non so immaginare. — Ma si sieda vicino a me. (Chi è che si siede vicino a lei e, chi è poi lei. Questo sconosciuto non è altro che il suo desiderio, il desiderio che ha che qualcuno l’avvicini, che la scopra, le dia la possibilità di realizzare la voglia di un uomo: che la tocchi l’assaggi, di sentirlo dentro di sé. E lui perché si è seduto, possibile che abbia avvertito ciò che lei sentiva. «si sieda» io donna, femmina che sto scrivendo, commetto inavvertitamente l’errore di scrivere «si sieda» anziché «si siede» Perché lei la protagonista che è cosi diversa da me entra in ciò che io desidero, perché lui che ancora esiste oggettivamente: soltanto si siede, è già immaginato da noi due, ma qual è la differenza nel sentire tra me e lei, tra il mio scrivere e il suo esistere tra il mio scrivere e chi io rappresento, quale percorso, quale ché si sviluppa sopra all’atto della possibilità di scrivere) Si sieda vicino a me è questo che aveva pensato lei quando lo aveva veduto dinanzi al suo sguardo; e ora è lì vicino al suo corpo, seduto soltanto ( Può accadere di tutto è una situazione aperta; se entra la componete della “paura”, questi due personaggi sviluppano la loro esistenza in quei romanzi, dove tutto è ridotto alla loro eterna lotta per potersi incontrare, uscire fuori dall’idealizzazione che hanno uno dell’altro e il non svelare l’illusione dell’ideale è l’epilogo di tali romanzi. La scoperta dell’illusione dell’ideale è il modo in cui si sviluppano altre storie, l’eterna lotta tra l’inconsapevolezza di quello che si crede e ciò che non si è capaci di raggiungere, tutto finisce con una effimera possibilità di speranza. Se iniziano a comunicare senza nessuna mediazione culturale, qualcuno dirà che è troppo inverosimile. La donna che è seduta è simile a me stessa, le possibilità che un evento simile accada nella mia vita non sono molte, ma perché non dovrebbe accadere in un altra me stessa, quella che io vivo attraverso le parole che sto scrivendo. Essere ciò che altri hanno paura di essere è questa la realtà, perlomeno fino a quando è reale l’opposto. Che nome dare a lui, con quale documento farlo entrare nella concretezza dei simboli: Adrea, si chiama Adrea. Che lei ha ancora un nome…) Lei volge il suo sguardo verso lui e sa che quello che accadrà, ‘sta volta sarà senza la sua paura. Sa che lui non esiste che quello che ha dinanzi è una suo immaginario, ma la paura che ha dentro, quella paura che viene da un percorso psicologico, che le impedisce di creare, ché la tiene ferma, senza la possibilità di pensare, nella paura di farlo, le ha sempre precluso ogni possibile immaginazione. È vissuta con il terrore di pensare certe cose e un grido che le si ribellava dentro, che di quelle cose voleva scrivere, credeva la tormentasse. Adre la guarda le parla:
Adrea— “Spesso ho immaginato, sognato quello che ho fatto ora, ti ho cercata attraverso la mia fisicità, non riuscendo a trovare che le briciole della mia paura, della paura di una societé che non accetta ciò che implica sé stessa, qualcosa di altro dal suo idioma, fuori da ogni dirsi assiomatico. Ti ho cercata amando il mio corpo, attraverso il corpo di un altro me stesso. Ho pensato spesso a tutte le volte che nella notte ti sentivo venire, bussare alla mia porta, ed io non riuscivo ad alzarmi, ma lasciavo che tu entrassi dentro me, che io da te potessi ereditare quello che la terra mi ha donato. Ora ti sento qui vicina a me e mi sento lontano da ciò che è stato, da ciò che era il mio bisogno di altro, ora mi placo ogni volta che sento un uomo avvicinarti a te, sento le sue labbra con le tue, mi apro ad esso con i tuoi desideri e lo sento dentro me quando lui geme su di te. Sento il tuo dolore per un risposta mancata, per il richiamo di un pensiero così lontano da apparire estraneo, forse, per qualcuno immemore di ciò che è, della tua esistenza. Che tormento il mio non volerti accettare e che assurdo soffrire essere tormentati da ciò, sentirsi diversi da se stessi e nella confusione di tutti gli altri. Ora che ti ho incontrato mi sembra che tutto fluisca leggero, proprio dentro me, dentro i ricordi profondi di tutto quello che è stato, che fatica avere bisogno di una identità, di un dire ciò che in realtà non si sa mai. Ritornare a una semplice unità.”
Adrea— “Tu sei qui e ora mi parli, parli a questa donna che se chiudesse gli occhi non crederebbe più a quello che ha ascoltato, a quello che tu sei, sei. E se io non avessi memoria di te, tutti i miei terrori, i miei assilli mi intrappolerebbero di nuovo: tu svaniresti, torneresti nel limbo di una memoria immemore di se stessa. Nel pertugio di una follia di un quotidiano culturale. Siamo già qui giunti al termine forse, al ritorno nell’equilibrio, di una donna che ama il proprio uomo, che ha scoperto le carezze di un’altra donna, i suoi baci il suo sapore. Ama il suo uomo che abbraccia stringe e piange, che ricorda, che ricordi me con la mia memoria. Guardo scorrere il fiume e scopro il ricordo di tutti gli anni nascosti dentro la mia vita, nel particolare di una sola esistenza, di un solo frammento di tempo, di un vuoto colmo di tutto il resto di una intera epoca.”
È già finito tutto, non serve nulla di altro, tutto quello che ci si può mettere in mezzo formerebbe, quel che si chiama un romanzo, ma io donna che mi approprio di questo nome, di Adrea trovo inutile quei romanzi che abusano delle parole, ho trovato la scoperta tutto quello che vi è intorno non ha motivo d’esserci
Oggi mi sono alzata presto, sono andata alla scrivania e ho letto su un foglio di giornale una frase che il giorno prima avevo sottolineato, ed ora cerco di ricordare il perché lo abbia fatto
Spesso la notte mi giungono pensieri che non sono proprio sogni, pensieri che non riesco a ricordare se appartengono alla mia immaginazione o a ciò che mi è accaduto. In questa condizione alternante le mie emozioni vivono il presente, un presente che non distingue tra l’immaginazione e altro
Ricordo: Sono una bambina di circa quattro anni, e spesso mi succedono eventi, sì proprio eventi
Mi trovo a combattere con l’incomunicabilità, con la presenza della paura di dover perdere, scoprire. Niente sarà pubblicato, ricercato oltre il mio sentire, tutto vivrà frainteso, prigioniero dell’evidenza, dell’accumulo di consapevolezza della fatica di aver vissuto
Quando sono entrata in quella casa, non aspettavo nulla, volevo solo respirare il profumo di “quel luogo,” la muffa dei muri (mi sto chiedendo se è giusto che metta un punto, ma il mio desiderio è proseguire, soltanto con le virgole è di cercare un suono diverso, ma diverso da cosa, il conclamato è ridicolo come ogni insegnate professore, la poesia per schemi è ridicola, come ogni suo lettore, in realtà è la paura di volere essere qualcosa, l’insicurezza di non sapere di esistere, quanta produzione artistica, quanti modi per definirla, ma quanti pochi esseri umani…) Il colore dei pavimenti, Quale è stato il progetto che ha realizzato questo edificio, dovrei pensare ai suoni passati di questa casa e, invece non li rammento, Ascolto ora i miei passi,, il suono della fatica di un eco che non può esistere, Eppure qui ho amato, odiato, mi sono cercata, ho vissuto con ciò che rimaneva di un uomo amato in gioventù e qui sposato, Qui ho avuto un figlio, E qui ho perso tutto, Sono tanti anni che non torno in questa, ancora ci sono gli stessi lampadari, Quando la lasciai diedi l’incarico ad una agenzia di affittarla e di spedirmi il denaro, avrei fatto sapere dove, Perché me ne sono andata da qui, quando l’ho fatto sembrava che sapessi il perché, volevo lasciare tutto quello che credevo non esistesse più, che con la morte di lui, di nostro figlio, Ma perché di quella morte? Non era vero, non è possibile, tutto ciò ch’è fatto è dentro di noi, rimane indelebile immagine dei nostri ricordi, in ogni ultimo respiro, Sono tornata in questa casa perché non si può vivere cercando di dimenticare, lo si intuisce, quando la vita guarda oltre se stessa, quando i ricordi appartengono alla nostalgia, quella nostalgia senza rancori, amori, senza le passioni di un progetto da eseguire” Si siede su una vecchia poltrona, rimasta lì in quelle stanze della sua casa è stanca e non si accorge dei suoi occhi che si chiudono
Sono morto un milione di volte, ma in verità, forse mai. Forse, dire forse non è l’esempio lampante della mancata verità e non è tutto forse, tutto senza verità. Queste parole appena dette sono quelle che si dicono più spesso,, non la verità ma le parole
Sono un uomo appena morto, morto di una vecchiaia che ha lasciato incolume il corpo della sua consapevolezza
Ho perso forse tutto ciò che non ho mai trovato, vi garantisco che non vi è perdita rilevante quanto questa
Eppure non ho pensato ad altro che dirmi: quanta arte ci troviamo intorno, ma gli artisti, dove sono? Sono forse quegli individui che non hanno nulla, ma dov’è la scelta che hanno fatto nella loro vita;; qualsiasi altro lavoro potevano fare, ma hanno scelto l’arte solo per la gloria, solo vuota vanità
Quanti bei momenti si sprecano. Individui così presi dalla paura di vivere, chiusi nei propri problemi, non si accorgono della vita che scorre via. Passa loro accanto sprecata
Quante cose ho da dire ancora; eppure mi sembra vano, faticoso lo scriverle
Quando mi accorgo di un funerale o un battesimo, vi partecipo. Mi metto nel corteo che accompagna il feretro, assisto alla cerimonia funebre, o alla gioia, al gridolino di un bambino che avverte l’acqua scivolargli in testa. Naturalmente sono quasi sempre persone a me totalmente sconosciute, ma ciò mi fa sentire ugualmente simile. Quei visi, quei tratti somatici, modo d’essere, espressioni di culture non sempre uguali. Certo alcune volte noto gli sguardi incerti che mi osservano, in attesa di trovare una risposta al loro domandarsi, il chi io sia. Ma il più delle volte, scivolo tra loro nel più assoluto anonimato, tranne quelle rare volte in cui mi riesce di presentarmi e scoprire persone insolitamente normali, che accettano di buon grado un amico in più che festeggi con loro, o ricordi con loro l’improbabile ricordo del loro defunto. Passo così dei momenti in cui mi assento del tutto dal mio essere, fino a diventare lo stimato signor nessuno che ha perso un fratello, sorella, marito o moglie; o scoprirmi padre, zio, nonno di un futuro ancora tutto da realizzare
Non credevo, ma c’era diversa gente. Quel giorno si presentava il libro di uno scrittore del luogo. Era tornato nella sua città dopo molto tempo, invitato dal circolo cittadino. Quando se ne era andato lo aveva fatto proprio per fuggire da queste situazioni, quel baiellame di provincia, mediocri professori, che organizzavano quelle strane cose che loro con il coraggio di chi è inconsapevole definiscono associazioni culturali. Ricordo quando andavo alla presentazione di un libro, scoprire quegli autori che si prostituivano all’ottusità di individui che li utilizzavano per il loro apparire. Sentire oratori acclamare, denunciare l’indispensabile emancipazione da una cultura troppo legata al provincialismo. Una volta, quelle volte andavo in queste manifestazioni di eloquente demenzialità e mi irritavo, le disprezzavo, ma in realtà ero troppo legato a tali realtà per poterle osservare con il dovuto distacco, per capire tutto il grottesco e riderne.
Ora dopo molto tempo se così possiamo definire il cammino di un tratto della mia esistenza, vi torno, proprio nella dimensione di maggiore ironia che la vita alcune volte riserva. Osservo attentamente le persone e scopro che i loro pensieri sono gli stessi di quando me ne andai, lo stesso respiro di vanità. Torno chiamato dal clamore di un piccolo libro che scrissi quando ancora vivevo tra costoro. Un libro di densa accusa nei confronti della stoltezza, della vacuità di essere. Queste persone che ora sono qui ad accoglermi sono i veri protagonisti di questo mio libro, il motivo del suo stesso esistere. Posso garantirvi che la loro esistenza ne esce gretta e meschina, anodina come le loro stesse vite. La meraviglia da cui sono colto, ora che ho compreso il motivo del perché mi hanno lo stesso invitato; ognuna di queste persone non immagina minimamente di essere dentro la storia del mio libro, loro ritengono di essere gli unici che possono, che sono in grado di comprendere; Per questi esimi imbecilli il problema sono tutti coloro che non conoscono, che non leggono, che non sono dediti alla cultura. (Loro avrebbero certamente capito.) Alcuni di questi colti, lessero ciò che ora sono qui ad elogiare. La maggior parte di questi individui è dedita all’imbecillità e non hanno nessuna possibilità di sentire ciò che appartiene alla dimensione del vero; per costoro tutto acquista valore se è mediato, conclamato. Spesso rifletto su tutti quelli che ora apprezzano ciò che faccio e mi chiedo se mi avessero incontrato senza sapere chi ero… Non è detto che una volta che si riesce a raggiungere il pubblico, poi si è realmente apprezzati. Immagino che i veri lettori siano pochi, pochi come coloro che raggiungono la vera intimità di chi scrive. Il successo, l’assorbimento dell’opera in un ideale comune e tutto il resto, esula dalla purezza del creare. Ogni scrittore compie la sua opera per pochi individui, per quei pochi che si trasformano in tutti i lettori del mondo.
Ho raggiunto questa mia vecchia città, con il treno, mezzo insolito per me, che amo spostarmi in auto; e mentre osservavo il mondo correre fuori dal finestrino non vi ho pensato un solo istante… Immaginavo non di tornare, ma d’incontrarmi con una città mai vista prima, con un luogo senza memoria.
Ho sentito il treno che si fermava, ho preso il mio bagaglio, percorso il corridoio del vagone… sono sceso cercando di non sapere cosa fare dove andare. Mi avrebbero aspettato il giorno dopo, ma io avevo deciso di anticipare, di giungere inatteso.
Passo nei luoghi, in posti, poi entro a mangiare in un locale di cui non avevo memoria. “Era un po’ che ero seduto quando mi accorsi di uno sguardo che mi osservava: era un donna dall’aspetto gradevole, ma dal viso decisamente interessante, bello! Restai un attimo a guardarla, poi decisi di alzarmi e di raggiungerla al suo tavolo. Mentre percorrevo questo tragitto ripensavo a quando era stato difficile, nel tempo del mio ricordo poter entrare in sintonia con una persona del sesso opposto, in questa città; riuscire a superare i convenevoli per iniziare a dialogare realmente. Ero giunto alla conclusione che non vi fossero persone intelligenti, che tutto dovesse restare nel pattume del convenzionale, anche per questo me ne ero andato via. La raggiunsi al suo tavolo, le augurai la buona sera e mi invitai a sedermi. Ora che potevo osservarle il viso meglio mi accorgevo che era decisamente affascinate, ero seduto e l’osservavo sorridermi, non avevo granché voglia di parlare, volevo restare lì accanto a lei, mangiare con la sua compagnia.
Mi rivolse la parola chiedendomi come mi chiamassi, le risposi, le dissi La Rochelle, le dissi che poteva chiamarmi signor La Rochelle, le dissi che non ero della città e che mi trovavo di passaggio.
Era un uomo di un’età non definibile mi disse che si trovava in città di passaggio. Mi chiese di dove fossi e notai la leggera sorpresa nei suoi occhi quando gli risposi che ero di questa città. Mi chiese di parlargli di questo posto. Gli domandai il perché e mi rispose che non vi era un perché. Dissi che forse era un posto come un altro, un posto che lo si ricorda solo se lo si ama o si odia. Uno di quei tanti posti formati da una società in prevalenza venuta dalle campagne, in un tempo moderatamente recente. Gente che ha perso la propria identità, che ha finito per conservarne solo le frustrazioni e proietta nella condizione attuale la propria rivincita, nel titolo di studio il desiderio sempre presente di un impossibile titolo nobiliare. Un mondo nato in ritardo, un ostacolo d’intolleranza per chi non è in quella condizione, Il filtro della paura di tutta una storia.”
Mi chiedo se questa donna, se in questa donna che parla con me, che mi racconta la dimensione di una realtà: che tipo d’interesse desto in lei. Che sia tornato in questo luogo per completare un mosaico: il pezzo mancante nella storia della mia vita, amare una donna di questo posto.
Siamo riuniti nella sala consigliare del comune e qualcuno sta leggendo dei brani dal mio libro e tra un po’ qualcuno inizierà con il chiedermi che libri ho letto, quale autore mi ha influenzato di più, che significa essere scrittori oggi, dove tutto e dominato dall’immagine, perché ho deciso di scrivere, come si inizia un libro. Già come inizia un libro, dove ha luogo ciò che ci fa iniziare, perché, quella lettera è la prima e non qualsiasi altra. Vorrei pensare che non iniziamo nulla nella vita, ma ci destiamo un attimo nella nostra consapevolezza, in quell’attimo voglio collocare l’inizio di un libro, in quel frangente che sembra impossibile. Da quell’istante la lotta prosegue tra la consapevolezza e la sua impossibilità. Forse mi trovo a sognare la letteratura a cercarla attraverso un significato riposto in un segno. Che significa scrivere, cos’è scrivere, qual è il senso di trovare un nome ad una parola è questo il senso dello scrivere?
Spesso sono imprigionato dalla fatica, la fatica, la fatica di trovare le parole che possano raccontare il pensiero. È strano come nei momenti in cui nella vita la mia insicurezza è maggiore, tornino tutti quei fantasmi, e anche una virgola fuori posto mi getta nel panico. Virgola legata all’apparato di una cultura che ormai che… La grammatica assume significato dittatoriale, la grammatica è l’espressione della secolarizzazione in cui ogni pensiero si sottrae alla propria identità. La grammatica immutabile di un mondo piatto fatto dall’accentuarsi, di quella follia chiamata paura. Le parole che non hanno più un dialogo, con ciò che non più si trasforma e ciò che non sa in cosa trasformarsi. È possibile obliare la memoria, è giusto farlo, o è più semplice esserne inconsapevole sviluppo. Iniziare è l’atto di consapevolezza della propria memoria, ma l’abbandono di ogni ricordo è creare.
“Lei mi ha baciato poco prima che partissi, mi ha pregato di tornare, desidera rivedermi, non sa perché sono nella sua città e sinceramente neanche io ne so il motivo”
L’oppressione in cui è costretto chi crea è generata da chi usa la creazione di un altro come fosse la propria
Ripenso a quello che è stato scritto fin qui, a ciò che non si può comunicare oltre. Guardo il mio corpo riflesso nello specchio: nudo, il mio viso ovale, la mia pelle liscia e le mie spalle morbide e i miei tondi seni, mi accarezzo tra di essi con un dito e guardo riflesso nello specchio i peli del mio pube e il mio pene. Scopro forse ora quello che ho sempre saputo, o ciò che conosco in realtà mi è ignoto. Guardo fuori, oltre la mia casa e la domanda che mi son sempre fatta, quel che io vedo è quello che vedono tutti? Quel tetto rosso quell’albero quei bambini che giocano, sono gli stessi di un altro sguardo, o appartengono solo alla mia memoria ai miei ricordi. Spesso molto spesso mi sento sola ma è così banale questo, che vorrei sentirmi disperata, vorrei annullare questo mio, sentire la solitudine, in verità solo la sua illusione; è per questo che il mio malessere rimane imprigionato dentro quel guscio vuoto, che non si libera nelle passioni forti, nella disperazione del tormento, ma vegeta come in un limbo. Quello che io fraintendo è la solitudine dal mio sentirmi sola. Io riconosco negli altri il mio bisogno e il mio disagio è nell’incomunicabilità. La mia identità getta nell’insicurezza, nel dubbio quella di ogni altro. Io sono lo specchio e gli altri il mio specchio Il disagio in fondo lo stesso, le interpretazioni diverse, le nostre memorie incognite. E tu che stai leggendo queste mie memorie, non lasciare che siano per te un ricordo.
Una volta ho guardato un quadro e mi sono accorta, che quello che non riuscivo a sentire, era il mio sguardo, il mio viso che vedeva, non comprendevo il mio corpo, eppure era tutto lì, era già tutto lì. È stato come la parola che all’improvviso entra in un dialogo e, sublime apre le porte della comprensione, trova la strada della soluzione attraverso la possibilità che offre agli interlocutori di comunicare. In questo riverso il compito del mio scrivere, nella ricerca di questa parola e tutte le parole che mi possono servire per realizzare un libro, in verità sono utili in rapporto alla scoperta di questa ipotetica parola, del suo rivelarsi improvviso. Aprire una finestra è come scoprire l’aria che già si conosceva, questo è il mio corpo, la dimensione di una realtà che ho sempre respirato e la parola nello scrivere è il suo rivelarsi, il suo eccitarsi, il suo mostrarsi. Dicono che la mia identità non è certa è in bilico tra ciò che sento e ciò che realmente sono. Realmente sono, ma cosa sono io lo so e quel che sento che mi fa vivere; la verità è che gli altri non sanno cosa io sento e non sanno che loro sono simili attraverso me. Alcuni sperano nella catarsi della loro esistenza, ogni volta che i miei pensieri urlati, sono loro. Attraverso le mie parole io riverso tutto lo scoprirsi, tutta la paura di mostrarsi. Da dove viene la nostra identità? il perché dell’identità; non mi angustio del mio corpo, né uomo né donna, ma di chi sono quando io scrivo, chi è quella voce che mi grida dentro ogni parola, che mi urla di non aspettare, che cerca lettera dopo lettera, la sua parola. È soltanto la mia coscienza in cerca della mia consapevolezza, di quest’ordine sparso che persegue dentro di me fini a me ignoti; non riesco più a capire chi sono ogni volta che scrivo, ogni volta che sono nudo, senza una reale identità: né uomo né donna, solo chi scrive; ma forse è qui che realizzo il mio vero sogno, il mio vero dire “Io”
I miei dubbi nei miei personaggi, chi è lui? chi lei? e che senso ha in rapporto a questa latente dimensione ogni parola. E i miei dubbi sono i dubbi di uno scrittore, di un uomo o di una donna, ma forse è solo la parola che ci getta nello sconforto e nella gioia della scoperta della verità. L’ambivalenza di tutta l’esistenza è racchiusa in un semplice segno, chiamato: parola
Mio caro Armando, a chi scrivere se non a te, in chi trovare quel conforto che solo i veri uomini, ricchi di umanità come te mi fanno provare. Oggi ho narrato una strana storia, una storia diversa da tutte le altre e la persona che ora ci sta leggendo ne è la memoria, ne è il giudice, è colui che ha iniziato a leggere sin dalla prima lettera questo mio scritto. Ma chi è? È giusto che sia lui e non un altro, un qualsiasi altro, cosa ha determinato che fosse lui? A te vorrei rivolgermi, ora che tu stai leggendo, ti chiederai perché io abbia voluto darti queste mie brevi memorie, questo mio narrare e perché attraverso la parola scritta. Ché la mia oralità non è sufficiente per comunicarti la verità o ciò che io penso essa sia, questa ultima frase è così convenzionale che vorrei che tu la cancellassi. È vero io ripongo la mia fiducia nella verità della parola scritta e in tutta la sua impossibilità. Ora sono qui e osservo mentre mi leggi, ti soffermi su alcune parole e poi fuggi via. Mi sono chiesto se non abbia iniziato in modo confuso questo mio dialogo di segni con te, troppo confuso giacché a te chiedo di sciogliere non la mia ma la confusione ti tutti, metto su di te tutta la mia responsabilità e lascio a te il compito di negare o di affermare: trovare quel dubbio che assilla la mia anima. La mia vita che su questa ipotesi ripone tutta la speranza, tutta l’illusione di un’intera esistenza.
Ci sei Armando sei sempre lì, vero, so che non mi abbandoni, che non hai dubbi su di me e che hai fiducia in questa mia azione, in questo mio riporre ogni giudizio all’altrui coscienza; certe volte non è possibile perdonarsi da sé
Rispondo al tuo richiamo e mi interrogo se sia poi giusto che tu senta tutta questa colpa. In fondo la tua colpa non è il problema di ognuno: l’identità, chi può assolvere a questo compito con assoluta certezza, chi può dire: Io sì! È un vuoto solo un vuoto che dobbiamo cercare di colmare e se anche il tuo essere scrittore fa di questo vuoto uno spazio incolmabile; io ti chiedo di non angustiarti, che tu sappia non vuol dire che sia l’unico. Colui che ci sta leggendo non so fino a che punto lui possa portarci alla catarsi, al sentirci finalmente liberi. Comunque sento di dirti di avere le tue stesse responsabilità di vivere anch’io il tuo disagio, il tuo cercare assoluzione è anche il mio è per questo che accetto di rimettermi a colui che ci sta leggendo, che accetto di trovarmi in un altro da me. Non è anche questa una colpa, trovare qualcuno che ci assolva, non è forse una colpa maggiore, ma forse la nostra speranza è riuscire a non sentire più il peso di questo oscuro di questo numinoso che ci appare, (tutto da soli) condividerlo con qualcuno che alleggerisca la nostra colpa. Io vorrei che tu sentissi dentro di te il vero bisogno di raccontarti, libera di mostrarti, che sentissi il tuo essere scrittrice come la componente coagulante di tutto. Vorrei che tu nel prendere un libro tra le mani abbia, senta la consapevolezza di cosa significhi leggere, leggere con l’intimità delle parole. Forse io, quando insieme a te mi avvicino al mondo della parola scritta, non ho bisogno di sentire chi io sia, di capire cosa rappresento; quando scrivo ho dentro di me la coscienza la consapevolezza di esistere, perché non ho l’obbligo di essere qualcosa o qualcuno. In questo appartato mondo, l’inebriante respiro della nostra vita è libero di tutto il possibile, vuoto di tutta l’angoscia di un corpo. Guardo spesso gli amanti camminare e mi immagino osservatore consapevole di quello che manca nello scoprisi, cercarsi, un bisogno tanto profondo per quando evidente: l’abbandono di ogni identità, del bisogno stesso della sua ricerca. Con tutti i corpi e apolidi
Armando, mi sento sicura solo di noi due e, non so se questo è giusto, se questo è quello che dobbiamo augurarci, forse per questo ho voluto che qualcuno scoprisse si interrogasse con noi su ciò che significa la nostra esistenza. Colui che ora sta leggendo queste nostre parole, ha motivo anch’egli di riflettere sulla condizione di non appartenenza, giacché in questo sentire si riversa l’intera umanità. Ma cosa sia che ci ha spinto ha mostrarci, non lo so con esattezza, ma chi mai potrebbe saperlo, chi potrebbe dire come sia che un giorno ci siamo trovati in un mondo dove tutto era relativo, tranne la paura; quella paura incontinente che ha dimora dentro gli angoli più bui della memoria. Memoria così vicina e pure tanto lontana. E poi dopo questo gesto quando ci siamo accorti che per potere è necessario comprendere la paura, scoprirla nei risvolti impensabili della vita. Perché pensare queste cose, perché scriverle? A te lettore chiedo questo; ci sono dei momenti, che il mio cuore si immalinconisce e tutto diventa estremamente faticoso, preso nel sottile giuoco di non sapere più il motivo. Allora, allora ti chiedo, così, quasi ”stupefatto, perché dove è giunto quel mondo che mi ha lasciato indietro, quel mondo che sembrava non dovesse mai finire, quella possibilità della vita, quel sigillo della tua vita la parola scritta. Essa doveva identificarti, dare un senso a tutto quello che si muove, dare un senso a me che sto scrivendo. Dove mi sono ”perso, perché ciò accadesse, perché ho incontrato un altro percosso che mi ha allontanato dalla mia vita. E quando la parola ti sembra divenuta nemica, lontana diventa difficile per noi continuare. (Cancellare, capita che si abbia la necessita fisiologica di cancellare, di tornare indietro forse, d’ingannare la nostra viltà di raccontarci. Tutto sembra difficile da dire, non si è liberi, per questo la paura ci sorprende, non si ha il coraggio di dire tutto fino in fondo.) Chi sono? Quando è scoppiata la mia femminilità, ero tra le braccia di un uomo per la prima volta, ma il desiderio di appartenere a qualcuno, di sentire ciò fisicamente era sempre stato nei miei desideri più profondi, ho trovato per la prima volta l’armonia delle mie emozioni; accorgersi del significato di essere amata, trovarlo lì dove avevi sempre pensato che fosse. Prima eri esistito solo tu Armando, ed io ero stata dentro di te sconosciuta, forse lontana.
Ho sempre cercato tra le braccia di una donna quella femminilità che solo tu hai, quell’appagamento dei pensieri e delle emozioni che spesso ci fanno perdere in un ignoto. Sono stato felice quando ti ho scoperta e spero che colui a cui hai affidato queste parole, sia consapevole di cosa significhi questa gioia. Forse non ho più un’identità, o forse la scopro soltanto ora, mi improvviso reale solo ora, che ti ho scoperta tra le braccia delle donne che ho amato, che ho capito di averti sempre avuta.
Sono Armando La Rochelle: l’uomo e la donna, sono colui che è appartenuto a due mondi senza conoscere mai il suo. Ci vorrebbero parole più belle per dire quello che sono, ma sono queste le parole vere per sentire quello che è la realtà. Sono uno scrittore commosso dalla sua ritrovata lealtà alla verità, dalla sua totale possibilità d’invenzione. Ora finalmente siamo solo te ed io lettore. Tutto il tuo vero che ho dentro di me non hai più motivo di negare. Io non appartengo più a nessun uomo e a nessuna donna; ora io sono, solo, alla ricerca di un motivo che mi faccia capire la paura, che si appropri della possibilità di sentire il morire; scoprirlo nudo e inafferrabile
Ora io esisto nel mio equilibrio nella parola che scrivo, nel gesto sorpreso della mia mano. In alcuni momenti sarebbe meglio fermarsi, ma dove giungerebbe senza di noi quel divino sentirsi stanchi. Scrivere senza quello che si chiama ispirazione, forzare la parola, fino a superare il mio essere scrittore, trovare la mia ambivalenza e superare il pregiudizio dirsi fino in fondo. Hai da leggere ancora ed io penso che in questo momento sono seduto accanto a te e ti osservo; guardando il tuo volto cerco di scoprire quello che tu pensi nel mondo nascosto dove i pensieri non sono tuoi.
Non voglio essere leggibile, voglio essere vero, altrimenti dove finirebbe quello che io dico di scrivere
Guardo attraverso la finestra e mi sembra di trovare un mondo fermo, immobile, come la mia incapacità a raccontarmi. Alcune volte in un quadro scopro tutto il mondo delle mie immaginazioni, tutto il coraggio perso che debbo ritrovare. Mentre scrivo sono in lotta con le parole, mi accorgo che si ripetono sempre le stesse e vorrei che fossero di meno; vorrei poche parole che raggiungessero infinite combinazioni. Cerco un linguaggio povero estremamente povero, ma non sono ancora così bravo; basterebbe ripetere in sequenza una frase e alla frase successiva apportarvi leggere variazioni. Basterebbe in sequenza una frase e alla frase apportarvi variazioni, ripeterle leggere successive. Leggere frasi apportano variazioni…
Cerco di sfuggire al mio compito, eludo fin anche la mia coscienza, ma non posso rifiutarmi alle parole, per quanto io le esperimenti sono la sola possibilità, l’unico equilibrio, la ricerca verso un’etica. Ma non succede niente in queste mie parole, sperimento solo la capacità di annoiarti. Vorrei solo una parola che enunci quello che io voglio confessare, camminare con essa, ma avvolgerla di tante altre, non avere il coraggio di scriverla. Che sia diventato autistico, dentro esse. Mi sto perdendo devo riportale alla luce
Scrivo senza sapere quando arriverò alla confessione dell’ultima riga. vado avanti leggendo solo l’ultima parola; parola dopo parola riuscirò a dirti
Armando quel giorno non voleva uscire, ma aveva ricevuto una telefonata da Invenzione:
«Pronto?»
«Salve Armando sono Invenzione, dobbiamo incontrarci, aspettami alla solita ora al caffè Ricordo»
La rapidità di scrivere non quello che si dice, ma ciò che necessità alla scrittura.
Ero seduto da non più di dieci minuti, avevo già ordinato un latte caldo e ora il cameriere si apprestava a servirmelo; vidi attraverso il vetro della porta d’ingresso, la sagoma di una persona: la riconobbi prima che aprisse la porta: era il mio amico invenzione; entrò, si guardò intorno in cerca del mio tavolo; quando mi vide proruppe in un sorriso e venne verso di me.
— Salve! Mi disse mentre si sedeva.
— Ben arrivato, Invenzione!
— È molto che aspetti. (Questa frase è molto comune. Quando si scrive si cerca sempre che i personaggi non dicano qualcosa di scontato, prevedibile; ma spesso è anche importante lasciare che il personaggio non viva esclusivamente delle invenzioni dello scrittore, ma di ciò che la realtà impone.)
— Non molto, ho ordinato senza aspettarti.
— Hai fatto molto bene. Sai mentre giungevo qui ho incontrato un mio amico; questo mio amico è un deluso della giustizia; ma deluso dalla sua idea di giustizia. Ha un concetto alto della giustizia, etico. Ma la giustizia umana non ha questa possibilità; la giustizia dell’uomo è valida quando è ricerca verso l’obiettività; ricerca che persegue un fine che non gli e possibile raggiungere, giacché assoluto. L’unica possibilità è quella della ricerca di responsabilità attraverso un codice di comportamento, che per la maggior parte delle volte, non è stato mai scelto dalle vittime. La giustizia, forse non è altro che la capacità di umanizzare la responsabilità. Questo mio amico è giunto ad una conclusione cinica; secondo lui gli avvocati si dividono in tre categorie: i purosangue, buoni cavalli e i somari, ma tutto ciò credo sia irrilevante.
— Quando ho ricevuto la tua telefonata, ho pensato: “Ecco che ci risiamo, vorrà sicuramente un’altra possibilità.”
— In effetti è proprio così, ho una storia interessante da raccontarti, ne potrai fare ciò che vuoi, ma sono certo che ti interesserà.
— Sai che già sono dentro una storia; chiamala vita libro, come vuoi, comunque conosci la mia situazione.
I due protagonisti iniziano a parlare. Sono immersi nei loro ricordi, e io che li sto ascoltando mi chiedo: perché tutti questi ricordi per poi dire qualcosa che non ha molto a che scrivere con i ricordi, perché non iniziare un discorso senza premesse. Verità a sbalzi collegata tra essa solo da quello che c’è nei pensieri di un lettore, tra una parola letta e l’altra…
C’è una musicA non ricordo quale, che mi ricorda un altro momento della mia vita. Sono proprio smemorato
Tutto è determinato dai nostri motivi di paura. Forse l’unico modo per cambiare è che cambino le paure.
I rapporti di sangue certe volte sono un’illusione, ciò che determina la qualità di un rapporto è il valore” della cultura.
Vorrei essere più generoso; forse è perché lo sono stato troppo
Troppo spesso la parola: credo, non vuole dire affatto: credo
Che vuol dire: “Oggi c’è posta?”
Ti annuso!
Quel delitto che è il senso di colpa, l’impossibilita di essere ciò che le convinzioni della propria mente esprimono nella diafana esistenza dei pensieri. Un corpo che non si ribella, ma che semplicemente non conosce; valori diversi di conoscenza, in un’unica persona. Due individui che appartengono alla stessa paura; due risposte spesso in conflitto, che non sanno quel che debbono fare: azioni.
Spesso mi sento spossessato di me stesso, sento la bellezza di un possibile intendimento, intendimento che vieni vanificato da ogni mia azione. Certe volte è così forte il richiamo del peccato, da non apparirmi più tale, come se si trasformasse in un’azione dai significati reconditi. Profondamente turbato non mi resta altro da fare che compiere questi peccati. È una forza che agisce dentro di me, la convinzione pugnace che tutto quello che posso fare è cadere, pur sapendo.
Perché? Perché questa stessa forza che mi tira nel peccato, mi crea gli scrupoli; il tenue senso di colpa. Come per dirmi che quel che faccio lo devo fare, ma al contempo, potrei non farlo, non devo farlo. Ma è solo un peccato fatto d’azioni di una umanità, che è soltanto diversa. Troppo spesso confondiamo il peccato con l’opportunità della diversità, forse è questo che anche io faccio. Quel sentirmi colpevole è la sensazione, la paura di non avere più la consensualità di una umanità a cui credevo di appartenere, nel ritrovarmi in una diversità. Questo senso di colpa è la conseguenza, no di aver tradito, ma la nemesi che questo ipotetico tradimento potrebbe generare
Non faccio nulla, mi perdo attraverso i passi di essere un po’ donna e un po’ uomo, ma nel non sentirmi nulla. La stanchezza è ciò che prende tutto, tutto quello che uno vorrebbe fare ma che non ha il coraggio di pensare
Mi aspetto attraverso un mondo di desideri. In quella futilità che si specchia dove non c’è nulla che ricordi il mio perché. In questo mio caos guardo oltre il tempo, accetto il mio presente…
Vado a teatro, questa sera reciterò per la prima volta con un pubblico, sono forse un attore?
Tra un po' sarò seduto, lì sulla scena, solo su quel divano. Quando mi hanno chiamato per me è stata come una rivelazione, come scoprire che esistevo: avrei recitato dinanzi a un pubblico, un pubblico di persone diverse da quelle che avevano sempre assistito ai miei spettacoli. Un pubblico dove ci sono anche dei normali; persone che vivono con un’altra donna, che con essa fanno dei figli.
La mia altra donna sono io: mi chiamo Armando La Rochelle, un uomo e una donna; io sono più affezionato alla donna, forse perché per me è stata una scoperta, un incontro cercato per tanto tempo. Quando il regista mi ha chiamata per dirmi se volevo recitare nella sua pièce, prima di rispondere sì o no, ho chiesto perché io? Mi ha risposto che cercavano uno che sapesse recitare, ma che avesse un corpo come il mio; un corpo di donna e di uomo insieme e che fosse consapevole nella propria mente di tale ambivalenza.
Tra un po' il sipario si aprirà, e mi vedranno seduta su un divano: nuda! ma subito non capiranno vedranno solo i miei seni, poi verrà il momento che mi alzerò in piedi, e tutto il corpo sarà visibile; in quel momento in una posa pudica il mio corpo di uomo si mostrerà insieme a quello di donna: nudi per la prima volta, guardati da tutti. Poi mi rivolgerò al pubblico come ad uno specchio, sarò il suo specchio. Chissà se domani si parlerà di questa strana prima, per il mio corpo o per la mia recitazione; quali saranno le indignazioni. Voglio che si parli di lui di lei e della sua arte, di come i personaggi: uomini donne, si siano incontrati, in un unico corpo, unica mente, ma abbiano parlato ognuno con il loro sentire. Chissà domani sui giornali come mi chiameranno maschio o femminina; forse dovrei chiamarmi Andrea.
Quando guardo la scena dalle quinte, non riesco ad immaginarmi lì sul palco dove sarò tra un po', dove inizierò con la mia voce a essere luoghi e persone diverse, ma che attraverso me, sono solo il ricordo della loro differenza; attraverso il mio corpo, la mia anima, saranno un'unica persona che parlerà a questo pubblico, un unico essere.
Sento che mi chiamano, hanno bussato al mio camerino: «Avanti!»
«Armando, sei pronta, è quasi ora cinque minuti all'inizio.»
È lui, il mio regista che è venuto a farmi gli auguri, a dirmi di essere tranquilla, che tutto andrà bene.
«Andrea abbracciami… così tienimi un poco stretta.»
«Tranquilla.»
Ecco sono seduto, su questo divano e tra un po' il sipario si aprirà. Ho voluto che i libri della scenografia, fossero veri, per non sentirmi completamente sola, qui, sulla scena.
È iniziata la musica: "trio pour piano, violet et violoncelle'" di Maurice Ravel. Guardo un'ultima volta le quinte, e vedo tutti che mi fanno segno di essere tranquilla. Il sipario si apre, il pubblico applaude; ora devo "iniziare". La musica cessa, tutto è nel silenzio, poi la mia voce.
Parlare di me attraverso il tenue ricamo di un ricordo. Ricordare la mia immagine che osservo nei miei quotidiano gesti. Vorrei "sentire" sempre il senso accadermi.
È così che mi rammentavo in quel momento, lo stesso di ogni ricordo; per questo ora mi dico quel che mi accadde e che mi sta accadendo. Cerco in me lo spunto che mi permetta di alzarmi in volo; è imminente il precipizio e come un uccello mi sento vicina all'orlo del vuoto. Cerco il pensiero la parola per aprire le mie ali ed abbracciare l'aria di questo mio effemeride guardarmi. Dover dimenticare per vivere il mio ricordo.
Mi guardo allo specchio e mi chiamo.
«Ecco ora devo alzarmi e tutti mi vedranno, dissimulare il mio corpo, mostrarlo; mi alzo cercando di pensare che tutto è naturale. Il silenzio ha inghiottito tutto, fin dentro i pensieri di un unico spettatore; solo al mio corpo è rimasta voce, solo la sua voce è udibile. Guardo le quinte, Andrea mi fa cenno di continuare.»
Nei momenti di alcune giornate, guardo fuori, attraverso i miei sogni. tutto si svolge come sempre, ma io rimango ad osservare nell'attesa di cogliere uno sguardo, un gesto, qualcosa che sia fermo nel tempo: la stabilità di un attimo, cogliere questo momento inafferrabile nella vita degli altri, mi ricorda la mia speranza. Vedere quel muoversi, la mia ricerca di un attimo… mi porta via nei pensieri. Guardo fuori attraverso i miei sogni ad occhi aperti e mi accorgo che sto desiderando ciò che ricordo. In realtà i miei sogni non sono altro che ricordi, forse emozioni costruite nel mio vivere. Sogno accadimenti nuovi, ma per rivivere le emozioni già vissute. E se tutta la nostra vita non fosse altro che la ricerca delle emozioni, la riscoperta di quelle emozioni, perse nell'intimità più profonda dell'essere umano?
Ho bisogno di sicurezze, che nessuno può darmi e mi trovo così a disagio nel cercarle dentro me stessa. Ho così voglia di vivere che fermami a riflettere è una perdita di tempo. Sono piena di energia empirica e vorrei che tutta questa energia, io abbia la fortuna di trasformarla in gioia. È giusto che viva come vivo? Ma è l’unica vita che mi appartiene.
Essere bella, mi dedico sempre degli sguardi attraverso i miei specchi, attenzioni, accendo dentro di me i ricordi. volersi bene e di questo esser felice. Penso spesso a quello che mi dico e rido di gioia quando mi vedo in ciò che mi succede. Sono con gli altri che mi guardano stupiti, mentre io rido durante i loro discorsi, modi, che sembrano seri e mi ricordo di quel che mi son detto. Ed ora è lì davanti a me che sta accadendo, ed io sono felice, felice dell’amore. Mi sento serena quando mi parlo. Non ho una madre, né un fratello, né un'amica. L'amore che mi lega a me è quello dei sorrisi dei gesti e dei respiri. Alcune volte senza che me ne accorga mi guardo allo specchio, ma non per vedere come mi muovo i miei gesti, ma perché ho voglia di uno sguardo. Mi guardo per prendere l'attimo in cui i miei occhi accolgono me e mi sento così vicina, sento la gioia la tenerezza di cui sono capace. Bella.
Quanto respiro vorrei dentro gli occhi, come una venere piena d'anima.
Quel giorno, quando ho aperto me stessa e mi sono conosciuta, ho percepito i pensieri più emozionanti. Ricordo…
Sto piangendo ma forse, le lacrime, sono i desideri che si ricordano.
…E d'improvviso sentii il mio primo sorriso. Ricordo l'emozione del mio respiro, la gioia di scoprirmi, la fortuna di trovarmi. Mi chiesi: Ora conosco?
Sentivo quello che sempre avevo saputo di essere, scoprivo la mia identità che lentamente giungeva a me da un mondo, soltanto lontano, sentivo le mie voci e le riscoprivo nei momenti di una vita intera, trascorsa senza saperlo.
Mi sono conosciuta nello specchio. In questo posto, mi fermo appena in tempo. Il mio viso si guarda riflesso nel vetro… Faccio un passo indietro per vedermi meglio.
Sono entrato dentro me stesso, ospitato come un pensiero che incontra se stesso. Ospite di me stesso.
In quella giornata non usuale, carica, culminante; decisi di muovermi, di capire il mio corpo. Viaggiai, entrai qui, dentro me.
Quando sono entrato mi sono sentito, ho provato il mio tempo!
È accaduto così. Senza più radici.
"Ho letto un libro."
Quanti pensieri in ogni parola e quante parole in ognuno di noi. Ma quante di queste parole possiamo realmente vivere. Quali parole riusciamo realmente a capire? Ne basterebbe una e tutte le altre si svelerebbero in ogni pensiero, emozione. L'esperienza di leggere un libro sembra così comune, come ogni storia, invece penso che l'esperienza della lettura sia così poco conosciuta. Quanti sentono: il disagio l'ineluttabilità, il termine ultimo della parola. Percepirne l'incapacità è il limite per riuscire a scrivere e poter confrontarsi nel leggere. Nell'arte dei sensi tutto avviene attraverso essi. Nell'arte della parola il senso è un tramite che non esiste. la parola che apre la porta della coscienza, la parola immanente nei pensieri…
…Il silenzio, la parola giunge fin lì, dove non esiste più è lì che si genera. ’Il silenzio che ancora non esiste, dove nulla vi è di dimostrabile: il limite.‘
La parola che raggiunge i pensieri e da lì i sensi. Certe volte mi viene di pensare che il mio sogno sia quello di non aver più bisogno della mia arte. Il bisogno che mi nasce dentro di esprimere l'inesprimibile si palesa in ogni mio gesto artistico e in esso il mio limite, l'insufficienza del simbolo. La sofferenza della ricerca nasce da questa consapevolezza non accettata, ma tale capacità è il mio vero senso. Tutta l'arte legata ai sensi termina nell’analogia. La parola non può non accettare la consapevolezza del proprio limite, e se in tutte le altre arti c'è il limite del simbolo, nella parola è il limite del pensiero, solo vivendola così ho la sua pienezza. L'eterna lotta della consapevolezza mi porta sia che lo rifiuti o no verso un mondo di paura, paura che assume di volta in volta volti diversi a secondo dei meccanismi che ho dimenticato, a secondo del livello che ho nel rifiuto del limite, il rifiuto di ricordare “di cosa morii
…La morte!
L'incerto pensiero tutto nasce lì. La morte come perno costante della mia vita. Limite invalicabile e pure soltanto in questo estremo tentativo, compresa. Tutto è morte; nella vita tutto si cerca attraverso di essa. Vivo nella più assoluta incertezza e nell'agire della mia quotidianità il bisogno di trovare, perlomeno cercare un momento di tranquillità: L'apparente certezza; giacché ogni certezza che costruisco è la fuga per dimenticare la mia incertezza, placare per un po' la paura di aver scoperto di essere un essere a termine in un mondo senza fine, senza coscienza.
La mia morte è innegabile ed ogni agire con cui cerco di affermare il contrario lo conferma. La morte il mio confronto estremo, l'unica certezza. L'unica certezza dell'esistenza è la prova "concreta" dell'assoluta mia incertezza. Quale estrema tensione è la mia vita nel placare la ricerca, il mio bisogno psicologico. Tutta l'ansia di vivere in un confronto impari con la morte. Nasco dove muoio, "dall'incerta consapevolezza" della mia fine.
La mia vita biologica acquista la sua finitezza attraverso la consapevolezza. So che la biologia che mi permette di esistere è transitoria e agisce come ogni sicurezza umana, ha termine nella fine nella morte; nella trasformazione della compiutezza del mio non più essere. Non solo la biologia, ma ogni desiderio è la costruzione di sicurezza, di pace psicologica col pensiero della morte. Una pace che si trasforma spesso in guerra, quando si accanisce nel negare l'innegabile. "Io" ho la consapevolezza della marginalità della biologia che mi permette di esistere. Ma non accetto ciò, come mi pongo, confronto con questo dato di fatto volendolo negare; in nessun altro modo che sfidando la morte. Vado contro la biologia che mi permette di esistere, in questo modo nego che la biologia di cui vivo abbia fine ed io con essa, non accetto il mio stato nella natura, faccio qualcosa che nega la realtà: la morte. Proprio ciò non fa altro che confermarla, si dimostra innegabile, ogni negazione di ciò che è innegabile è la suo affermazione; la morte è l'unica essenza innegabile, la mia certezza!
Mi chiedo "io" se voglio avere la certezza, l'unica certezza, sono costretta ad uccidermi; il suicidio è l'unica cosa che mi rimane?
Ma il suicidio non mi rende certa, il suicidio non mi dà la morte ma la sua negazione. "Io" mi uccido perché ogni mia ricerca di convivere con la consapevolezza di essere "biologicamente finito" non ha placato la mia ansia psicologia, la mia paura. Questa paura che non avverto ormai più nella sua purezza, ma attraverso la sublimazione culturale. sono malato di paura. Dietro ad ogni certezza perduta c'è la mia resurrezione o la mia morte. "Io" mi uccido perché non ho più il coraggio di riconoscere di essere limitato, una persona che morirà. Non accetto questo a tal punto da negarlo con l'atto più forte, estremo che ho: il suicidio. Il paradosso si compie nell’estremo dramma, ultima illusione, nego la morte morendo.
Non ho via di scampo è la morte che vince. È una partita senza avversario…
Accettare la morte è l'unica possibilità della mia esistenza, vivo con la consapevolezza di morire, ho la consapevolezza che ogni altro essere umano muore. Mi chiedo questo modo di pormi nei confronti degli altri cos’è?
Tutto nasce dalla morte, ogni azione del mio vivere quotidiano è motivato dal bisogno che ho di superare la paura primordiale, nata nell'istante in cui io ho preso consapevolezza della morte e in essa di tutta la mia incertezza. La morte è l'unica certezza che ho, ma in essa è anche racchiusa tutta l'incertezza. Ora il grado di consapevolezza che ho della morte è variabile: minore è la consapevolezza della morte maggiore sarà il mio bisogno di surrogare "l'incertezza la paura" con la sicurezza culturale. La cultura non è altro che questo, l'uomo nasce come produttore di cultura prima della sua nascita, nell'archetipo ricordo della sua morte, di questa sua primordiale scissione. L'unica repressione biologica da cui nasce la cultura è quella di non voler ricordare la morte. Il nichilismo cos'è? Il nichilismo è l'onnipotenza dell'essere umano, ogni cultura che nega la morte l'afferma. Nel negare la morte l'uomo costruisce culture che eleva a certezze assolute, ma ogni certezza assoluta creata da un essere che muore nega tutte le altre. In ogni cultura c'è la ricchezza per aver placato la paura della morte, ma la cultura è malata quando non accetta il proprio limite la proprie fine, la propria morte. Nell'essere ciò nega tutte le altre giacché nelle altre culture non vede la conoscenza, ma il suo contrario, vede un avversario che rimette in discussione le certezze, il risveglio della paura. E questo strano orgoglio, perdita di umiltà di non voler riconoscere di aver paura, porta alla negazione di ogni altro pensiero umano, ci si perde nel sentirsi immortali; prigionieri della paura di morire, incapaci di accettare la propria fine. Questo atteggiamento culturale è il nichilismo. Quando "io" essere umano nego con le mie "sicurezze" la possibilità ad altri di trovarne delle proprie. Siamo tutti malati ma lo siamo di più quando le sicurezze non sono in armonia con quelle degli altri.
Nasciamo per essere morti; questa consapevolezza mi getta nello sconforto assoluto, eppure è l'unico mezzo di comprensione che ho.
Penso all'animale che vive nell'armonia assoluta con la sua realtà biologica, come se questa scissione con la morte non sia mai avvenuta nella sua inconsapevolezza. Non vi è nessuna differenza tra "la negazione della morte e l'accettazione della morte, tra il negare di vivere e l'accettare di vivere." L'animale si spegne non avendo mai dimenticato.
Quante guerre conflitti nella storia degli uomini e di ogni uomo. Ma di quanto perdono c'è bisogno per placarci, di quanta compassione verso ognuno di noi. Come si può condannare chi ha paura. Pentirsi in ogni senso assoluto, di ogni istinto di orgoglio; di ogni volta che si agisce pensando: "Io non morirò". Ma perdonarsi nella compassione di un Dio che io non conosco per aver dimenticato ciò. Io atea nella mia sofferenza cerco la comprensione della mia coscienza, nel gemito sofferente nella consapevolezza della mia fine. Come pormi di fronte a Dio, sia che esista o che non esista?
Forse nell'oggettività della morte nulla cambia. Un ateo o un cristiano sono la medesima realtà. "Ogni agire è la placida conferma della fine.
Chi sono io un ateo, o un cristiano? Credere nell'uomo, confidare nelle sue risorse; ma non accusarlo di onnipotenza. Credere in un uomo che muore; che attraverso la morte scopre il limite di tutti gli esseri. Il dramma di sentire in ogni respiro la propria fine, senza nessun riparo dal freddo di un esistenza immensa nella sua solitudine. Aiutarsi nell'uomo, tranquillizzare la paura guardandosi solidali; essere in ogni uomo, nella sua epifanica pace. Sapere di avere perso la certezza, in un tempo, luogo, lontano nelle profondità della memoria umana. Nulla ci riporta alla certezza; come il nulla ci è indimostrabile. Ateo credo nel nulla ma solo con la fede posso dimostrare che il nulla esiste. Nella morte voglio vedere la fine, in realtà vedo solo la morte; anch'io nella presunzione della concretezza della vita vivo l'illusione di tutti gli altri; non mi accorgo di avere fede credendo in un concetto immaginato: il nulla! L'unica atea certezza è la morte, la mia paura d'essa, la voglia di vincerla. Mi accanisco con ogni mio pensiero per negare la sua esistenza, ma scopro solo la fine del pensiero. Confondo la vittoria con dei brevi ritardi, rattoppi in un corpo; spesso la mia arroganza trasforma questi umili aiuti nella vana ricerca di onnipotenza e con essa, nasce la paura di un altro: la tirannia. Supplicare le proprie angosce scoprirle in tutti e cosi trovarmi solo perdendo l'illusione di essere l'unico a soffrire; di germinare quei batteri di sofferenza che immaginavo essere solo mia. Scoprirmi uno tra i tanti riconoscere di essere stato un folle nel sentirmi meno impaurito di tutti. E ora che sono in fondo a me stesso scopro tutta la paura esplodermi e divampare dentro di me, ora, mi accorgo di voler essere, desiderare di appartenere all'ultimo me stesso. Mi rendo conto che tutto il mondo è impaurito come me, che tutta la morte è la morte e basta. Cerco l'essere, in ogni suo grido, ma non voglio più gridare con lui , voglio solo parlare, voglio solo stendere la mia mano e dire: guardami, guardami, non ho nulla da darti nulla da proporti, solo di parlare parlare con me tra noi, cautamente pensare e, tranquillamente poter smettere di pensare, umilmente capirne la fine. Dare a noi stessi la possibilità di avere un po' meno paura, capirsi, avere quella perspicacia empatica che mi fa essere sicuro nella tua sicurezza e che la mia sicurezza sia la tua.
Ora che mi scopro ateo mi placo e guardo ogni uomo come me stesso; accetto il limite di ogni essere e non parlo del nulla, non mi riguarda non lo conosco non è concreto. Concreto è l'uomo e l'uomo non è quel che dice di essere ma quasi sempre è quel che è. Concreta è la morte concreta è la vita che vi è in essa. C’è stato un tempo in cui mi sono sentito ciò che non ero, ingannavo per essere più sicuro. Avevo il mio potere, ne ho voluto sempre di più, di più non credevo in nessun uomo se non in me stesso, io ero la misura di tutto. Toglievo sicurezze le rubavo ad ogni altro essere, lasciandogli solo il bisogno, la paura; solo così sapevo confrontarmi con il mondo, con gli altri. La paura primordiale cresceva, dentro me e lottavo per non morire …la paura di sapere di morire c'è sempre. Nascono i pensieri con essi le culture, attraverso le culture della morte si dimentica di morire. Ogni cultura diventa certezza, ma la paura c'è sempre e la certezza non basta mai. Altre certezze, altre culture, potenziali rivali alla propria sicurezza. Ogni individuo è una certezza che si è costruito o appartiene ad una cultura. Ogni pensiero che non rientra nei suoi pensieri è un antagonista per lui; ogni uomo ha un'illusione che crede di essere certa; ogni uomo combatte con il suo prossimo; Ogni uomo muore credendo di non morire. Basta ora voglio essere ateo, capirmi e capire; non aver paura di avere paura, di non sentirsi sicuri e accettare di non esserlo, di non credere nell'assoluto giacché non è concreto. Ogni assoluto non è parte della morte di cui siamo componenti essenziali. Accettare il limite dell'uomo e in esso guardarmi e guardare gli uomini. Non più negare la morte ma smettere di averne paura e conciliarsi con la vita. Che ogni sicurezza mi sia in armonia con la vita e, non con la negazione della morte. Che i miei simboli siano null'altro che il mio pensare, il mio pensare il mio essere il mio essere il mio agire. Che i simboli muoiano attraverso il mio capire gli altri.
Ora il tempo tenue e silenzioso si svolge nella suA compulsiva esistenza, in brevi istanti in apparenza mutevoli. La lotta per eludere un magnete così potente da far finire ogni conflitto. Lì dove tutto sembra muoversi il tempo è fermo, come tutto ciò che sta nella sua origine, nella sua fine ritorna.
Ché in ogni conclusione c'è il perché dell'origine, lo svolgersi che c'è in mezzo è l'illusione del tempo. La coerenza con il fine è già il fine realizzato. Il volere raggiungere sfalsa la coerenza e può degenerare nella fine stessa della coerenza, nella negazione stessa del fine; che in apparenza raggiunto ci mostra l'agire autentico del nostro passato, tutti i nostri infausti mezzi.
Riuscire a cauterizzare il tempo è già sufficiente; in questo compito mi imbatto in me stessa, muovo i miei pensieri, muovendomi a loro volta. Cerco di superare i momenti di paura scoprendoli e svelandoli a me stessa. Sono atea e già dirlo mi fa dubitare di me stessa; ho afferrato le pagine del vangelo e pure mi ci sono ritrovata nelle mie conclusioni; ho guardato Cristo e non ho potuto che amarlo chiedendogli il perché. Il compito della croce si è perso, dietro ai ricordi di Dio. Dietro a chi con la sua modesta memoria immagina Dio chiuso nella sua religione. Le religioni non sono altro che il ricordo confuso di Dio, e quando la paura dell'uomo si insinua in loro, la verità che custodiscono nel loro più umile ricordo svanisce, il bisogno di Dio si trasforma nel suo opposto e le certezze in olocausti. Ho immaginato l'uomo nel suo lontano paradiso, abbandonare Dio, quel Dio di certezza e scoprire la morte, (scelta) la nascita della propria paura. (dimenticata) Pensato a Caino malato d'invidia, che sente la paura tormentarlo nel pensare ad Abele che accetta la propria sorte, che placa la sua ansia. Caino guarda Abele e non accetta quel che “sono”, nega la tranquillità del fratello negandola a se stesso. Uccide l'altro sperando che più nessuno gli ricordi la realtà, che lui possa vivere delle sue certezze. Ma il pensiero nel suo limite torna a tormentarlo; torna la paura; solo, è lui stesso il suo nemico. Dall'alto di una torre ho immaginato l'essere umano in affannoso ritorno a Dio, con tale ansia che nell'impossibilità di ognuno di tornare dove l'origine è, iniziare a parlare tutti la lingua di nessuno. Ogni essere nella propria certezza, immaginando Dio ha dimenticato ciò che l'essere umano è. La storia torna a compiersi ogni volta. Ho visto in un vecchio libro l'essere umano inumano, nominare e gloriarsi di Dio. Ho pensato a Dio Disperato ormai nei suoi tentativi di far vedere l'essere a l'essere umano, mostrandogli la propria inumanità. Ma l'umano ha immaginato Dio a volerla. E la fatica di Dio di oggettivizzare la vita umana si è persa nella paura. Io non so di Dio che quel che i miei dubbi sulla vita mi dicono, ma ogni pensiero di Dio è vicino al mio essere atea, all'essere umano. Penso a Gesù in croce solo per essere stato se stesso, per aver detto al mondo di essere gli unii negli altri, di essere liberi di amare non avere più paura. È stato ucciso perché rimetteva in discussione ogni certezza umana. È lo specchio di tutto il nostro limite. Ha chiesto all'uomo di accettare la vita, di non chiedere conto del nulla che non può sapere e del tutto che non può capire. Accettare la morte, che tanto finisce, anch'essa nella vita; ha chiesto solo di credergli, semplicemente riconoscendo quel che siamo, che moriamo. Per questo è morto; non ha fatto nulla di male e tutto il male dell'essere umano si è scagliato contro di lui. Ha preso su di sé tutti i peccati dell'umanità. Che sono, quali sono i peccati se non "la paura". Ha accettato tutto ha subito, tutto il nostro negare la morte che lui ci ha ricordato. Ucciso dalla nostra paura. L'umanità intera ha dimenticato, e non perdona Dio di ricordarglielo. Le religioni spesso non accettano il proprio essere umanità, trasformano Dio non nella misura dei propri limiti, ma i limiti vengono trasformati nella misura di Dio. Dicono che morto in croce sia poi risorto. Ci ha detto che basta avere fede, ma che avere fede non è credere, ma credere è accettare la vita. Basta vivere in ogni azione il coraggio della propria sorte, vivere in armonia con tutta la morte della vita. Lui ha vinto la morte. Io umile essere non so se questo sia vero e il mio essere atea mi pone in accordo con il pensiero di non poter sapere quello che non so; di prendere atto di un evento che non posso né negare né affermare, del pensiero che non posso conoscere. Ma è indubbio che Cristo con la sua azione sia uno specchio indeformabile per noi. Perché ogni altra azione ispirata dal suo agire produce gli stessi effetti. L'azione di Cristo ci ha liberati dall'angoscia del giudizio spingendoci verso la conoscenza, Cristo ha distrutto la fatica delle sicurezze simboliche, non negandole, giacché l'uomo non ha pensiero senza di esse, ma avvicinando il simbolo alla realtà, negandogli l'effetto illusorio, riducendo il rito all'essenziale; alla fine di ogni tradizione oppressiva. L'agire di Cristo pone l'uomo dinanzi alla scelta di interpretare l'esistenza nella sua globalità, nell'umanità della morte. Agire credendo in Cristo o nell'essere umano, la cosa non cambia, la morte è la stessa e la soluzione anche. Se credessi direi che Gesù è stato l'estremo tentativo di Dio affinché noi riuscissimo a scoprire quel che siamo e scegliere l'uomo o la sua negazione. L'amore è la cura che ci ha mostrato Gesù. Da Atea non posso che riconoscere l'oggettivizzazione dell'umanità attraverso l'azione di quest'uomo. Il richiamo alla responsabilità della vita.
Faccio una pausa, penso un attimo, poi continuo.
È così difficile capire l'amore, un termine assoluto. Dio a posto in chi crede la fede come unica possibilità di comprensione e nessuno, nessuno è né infallibile né fallibile. Gesù ha fondato la sua chiesa sulla fede di Pietro, lo stesso Pietro che lo ha rinnegato; Pietro che poi ha scoperto l'infinita compassione di Dio accettando la propria debolezza, ricordando al canto del gallo quello che lui era sicuro di non essere. In ogni uomo può avvenire la scoperta di Pietro ed è lì la chiesa. Nessuno è infallibile, al di fuori di Dio. Nessun essere umano ha vinto la morte, nessuno può dare la morte. Tutto serve alla vita nulla è inutile.
“Guardo la platea e continuo a parlare.”
"Io" penso che il genere umano si divida, tra chi crede nei miti e chi crede in Dio. Chi crede nei miti vive delle sue proiezioni ha un concetto dell'esistenza, dell'altro esclusivamente soggettivo; la vita come sviluppo egocentrico. In ogni mito, dai genitori all'amico, la moglie, a dio che diventa il proprio dio, sono parti di se stesso che acquisiscono nomi diversi. Questo essere finisce con sé, in lui tornano gli dei dell'olimpo, il perché l'uomo ha inventato gli dei. Ma l'essere è lo sviluppo dell'essere umano, l'emancipazione dagli dei, la distinzione tra la percezione soggettiva e quella oggettiva. La nascita di Dio. Credere in Dio comporta la negazione delle proprie proiezioni pone il limite a noi stessi, l'altro è altro da noi. Credere nei miti significa assolutizzare il proprio pensiero, significa aver raggiunto il Logos L'episteme nell'egocentrismo della propria esistenza. È rinnegare la saggezza socratica, di sapere di non sapere. È il diniego stesso della filosofia. Nel momento che l'essere umano si stacca dai miti si stacca da se stesso, crede in Dio nel confronto, in un’esistenza che non finisce nel proprio limite, ma che la consapevolezza del proprio limite è il viaggio verso il logos. Scoprire il termine delle cose, essere consapevoli che il pensiero ha un limite giacché noi stessi la nostra esistenza è epilogo. Essere in cammino verso la comprensione con il pensiero in empatia è già sufficiente. Scoprirsi a scegliere è forse il logos. Io penso e ho come specchio l'assoluto, l'assoluto mi mostra la mia impossibilità è questo credere in Dio, lo sviluppo dell'oggettività.
Dire "io sono morto", è già affermare di essere. Aggiungere qualcosa a "io sono morto" è non sapere chi si è.
«Guardo verso la platea e osservo una persona che si sta alzando; non ho più parole la forza di continuare; guardo il pubblico in silenzio, e, non lo capisco più: perché?» Grido alla platea senza più memoria.
— Cosa volete da me, perché non dite quello che pensate, mi osservate come un oggetto strano, da identificare; scusate se vi affatico, se vi costringo a restare seduti solo perché troppo ipocriti per fare quello che sentite. Cosa volete da me, forse la storia di un corpo che si è dibattuto alla ricerca di una identità, perché pensate che io non possa parlare di Dio, che il mio essere non ne sia degno. È della vostra d'identità che non sapete nulla, ché non sospettate la sua vera esistenza. L'identità non è forse il flagello del capire, non è forse quel sentire profondo che ci sfugge ogni volta che affermiamo con tanta sicurezza chi siamo.
Mamma dove sono le tue carezze, dove sei rimasta ad aspettarmi, dove sono i tuoi Abbracci, le tue consolazioni. Viviamo un momento in cui le coscienze non appartengono a nessuno, sull'orlo di un precipizio ignoto; tra guerre dove i morti non sono più di nessuno; dove le torture e le razze, distruggono gli ultimi afflati di un esistenza fatta di comprensione. I vostri figli muoiono prima di sapere dove si dischiuderà il mondo, dove attecchirà la loro tenue consapevolezza. Che importa sapere perché sono così? non è forse vero che pur lo stesso esisto. Sono qui su questo palco per darvi un momento di comprensione, sono qui per cercare non la mia identità, ma l'identità di un personaggio che è tutti noi. Dove ho nascosto la mia vita, ma perché ha questo siete legati; sono un attore, solo questo; un attore che per voi ha una storia più forte della stessa storia che vivo qui! sul palco. Sapete, dovete sapere che io non sono un androgino, io sono io, un individuo con la sua storia personale, un essere come tutti voi; con un suo pensiero, le sue emozioni e non i pensieri emozioni di quelli come me. Chi sono quelli come me forse voi siete come me, voi che vi sentite così diversi da non tollerare neanche che io esista, addirittura qui, a rappresentare un vostro dramma. Sì perché qui! ora su questo palcoscenico, non è la mia storia che ha luogo ma la vostra disperazione il vostro non capire, l'incapacità di scoprire perché "Io"! Tutto ha una storia, ma quale storia spiega la storia stessa. Teatranti voi più di me, sono io, qui ad applaudire la vostra scena, a scoprire i vostri disagi, a dire questa è la vostra storia.
Quanti morti ancora in onore di un inganno, quante guerre avete ancora voglia di combattere. Io ho soltanto le carezze di una madre a ricordarmi il disagio di una paura tanto profonda dentro l'essere umano, tanto da stordire ogni mio ricordo, nel vuoto disagio della nostalgia. Sono solo un attore e cosa volete da me!? Non ho da raccontarvi storie sessuali, del perché io sia così, ma così come, spiegatelo voi a me. Vi sentivo mugugnare mentre recitavo, sentivo quel leggero tormento che vi procura stare qui ad ascoltarmi. Cosa volete sapere, su! se lo prendo nel culo, chi è stato e quanti anni avevo la prima volta, se ho fatto mai all'amore; amore che dico per quelli come me non è possibile l'amore, se ho mai fatto sesso con una donna; sono queste le curiosità morbose che vi passano per la testa, e, nel vostro intimo pensate: come sarà farlo con lei, o lui, io?! Questo pensate; e non vedete qui un attore, non immaginate la storia che rappresento sulla scena come la nostra storia, ma solo la mia, qualcosa che ha voi non riguarda, lontana dal vostro mondo. Ma già questo l'ho detto, mi ripeto, mi ripeto, vedete non ho nulla da dire, dimentico anche le battute; avete ragione sono un pessimo attore, non sono niente altro che me stesso, niente altro che un corpo senza identità; uno stupro dell'anima.
Ad un attore ora basterebbe un applauso, io no, non voglio che voi mi applaudiate, ma non voglio neanche che ve ne andiate; voglio da voi attenzione, solo silenziosa attenzione, non voglio più applausi; essi sono per chi recita e io non so più farlo, ho mancato a questo compito; avete ragione vedete, non posso essere un attore, perché la mia storia è troppo forte da sopportare finanche a me.
Volevo raccontarvi una ricerca, storia di un essere senza la sua identità, ma non dovevo essere io quell'essere, ma la consapevolezza dentro ognuno di noi. Sono stato una scelta sbagliata, non poteva, non doveva uno come me essere il protagonista, un essere che con la sua polimorfa identità, sovrasta quella di ognuno di voi. Il regista doveva dare la parte a qualcun altro, o qualcun'altra, non a me.
Eravamo così entusiasti di questa idea che abbiamo dimenticato di considerare l'elemento più importante per dei teatranti: il pubblico; abbiamo pensato che il pubblico ci avrebbe accettato e capito, siete voi il nostro estremo limite e a voi dobbiamo riporre la nostra esistenza: Vi odio! e soltanto l'oblio dove posso dimenticare è il mio rifugio.
È La prima e già ultima rappresentazione, ma per questa unica volta, unica come ogni volta che il sipario si apre, voglio che mi ascoltiate fino alla fine, che mi lasciate svolgere fino in fondo l'ingrato ruolo che mi è stato dato questa sera; quindi udite con attento silenzio, ciò che rimane delle parole di un copione già perso, dove il sipario si chiude e dove il vostro silenzio sovrano ne lascia le parole.
«Tutto torna nel silenzio, guardo dietro le quinte e vedo Andrea con il copione in mano che mi chiede di continuare. Guardo il pubblico. Inizio a parlare.»
Certe volte nella vita si scopre all'improvviso quello che non s’immagina e la storia che racconto è una scoperta, una mia storia. Spero che tu, lettore o pubblico riesca a trovare un modo per capire.
Vivo le difficoltà di tutti quelli, che come me rimettono in discussione se stessi e gli altri, senza nulla concedere all'apparenza… Bada pubblico cerco di darti la mia umanità. Le gioie le sofferenze, la mia vita. Ascolta.
“Mi avvicino affinché possano vedermi e sentirmi meglio”
Il potere la bellezza di perdere ogni plenitudine nel potere. Cosa augurarsi, augurare se non di non avere più bisogno di potere, non incontrarlo più, sia nella sua forma banale, sia nella sua forma più banale. Alcune volte quando conosco una donna le domando: Ti piace guardare il mare? Se comprende la mia domanda, allora le dico: Può darsi che riuscirai a guardare anche me. Amare rinunciando a qualsiasi forma di potere che consciamente e inconsciamente abbiamo sull'altro, lasciarlo agire in se stesso fino alla scelta di amare, la capacità in entrambi è l'equilibrio in amore, l'amore.
La vita è ricerca, ricerca per la comprensione. Io sono stato sempre affascinato da ciò che avviene dentro me. Io vivo l'illusione nelle mie illusioni; e come ogni essere umano nasco scisso da me stesso e sono in cerca della mia identità e riesco a curarmi grazie alla cultura dove creo anche quel che non esiste, un me stesso da cui nascere, un mondo nell'illusione come punto di confronto. Io ho sempre dinanzi uno specchio un confronto inesorabile "me stesso". Non negarmi ma capirmi è l'inizio del mio cammino. Sentite.
Narrare un incontro è difficile, spiegare chi si è cosa si pensa in quel momento, ciò che ha reso propizio: il tempo il luogo adatti. Vivevo il desiderio di vivere le emozioni liberamente, incontrare la persona che ti dà la possibilità di aprirle al mondo. L’incontro e subito guardandola negli occhi l’ho desiderata; scoprire dentro te lei, avere voglia di amarla. L'avevo sentita parlare, bella. Sento di amarla di averla sempre desiderata. L'emozione ch'è nata in me è forte. Qualcosa d'imprevisto che va oltre la mia capacità di scegliere; è una forza che mi attrae ma che non so capire. Ho scoperto le sue labbra: calde morbide, la pelle del suo corpo il suo ventre l'umidità della sua vagina. L'ho guardata odorata gustata toccata, l'ho udita godere mentre godevo. "I nostri sensi sono pieni di noi"; odo la sua pelle mentre lei guarda il mio sapore, un vortice sinestetico. L'erotismo oltre l'erotismo, ci siamo sentiti i pensieri l'emozioni i sentimenti. I drammi e le gioie, la globalità della nostra esistenza; ma già ci si perdeva nella nostra vita. I respiri svanire. L'amore la fine di ogni potenza declinare, la certezza di essere fragili esseri umani. Finire. La sparizione il nostro non esserci più, non avere più un corpo. Tutto è finito senza sapere perché è iniziato. Ma quell'emozione dentro di me è lì che urla. Non si rassegna a morire, esige di vivere, cerca la persona che non c'è più e non si placa, non può, non può morire non vi riesce. Quest'emozione irrinunciabile in me è un conflitto inesorabile con cui vivo. Tutte le mie certezze le mie sicurezze tutto crolla. Rimetto in discussione tutto, tutto ciò che ho scelto di essere, lo rinnego giacché mi impedisce di vivere l'emozione con cui mi sento vivo: l'amore che sembra vivere in me da sempre, l'amore ch'è quell'emozione che mi ha ricordato lei a cui non so più rinunciare. Lei non c'è più non esiste più per questo che la delusione è insopportabile. Poi mi accorgo che non posso rinnegare ciò che sono, che in realtà tutto ciò che ho scelto è tutto ciò che ho. Torno a vivere con me stesso è l'unica possibilità che ho per non soccombere a quest'emozione che urla dentro di me. È forse il conflitto tra ciò che si è e quello che non si può essere. Una battaglia. Per la prima volta, però, intuisco che la porta che tanto ho cercato, la porta della mia identità mi è davanti, l'occaso me l'ha offerta. Ormai anche volendo non vi posso più rinunciare, spero solo che la mia conoscenza mi sia di aiuto per affrontare questo viaggio. Me stesso si oppone all'esigenza di me stesso, un'esigenza che nella realtà non può più avere riscontro: Lei. Non devo fare altro che credere in me, solo così posso evitare di perdermi nella pazzia.. l'emozione urla la propria esistenza dentro me, che non ho nessuna possibilità di farla vivere come lei esige. Già l'emozione inizia ad entrare anche nei miei pensieri a fare crescere essa stessa dei pensieri nella mia mente, ancora non mi oppongo a tali pensieri; anche se rimango sempre fermo sulle mie posizioni, nella “consapevolezza”. Si alza il livello del conflitto, si esaspera è me stesso contro me stesso. Entro in un vortice di sopravvivenza, nel limbo di una strana consapevolezza. L'emozione genera in me pensieri sempre nuovi, ma molto più forti, sembrano prendere energia da quel me stesso che ha scelto con la parte conosciuta di sé e della cultura in cui vive. In realtà è l'aumento della conflittualità, l'innalzamento del suo livello che genera tutta questa energia dentro me, che rende sempre più vicino il limite della parte di me che penso di avere scelto. L'emozione diventa sempre più forte e più forti i pensieri che genera nella mia mente. È più vicino il momento in cui i due "me" saranno allo stesso livello e l'emozione forse sarà in grado di scardinare la mia consapevolezza e impadronirsene. In questo confronto, in questo equilibrio dinamico si deciderà la mia sorte, se crescerà ancora la mia consapevolezza o sarà persa del tutto. Pensieri crescono dentro di me, pensieri che lei tornerà ad esistere. Mi dicono che se farò delle cose lei tornerà. I richiami le voci sono sempre più convincenti giacché quel che mi fanno pensare è anche quello che io nelle mie emozioni provo, la percezione della realtà è sempre più questo altro me. Decido di assecondare queste voci, Gioco cerco di avere il desiderio del gioco e non dare eccessiva importanza a quel che mi dicono. Faccio ciò che mi dicono, ma mi fermo appena lo ritengo pericoloso. L’emozione è sempre più forte e genera in me dei pensieri non possibili, la parte di me cosciente nega questa emozione e pensieri, allora nascono pensieri "logici" per spiegare questa emozione che cerca di convincermi della sua plausibilità. L’emozione i pensieri sono più forti giacché hanno dalla loro parte l’interpretazione esterna della realtà. Io sono poca cosa in questo momento, loro tendono ad affermare che l'impossibile è possibile e io sono già loro. Mi rimane solo un mezzo: la fede un pensiero senza più emozionalità che vive in me senza che io più viva; io nego che sia possibile ciò che all'umano me è impossibile. Nego tutto quello che queste strane voci mi fanno sentire. Ho iniziato a seguirle giocando non prendendomi troppo sul serio, seguendo il loro percorso per fermarlo nell'istante in cui l'azione che esigono da me entra in conflitto con il comune senso culturale. Se pure il mondo culturale dell'umano è un’illusione è su quello che io devo mettere i miei punti fermi per il confronto con questa mia nuova realtà. Il dialogo tra i due me prosegue, la lotta il confronto.
Avvengono in me strani fenomeni di somatizzazione attraverso i miei sensi che sono iper-reattivi. Provo la stessa sensazione sensoriale di fare l'amore con lei. Lei è un pensiero nella mia testa e questo pensiero provoca i miei sensi. Sfiorarmi la pelle e provare la sensazione dei suoi baci, sentire un contatto qualsiasi sul mio corpo e percepire il calore intenso del suo corpo; quel che sento è la realtà emotiva, che nessuna capacità soggettiva può farmi dire non essere l'unica realtà. Una parte di me ha sviluppato, mantenuto le capacità di oggettivizzazione, con questa parte del mio pensiero rendo obiettiva l'esperienza che sto vivendo. Controllo queste scariche emotive, con tecniche di concentrazione sul respiro e l'immagine del buio, come punto di spegnimento, cancellazione. Appena intuisco che "l'esperienza" può annientare la mia coscienza la blocco. Ormai una parte di me vive di ciò che vorrei essere dei miei desideri o forse dei desideri dell'umano, tutto nel mondo esterno è simbolo e analogia, vivo la realtà culturale nel significato di sé e la realtà è nella mia percezione. ”Tutto mi spinge verso l'onnipotenza. Il pensiero, quel pensiero senza più emotività che ancora controlla e dialoga con quest'altra parte di me, è affidato alla volontà che scaturisce da un atto di fede, nel dire che non è vero quello che sono, non sono onnipotente, ma un essere limitato. Con questo pensiero inizio ad ordinare all'altra parte di me, riesco a gestirla. Tramite le proiezioni che vengono vissute come autentica realtà dal me che genera le emozioni, ho iniziato a rivivere la mia vita. Con l'analogia dei simboli ho intrapreso il cammino del ricordo emozionale. Se incontro una persona per quella parte di me che è pura soggettività quella persona è l'emozione di un incontro avvenuto in un momento diverso e con una diversa persona, tutto è simbolo e analogia. Ho iniziato una strana conoscenza con la parte di me legata al pensiero di fede e coscienza, acquisisco informazioni su la mia vita conscia e inconscia; ma tutto mi parla di lei. La difficoltà è nel riuscire ad usare una simbologia che non lasci trapelare al mondo degli altri quello che sta avvenendo dentro me; utilizzare un'azione simbolica che mi permetta di capirmi, ma allo stesso tempo che non stoni con le sicurezze della socialità. Isolarmi non è utile giacché la continua esistenza di una realtà culturale è uno stimolo all'essere vigile nel mio pensiero cosciente. Quello che permette a tale energia di esistere sono io quel mondo che in me non accetta la propria finitezza, che non può più esistere quello che in "realtà" non esiste più. Poi all'improvviso quell'energia è sempre più forte, urla, urla sempre più forte, e prendo un foglio, scrivo le mie parole, ne faccio una lettera, solo così riesco a simbolizzare la mia anima, “la mia anima”, immaginarla fuori di me, attraverso queste parole che escono da me e che a lei solo posso spedire; solo così posso far si che tu esista oltre il mio specchio
*
Ora qui io ripenso a te, mi accorgo anima mia di quanto tu sia… dei momenti di debolezza… credi di essere forte.
quanti fili d’erba e pur diversi e pur simili l’un l’altro, uno vicino all’altro sospesi e pur legati alla terra tendono verso qualcosa, ed io come uno di essi mi sento perso in un prato immenso.
All’improvviso torni tu, mi ridesti mi chiami ed io non so se debbo risponderti; voglio tanto risponderti, ma quel che ho dentro non è la realtà che tu… Quel che ho dentro è la realtà… della mia debolezza è il sospetto che tutto debba essere nuovamente fatto o ancora non è stato mai fatto. Non so, non so capire bene questi momenti, eppure sono così forti, intensi, potenti da lasciarmi senza respiro senza fiato, senza un attimo di tregua. Sembri essere con me, lì con me in ogni istante, in ogni parvenza ed io sono felice, felice e sapessi quanta angustia provo dentro nel dover dire che non è vero, quando tormento nel dover pensare che non sia vero, perché non è vero… tu non ci sei più anima mia, la tua immagine non c’è più, il tuo corpo non c’è più; sei rimasta tu, tu soltanto dentro di me, dentro di me… solo lì forse ora puoi vivere, senza tornare in un’immagine esterna, ti ho persa per sempre immagine, immagine della mia anima, ma per questo non è detto che non debba trovarti e riconciliarti dentro me. È così forte il desiderio della tua immagine, perché è così forte la tua presenza, la tua tangibilità attraverso i miei occhi, questo mi sgomenta è come se io non potessi appropriarmi della mia anima, come se la mia anima vivesse fuori di me, altro da me. Io mi posso ricongiungere a te solo tramite la tua immagine, sei tu forse la mia anima, ma se io ho perso l’anima il tuo corpo, ora questa forza quest’energia che mi chiama, che mi tormenta che mi ama, dove collocarla? nel mio cuore, nella mia a… nella mia testa, nei sogni nelle mie fantasie nelle mie concretezze, nella mia quotidianità. Non riesco ancora, con tutte le mie forze ad arrivare a capire il tuo linguaggio. Ora che non ho più il tuo corpo la tua immagine, sento la tua forza che mi chiama, che mi chiama, ma non so capire le parole della tua voce; ti rifuggi nell’inconscio di una collettività umana, nell’inconscio di una mia collettività. Sento queste voci che mi chiamano che mi chiedono, che mi comunicano, ed io vorrei tanto trovare un linguaggio per non perdermi.
Una lotta.
Tutto ciò che c’è dentro ognuno di noi cerca risposte e noi dobbiamo trovare queste risposte, dobbiamo trovare la capacità di comunicare. Trovare un linguaggio; è come se tu fossi una straniera e parlassi una lingua mai esistita, ed io non riesco a trovarla questa parola, quest’immagine nuova. Cerco sempre dentro di me di non perdermi, supplico soltanto la mia fede ora che non ho più un tramite, ora che non riesco più a comprendere fatico, eppure in alcuni momenti mi sembra di capire quelle parole, mi sembra che il mio io sappia esprimere il comune linguaggio; e questo vortice forte del sentire, raggiunge anche quella dimensione imperfetta, del colloquio della parola. Tutto, tutto in quest’energia è ancora da scoprire è come, come se tu mi chiedessi qualcosa che ancora non esiste, come se tu inventassi nuove parole, come se io non riuscissi a comprenderle.
Io ho il mio linguaggio tu il tuo, dobbiamo capire ciò che ci unisce, questa nuova immagine che abbiamo creato attraverso le nostre parole, questo nuovo dirci parlarci, comunicarci. Tu mi richiami e mi fai conoscere le mie profondità, i miei sogni le mie alchimie esistenziali… anche quel simbolo ch’è il mito… mi appare come pura energie e solo così forse con la mia energia posso comunicare con te, posso sentire dentro di me il tuo esserci, il mio esserci. Perché allora alcune volte è così forte la nostalgia della tua immagine, del tuo corpo della tua presenza è così forte, forse, forse perché era un modo per comunicare, riuscivo a comunicare a raggiungerti a sentirmi raggiunto da te. Ed ora, ora che non ci sei più, che sei tutt’altro, io non riesco più a capire, non riesco più a comprendermi, perché è in te che io posso scoprirmi e attraverso te che io posso conoscermi e attraverso il tuo essere altro da me che io posso capirmi. Cerco questo, cerchiamo questo, questo linguaggio questa nostra fatica, in questo cerco di non perdermi nei meandri di questa follia, ch’è fatta di autismo di muto tormento, di sequenze non più comprensibili, abbandono di quella volontà di quella traccia di comprensione. Ti prometto che impegnerò tutto me stesso per capirti, per accettare anche ciò che io non voglio, per capire quel che io sono, non quel che voglio essere. Tu è in questo che mi stai aiutando, ed io è in questo che mi devo impegnare, nel trovare questa nuova immagine, un’immagine senza se stessa, un’immagine di pura energia, un’immagine senza uno sguardo, degli occhi dei suoni, dei gusti, dei tatti; un’immagine senza più neanche i pensieri; ma poi in questi, in questi io posso ancora esserci nel mondo che ho intorno, solo in questi ancora io posso.
Questa forma nuova che si sta costituendo tra me e te, mi fa capire che a questo devo tendere, a questo io devo recarmi per placare questa mia, questa mia, questo mio essere dentro me. So che tu mi sei di aiuto ma c’è qualcosa in me, che non accetta tutto questo, che non accetta che qualcosa qualcuno sia così responsabile della propria vita, della mia vita.
Solo così io riuscirò a comprendermi, affidandomi a te e la fatica, la fatica suprema è proprio questa, capire che dentro me non c’è possibilità se non nell’essere in te; soltanto rendendo forte e oggettiva la mia esistenza potrò rendere forte e oggettiva la tua esistenza, perché tu è attraverso me che puoi sussistere che puoi completare il tuo esserci, il tuo trasformarti il tuo crescere; ed io, io lo stesso cerco proprio questo: di amarti ma di amarti come si può amare chi è fatto solo di amore… Chiedo soltanto di non più ricordarti, anche se questo mio desiderio è così forte, così forte la nostalgia di ritornare dove ci siamo persi, dove eravamo e ora non siamo più; è scomparsa un’immagine che io avevo identificato in qualcosa che non eri, la tua immagine in realtà non era altro che il mio cammino… Il linguaggio, la parola che noi dobbiamo sviluppare per capirci; era questo mio sentirti che non riusciva a capirsi e ti ho proiettata in ciò ch’erano i miei desideri, nella tua immagine, te stessa, ti ho vista forse fuori di me, per la prima volta, in realtà era un cammino che doveva svolgersi e compiersi, un cammino una tappa di un percorso che va verso l’evoluzione, verso ciò che realmente sei: l’abbandono della certezza per essere certi di ciò che non si vede.
Io forse solo con la fede posso credere in te, ma non è così alto il mio compito, la fede spetta ad altri, in realtà mi appartieni, ma come ogni cosa che ti appartiene essa è libera è libera da “te”. Io voglio essere libero, dalla tua, dalla tua forte immagine, tu mi chiedi di lasciarti andare, di lasciare che tu rimanga in me come pura energia, come puro dialogo… In quello ch’è il mio istinto e la mia deduzione è proprio qui che io posso… il tuo esserci… La nostra storia, null’altro che cercare di incontrarci, di trovare il nostri dialogo, il nostro punto… Nella mia espressività intuitiva è come se la mia dimensione istintuale biologica trovasse un punto d’incontro con quella concettuale dei miei perché e si lasciasse andare dove tu sola puoi governare, in questo equilibrio, in questo equilibrio e forse solo allora quando riusciremo a comprenderci ci riapproprieremo della nostra unità torneremo tutt’uno con ciò che siamo, con ciò che viviamo, con la nostra fine e il nostro inizio. È un luogo dove aspettarti, non c’è un luogo dove trovarti, non c’è un luogo dove afferrarti, tu non esisti attraverso i miei sensi; e i miei sensi sono soltanto valvole che si aprono e chiudono per gestire e richiamare ciò che viene da te, ciò che si sviluppa in pura energia dentro la mia psiche.
Non chiedo a te di abbandonarmi, ma chiedo a me di lasciar stare la mia anima, di lasciarla andare libera dentro a quel che noi siamo; abbandonare ogni simile progetto di possesso, ogni simile progetto di possesso.
Io cerco solo di conoscerti, perché tu sei l’altra da me, la mia profonda soggettività che mi unisce all’oggettività, l’unica possibilità che io ho di allontanarmi da tutto quel che io so di essere; solo così potrò scoprirmi… Mi chiedo se tu già sei… Aiutami; aiuto me stesso a lasciare andare ogni tua immagine, lasciare che tu esista senza che io esista, lasciare che io esista, senza che tu esista.
Cercarsi per paura di trovarsi, ma non vi è altra strada altra possibilità, se non quella di raggiungere soltanto ciò noi possiamo essere.
Cara mia anima lascia a me il compito che io mi son trovato.
Lascio a te ogni mia possibilità.
Sola, lasciandomi trovo.
Cerco attraverso il mio iperIo di trovare la mia struttura; è come se mi fossi reso consapevole che il mio io ha bisogno di un’attiva capacità interpretativa ed elaborativa è come se il mio iperIo percepisse continuamente la sensibilità del mondo attorno e dentro me, non può in alcun modo distrarsi deve essere ricercatore consapevole, ricercatore consapevole nel capire i messaggi dell’inconscia profondità umana, collettiva; della mia inconscia profondità individuale
Concludo così questo mio raccontarmi, il perché lo abbia fatto non è facile spiegarlo. Mi sono trovato e mi sono scoperta dopo ciò né uomo né donna, ma l’essere che ora sono e che vedete. Ora sono qui dinanzi a voi donandovi l’immagine della mia anima, che si è impossessata del mio corpo.
«Tutta la sala è ora avvolta nel silenzio; alzo lo sguardo; guardo il pubblico e gli chiedo, prima che quest'ultimo sipario si chiuda:
Qual è il tuo nome?»
Esco dal teatro e torno a casa. Ora mi ritrovo nuovamente a scrivere qui nella solitudine della mia stanza e ricordo e immagino quello spettatore che all’improvviso, durate lo spettacolo si è alzato; ed ora che solo, nulla più aspetto, ne voglio sognare la storia
Lo spettatore
Era seduto lì sulla poltrona del teatro; il sipario chiuso, ma non era riuscito a vedere la fine dello spettacolo, era morto prima, lì seduto sulla poltrona.
Quel giorno come tutti i giorni si era alzato, svegliato dalla mamma che gli aveva preparato la colazione; si era stirato nel letto prima di alzarsi e gli era sembrato di riassaporare il gusto delle mattine di quando era ragazzo. Quelle mattine di domenica, calde d’agosto. Ormai non era più un ragazzo; “è già agli anta come gli dice la mamma, mentre fa colazione, ma lui come se fosse ancora un ragazzino si arrabbia.“ Sa che gli ricorda l’età perché spera che si trovi una brava ragazza e si sposi.”
Non ha mai pensato al matrimonio, non che non lo volesse, è che con le donne non ha avuto mai il coraggio di lasciarsi andare all’emozioni. Forse per timidezza, per l’incapacità di cui lo accusa sempre la mamma.“ Ormai si era quasi rassegnato alla sua situazione di scapolo involontario.
La mattina prima di uscire curava molto il suo aspetto e sovente si faceva la barba due volte, perché immaginava che la sua pelle non fosse abbastanza liscia. Era un segreto ma sperava in cuor suo che prima o poi si fosse imbattuto in una avventura e aveva sempre immaginato la pelle del suo viso sulla guancia di questa ipotetica donna. E seppure questo era solo frutto della sua fantasia, sperava che prima o poi ciò sarebbe accaduto, ed anzi viveva veri momenti d’ansia, ogni volta che si sentiva non abbastanza a posto per questo incontro, “mai avvenuto.”
Di tutto punto era uscito di casa e come al solito si era fermato all’edicola a comprare il giornale per sé e le riviste per la mamma.
Sapeva e aveva avvisato la mamma che la sera sarebbe tornato più tardi: aveva il biglietto per il teatro, una pièce nuova, che già prima del suo debutto aveva destato molte curiosità.
Il teatro era l’unica passione che avesse. In gioventù, una volta era stato lì lì, per salire su un palco e recitare per una commedia organizzata a scuola, ma poi fu scelta un’altra persona per quel ruolo e tutto sfumò.
Era sempre andato a teatro ma non ricordava quale fosse stata la prima pièce che aveva visto; e mentre assisteva alle rappresentazioni, si immaginava sulla scena, al posto del protagonista.
Quella mattina prima di uscire di casa, aveva avvertito una leggera vertigine, era passata, rapida così come era venuta e per questo non gli aveva dato molta importanza, pensò che fosse un leggero sbalzo di pressione.
“Come tutte le mattine si era recato al lavoro; aveva preso posto dietro la sua scrivania e si accinse a svolgere il suo compito, con scrupolo e attento all’opinione del suo superiore. In realtà causa una sua spiccata super valutazione del lavoro che svolgeva, non aveva mai compreso quale fosse il suo reale valore.
Ha Pranzato alla mensa, come sempre. Finito il lavoro del pomeriggio è uscito, entrato in un bar ha surrogato la cena con un cappuccino. Si è avviato a teatro. Ha preso posto.”
Si sentiva strano, aveva avvertito la stessa sensazione della mattina. Ad un certo punto ha cercato di alzarsi in piena rappresentazione; ha sentito lontane le parole dell’attore, forse erano rivolte a lui. Non ce l’ha fatta è tornato a sedersi, la stanchezza ormai lo aveva invaso, stordito. “Chiude gli occhi e già è un suo ricordo…”
Scrivere è la capacità di riuscire a dimenticarsi
Armando La Rochelle
Muto Gesto
Non si può parlare né ora, né dopo, né allora; tutto è passato presente e futuro.
(Scrivere è la ricerca di un linguaggio che superi la temporalità dell’io)
Scrivo quello che ho da dirmi; non sorprendo la storia.
Ieri l’altro ho iniziato il nuovo tragitto, a scrivere questo ricordo.
In questi giorni è strano quello che immagino, non mi ricordo nulla, come se non esistessi. E allora scrivo qualcòsa, il rifugio per il mio vuoto.
Spezzo il ritmo di qualcosa che mi appartiene.
Rubo l’incedere alla mia storia; e mi riguardo e mi tròvo pur presente in ciò che racconto, o la storia interrompe il mio presente, ciò che “chiedo”.
E di chi scrivo qui, di chi? Di me dell’uomo, del suo pensiero, della realtà che non conosco.
Mi cerco.
Non posso scrivere ora, né dopo, né… tútto è passato presente e futuro e Scrivo per la ricerca di un linguaggio che superi la mia temporalità…
Ho interrotto per poter ripetere, cambiare, ma è poi migliorare questo.
O forse non è semplicemente il mio illudermi di quel che d’irripetibile e unico mi succede ogni volta. Cambio ma forse “distruggo”.
E inizio a smembrare e in crisi forse cresco.
A cosa appartengono questi gesti, a chi appartengono?
Fuggevoli eludono il loro significato, perdono “il tempo” e chi li enuncia.
Posso díre in molti modi i mie pensieri e le parole con essi, piú dentro con la mia coscienza in sua simbiosi.
E in questo mio sogno fatto di parole, dove mi trovo io in quésto sogno?
M’affanno e non ritraggo l’esistenza e ricòrdo me stesso, in un sogno che cresce nel pensiero.
Io mi aspetto qui, ancora, nei ricòrdi di questo libro, anch’esso un passo della mia coscienza che non sa, che cerca.
IO Scrittore creo e son creato.
[… ]
I sogni, quando mi appartengono? La vita nel suo svolgersi è già sogno . Ma cosa sono i miei desideri, se non la ricerca del mio sogno o forse l’abbandono d’esso.
Nello svolgere délla mia vita c’è la realizzazione di altre esistenze, il sogno di un altro. Spesso sono la vita altrui, da vivere. Ma se perdessi il sogno o il sogno fosse mio, cosa sarei io? forse solo un’indagine da perseguire, l’ulteriore ricerca verso l’insondabile dell’esistenza.
Se fossi certo non mi immaginerei piú ma immaginerei lo sviluppo degli eventi che mi accadono. Quanta confusione nello scoprire il progetto. Tutto per ingannare la paura… La dignità di vivere la vita, per trovarsi nella vita. Scoprire di essere quel che altri vorrebbero essere, ma non riuscire a trovarsi in nessun altro.
Io mi scrivo giacché mi cerco, o forse mi son già trovato e non basto a placarmi. Svegliarmi dal sogno, raccontarmi il cammino.
“Cara amica
amica di tutti i giorni
Amica dei pensieri che si ritrovano nella felicità
quando sembri non esistere
e amica nei giorni malinconici e tristi
Tu sei sempre l’amica per poter capire
Mi hai ascoltato ogni volta
che il mio pensiero parlava
Tu amica che mi sei stata al fianco
tra la folla cieca e sorda
Cara amica
che mi hai fatto capire e ascoltare
le parole della terra
Un tempo io non sapevo e non capivo
e in esso io non ti conoscevo
Mi eri ignota come amica come io ero ignoto a me Fuggivo dal tempo e mi ritrovavo solo, senza di te
Mi pensavo senza avere il coraggio di pensarti
mi parlavo senza parlarti
ero assurdo muto gesto
Io dovevo essere l’artefice della comprensione
invece ne ero la confusione
Ora chi mi trova gioisce di me
perché trova te in me
Ti ringrazio di non avermi mai lasciato
Cara amica che non conosci tradimento
ti ringrazio e saluto
Ti saluto amica parola”
[… ]
Mi volevo, mi chiamo con il mio desiderio di chiamarmi. L’orgoglio torna sempre nei momenti di debolezza, si trasforma in arrogante superbia e si ritrova ad adorare se stesso.
Io stesso ho desiderato l’impossibile non essere me, io che cerco, la mia Arte, la voce del mondo senza simboli, forse la voce della mia Anima. Ma forse è giusto questo, come tutto quello che è inevitabile nel cammino della propria vita.
Io ho cercato il tuo aiuto letteratura; cerco il tuo aiuto aiutandoti ad esistere. Tu stessa hai detto che sei fatta di parole e le parole sono l’espressione di qualcosa che non ha altri simboli se non se stesse. Tu abbandoni il mio significato e ne vuoi uno proprio, tuo. Lo hai da chiunque ti legge, ed anche tu sfuggi in ogni trasformazione la realtà. La mia essenza ha bisogno di te, ma allo stesso tempo vorrebbe negarti, giacché tu sei la palese espressione délla sua incapacità il dubbio che essa esista solo perché tu la rappresenti. Io Artista nella mia Arte cerco la voce per comunicare l’incomunicabile, ma ciò che mi spinge nella mia ricerca è il desiderio inconscio di sentirmi tutt’uno con la mia Anima, senza l’ausilio di nessuna Arte.
La capacità di essere demiurgo di me stesso, ma non sapere come; volerlo fino a crederlo. Accade in ogni piú insignificante gesto dell’umanità. Non voglio parlare di altro, non voglio.
ARTE
" l'illusione o la certezza"
« Anch’io.»
« Art!»
« È un líbro, un líbro da leggere.»
« Non le chiederò piú nulla, credo che lei abbia ancora un cammino da svolgere, ma comunque voglio dirle che il suo aiuto è stato utile; tenga questa bustina, contiene — la polvere, — quando vorrà vedere chi è al centro di quelle immagini la disperda nell’aria. Arrivederci e grazie! »
« Sì Art, dimmi qualcosa?»
“ Ora io ” — scrívo qualcòsa”, il rifùgio di quésto vuòto.
«Amore per la vita, per il mondo per te.»
«Anch’io Art, anch’io.»
«Anche tu qui?»
«Anonimo!»
“Cara amica
«Ci gioco io, ieri ne ho martellati un bel po', guarda!»
«Ci vediamo dopo al campetto, ciao!»
«Ciao!»
«Cos’è?»
«Cosa senti?»
“Cosa succede perché tutto questo mi allontana da me, non riesco piú a comprendere, non capisco, chi mi ha messo qui, in che posto sono?
«Cosa?» mi domanda Anima.
«Dentro noi, nella bellezza dei pensieri, nei nostri sentimenti.»
«È così, ma è facile per chi ha ormai perso la giovinezza del proprio corpo.»
«È vero!… Andiamo a cercare Alfredo?»
«Era una strana sera
“Faust” cosa ti tormenta? cosa cerchi tramite il mio esserti. Mi hai mandato nel caos per dubitare delle tue certezze per scoprire il perché della paura. Io non conosco il perché, come te viaggio nella comprensione del dubbio. Forse è questo che vuoi è questo che io nel mio linguaggio fatto di simboli vivo: “accettare il dubbio” rinunciare alla paura, per viverla.
«Fuggire, ma come posso fuggire dalla fuga, come posso capire cosa sia il mio muovermi.
“Fuori nello svolgersi” sulle piste delle macchine: insofferenza, fastidio, malessere, per quell’attraversare la strada.
«Giochiamo a costammuro?»
“Il portone in fondo al corridoio.”
“In un luogo inutile,” come ogni gesto nella sua solitaria apparenza, — Art — ignaro del suo nome, sta sfogliando le scritte pagine ( in un bar) di tutti i giorni.
«Io mi chiamo Anima, sono qui da molto tempo o forse solo da ora; sono in ricerca della mia voce, alcune volte mi sembra di trovarla, ma in ogni uomo riesco a viverci e dimentico il mio affanno. Cerco di dimenticare ma tutto torna di nuovo, ogni volta, ogni volta io respiro la sua dimenticanza. Vivo le sue angustie, ma non posso dirgli niente. Io appartengo alla sua certezza ma lui non può saperlo; sente il mio respiro come il suo respiro, ma non può fare molto. Cerca sé stesso e si accorge di non trovarmi, può solo credere. Io sono qui per continuare il viaggio, il tuo viaggio. Sono solo una Donna, forse, il caso ha voluto il mio nome.»
«L’amarci Anima»
«La completezza. Nessuno forse potrà capire tutto quel che in noi è avvenuto. Ora che siamo giunti al tempo, alla fine, che la morte è così vicina. Forse il nostro ultimo ostacolo.»
«La ragione, tutto ciò è vero, ma in quanti l’amore così?»
«La tranquillità dell’amore, tutta la sua energia.»
«Lo leggiamo ora?»
«Lo troviamo a casa? oh è andato al mare con la sorella?»
«Ma ascolti l’aiuto che le chiede è quello di non rinunciare a vivere nei suoi atti creativi, di aiutarlo finché è per lui possibile sostenerla nella sua ricerca, naturalmente se lei ritiene d’esistere.»
«Ma chi l’ha scritto?»
«Mi scusi non avevo capito la sua angustia, ma vede a me è proprio lui che mi manda, lui le sta chiedendo di aiutarmi, perché lei può!» «Io! io, ma come posso non ho forse incontrato la sua illusione, io. Potrei dire tutto solo con le parole e questo mi umilia, lui in realtà non sa che io aumenterò il suo dubbio, io lo getterò ancor di piú nell’incomunicabilità dell’essere. Dicevo che io posso dir tutto solo con le parole e questo mi umilia, in realtà questo non è proprio esatto, io non posso essere umiliato da ciò che mi dà esistenza, io in realtà sono il senso di qualcosa di piú profondo che appartiene a lui. Sono un suo limite con cui lui dialoga e certe volte lotta; lui ancora non si è accorto, non ha ben compreso, ma forse sí, lo stesso però non può non provare, non tentare ed io con lui, di vedere mostrando; proprio in questo si realizza l’esistenza, tutto il suo mutarsi.»
“Mi ricérco.”
«Niente di particolare, aspetto qualcuno che giochi con me, con i bicchierini.»
«No! guarda bene, prendi quella stecca di gelato e misura; guarda è piú vicina al muro la mia» dice Marco.
«Non c’è scritto è anonimo.»
«Non è piú un problema la morte, non vi è piú problema nella nostra vita ora che ne viviamo il senso. Ora che la consapevolezza il ricordo dell’emozione lontana di essere già morti, è tornata nella nostra vita.»
«Non lo so, andiamo a vedere.»
«Non piú amare quel che si è desiderato ma ciò che si ha. Ciò che è dentro un corpo stanco e vecchio, senza tempo né immagine; in un mondo colmo di ciò ch’è vero.»
«Non so andiamo a vedere, siamo troppo distanti, da qui potrebbe essere qualsiasi cosa.»
«Non so cosa dirle, sente queste urla, se proseguirà le incontrerà presto. Forse tutto a un senso, addio!»
«Non sorprenderti, di me, di come ti parlo ti aspettavo ero sicura di incontrarti, forse ci cercavamo; ma qui non sentiamo nulla di sicuro, nulla che ci appartiene, che ci ricordi cosa siamo che siamo. Tutto ci spinge a ricomporre il puzzle dell’agire inconsulto che ci ha fatto disperdere, dimenticare.»
“Novembre” in una città come tante: i colori sfocati, le immagini a specchio — vive un cervello.
«Piú che dirti sento qualcosa.»
«Quella cosa lí per terra.»
«Salta!»
«Sarà andato al mare con la sorella. Marco andiamocene a casa, tanto è l’una.»
«Sei sicura di volerlo leggere?»
«Sembra un líbro» la mia voce dice.
«Sí anche io.»
«Sí! mi ricordo.»
«Sí, dai qua, inizio io a leggere.»
«Sí, sediamoci lí.»
«Ti ricordi quando andavamo al mare con le suore?» mi ricorda Marco.
«Tu mi ricordi un tempo in cui i respiri, i miei respiri conciliavano i miei ricordi. Con te mi accorgo che parlare è così bello, con te la parola perde l’obbligo di dovere spiegare inevitabilmente tutto; mi sento profondamente legato a te quando è necessario per capirsi il solo silenzio. Mi sento quieto e tranquillo giacché so di essere ciò che tu sei.»
«Tutti conoscono l’amore.»
“Unì tutte le forze, prese la chiave dalla tasca della giacca e la infilo nella serratura — di quel senso — riuscí ad aprirlo e svenne.”
«Va bene, tira prima tu.»
«Vede io non ho nessun motivo per negare la mia partecipazione, la mia esistenza non dipende da me, se non nel limite di ciò che lui può essere nel confrontarsi con me.
1 «È meraviglioso come l’uomo ci sia riuscito.»
1) Giorgio esce di casa il pomeriggio, vagando con il suo corpo autonomo, per le strade per le piazze, nemmeno lui sa per dove. L’unica certezza che conosce è il suo vagare, con quel suo corpo astratto e ancor piú con la sua anima.
"1" disse a "2" — «nelle città non si può piú vivere, se non si vuol far parte degli schemi che ci hanno assegnato prima di poter, noi stessi, individualizzarci.»
2 «Credo che noi dovremmo trovare una nostra dimensione ambientale, nello stesso tempo credere di meno nelle nostre possibilità di apprendimento, credere di meno nelle nostre facoltà di creare pensieri.
2) Generando, aspetta che qualcuno si accorga della sua presenza è così trasparente che per accorgersi di lui bisogna morire.
< BÀSTA!> non pronunciarmi così inutilménte.
A còsa appartengono quésti gèsti, a chi appartengono?
A passeggio tra esse
A te
A te Leclizia
a cui mi disseterò
a dirmi
a esser di gioia
a giaciglio degli occhi,
a lei che null’altro aveva da fare che attendermi,
a me in quel luogo
a noi celebrate
a te
Abbandonare
abbandonare ogni certezza riprodursi
Abreazione sublime
accarezza, prendi il mio umile
accarezzare o amare - disperdere
ACCOLGONO QUEGLI SQUARCI UMANI
ad ogni mattina
ad ogni suo dirsi tale
Adesso
affinché possa anche io farlo
affinché presto
Affralita ti ritrovi
affronto la paura e mi richiamo in me
agirei darei un nome
agiscono all'ordine
AGNOSTICO.
ai nostri chiederci
Al mare non si poteva fare niente, il bagno consisteva nel mettersi in piedi vicino la riva e bagnarsi i piedi.
Al mare, la mattina, per divertirci inventavamo sempre dei giochi ed un giorno accadde!
Al misero ordine di un uomo che ha
al capire
al "DUBBIO".
al pensiero statico e sempitèrno
al perso
al riparo da ogni menzogna
al riparo da ogni tradimento
alcunché
Alcune volte penso che la felicità che ho senza nessuno sforzo, sia l’impegno che mi sono assunto nella vita: Riuscire a conservare questo dono.
All'improvviso torni
Allora
Allora
Allora forse è qui
Allora io
altra
Altri simboli altri lo stesso
altri momenti
altri momenti di altro aspetto
amandolo per la prima volta
Amare una Donna
Amare una Donna
Amerò ancora
Amica dei pensieri che si ritrovano nella felicità
amica di tutti i giorni
Amo i miei ricordi
Amore
Amore che aspetta l'attimo della simbiosi
Amore.
analogo
anche l'ultima traccia dell'esistenza
anche le parole silentono
anche se è
anche se la scienza mi dà il dubbio di questo.
anche se mi sento ciò che tu mi fai sentir d'essere,
ancor non vedo distinto il tuo sguardo
ancor rivela
ancor son qui ad aspettarti
ancora
ancora vibrano nella mente della notte
Anima e Art rimangono sereni dopo aver ascoltato quella strana voce, quell’originale uccello.
Anima lascia l’abbraccio, solo una mano rimane nella mia. Entrambi guardiamo in direzione di quel qualcosa.
Anima mi guarda per qualche istante negli occhi e non dice nulla. Non serve parlare, sembra che la comprensione trascenda le parole.
Anima — A cosa stai pensando?
Anima — Apparentemente nessun senso, considerato che sembra di essere nell’irreale, ma quando potremo comprendere questa nostra esistenza, vita, ci accorgeremo di ciò che abbiamo fatto in essa. I due inizi di cui parlo sono: la nascita e la morte.
Anima — Ci attende!
Anima — Ci avete parlato della realtà, solo accennandoci ad alcuni suoi aspetti, troppo superficialmente e non ho ben capito il vostro ruolo nella realtà. Ci propiziate solo degli accenni di risposte ben piú complesse? ci ingannate! le vostre risposte non sono altro che domande.
Anima — Come mi trovo qui? non so, non so come mi trovo qui, ma immagino che il motivo del “perché” sono qui è uguale al tuo.
Anima — È caldo ho toccato qualcosa di vivo. È sangue è sangue!!!! quello che è scritto qui è scritto con il sangue.
Anima — Guarda!
Anima — Lí lí lí, lí! sulle pareti di quella casa.
Anima — Ma tu, non sei il re dei simboli? non puoi avere questo pensiero di conflittualità con essi, sei l’espressione, forse la mia voce. Chi ti scrive parla di me con me. Lui è quello che cerca me attraverso te. Cerca di rendermi visibile, l’arte è la sua preghiera. Ma non può, sente la mia esistenza e non riesce a dimostrarla. Con te lui si sente piú vicino e alcune volte, in rari momenti in attimi di sfuggente perfezione lui riesce a sentirmi a capire che esisto. In un momento come questo tu hai potuto sentire la conflittualità, la sua conflittualità. Prima d’ora mai sei stato lui e lui te come in questo momento.
Anima — Non so ancora come, forse gli eventi, l’esperienza che costruiremo con essi ci aiuterà. Non so immaginarlo ma un modo deve pure esserci.
Anima — Ora possiamo aiutarci.
Anima — Prova a dirmele!
Anima — Prova a scriverle, immagina di dovermele spiegare scrivendomi.
Anima — Può darsi, che nell’indefinito compito dei nostri ricordi ci sia la “realtà”; sospesa in un limbo un dirsi diverso, che noi invano costruiamo nella nostra ipotesi, nell’irreale analogia.
Anima — Quale difficoltà può riporsi in esso, quale soluzione trovare in noi, quale prova ricordarsi. Provarci.
Anima — Senza senso?! ma hai mai cercato di capire, scoprire il perché ti trovi qui? non hai ancora capito che c’è una ragione , io credo precisa per cui noi ci troviamo in questa normalissima dimensione.
Anima — Siamo qui, in un posto immerso in se stesso, ne usciamo per mondi ancora piú inconsueti. Ha una fine questa dimensione e l’inizio, dov’è? Che la sua fine sia proprio l’inizio?!
Anima — Tu non sai che molti inviluppano e si espellono da qui, molte volte tra i loro due inizi della vita.
Anima — Tutto è parte dell’oblio che genera senza essere conosciuto, noi siamo solo un suo movimento fino a quando dall’oblio torniamo a conoscerci.
anima del cielo e palpo l'amore
Anima— Una storia che ormai ci appartiene.
approssimandosi il riposo
Apre, sale le scale, apre ancora < dentro si trova dentro il rumore del portone che si serra alle sue spalle.
Aprire gli occhi e scoprire di non riuscire a comprendere, preda di questa strada che ci guarda.
arsendo ogni flusso di noi
Art apre gli occhi, la sua stanza. Si alza dal suo letto, va verso la finestra, guarda fuori.
Art dice a Anima di avvicinarsi al suo viso alle sue labbra, con le sue. La vuole baciare, si baciano.
Art e Anima continuano a camminare lungo quella strada, ma non sono piú gli stessi, la loro sensibilità, le loro emozioni, vivono in armonia con il pensiero. La propria consapevolezza. Guardano avanti e vedono nel cielo una piccola macchia, una piccola macchia che li cerca: un uccello, una rondine. Ora è distinguibile anche a loro. L’osservano volteggiare alta e silenziosa. La rondine disegna nel cielo due cerchi invisibile, due giri sopra di loro, poi galleggiando sull’aria scende verso terra e si posa di fianco a Art e Anima, li guarda e poi dice: «Ho da dirvi qualcosa.» Anima e Art rimangono sorpresi sì sorpresi nell’udire parlare quell’uccello, ma al contempo affascinati da quella diversità. La rondine li guarda ancora e dice:
Art è supino sul letto senza rete e guarda il lampadario che non fa luce, appeso al soffitto senza fondo.
Art ripete a se stesso pensa pensa pensa cerca di capire pensa. La chiave! la chiave! il portone è chiuso interiormente.
Art — “Lui” ci ha privato della sua stessa conoscenza, narra le nostre storie e nega anche ciò che ricorda; siamo l’esperimento di sé stesso.
Art — Ciò chi mi importa è che non sono piú solo; ora comprendo la solitudine e la mia amo donarla. Unire le nostre estensioni solinghe è rientrare nell’esistenza, forse.
Art — Dove, cosa!?
Art — È vero, siamo nella stessa situazione, affrontiamo insieme i nostri “istinti culturali”. Già vedo nell’immaginazione la crisi per uscire dai condizionamenti e vincere la nostra alienazione.
Art — Io sono già scritto, ma non sono scritto per spiegare a chi mi legge qualcosa, ma affinché io, possa leggermi. In questa storia non do spiegazioni dettagliate, esaurienti, vi deposito semplicemente delle parole, pezzi di puzzle qua e là che ricostruíscono immagini e pensieri nella mia mente. Non mi pongo il problema di essere chiaro o astruso, cerco solo di sapermi leggere. Anche questo come l’esistenza esprime la marginalità, la parte visibile di una dimensione piú àmpia. Lascio solo le parole per immaginare, in fondo non è questo il compito della parola. Che poi ognùno immagini come vuole; anche se la speranza di chi scrive, non la mia in questa storia, è di scoprire con la sua ricerca l’immagine di un sogno comune a tutti. Le parole hanno un peso una valenza profonda, spiegarle significa abbandonarle, rinnegarle. Sono simboli e i simboli possiamo solo sostituirli con altri simboli, non riusciamo a comunicare senza di essi, ne siamo prigionieri, ma esprimono anche la nostra libertà la nostra voglia di cambiamento, se usati come sintomo di ricerca.
Art — Io? ma io non lo so e non immagino nessuna motivazione per essere in questa dimensione, così, senza senso.
Art — La nascita, la morte! non conosco queste realtà, io mi vedo come “mai nato” e in questa strada non vedo nessuno inizio. Sembra che io abbia un avversario che mi è indefinito, ma che forza opporgli allora?!
Art — Ma perché tutto ciò, che senso ha sentirsi così inconsciamente legati, repressi; voler fuggire, ma essere trattenuti, da un bisogno che in fondo ci appartiene, l’impossibilità di dire basta! I loro due inizi, non ti capisco, sai qualcosa che io ancora non so?
Art — Mi sento confuso, mi sento inutile nelle parole io voglio sentire con te, non avere bisogno di simboli, ma sentire; spegnere ogni racconto e ogni storia, voglio vivere le cose senza raccontarle e gli altri mi siano spettatori se lo vogliono. Vorrei uscire da qui, da questa storia e da queste parole. Sono confuso, tu mi dici che quello che provo io in questo momento è ciò che lui sente, ma allora chi sono io cosa sono io. In questo momento mi sento una dimensione parallela alla sua. forse è vero vivo i suoi dubbi le sue angosce, lui è la mia realtà oggettiva, ciò che mi permette di vedermi e io sono la sua. Guardarci nei propri tormenti e nelle proprie ricerche, scoprirci disperati da un’arroganza: non volere accettare, forse, l’impossibilità che si palesa nell’esistenza di tutto. Umiltà, per riuscire ad accettare ciò che in noi stessi ci fa paura, perché ci toglie quelle sicurezze che in apparenza ci tranquillizzano. Scoprirsi ogni volta e viverci dentro. Ora so che mi attende una dura prova con quello che dentro di me si è accumulato nel susseguirsi dei respiri.
Art — Non saprei come spiegartele; io quando penso vedo delle immagini che collego a delle parole, se io ti spiegassi il mio pensare, tu saresti in grado di afferrarne solo le parole, allora io dovrei spiegarti anche le immagini e…
Art — Nulla che tu già non sappia, mettevo insieme alcune deduzioni.
Art — Perché?
Art — Ricordare, sempre questo il dilemma, ricordare ciò che non si ricorda di aver dimenticato. Ogni accadere ci riporta sempre allo stesso punto di partenza. Tutto ci appare diverso, in perenne trasformazione, ma in fondo il senso profondo del nostro agire, la causa perenne è il nostro oblio.
Art — Sí! Ma come, come?!
Art — Sí, cos’è! corri andiamo a vedere.
Art — Sono pochi i confronti e insoliti anche, solo io e te e questa strada. Sperare soltanto nell’accadere, negli avvenimenti che qui si generano, sperare nella nostra capacità, possibilità di capire. Alcune volte ricordo dei nomi, ma non so se siano dei nomi, non riesco a capire a cosa si riferiscono, nomi come: animale, natura ateo-fede; mi ricordano un po’ quelle parole che hai pronunciato tu: Nascita, morte, provo la stessa sensazione di appartenenza ad esse, ma perché?
Art — Tu come ti trovi qui, in questa strana dimensione?
Art — Tu mi fai notare e mi parli di questo stato come della realtà. La realtà, quante volte sento dire la realtà. Ho il desiderio di dire la mia sulla realtà, ma servirebbe?! cosa ho da aggiungere a quello che già si sa, a quello che le filosofie il pensiero ha già espresso. “La realtà è chiudere gli occhi e dimenticare, aprirli e ricordare quel che si è dimenticato.” Io non ho mai pensato a questa dimensione come reale, io non riesco a pensarla, sono troppe le cose che mi sfuggono, sono confuso, ho voglia di vivere l’esperienza che avviene qui con te, ora che ti ho incontrata, senza perché, viverla!
Art — Tutto mi sembra cambiato, tutto piú incerto e nuovo, meno mi opprime e già immagino che una possibilità per risolvere questa circostanziata dimensione sia piú vicina, reale.
Art— Che non è finita. Anima…
Art— Già!
Ascolta
Ascolta i miei pensieri
ascolta quella sera
Ascoltando ogni eco
ascoltando il tranquillo dialogo del mare
Ascoltarti
Ascoltarti dentro quell'ombra
Ascolto Anima che mi sta parlando, ma sono assorto per un istante in mie riflessioni. Penso a ciò che è successo e dentro di me mi accorgo, che il dove il quando di questa storia sono in grado io, forse, di stabilirlo. Se ciò è vero, in tutto questo accadere, io devo riuscire a capire me stesso, prima di ogni altra cosa. Con me capire tutto ciò e chiunque vive. Uscire da me, osservarmi, sedermi al mio fianco ignorandomi. Guardo me e mi conosco come un estraneo, rendermi reale come il mio stesso ricordo, pensare e capire il perché di ogni pensiero. Riuscire a guardarsi è anche scoprire il limite di ogni “realtà oggettiva,” è guardarsi nell’impossibilità di scrutare la profondità di un’antitesi inimmaginabile, un’oggettività autentica, oltre il proprio esistere. Fermarsi a questo limite e provare a differenziarsi in esso è l’unica possibilità, per stabilire un confronto in sé stessi. Anche se la marginalità dell’agire umano in ogni aspetto dell’esistere, evidenzia se stessa, il limite forse.
Ascolto dietro l'angolo il cerchio dei tempi
Ascolto la musica e tutto mi sembra enorme; ma non riesco a vedere chi c'è al centro di quel cerchio umano.
Ascolto le parole di ogni passante
ascolto tutto quello che sento e mi ritrovo
aspetta e non dir nulla
ASPETTANDO L’EVOLVERSI DEI PENSIERI
aspettando
aspettare il mio momento.
aspettare sognare parlare
aspetti sognando che io mi svegli
assaggi della carne
assomigliano all'impossibilità
astonia dei moventi
attesa
attimo eterno
attraversare questo luogo per trovare
attraverso le immagini
attraverso quel sottile filo di seta
Aveva ragione è tutto lí e sono vicini a ciò che li attendeva. Si fermano e seduti in terra, uno di fronte all’altra: si guardano. Anima prende le mani di Art e le avvicina al suo viso, Art dolcemente sfiora il suo profilo. Non sanno come incominciare. Insieme per dirsi qualcosa. Ciò che è dentro di loro forse non è esprimibile con le parole, forse non servono, ma il suono ancora deve dire qualcosa. Basta che uno dei due parli e tutto semplicemente accade. Dice Anima: « C’è una storia che abbiamo condiviso.»
Avrei voglia, credo, di qualcosa che non ho, di qualcosa che spero di trovare in ciò che sento nel mio istinto emozionale, estroverso.
avvolti dall'aria
Baciare le tue lacrime
Bagliori d'Amore
bagna il tuo viso
Basta che tu ti uccida e sarai libero
bisogni per vivere,
Blu
Bruna la notte
Butta tutto
Cammina, cammina, fin davanti “i portoni” della sua casa — si ripete quel rituale — dove si ripete quel rito, di cercare la chiave, la chiave adatta ad aprire l’involucro della propria casa.
Camminavo contemplando la solitudine
camminerò
Camminiamo e piú ci avviciniamo e piú le ipotesi su quel che può essere cambiano. Siamo vicini molto vicini, ci chiniamo e raccogliamo un pacco di fogli, sul primo foglio c’è scritto:
canta il vento
Cara amica
Cara amica che non conosci tradimento
Cara lei
Care Donne
Care Donne
Care Donne
Care Donne
Caro diario oggi mi è accaduta una cosa nuova però prima di dirtela ho deciso di comunicare con te con la voce perciò non userò piú la punteggiatura tu mi ascolterai e non mi dirai che sbaglio come fa la maestra con me voglio essere libero di provare le cose come voglio così posso anche capire e scoprire io ho una calligrafia diversa molto particolare e ho incominciato a fare le emme e le ènne rovesciate quando stavo in seconda l’altro giorno la maestra era nervosa e si è arrabbiata con tutta la classe poi all’improvviso è venuta da me mi ha preso il quaderno e lo ha mostrato a tutta la classe dicendo se era possibile scrivere in quel modo io in quel momento mi sono sentito molto strano è vero che la maestra ha dei problemi con il figlio e per questo la perdono ma però è stata una stronza questa cosa mi sa che me la ricorderò per sempre ora parliamo della cosa nuova che mi è successa questa mattina stavo giocando nella casa in costruzione vicino a dove abito ero da solo i miei compagni ancora non erano venuti la casa ha già le finestre però senza vetri naturalmente i muratori non c’erano sento chiamare fuori penso che sia qualcuno dei miei compagni mi affaccio e mi appoggio non so come dire mi affaccio dalla finestra che è chiusa ma mi posso affacciare perché non ha i vetri è di quelle che si aprono interamente per potere andare sul balcone ed è formata da due vetri quando ci sono uno piú lungo nella parte di sopra e uno piú piccolo di sotto a dividere le due parti c’è il legno io nell’affacciarmi mi sono appoggiato a questo legno con le mani e la pancia ho messo il busto fuori mi sono affacciato di piú e mi sono appoggiato al legno dove c’è il pisello in quel momento il mio pisello era dritto e come sono sceso strusciandomi sul legno ho provato una cosa come una sorpresa mi ha fatto piacere l’ho rifatto alcune volte e mi piaceva come mi strusciavo con il legno la pelle del mio pisello si muoveva sono andato a casa sono andato in bagno mi sono sceso i pantaloni e mi sono seduto sulla tazza mi sono preso il pisello sulla punta con le dita e ho incominciato a muovere la pelle avanti e indietro mi piaceva l’ho fatto per un bel po' poi ad un certo punto ho incominciato a sentire come un dolore ma non era un dolore e dopo un po' ho smesso non so come si chiama questa cosa che ho fatto e se lo fanno gli altri bambini ma mi sa che lo rifaccio ciao diario alla prossima.
cercami
Cercare nel ricordo dei pensieri
Cercare un sentiero dentro quel fluire
cercare la pazzia
Cercarti
Cerco il silenzio di un improbabile
Cerco qualcosa nel vento
cerco di fuggire di ritornare
cerco la sua certezza
cerco nell'ignoto
cerco trovandoti
Certe volte mi toccava rimanere anche il pomeriggio e le suore dopo il pranzo, ci facevano dormire, seduti, con la testa appoggiata sopra i banchi.
Certi capire
Certo altre volte ho sperato
Certo non mi sento come avrei pensato
certo
certo bella
certo tutto questo dramma
CHE ATTRAVERSO LE INFAUSTE MENTI, COSì FERME
CHE COSTRUIRE, FORMARE
CHE LIBERA DAI FILAMENTI I NOSTRI CORPI
Che emozione quella volta
Che ricorda in me la tua speranza
che abbiamo
che altera il senso delle apparenze
che amate
che amate
che ami d'Amore
che ascolti l'ombra dei pensieri
che "attraverso" i nostri cuori
che cambia i volti dei nostri cieli
che come le lacrime del cielo
che cosa può
che così alta appare
che d'improvviso tacque
che donano il senso di bellezza al tuo corpo
che escono da scuola
che fuori dai cieli degli atomi
che guarda iconoclasti compromessi
che ha vissuto di scandali
che ho colmato di malinconica tristezza
che il mio pensiero parlava
che il ricordo.
che in una parte l'ansia di tutto
che incontrano inconsuete unioni
che l’ignota presenza, quell’ignota presenza ch’è in ognuno di noi, ora è fuori di me.
che m'appartiene.
che mi hai fatto capire e ascoltare
che mi ricordi,
che nella notte
che non aveva piú motivo
che non aveva piú tempo per ardere
che non saran piú
che ora il concerto mi sospinge
che ora tu stai pensando
che palese vuol capirsi
che passeggia
che piangono
che riguardo
che risaliva sulle sponde della terra.
che scruta, la pianura d'acqua che accarezza
che si ama
che si appropriano di un profondo
che si flette ignaro
che si raccolgono nei fiumi
che si ricorda in sé
che si sprigiona
che si sveglia nei momenti
che sia diverso, ma vero
che sol L'Amore può scordare
che solo la certezza fa vivere
che stanchi
che stranamente la sottile voglia
che strano
che sublime dolcezza accarezzi
che terrorizza l'incertezza
che ti cerco nei pensieri
che tu mai vivrai
che tu mi accogliessi in te con tutto il mio essere
che un amore perduto
che un mio dubbio
che voi amate ma non comprendete
Chi è in quésto sogno, dove mi tròvo io in quésto sogno.
Chi non le scriveva bene non poteva andare fuori a giocare.
chi capirà questi miei segni
chi sei
chi vi dà un po' di luce per capirvi
chinano
Chino lo sguardo sulla strada e la vedo stingersi schiarirsi, sempre di piú con filologica progressiva. Ora è bianca di un bianco candido, sembra tutto piú leggero. Mi accorgo però che questo bianco candido è rotto dall’impronta delle mie scarpe; le tolgo nervosamente, ma i miei piedi lasciano ugualmente la loro impronta sulla strada bianca di cui ormai mi senti prigioniero.
Chiudo gli occhi e li riapro, tutto è trascorso. La ragazzina il suo sangue, gli uomini non ci sono piú. Non so capire questo accadere; nella mia memoria tutto è registrato, ma quel che ho visto sembra essere stata un’illusione. Le ultime parole che ho ascoltato, che lei mi ha detto sono state: Continua il tuo viaggio. Questa è l'unica cosa da fare, ciò che è accaduto è accaduto, io non posso fare altro che prenderne atto senza giudicare.
Ci avviciniamo increduli e curiosi al muro di quella casa, guardiamo la scritta; Anima distende la sua mano e la tocca ma con un gesto rapido e pieno di paura, la tira indietro, mi guarda e vedo il suo viso sgomento, un misto di sorpresa e terrore.
Ci fu una mattina che andai all’asilo senza piangere.
Ci sediamo intorno ad un tavolo, nel mezzo di una strada di traffico automobilistico. L’uomo parla a noi , ma urla per farsi sentire.
Ci si era trovati, quella luce
ci aspettiamo
ci giungevano
ci ha uniti nel momento
ci parlavano
ci si cercava
ci troviamo insieme.
Cielo sempre scuro, coperto da grandi, enormi condensazióni d’acqua, pronte a scaricare tuttA l’energia su quella strada.
Ciò che avevo: "Il Dubbio."
Ciò che sento
Ciò che si traccia nella memoria
ciò che noi vorremmo avere
ciò che ti spinge a cercarmi
ciò che tu immagini di me
ciò di cui nacqui
ciò posso dirti
colme di dolcezza e d'amore
colmi di pensieri
colmo di sensazione
Come solo l'arte può fare
Come ti chiami "senza nome"
Come un amplesso in amor puro
come certe Donne
come ciò che la vita stessa spinge
come dolore che dimentica e ritorna
come due mani
come grandine come pioggia come neve
come il tempo le sue epoche
come l'amore nelle sue forme.
come me e te
come quel pensiero
come questi miei momenti ricordati
come soltanto la bellezza
come ti cerco come ti voglio
come tu lo vuoi.
come tu sola mi hai insegnato
come tutto ciò che inizia è eterno
come tutto quel che cambia
come un uccello la sua aria
come un uomo che cerca
come un uomo che chiama
con le lacrime dell'anima,
con ricordi tristi
confusa
confusi nelle parole assomigliano
confuso nei luoghi del tempo
congiungersi
congiungiamo soltanto
coniugante al tempo
consacrati per l'anima
Continua il viaggio!
Continuare il viaggio è quello che tutti mi dicono, chiedono. La tua risposta genera in me altre domande, ma so che da te, ora non le avrò, forse perché sono da scoprire nel proseguo del mio cammino, o forse le vuoi tenere per il tuo di cammino? Chi c’è oltre te?
Continuare il viaggio nel dialogo dei propri sogni,
Continuo il mio viaggio, ma per dove? anche a questa domanda non so rispondermi, non capisco il perché. Solo ricordandomi di “lui” posso immaginarlo. Forse cerca in me il suo interlocutore, ma non mi parla, fa come tutti gli scrittori, lascia a me il compito di confrontarmi con i suoi dubbi e i suoi pensieri, negandomi anche le sue soluzioni.
Corpo intravisto nella nebbia
Corriamo incontro a quello specchio, incontro a quegli esseri che vi si raffigurano.
Corro, corro su questa strada, corro in mezzo a sinistra a destra, attraverso la strada da un lato all’altro tocco i muri delle case le scritte di cui sono intrisi corro corro corro mi fermo al centro della strada allargo le braccia le distendo in fuori giro giro giro su me stesso e tutto mi gira intorno cado le spalle sulla strada la nuca sulla strada e guardo il cielo. Anima è rimasta a guardarmi, corre e mi raggiunge, si disegna nel mio sguardo nell’azzurro del cielo. Sorride e mi guarda, io la guardo dalla mia angolazione alzarsi verso l’alto, distendere tutto il suo corpo nel mio sguardo, le sorrido anche io e la trovo bella. Mi stende la mano, la prendo nella mia e mi aiuta ad alzarmi. Sono di fronte a lei e la guardo negli occhi, l’abbraccio la stringo a me e la sento abbracciarmi.
COSA ATTENDERE ANCORA
Cosa accadrà ora
cosa siamo
coscienza
coscienza e verità
COSì SUBLIMI E IGNARI DINNANZI AI LORO SGUARDI.
così rara e fuggevole
così ricco
così tenui e silenziosi
costante
CREARE L’UOMO IN SÉ STESSO.
Cristin ti ricordi
custodirsi
d'Amare l'Amore d'Amore
d'Amore
d'amore
d'arrecar ansia
d'ascoltare o ripudiare
d'emozioni
d'esistere
d'essa
d'incontrarci
d'una eternità troppo consueta
Da cosa si eleva questo mio dialogo con te,
da dimenticare
da ogni sequenza
da riviver nella realtà
da te stessa.
da una strana quiete.
dal motivo di grande gioia l'amore
dal pelo ormai nero
dalla fioca luce
dalla mancanza
dalla paura di pronunciarsi
dalla tua finestra
dalla volgarità.
dalle lacrime dei vostri visi
dammi il tuo respiro
dei coiti
dei loro cieli
dei pensieri correvano nella mia anima
Del silenzio oltre la cortina onirica
del non nome
del resto
del tempo
del tempo del soffio
del tuo bisogno
del tuo godere
del tuo piacere
del tuo presente.
Dell'altro
dell'anima
dell'indonesiana
DELLA GENESI
delle docili mie emozioni
delle facoltà
dentro
dentro i tuoi pensieri
dentro quel viaggio
desiderandovi nude di verità
Desiderare l'opale di un ricordo
"Desiderio" d'amare una Donna
Detto ciò volò via.
Di chi si parla qui, di chi? Di me dell’uomo, del suo pensièro, délla realtà che non si conosce.
Di quei pensieri
Di te che hai vissuto l'amore
di amarmi
di amarmi
di bagliori
di bagliori fusi
di ciò che ancor si è liberato
di coglierci in un momento non giusto
di desiderio
di disperare
di essere
di quella spiaggia notturna,
di quella volta
di sequenze "unanimi"
di sogno
di tua attesa
di un fuoco lento e inesorabile