Patrizio Marozzi -Banalità, pag. 73
Banalità
Post fazione
Questo “libro” ha una “particolare connotazione espressiva” – direttamente verificabile e “attuabile” dal lettore, non solo nella sua globalità, come facilmente si intende, ma altrettanto comprensibilmente, anche in ogni suo” momento specifico. La percezione dello spazio e del luogo è nelle parole che in esso vi sono scritte, e la rappresentazione mentale che suscitano “i dialoganti” – in questo caso – è nella mente del lettore.
Quantunque io possa avere una mia visione al di là di quanto scritto per una rappresentazione spazio temporale ulteriore il testo letto, sia essa “teatrale” – è libera possibilità del regista dare fisicità luogo e tempo ai personaggi lo compongono, o ad ogni attore per esso voglia essere, ovviamente in una percezione del testo scritto, nella sua integrità, spazio temporale.
Patrizio Marozzi
Dimostrami dimostrami. Sì dai dimostrami. Se uno stupido non può esistere dimostrami la non esistenza del non essere stupido.
Credo sia è più esatto parlare dell’essere cretino! Affermò Blatero, a quel che Ralf Caustico gli stava dicendo.
E allora stai a sentire quello che penso io. Secondo me due cretini non fanno un cretino, come tre cretini non ne possono fare quattro, del resto se un cretino per essere tale ha bisogno di un altro cretino che gli rappresenti il proprio essere cretino, siamo già a due cretini e, allora tutti sono cretini e se tutti sono cretini non c’è un quarto cretino e il cretini numero uno non fa né è un cretino. E la differenza tra tutti cretini non c’è, dalla semplice constatazione del fatto che l’unica differenza è tra il puttanesimo e la prostituzione, con la chiara condizione di merito che la prostituzione è il grado superiore rispetto al puttanesimo. E chi cretino nel puttanesimo non può essere nella prostituzione. Ora dato che tutti sono cretini perché non in misura di uno, nessuno è nella prostituzione e di fatto chi è in misura di uno, non è né nel puttanesimo né nella prostituzione, e due possono essere quattro senza che debbano esserlo. Non essere cretino in ragione del fatto che l’essere cretino non può dimostrare di essere uno, né non potendo dimostrare l’esistenza della prostituzione, se non con il puttanesimo.
Ma la prostituzione è l’unica cosa che esista in questo caso. Dice Blatero.
Puoi dirlo se puoi dirlo e certo se non vuoi farlo, ma quando essa esiste non è riconosciuta dal puttanesino, e sembri quasi quello che deve unire questi opposti che si ignorano, proprio ora, mentre mi rispondi, ma se non in ragione del tuo esistere in ragione del fatto di non essere nel puttanesimo quanto nella prostituzione.
Ma Ralf Caustico, allora quello che faccio faccio, anche quanto lo faccio in mezzo ai cretini, se in ragione di uno insieme a un altro, e quando lo faccio con i cretini non lo faccio con nessuno ma insieme a tutti, senza che nessuno sappia quel che fa, né perché, e ciò ch’è meglio è peggio, perché quel ch’è peggio nessuno lo fa e nessuno lo riconosce, perché questo è meglio perché tutti lo fanno. E quel che faccio faccio.
Bravo che se metti due volte faccio, il primo faccio è del puttanesimo e il secondo della prostituzione, e ti sei così rincretinito che non sai più che la prostituzione non esiste, che anche tu fai parte dei cretini. Quasi che la differenza non si riconosca più, un attimo e hai perso la cognizione.
E allora quel che dico guardo, non vedendo, osservando quel che ascolto, non udendo quel che non viene detto, udendolo ma scartandolo, osservando, ma facendo, il resto non è altro ma altri, l’altro può essere così, quel che è, anche il mondo intero, ma non altri, se di altri vedo, non più guardando, ma senza osservare capendo, e ora tutto insieme si fa, facendosi. Rispose Blatero a Ralf Caustico
Little Big
Se sono cambiate le cose? Be’ direi proprio di sì. Non fosse altro per il fatto che non ho più voglia di andare in giro come una volta. Che sì era gradevole, piglia e esci e costruisci, o neanche costruisci, insomma prova a vivere. Che non mi ricordo se una volta c’era questo prova, credo che si pigliava e usciva. Di fatto non che per me sia cambiato, in fondo, ma quando si va in giro non c’è niente che non ci sia, e non dico dei pericoli o altro, dico proprio degli incontri. Ma! Forse sono stato troppo ottimista in passato, di fatto quello che mi accadeva, accedeva dove io ero, e non per altro credo bene; ed anche ora quello che accade dove io sono, accade dove io sono. Certo non è per confondere le idee, che se uno può dire come puoi pensare che ti accada qualcosa dove tu non sei – ma insomma se a me accade qualcosa dove sono, perché non accade lo stesso dove non sono. Già perché e da spiegare come è che io faccio accadere qualcosa e quando mi incontro con quello che non accade dove sono io, non succede niente, che già non era accaduto dove io non ero: e quello che non era accaduto, proprio non era accaduto, ch’è difficile fare accadere qualcosa d’altro. E ci puoi stare giorni, mesi, anni, che proprio non accade niente, che se provi ad un certo punto, per capire, per capire meglio la situazione, a volere che accada qualcosa di più preciso, insomma che tu ci metta un’intenzzione chiara, ma che come è ovvio, non può essere per tale motivo stupida, non succede neanche che riesci a dirla; dico a dirla, che so, come se avessero paura di saperla, pronunciarla, ascoltarla, dalla loro stessa coscienza. Questo è cambiato.
Albert E
Sì quel giorno, ero proprio seduto nel mio salotto: di rimpetto alla finestra e non potei fare a meno di ascoltare, quello che quei due dicevano. Erano dall’altra parte della piccola piazza che ho davanti casa, quel giorno era stranamente silenziosa, forse per il caldo e l’ora, non c’erano neanche i picciriddì con le mamme, e le voci che venivano da quella finestra entravano nella piazza come una musica e stavano proprio davanti alla mia finestra: stavano a parlare di mignotte e de buttane, non si capiva la differenza. Di d’ogne sono chisti?
Va là che de lo dico io quello che succede quando sei via.
Little Big
Ma come si fa a dire di dove sono? Che se dicessi Napoli, cosa si capirebbe. E se dicessi Milano, o più in giù Bologna, e se fossero di qualche altra parte del mondo straniera, e per questo uguale. Ma come si fa a dire di dove siamo. Come se noi sapessimo esattamente di appartenere a quel posto, così preciso sulla terra, che prima o poi quella stessa terra ci finirà sopra. Siamo di passaggio, siamo qua dove ci hanno detto di stare.
Proprio in quel posto, non succede nulla, perché se noi sapremmo dire quel che siamo, potremmo fare accadere anche qualcosa. Se ci troviamo ad esprimere, un sentimento, una poesia: la stessa forse diversa, perché non posso essere a Parigi o a Madrid, o New York.
Passa di qua prima e non confondere troppo la matassa, che se tutto il mondo è paese, il paese è na provincia e tutto il mondo è il paese.
Albert E
Di dove parli?
Senti che se ti dicessi cosa sto facendo, non capiresti, se c’è un luogo che per niente o per tutto ci appare davanti nel momento più impensabile – in quel luogo o ci sei o c’è una persona, e dunque, allora ti viene di dire dove lo stai facendo, più che cosa e certo così non puoi non chiederti chi sono, e non perché sei, ma ciò che sei. E quando s’incontra un’altra persona se non è almeno un po’, ma un po’ è pure poco, così, non ci capisci dove sta e perché e quello che vuole, senza sapere né perché. e peggio non c’è verso che capisca quello che vede, chi vede. Tanto che v’è da chiedersi che sì tanto è un’epoca intera, che se tornasse in terra Dio, nessuno saprebbe dove sta. E allora cos’è un caos se un presente che sta facendo, e chi parla per esso non finisce solo per camuffare il significato di, cosa sto facendo? Per non volere sapere dove lo sta facendo. Che se tanto si dimentica crede pure che Dio non esista, per far finta di non sapere di se stesso. I allora chi sono i savii in un certo qual modo, se non quelli che in un loro modo, non hanno che da trovare, qualcuno che sa dove e perché, che se tanto non lo trovano, non perdono la bussola, Né la percezione della terra che gira, quando in nessun luogo non si sta facendo niente, e forse ciò non è l’unico modo per capire concretamente, che c’è un luogo al di là di tutti i luoghi, dove accade qualcosa veramente, e da dove si osserva quel che non accade, dove la gloria e la moltiplicazione degli applausi, non dice assolutamente nulla, se non la miseria e il vuoto dell’espressioni senza concretezza, ma solo con una forte paura della realtà, che fa del caos l’unico luogo a cui aderire, come se questo caos al di là di ogni perché lo faccio, trovi un’immediata giustificazione nella convenienza della menzogna, che toglie concretezza alle stesse parole pronunciate, immiserendo questo che vede, come colui, che nell’immediata adesione alla convenienza del perché lo faccio, è immiserito nel non percepire tutta la realtà di un dove al di là di un farlo, quasi che schiavo di se stesso, non riuscisse ad immaginarsi oltre se stesso, e i suoi gesti sono pieni di terrore, senza dignità e solo questo vuole che gli altri siano, appaiano, il mondo stesso sia siffatto di caos. A chi Blatero sta dicendo queste parole?
Ralf Caustico
Devo dire che quel giorno, non ho aperto mai gli occhi, quasi. Che chi e dove stessi soltanto io lo sapevo. Vedi è stato come le cose si inseguivano si incontravano senza riconoscersi, l’una vicina all’altra senza che si potessero parlare: un’ubiquità senza ubiquità, un movimento continuo e dove contemporaneamente accadeva che non si sapesse dove risiedesse la consapevolezza, o la responsabilità, o soltanto il corpo. Difatti mentre io viaggiavo in auto, nel cielo un aereo stava andando, o meglio un passeggero stava andando nello stesso posto, in cui sarei stato io, e poco importa se fosse partito prima o dopo me. E qualcuno stava semplicemente uscendo di casa e a piedi avrebbe raggiunto quel medesimo posto e così anche altri. Tanto che se io avessi in quel luogo un appuntamento con qualcuno, non sarei solo io ad averlo deciso e a parteciparvi. E allora con chi parlerei se per ipotesi io solo con questa persona ho deciso d’incontrarmi, e tutte quelle che ci sarebbero intorno chi sarebbero e perché sono lì, in quello stesso momento? Uno dei motivi per cui ho deciso di viaggiare in auto, è che se avessi scelto il treno, sicuramente più di “qualcuno” avrebbe parlato al telefono come seduto in casa sua, senza che io neanche ne conosca il nome, chissà avrebbe parlato di cosa stava facendo in quel momento, o dei fatti suoi della giornata, sarebbe stato come essere in uno show televisivo, guardarlo registrato, mentre davanti a me si spoglia una persona come in un film porno, ma che si percepisce presente, ma che è relazionabile come fosse una video cassetta, e contemporaneamente continui a vederti registrato, nello show televisivo. È il livello di percezione e relazione della civiltà contemporanea. Che se io avessi incontrato quella sola persona in tutto questo, per riuscire a parlare con lei, avrei dovuto prendere lo spazio e il tempo reale e inserirlo in uno di questi frammenti temporali, per associarlo così in qualche porzione della sua forma mentis, anticipando e ricompensando a posteriori, a secondo del momento del discorso un senso concreto e un senso astratto, tra il reale e il post reale, nella presenza di un presente verificabile per quanto assente dalla realtà, ma ancor di più per questo reale nella virtualità dell’assenza. Di fatti solo così sembra accadere qualcosa, e su questo è che ci si adegua fin tanto che la finzione è possibile, senza uno spazio scenico ma in un unico tempo scenico senza luogo, dove per senza luogo non si indente di certo un teatro, ma la virtualità dell’intimità della comunicazione socializzante quanto per questa asociale. E allora di fatto ho evitato ciò, non per il fatto che magari viaggiando in treno, chissà avrei potuto anche conoscere qualcuno, scambiare due parole, tra lo squillo di un cellulare e l’altro, sapendo più cose del mio interlocutore mentre parla al telefono che mentre parla con me, trasformandosi la nostra ipotetica comunicazione in qualcosa di omertoso e di non detto, che non si sa più come dire, a meno che entrambi non si usi il cellulare, contemporaneamente l’uno dinnanzi l’altro, per riportare sull’oggetto il senso della nostra comunicazione e l’assenza della possibilità sensoriale del tatto e della vista, che inevitabilmente è presente nella comunicazione verbale, nella sua espressione presente, pre e post verbale. Insomma quando andando avanti così non si ha più niente da dirsi non resta di far finta di telefonarsi, attraverso l’ipotesi di uno spazio e tempo, per paura di essere costretti a vivere l’intimità della realtà, e la realtà dell’intimità: è l’unico modo per far finta che accada qualcosa se pur non vera. Insomma veramente non è più possibile parlare, figurarsi far accadere le cose in modo diretto e reale. E allora sono giunto sul luogo e c’è anche una persona, a cui avrei potuto chiedere di incontrarci e la cosa non è diversa da come sta avvenendo, tra questi solitari moltitudine dove la scusa per far finta non manca mai (ma può una persona, sapere e far finta, quando può non far finta…e così fare accadere tutto, ma al contempo non far accadere nulla dove l’illusione accade continuamente senza senso e sensi, non parlante solo perché diafana, come uno specchio riflesso all’infinito?) C’è una tizia che espone se stessa, o meglio lei divisa in parti visibile, in pezzi del suo corpo nudo, attraverso video e fotografia, e in audio frammenti di frasi e suoi della sua voce. Insieme a tutto ciò, c’è lei che passeggia tra il pubblico con le labbra cucite con ago e filo e ogni tanto all’improvviso, più o meno lentamente si alza la gonna sul davanti e fa vedere il suo sesso. Poi ad un certo punto, apre uno spazio del posto, svela un telo e si vedono quattro televisori due frontali e due laterali, rispetto al pubblico, accesi i quali si vedono due culi uno di una donna e uno di un uomo. Poi lei prende ipoteticamente con la mano un oggetto e lo pone davanti ai televisori che il pubblico vede lateralmente, contemporaneamente questo oggetto diventa visibile sui televisori frontali, e mentre lei muove la mano quasi spingesse questo oggetto, contemporaneamente sui televisori frontali, si vede questo oggetto entrare nell’ano dei culi, una volta che l’oggetto è entrato completamente compare una scritta sui video che dice: Il Culo di una Donna è uguale al culo di un uomo – Il Culo di un Uomo è uguale al culo di una donna. Si accendono le luci e con un effetto a sorpresa, lei si pone davanti a noi si china e alza la gonna questa volta dalla parte del culo e si vede che ha quell’oggetto infilato nell’ano. Tutti parlano della rappresentazione del mondo e dell’aspetto che violenta, ancor di più la donna. Sì ma il fatto è che per coerenza l’artista doveva infilarsi l’oggetto anche nella vagina, sennò non si capisce quale sia la differenza del cervello tra l’uomo e la donna e così solo il culo uguale. Ma la donna lo prende due volte, mentre l’uomo in un modo o nell’altro lo prende uno volta e può anche darlo. Appunto l’uomo usa sempre il potere e ha solo il culo uguale a quello di una donna. Che vuoi dire che la donna è sempre passiva perché viene sempre penetrata e non può penetrare e ha solo il culo per condividere qualche esperienza con l’uomo. Ma allora perché si fa questa discriminazione sessuale, tra il culo e la vagina, l’eternità non è forse importante sia nel culo che nella vagina. E quel che esce dall’uno non è forse la possibilità dell’altra. No! Perché anche la donna ha il culo e in più ha la vagina e ne fa ciò che vuole, in rapporto al culo dell’uomo, che non potrà mai farselo infilare da una donna. Ma non hai considerato il potere degli oggetti, è l’oggetto che mette insieme i culi, e se la donna ne può avere due, l’uomo uno soltanto per procreare. Ma così finisce che l’eternità è solo una merda. E il piacere devo mettiamo, si proverà pure piacere, il piacere è superato dall’oggetto e dal suo possesso. Ma il possesso del culo o dell’oggetto? O del potere. A questo punto, qual è l’oggetto giusto e la sua funzione è uguale o diversa da quella di un uomo e un uomo può essere in due culi, ma allo stesso tempo, in uno? E dove risiede il culo dell’essere umano nell’oggetto o nel suo uso. Certo qui diventa un problema metafisico, se l’oggetto possiede il sapere del culo oppure è solo il culo a determinare il perché dell’oggetto? Già è nato prima il culo o l’oggetto? Non capisco più mica tanto bene ma in fondo a che cosa serve il culo, non è forse un luogo astratto su cui la mia personalità dice ciò ch’è bene e ciò ch’è male, e la mia coscienza tramite esso apprende il perché di essa o di esso e così l’utilità dell’oggetto? Ciò che non riesco a capire più è dove e quando e perché? ma questo è già stato detto, adesso c’è il virtuale e le associazione sono più libere. Non so dove siano andati a parare con tutti quei discorsi e a quali stimoli abbiano sottostato, per creare un’associazione di convenienza, per eludere il fatto di non sapere né perché né cosa, né dove, se non per il fatto che ci si era in qualche modo stabiliti, essi, erano già motivati per affrontare qualche scambio di numeri di telefoni cellulari e continuare le associazioni libere tramite di essi, nello spazio e nel tempo, più libero e meno casuale, con più volontà e meno difficoltà nel dovere attivare gli altri sensi, o qualche parte spirituale al di là della virtualità. A chi sta dicendo queste cose Ralf Caustico?
Little Big
Ma i sentimenti possono essere determinanti. E non è certo che sono tutti uguali, anzi più sono personali e più hanno una lingua propria. Che se poi vogliamo fare delle differenze sono di odio e amore, ma è l’amore quello che deve predeterminare il resto. Tutta questa voce comune, come se tutti provassimo le stesse cose, non è certo una cosa qualunque. Non è certo qualcosa che sia semplice: è come prendersi in prestito dagli altri, ed è come non riuscire a provare sentimento per niente, senza questo prestito, e più gli interessi sono alti le sensazioni sembrano forti. Sembrano perché in realtà, un poco per volta, non sentiamo più nulla, e quando agiamo, perché è così che agiamo, lo facciamo per un interesse che neanche conosciamo. Ma lo stesso lo facciamo perché ci sentiamo il bisogno di farlo, quasi fosse lo stesso che mangiare. Così la vita della tragedia umana, diventa una tragedia disumana. Prendiamo in prestito, in questo modo, tutto quello che ci è possibile prendere in prestito, ma ora, adesso in questo momento, non sappiamo neanche a chi dobbiamo restituirlo. Perché fingiamo, fingiamo fin oltre il possibile, prendiamo a prestito noi stessi, nella nostra persona e trasformiamo queste parti di noi stessi, in interpretazioni convenzionali, e queste cose, sì! queste cose, perché sono diventati oggetti, pensieri finti, emozioni false; li usiamo come lenti d’ingrandimento, per ingrandire queste cose come fossero sentimenti, ma questo non può essere un film, non appartiene al gioco delle lenti di una macchina da presa. E se la tragedia è umana, di certo quella disumana non può far parte del teatro. In quale luogo ameno e insignificante sta accadendo tutto ciò. Questo che vediamo no non può appartenere a qualcosa di serio, di vero, o reale. Se i sentimenti ci uccidono, vuol dire che siamo già morti, e il luogo insignificante e ameno che sia, ha valore solo per questo tipo di morti, così strani e anch’essi falsi. Noi tutti siamo finiti, in uno strano giuoco d’immagini, lontane e presenti, trapassate remotamente, e trapassate anche nel futuro, non me piace questo, è na tradizione che non si ricorda, perché è nova ma è falsa, so immagini in prestito di oggi e di domani e se so scordate lu bambinello. Sono arroganti e si ricordano solo il prestito loro e non hanno gratitudine per i regali, perché non sono capaci. Certamente in questo luogo.
Albert E.
Dove sono? Seduto, proprio davanti a me stesso non che ci sia qualcuno e la finestra di chigli me pare cchiusa. Che se fosse una agorà d’immagini il giro di questa piazza, il sole cadrebbe ovunque: invisibile, quasi ineffabile ne! E che sono allora questi suoi, sono altrove? Unne sono! Non c’è ombra né spazio, o rifrazione di luce: colore, frequenza, che possono stare allo stesso posto, nello stesso momento e neanche l’ombra della notte, è ferma allo stesso punto. Il tempo della velocità della luce è differente per tutti. E allora dove sono seduto? È! Proprio davanti a me stesso, non te lu scordari, mai! Nessuno va nell’ombra dell’altro, questa è fisica del tempo, prossimo e immediato. E allora quanto pensi pensa, e sta dove il tempo sta di essere. Ho davanti a me la luce che mi raggiunge, e ho nel mio pensiero il mio punto d’osservazione, che osserva la luce e il suo muoversi, che né dilata lo spazio in ragione della mia coscienza e sta dove il tempo sta di essere e dove io sto dove non sto già. E allora non ho un buco nero davanti agli occhi, né un salto quantico, oltre esso, ben oltre l’ipotesi dello spegnersi del sole, ma c’è questo e altro oltre questo. E allora dove sono seduto? Proprio davanti a me stesso; e che ho di fronte al mio sguardo: le pietre levigate della pavimentazione, portate qui e messe, e dove sono le ombre di chi le ha messe, se non collocate in un altro punto d’osservazione. E queste pietre portano i fantasmi di chi vi cammina sopra, le attraversa? Questi pini che vi osservo, che crescono in altezza e si spostano pur restando dove sono e la loro ombra si modifica con le stagioni e l’angolo d’incidenza del sole, che se la loro ombra fosse così perpendicolare la luce che scaturirebbe né modificherebbe il tempo, in una rapida contrazione delle sue possibilità vitali. I lampioni che simmetrici, spostano la lunghezza delle loro ombre, che mai si raggiungeranno, siano essi accesi o spenti, sono oggetti che così fermi, non possono che assecondare che l’interferenza delle particelle dell’atmosfera, che modificano la loro ombra, in sostanze, più o meno solevate da terra, ma che non volano come degli uccelli, ché non modificano rapidamente la percezione della loro ombra, da i vari punti d’osservazione, o la sublimano nella percezione stessa del volo e del loro muoversi nell’aria. E allora i cartelli antropomorfi stradali, o il colore di una casa, o la rappresentazione della grondaia cromata di una casa, che può benissimo simbolizzare, le possibilità delle frequenze della luce, con l’atmosfera, e le particelle e il calore i colori. E allora dove sono seduto? Proprio davanti a me stesso e i fantasmi non possono essere l’esperienza del selciato della piazza. E il tempo sta dove il tempo sta di essere, ma se il tuo spazio non fa che contrarsi, vuol dire che il tuo tempo è troppo soggetto alla fisica, e alla percezione materiale che hai di essa, e la tua esperienza è già cessata, è troppo vincolata. Il tuo punto d’osservazione, manca della possibilità stessa dell’osservazione: non sei proprio seduto davanti a te stesso, e la tua coscienza è cosi gravitazionale, che si contrappone e si associa in pesanti trasformazione della materia, che non determinano l’improbabile, o il provabile volere delle possibilità della coscienza, che non cercano l’esperienza del tuo essere. Ma l’ombra in cui stare senza mai incontrare, il punto in cui l’ombra nasce e che similmente ovunque sta. Non sei seduto davanti a te stesso e allora dove sei seduto e perché cerchi l’ombra, proprio davanti a me stesso, e allora dove credi che sia seduto io? “perché parli con le ombre”.
Va là che se l’angolo d’incidenza, è acuto e infinito, e tanto brevemente torna immediato, la terra gira più veloce di quanto appaia.
Due o più persone, ma facciamo l’esempio di tue persone in rappresentanza della situazione di molte, si incontrano durante la giornata in moltissime occasioni senza mai incontrarsi veramente, o più esattamente senza mai avere una relazione di alcun tipo. L’uso comune degli oggetti il più delle volte li associa in una relazione tramite essi, e per la maggior parte delle volte, se non più esattamente sempre per mezzo di essi. Ora ogni qualvolta essi usano un mezzo tecnologico, sono associati dal suo uso e in un secondo momento dall’uso che ne fanno, indipendentemente se in quel momento sono in comunicazione direttamente tra di loro. Essi per quanto non si conoscano non si conosceranno se non per l’uso del mezzo tecnologico, al di là del sapere dell’esistenza dell’uno o dell’altro, e molto probabilmente non si incontreranno mai. “Ciò che ne differenzia le intenzioni è il senso lato del potere che tramite il mezzo tecnologico usano nella comunicazione, ed il significato che ad essa danno per la spiegazione dei propri comportamenti e in maggior ragione della coscienza, che hanno in ragione della libertà che esprimeranno per mezzo della coscienza, al dì là della tecnologia”. Di fatto, ciò porterà queste due persone ad agire, come due particelle di cariche opposte che non riescono a coniugarsi se non per il breve incontro delle loro parti elettromagnetiche. Ora lo scambio della reciprocità si svolge sulla forza che determina la possibilità di controllo da parte della carica di uno sulla carica dell’altro, fin in una sorta di associazione elettromagnetica che per mezzo della tecnologia aggrega più persone possibile. Ora i due di fatto cercano per mezzo del controllo delle loro cariche elettriche di stare il più possibile nei rimbalzi degli altri senza che essi finiscano per perdere ciò che nelle loro cariche agisce nello stesso segno, respingendosi. Ora in questo potere della relazione tutto immerso nella vecchia gravitazione terreste, la tecnologia è diventata la forza che controlla la forza gravitazionale delle cariche di questi individui come di tutti gli altri. E allora delegheranno la comunicazione non ad uno stato di coscienza ma al rapporto che intercorre tra l’uso del mezzo tecnologico e la persona con cui comunicano per mezzo di esso. Se pur sempre il discorso è un mezzo su cui costruire un linguaggio che sia più vicino possibile alle intenzioni della coscienza l’individuo che lo crea, se la parola e la scrittura hanno in sé non solo le possibilità della durata dell’istante ma anche la possibilità dell’astrazione e fanno della tecnologia fattore che si comunica per mezzo dell’esperienza - Nel perdurare del pensare e agire dell’individuo, tale mezzo non necessariamente sostituisce il movimento dell’individuo, giacché esso è appunto una collocazione nello spazio e nel tempo, a cui l’individuo in ogni spazio tempo può determinare il suo stato di coscienza e tramite esso i punti di vista delle esperienze come collocazione di un discorso che fa della conoscenza, anche espressione della coscienza, e delle scelte di libertà in esse create.
La logica del movimento e virtualizzazione di esso per mezzo della tecnologia che agisce soltanto sulla velocità in quanto impossibilità di fatto del movimento per mezzo dell’astrazione e successivamente dell’azione della coscienza della conoscenza. Da alla velocità il peso assoluto dell’istante e l’illusione del controllo su tutto il tempo come fattore non percettivo della coscienza ma dell’agire stesso del movimento immobile della relazione con la tecnologia. La comunicazione trova un motivo nella condivisione dell’interpretazione collettiva per mezzo della tecnologia e del controllo delle cariche elettromagnetiche dell’individuo. Ora queste due persone in questa logica si percepiscono l’un l’altro, in base alla condivisione della tecnologia che controlla le loro cariche, o più banalmente interagisce con esse. La connessione è come integrata tecnologicamente, che tale delega non fa che indebolire ed annullare le possibilità di differenziazione del pensiero delle percezione sensibili, dell’intelligenza conscia e inconscia, dando ad essa soltanto la possibilità dell’attivazione e non della coscienza. Il mondo intero si incontra, eppure queste due persone come il mondo intero l’uno dinanzi all’altro, non possono che sapere che stanno comunicando soltanto per mezzo di un oggetto tecnologico istantaneo. E al di là di questo rimando, che in esso si esaurisce, la perdita dell’illusione tecnologica per mezzo della relazione, o per la relazione per lo spazio e tempo che si coniugano trova insormontabili, quanto, determinati inutili, che annullano tale possibilità e con essa la possibilità della libertà dell’individuo e della consapevolezza della sua coscienza. L’infrazione o la frantumazione della virtualità per mezzo diretto della coscienza che vuole determinare un livello di coscienza per mezzo della relazione nella comunicazione con la coscienza di un’altra persona, ed una realtà dell’istante confrontabile nell’esperienza, trova impossibilità nella strutturazione del controllo gravitazionale delle particelle, che annullano l’esistenza spirituale in una alterità virtuale del movimento e dello spazio e del tempo. La mancanza di astrazione rende impossibile la relazione, quanto “normalmente” possibile nelle convenzioni la virtualità della comunicazione, allo stesso grado sia che questi due individui si incontrino “dimostrandosi” personalmente, sia essi si dimostrino ignorandosi l’un l’altro per mezzo del mezzo tecnologico. Ciò che determina la relazione in ambito virtuale è il consenso reciproco per mezzo della tecnologia, delle proprie dimostrazioni espressive ad essa delegate; “il discorso e il linguaggio”, la parola e il pensiero sfuggono a tale limite, chi si riduce in gesti semplicemente visibili del corpo tecnologizzato che distruggono l’immaginario, e la collocazione nello spazio e nel tempo dell’individuo e la coscienza di quando esserci.
Ralf Caustico
Non credo sia tanto semplice, forse per mezzo di un pagamento, delle persone forse si presterebbero, ma poi dovresti cercare di renderle più vere. D’altronde a chi si potrebbe chiedere, non c’è nessuno che di fatto possa essere in grado di mettersi lì a farsi intervistare, più che altro parlando delle cose più intime che la riguardano, o che immaginano esserlo. Per di più il completo anonimato, se non per la voce che si ascolta registrata, e di cui solo l’intervistatore conosce l’identità dell’autore, potrebbe in un interlocutore, diciamo, capace, invogliare a mentire, ma ciò potrebbe accedere anche con quello meno capace, con un effetto diverso nell’ascoltatore. Credo in effetti – che è l’intervistare in un’epoca in cui tutti mentono sulla loro identità, e di fatto su quel che dicono, sempre attraverso internet, o nello svolgersi della loro vita quotidiana così ben in funzione di magus servis, dei costumi tecnologizzanti, fattasi coscienza. Tanto che sono così presi da questa loro immaginazione, tanto da credere che non ci siano persone che capiscono quanto mentono, leggendo quel che scrivono, o dicono nel loro “anonimato”, tanto che in questa pazzesca illusione, credono di avere una qualche superiorità, su cui teorizzare sul loro stato di consapevolezza, e superiorità su chi non vive delle immagini collettive del magus servis, dei multimedia, o ne ha consapevolezza, quanto loro attraverso l’esercizio di un potere, che gratifica, e chi, invece toglie gratificazione al magus servis, scoprendo la menzogna, leggendo quel che scrivono e leggono, si crede che non esista, in un esponenziale delirio di onnipotenza.
Little Big
Ma che state dicendo, che sono queste cose finte. Non siamo mica in uno dei miliardi di tolk show, e più ancora di quelle cose che chiamano realiti sshow. In queste cose blasfeme, dove accadono le nefandezze più assurde e volgari, e per il solo fatto che le si fa accadere vuol dire che sono reali. Queste sono pazzie per stimolare nel modo più meschino i sensi e ridurre il cervello in una pazzia imitativa, delle idiozie che hanno stimolato i sensi. Niente così ha un significato e più si è cretini e più ci sente gratificati e più è facile essere cretini e più si premiano i cretini e si fa di essi, il paradigma di quel che ha un senso e importanza, valore e qualità. Ma che sono queste scemenze, che se si vuole intervistare qualcuno, dovrà pure confrontarsi, con chi ha davanti, anche se nessun altro saprà chi è, a meno che non voglia che lo si sappia, perché viviamo nel rapporto del penso, con il peso del realiti sshow e nell’illusione di sapere che se tutti mentono nessuno se ne accorgerà e nella idiota speranza che solo uno se ne accorga per poter credere ancor di più, che tutti sanno che si mente e chi se ne accorge non sa che tutti lo sanno, e non si capisce perché non voglia mentire, insieme con gli altri, ma dico, che ci entriamo noi, qui, con questa pazzia senza fine, né speranza, che non conosce neanche la disperazione. Con questi morti.
Albert E:
Che parlino da chi sono, altro non appaia.
Ma non vi sembra di esagerare, non si riesce né a cambiare argomento, e per di più se lo si fa, lo fate in funzione delle associazioni verbali che con esso riuscite a fare. O volete fare voi. Non rispondete alle domande che vi faccio, e tornate sempre ad associarvi con quello che dico, e sovente ho l’impressione che ripetiate i mie gesti espressivi, che così copiati da voi, non hanno nessun significato, per me, e non so sinceramente quale sia quello che voi immaginate nella vostra testa. In conclusione cercate di imporre con dei monosillabi, o con gesti della testa, o peggio delle mani e del corpo, mentre parlo per interrompermi, la vostra volontà su quello che vi chiedo, domando, quasi che così pensiate di appropriarmi-vi della mia volontà nella mia domanda. Interrompete una mia frase, per tornare a parlare in associazione, in funzione del mostrarsi di un oggetto, ripetendo continuamente le stesse associazioni verbali, quasi che quel che si vuole dire stia tutto in quel discorso associativo. Quando dite di raccontare, lasciate le frasi in sospeso, che non sono né una constatazione, né una affermazione, né perché parlate di che e di chi, per dire cose, se non per associare una parola ad un’altra. Avete interrotto la conversazione per leggere e mandare degli sms, o parlare con qualcuno, con me presente, o peggio questo qualcuno, parla qui dentro e vi entra senza che io sappia neanche chi è e che cosa vuole. Usate questo vostro immaginario associativo, per interagire continuamente, tramite questi mezzi informatici, senza capire l’astrazione che può esserci in una mia domanda, né ne elevate l’argomento, per scoprire e capire il significato. Scusate ma non attendo la vostra risposta, non vi ho ancora fatto una domanda a tal proposito, per essa su queste mie argomentazioni, ma son sicuro, che voliate rispondere a questa mia analisi, e badate, che le mie domante non sono domante emotive, quali le vostre sospensioni di frasi, allusive, che cercano di mettere in dubbio, o ipotizzare un controllo sul significato dei perché della mia persona, senza che con essa voi voliate veramente sapere di essa, vi concedo questo, per l’astratto, ma più concretamente, e meno formalmente, ma più educatamente sui contenuti di quel che per me ha significato e valore, con l’aiuto in aggiunta, che poggia sulle vostre allusione, di un gesto ripetuto da voi che va ha stimolare una risposta verbale nel mio cervello. E che su di voi ha l’effetto di una sensazione di potere, di cui non comprendete la realtà, né le conseguenze e che vi fa ridere pensando che il vostro interlocutore sia uno stupido. In effetti così siete in un tolk show, in una realiti tv, o più “semplicemente davanti ad uno schermo, o mille schermi televisivi, in una chat, dentro un sms. Non continuo giacché siete già in una fase calda fredda del medium, per dirvela alla Mc Luhan, e di certo non sono ricorso ai vostri trucchi sostitutivi, del togliere, o del privare, per generare la curiosità, o la frustrazione, e la compensazione sostitutiva. Ma già se voi aveste superato la percezione di voi nello scoprire, che ragionando per associazione, si finisce per essere dementi, e che quel che ha prodotto nei vostri pensieri, comportandovi in associazione nei mie confronti, è in sintonia con l’assurdità del potere che volete, ora non sentireste frustrazione o rabbia, associata ai vostri sentimenti, e alla demenza dell’odio, che vi fa da stimolo a comportarvi in funzione, del fatto o luogo, che il vostro cervello sia una accozzaglia di associazione tra la vostra parola azione e appagamento delle sensazioni, sulla conoscenza dei significati. Ma di già se voi non foste ciò, da ciò che io ho detto, voi dopo la curiosità, provereste anche interesse. Sono andato ben oltre ciò che voi volete sapere e non volete immaginare. Continui pure, lei, a parlare con la sua amica tramite il suo cellulare, o con la voce degli spot pubblicitari, anche come ora, che siete insieme davanti a me, ciò è considerato dalla percezione globale, mediatica, perfettamente convergente, anche con ciò che consumate sia esso qualcosa di umano o inumano, che assomiglia più ad una pietra lunare che altro, che ben si identifica con il vostro status e con il tipo di relazione che qui state esprimendo con me. La vostra incapacità a comunicare, attraverso le forme che abbiate scelto per farlo, è priva di una scelta, al di là del potere che con essa potete esprimere su voi stesse, e sulla possibilità di comunicare dell’altro, di cui cercate via via il vostro corrispondente sadico masochistico, al di là della possibilità di conoscere, che cercate di prevaricare, nell’impossibilità che nel confronto in tali fattori distruttivi, ciò possa mai avvenire, se non su un piano sociale che si confà alla perdita della conoscenza, e tramite essa il potere e il controllo, e ciò non può mai avvenire. E sappiate che ho usato il voi in quanto status che vi trascende, ma che non vi trascende, in quanto condizione che va al di là della differenza sessuale.
Ralf Caustico
Si spegnerà prima la lampada? O la lampada avrà” il tempo di spegnersi anche dopo. Dimmi blatero tu hai capito qualcosa con questa intervista per tal proposito, per tal conseguenza?
Blatero
È qualcosa, o forse una cosa che non può dire che cosa sia il primo e il dopo, diciamo ch’è come una demenza al vertice umano, che si è estesa da giù in su o forse da su in giù, in una forma di demenza associativa, tra l’autore o l’ascoltatore, fruitori accademici, economici, sociali, intellettuali, sono la stessa cosa nel rimbalzo associativo.
Little Big
Ma come si possono dire queste cose. Ciò vuole dire che si è completamente perso l’immaginario, l’immagine stessa di qualsiasi realtà, la realtà. Dico vuol dire che quanto si parla non si sa cosa si dice e perché, e quel che si pensa in realtà non è proprio, non si può proprio considerare pensiero, è come un modo assurdo per controllare il pensiero, per il fatto che il pensiero non c’è. E se non sono automi costoro è solo perché sono fatti di carne, ma ci rendiamo conto che tutti siamo fatti di carne, o tessuto vitale come volete chiamarlo. Ma allora è il braccio che pensa e non la mente, e il sangue non circola nel corpo ma è fermo, perché non sa più quello che deve fare.
Albert E.
Parlate della luce o della pittura, perché così la coscienza du nné così. Perché se parlate della luce, esimio interlocutore, che magari stai qui davanti a me senza capire una parola, proprio come quella automa di cui parlava Little Big. Du nné la sua coscienza nelle braccia, o nel pensiero, o ha forse ancora inteso, che c’è qualcosa intorno al suo pensiero, che le spiega cos’è la vita e la morte, che le fa guardare quello che c’è da vedere, non sarà certo qualche innesto nel suo corpo a dirci che cosa è la nuova morale, a dirci che la tecnica dura di più e per questo la coscienza anche se non c’è, è superata dalla durata dell’ipotesi. Come se l’ipotesi non risieda dove la coscienza supera se stessa nello spirituale, e non in un ipotesi di coscienza come dire di essere andati contro un lampione e dopo avere sbattuto violentemente il corpo contro di esso, nel fatto che ci si è salvati, c’è l’ipotesi di coscienza, ma l’ipotesi di coscienza l’ha salvato dal lampione o da se stesso, cioè la sua esperienza è stata qualcosa del tutto fortuito, o le ha permesso di avere coscienza di quel che le stava accadendo? E dopo lei ha coscienza di quello che ha avuto tanto da avere esperienza di quel che è accaduto, o cerca soltanto un’interpretazione di quel che è accaduto? Una spiegazione che giustifichi soltanto al sua conoscenza di quel che è accaduto. E allora qual è la sua coscienza quello che è accaduto la spiegazione o la conoscenza, non le sembra che l’ipotesi più plausibile, non sia niente altro che un’insieme di queste cose, e che ciò in definitiva non basti a determinare un’ipotesi di coscienza, se non in ragione di un’ipotesi di conoscenza? E come spiega il ponderabile, con la casualità, con l’ipotesi di errore all’interno della casualità della realtà, data per conoscenza, o con l’incertezza che la conoscenza data sfugga alle regole della conoscenza data, come agente di un’ipotesi di coscienza che spieghi alla ragione le condizioni in cui si è determinata l’esperienza nell’ambito della conoscenza data, per mezzo della coscienza. E allora la coscienza poggia la sua conoscenza sull’esperienza, o sulla spiegazione dei fatti? O non forse proprio nella spiegazione dell’esperienza da parte della conoscenza della coscienza che ha avuto l’esperienza? Ma questa coscienza chi è che l’ha? Chi obbliga all’esperienza o chi conosce per esperienza la vita? E queste due cose perché in definitiva finiscono per compensarsi l’una nell’altra, non è forse l’impossibilità di compensazione, che genera la compensazione? Non è forse l’impossibilità della coscienza di capire tutto, che fa della compensazione uno strumento della conoscenza, più che un’osservazione per mezzo dell’esperienza che vive nella coscienza e non nella compensazione? Questa disperante scissione tra l’esperienza, la conoscenza e la coscienza, genera ciò che vi è di peggio nella cultura, una negazione continua, che rimbalza in variabili, tra di esse, in forma sempre più reticolare, fino all’esaurimento di ogni ipotesi di variabile così generatesi, per dar seguito ad un processo di compensazione associativa tra di essi, che ha la sua energia nella negazione stessa della separazione tra la vita e la morte, la coscienza perde sin anche l’ipotesi spirituale come compensazione tra il bene e il male, e nega ogni possibilità alla morte, ogni significato, negando la spiritualità della coscienza e la possibilità non di una spiegazione, ma l’accettazione da parte dell’esperienza della vita del fenomeno che non può avere ipotesi, del fenomeno che non può spiegare se stesso, ma che così non è diviso dalla realtà, che non può essere più soltanto conoscenza data. In quest’ambito la spiegazione non trova ambito, e l’esperienza si apre alla coscienza che non è più limitata, dal fenomeno, ma dalla spiritualità, che non può essere più spiegata, e completamente spiegata, dalla realtà data, e che nella conoscenza data trova coscienza dell’ipotesi di realtà, e dell’ipotesi di spiritualità, che non possono più essere conoscenza data della coscienza spirituale, perché il punto d’osservazione ha perso un su o un giù, ma è in tutto, e al di là del termine tutto, con un termine preciso a questo enunciato che non è più una parola, ma il suo significante, ed anche così questo è un reticolo che si rompe, la compensazione ha così già posto la sua fine.
Ora tornando a lei che sta leggendo, che dato i tempi dovrei, credo, adularla, per compensare la sua stupidità, e portarlo verso la mia convenienza e dare significato alla sua stupidità, in modo che possa identificarsi nella mia costruzione della realtà data, e poter continuare di rimbalzo associativo in rimbalzo associativo, come un demente quale, quasi sicuramente lei è. Le dico di rendersi conto della sua condizione, che praticamente è quella di un automa culturale, che nella separazione e negazione, si sente spinto tanto verso il basso, che trova un’energia delirante che lo fa sentire sempre più vicino al limite e al superamento di ogni gravità che gli impedisce di sollevarsi. Non c’è convenienza che le sto proponendo, è soltanto lei ad immaginarla, la sua realtà data, che camuffa la spiritualità in onnipotenza e pratiche superstiziose, né di conoscenza, né di spiegazione, tanto il suo immaginario spirituale è deteriorato dagli stimoli inconsulti che l’attraversano con il suo paradosso di consenso. E allora anche se vorrei considerarla sensato, come potrei dirle della pittura o della luce, dell’immagine e delle parole, la sua arte è mediocre delirio di convenienza, perché non dimentichi di essere un automa, per di più di carne.
Ralf Caustico
In effetti all’interno di questi pensieri automi, l’importante, forse non è rappresentabile nell’essere qualcosa, ma nella necessità di essere niente per essere tutto.
Partitura
Giotto – Botticelli – Leonardo Da Vinci – Michelangelo – Tiziano – Tintoretto – Cezanne – Van Gogh – Nadar –Malevic - Duchamp – Arte Povera - Frida Kahlo - Arte Aborigena – Arte Nativi D’America – Jackson Pollock - Artisti del sud Africa - Lucio Fontana - Luigi Nono - Nina Abramovic – Gilbert e George – Richard Long – Bill Viola e…
Partitura cinematografica di Blatero
L’immagine contemporanea del mondo
Non toccare la donna bianca.
Quinto potere.
Talk Radio.
Video Costanzo.
Doc Pelliccioli.
Escoriandoli.
Amarcord.
8 e mezzo.
Uccellacci Uccellini.
Alfa Tau.
Il trionfo della volontà.
Fascista.
Ladri di biciclette.
Miracolo a Milano.
La doppia vita di Veronica.
Film Rosso.
Film Blu.
Film Bianco.
Un mondo di marionette.
I bambini ci guardano.
Porcile.
Germania anno zero.
I demoni.
Doc Rossellini Rossellini.
La ballata di Stroszek.
Zapping sull’Informazione.
Doc Morte di Pasolini.
Doc Chi dice la verità è perduto.
Doc Pasolini e tv.
Non ricordo bene ma qui dovrebbe esserci, Simon del deserto.
Doc Caso Moro.
Doc intervista Biagi Berlusconi.
La Storia.
Note fuori partitura
Dove sognano le formiche verdi.
Tokio decadence.
Partitura di Albert E. su visione di Little Big
L’immagine [pittorica] nel mondo
L’illusione estetica Barcellona 1900.
Nan diu Paik.
Odissea delle lingue 1.
Basby Berkley.
India Cabaret.
Milos forman – A Journey.
Il bizzarro mondo di Ed Wood.
Non so a cosa assomiglio.
Stato di memoria.
Arte povera.
Marcel Duchamp.
Dalla poesia visiva all’arte totale.
Studio azzurro, 1e2.
Lotte Reiniger.
La doppia vita del signor Garcin.
Cezanne e Degas.
Rinascimento 1.
Le conquiste dell’arte occidentale: rinascimento, barocco, romanticismo.
L’arte nel terzo Raich.
La cappella Sistina.
Leonardo da Vinci.
Impressionisti e post impressionisti.
Rinascimento 2, Tiziano e Tintoretto.
Liberarsi dalla terra – Malevic.
Odissea delle lingue 1e2.
Roccocò.
Jackson Pollock.
American vision 1.
Wright, museo Gugghinaim.
Avanguardie russe.
Messico architettura murale.
Frida Kahlo.
Padre Arseni, la pittura delle icone.
Tristezza.
Lo sciamano non muore mai.
L’arte nel sud Africa.
Il mercato dei sogni.
Vita e arte di Chang dai Chien.
Leo Castelli.
Vita e morte dell’immagine.
Gli etruschi e il potere.
In posa.
La collezione di arte contemporanea di Arturo Sfharts.
Nina Abramovic 1.
Nina Abramovic.
Ulay in fotografia.
Mc Esher.
Alfred Steiglez.
Bresson.
Nadar.
Chi dove e quando, Lucio Fontana.
Luigi Nono, a Floresta.
Lee Stramber.
I misteri della scultura moderna.
Mister freedom o filip Jonson.
Gilbert e George.
Gli studi Barcello.
Daniel Lebeskind.
Peter Beard, l’africa e oltre.
Deserto blu.
Wiston Link, i treni che passano di notte.
The body arts.
Studio azzurro, tempi d’inganni.
Tatto international.
Sally man, legami di sangue.
Nan Golden.
David Lealy, The lady is a tramp.
Shalom gorowiz.
Woody Vasulka, the art of memory.
Brodway by light.
La coppia modello.
The sincronaizzer.
Deep.
“raintree contres ait”
scale.
Harold Pinter.
DV8 Phisical theatre.
Doc. Pinter.
Stazione soprelevata.
Viaggio sulla luna.
TV Dante.
Not Mozart.
Vertical Features.
Oltre il tempo del sogno.
The last of England.
The garden.
Amore vincitore.
Il deserto della memoria.
Il profetico uccello del dolore.
Mohamed Alì.
The French.
Chi sei tu Polly Magoo
Bennet Gordon, Black angels.
High School.
Low e Order.
Jeffrey Thomas, shooting Indians.
Trapiando consuzione e morte.
La violenza e la pietà, Michelangelo.
I colori del silenzio.
Canningham, cha… steps.
Trisha braon , Newark.
Amdia Allvar Valli.
Barbara Martitini, Morgacqua.
Cannigam e la tecnologia.
Street blus.
Ritratto Elfrida Wachtler.
Robert Crump.
Beat generation, Keroac e mario fontana.
Stivy reach, City life.
Steina vasulka, l’immagine e il suono.
(Taburo Maschirada. Orka.)
Guy Bourdin, dreamgirl fotografie.
Bruce Nauman, Make me think.
Il giorno della prima.
Bartabas.
Circo de soleil 2002.
Mariotti, tutta la cassetta con spot, Demitri.
Made in Japan.
Televisore e televisione.
Registrazione.
Pollock amore e morte a long island.
Film di Nanuth.
Peter watkins, eduard Munch. Fot. Immagini in divenire.
L’incidenza della catastrofe.
Raol.
Topo.
Van gogh.
Passaggio.
Vento.
Il tempo.
Abo.
Sept vision figitives.
La fuga.
Voige d’inver.
Ipotesi.
Hatsu yume.
Inorganico.
Cacofonia astratta per un’ipotesi improbabile.
Chottel dierid.
Bellissima.
Il mondo.
Marcel Duschamp 2 1968.
Adriana.
Video amatoriale.
Handycam.
Zapping sull’informazione.
La Storia.
Albert E.
L’immaginare il tutto, anche quando si è per lo più fatto uso dell’appunto, o scritto in grassetto per lasciare delle indicazioni in più sulla traccia.
Blatero
Che sia la pittura e la luce nell’arte.
Ralf Caustico
Non c’è sempre scritto l’autore e bisogna cercare per ricollocarlo, si può leggere una partiturA? Un tipo di partitura di questo tipo? Cosa vedo nella testa, con ciò che conosco e ciò che non conosco? E ciò che ascolto quale piano di lettura mi fa cercare?
Bernardo Joyce
Sentite non è proprio confacente il mio spirito, né piacevole continuare in questo modo, per me. E non sto dicendo a voi, miei compagni di viaggio, ma delle cose assurde che la quotidianità continua a propormi. Continuo a incontrare persone, completamente inglobate in una sorta di mobbing psicologico, e che ne so come volete chiamarlo, assurdamento personale, che l’unica cosa che li tiene insieme è una sorta di telepatizzazione intestinale, che tra un po’ diventerà anche essa a tal punto competitiva, chi ha defecato prima o chi ha avuto prima lo stimolo a farlo, tanto che non sapranno più, né perché farlo, né tanto meno dove e perché. Mi trovo, meglio mi è capitato di trovarmi sempre più soventemente in situazioni, dove il costrutto della strana confusione, che si vuole far passare conversazione, vieppiù avveniva in una sorta, di ripetitiva stagnazione delle cose da dire, in una ripetuta funzione dei termini sempre più associati, ad un ipotesi del discorso, che vieppiù verteva sulla possibilità che chi non partecipasse a questa sorta di omertà del dire, ma del non detto, in funzione di qualcosa da pensare, che fosse associabile immediatamente con quel che veniva pensato si dovesse dire, per rispondere alla domanda che non veniva mai fatta, ma a cui il rispondere attraverso, questo rapporto associativo, tra il non dire e il dire, doveva far dire il termine che doveva rappresentare il significato che si immaginava con quel termine stabilire alla coscienza di chi pronunciava quel termine, in risposta ad una domanda che non era mai stata né pronunciata né enunciata, ma immaginata e associata ai pensieri e alle emozioni, e ai gesti del proprio corpo, con il quale si cercava di indurre l’altro a pronunciare quel termine a provare un’emozioni a fare un gesto, e associare il tutto o tutto in parte al proprio pensiero, in una sorta di parallasse telepatica, di una visione interiore, che non aveva né interiorità, né intimità, ma una volontà di affermazione, e di potere sull’azioni e i pensieri dell’altro o altra, in una stimolazione a tal fine per un significato emotivo di controllo ed esaltazione, attraverso un non accadere, ed un compulsivo bisogno di ostacolare l’accadere, per affermare il proprio potere sul significato della realtà, come rappresentazione della volontà del proprio volere che accada ciò che la realtà e la verità accada, dentro e all’interno della relazione senza omertà o occultamento della domanda e della risposta, per mezzo della coscienza. La peculiarità di tale situazione è che il non sapere può essere occultato dal fatto che il volere conoscere, non è indispensabile al sentire dell’affermazione della proprio volontà, nei confronti di se stessi e gli altri e l’intera collettività umana e non, per mezzo di un’associazione immediata tra la volontà e un effetto possibile, a se stessi e alla collettivizzazione. E la conoscenza, l’intelligenza, la saggezza non sono determinati per l’esperienza, che vive di una memoria labile di tali esperienze umane, continuativamente annullate e sovrapposte l’una sulle altre, in una sorta di allontanamento emozionale e concettuale dalla realtà, immediata e della memoria, che così si auto riscrive continuativamente, a seconda del bisogno di appagamento della proprio volontà (del non accedere, all’accadere) né dell’immaginare che accada, ma che è accaduto come si immaginava dovesse accadere, anche se la domanda e la risposta, non corrispondono affatto alla verità, la realtà, né ai veri desideri di conoscere capire, o d’intimità.
Vi dico che accadeva, non perché ciò non accade più, tutt’altro, non accade più a me, o meglio sono perfettamente consapevole che l’immagine mentale del mio interlocutore, tende inevitabilmente a questo, e non ad altro e io non posso far altro che sapere quel che sta avvenendo, non è quel che si vuole che avvenga, perché non c’è una risposta e non può esserci una domanda. E per quanto la mia domanda è la più vera possibile, l’interlocutore cerca il controllo, sull’ipotesi stessa della mia domanda, immaginando un termine a cui associarsi per associarla al suo controllo, per il non accadere, e l’accedere del proprio non accadere, come rappresentazione della realtà attraverso di sé. Il gioco dell’uno in funzione dell’uno, ha bisogno che molti determino l’accadere in funzione di qualcosa che non accadde neanche a una persona quanto e con un’altra persona. Una maggioranza siffatta, può ben sì dire ad una persona cosa è la realtà, senza che questa in definitiva si sia ancora svegliata e magari fatto colazione, e magari mentre fa questo esprime un suo pensiero, forse un desiderio, ciò può essere un atto di libertà intollerabile. E allora come dicevo, sono un poco stufo, come si fa fare conversazione, o stabilire una relazione, quando si parla con una moltitudine di ipotesi associabili, ridotti a due o tre frammenti, che non si vuole pronunciare, perché non sono neanche personali, per non perdere il controllo, e che tendono solo a distruggere ed ad affermare la propria superiorità per mezzo dell’ignoranza, e della prevaricazione temporale del termine, senza significato né intimità!?
Insomma non ha proprio realtà, che ne so il fatto per esempio, che non si riesce a parlare concretamente con qualcuno, anche una donna, perché sembra di parlare con conclusioni in “sulle loro ipotesi, allusiva e pre astratta, in una sorta di telapatizzazione in ragione di tre.”
La medianità, ma!
Del resto dove mi sono visto in giro, io, la prima volta, in occasione di una mostra del fondatore del movimento minollico. Avevo avuto notizia del movimento minollico da un fax giuntomi, a casa, poco tempo prima, esso riportava il manifesto del movimento minollico. Lo scrittore in questione si esprimeva come critico, sui contenuti e non sul prezzo, che all’epoca era quantificato in, quante, pagine scritte, o una sorta di presenza. Dissi a lui dato che nel mio intervento era scritto in un dialogo con il suo, ché non sarei stato fisicamente presente alla mostra; di dire agli artisti di avermi conosciuto per caso in estate, durante le mie nuotate in mare. Un piccolo caso strano di quella mostra, fu la decisione, di non parlarne alla Rai locale, perché il termine “Televisione Puttana?”, non era appropriato a tal proposito. Vi leggo la parte dello scritto che recensiva la mostra, scritta dal critico.
Il punto interrogativo è lo spazio che circonda il dubbio, il vuoto presente, pieno della ricerca, l’ipotesi, il gesto che insegue la risposta. Quel punto interrogativo a termine della parola “puttana” è l’inizio di un’azione convulsa e composita, il traguardo che apre il suo sguardo verso un “possibile” ancora indefinito, un digitare tecnologico, ancora non ultimato; la televisione così “proclamata” non ha ancora annunziato il suo discorso definitivo su ciò che dovrà essere, coniugandosi abilmente, ma profanamente, con il termine “puttana?”
In questo contesto la televisione è istigata dal termine “puttana” all’agire, al mostrarci il motivo del suo esistere. Persuaditrice dei pensieri, del “visto” e “vedente” telespettatore; in realtà si offre ad esso in una sorta d’illusione apotropaica, nell’atto di una “profana” prostituzione che spezza gli equilibri, generando un’immagine stucchevole, ma appagante per gli istinti più biechi, del “vedente.”
“Televisione puttana?” il termine e l’azione così tornano in equilibrio, si intersecano all’atto creativo che genera: “Altro;” un’altra immagine un nuovo contenuto; il primato del “senso” sul formarsi dell’immagine semanticamente annullata dei raggi catodici del teleschermo.
La parola puttana e (?) l’interrogativo, hanno assolto il loro compito, annullando il vacuo del teleschermo. Hanno interrogato e “visto:” la televisione, per mostrarcene la nuda forma.
Attraverso il ricercare dell’arte, gli artisti che espongono, attraversano, un atto, proprio del gesto (mezzo) del guardare; e dove l’osservatore – “altro” – il telespettatore, diviene spettatore ed invitato ad interagire con il suo stesso, “compito” di “vedente,” per completare il senso “avvenuto” delle opere.
Non vi leggo tutte le mie brevi citazioni, incontrando la mostra che sono inserite nel testo che ho fatto con lui, ricordo le mie impressioni di osservatore, che in certo qual modo guardava e osservava: …Inizio ad osservare le opere continuando a leggere il testo della recensione di “Televisione puttana?” lui continua così: Dopo aver letto questo mio annuncio…
Monalisa
Un’’altra censura? Stavolta quale specie di associazione mentale hanno seguito, o che mezzo di relazioni e conoscenze?
Albert E.
Credo che siamo veramente all’interpretabile della futilità per l’acclarazione o del conoscersi associativo, o non so che cosa! Leggi un po’?
Monalisa
Norberto Bobbio: “Il problema della guerra e le vie della pace.”
Verso il pacifismo attivo
La guerra atomica ha fatto giustizia della maggior parte di
queste teorie giustificatrici. Non occorre, credo, una dimostrazione punto per
punto. Basti prendere una qualsiasi delle frasi citate nel paragrafo
precedente,
sostituirvi "guerra" con "guerra atomica" e si vedrà
l'effetto ora paradossale ora addirittura grottesco (la frase di Cousin
suonerebbe così: "La guerra non è altro che uno scambio sanguinoso di idee
a colpi di missili
intercontinentali con capsula atomica"). Per quel che riguarda il
contributo della guerra al progresso morale, assume valore di simbolo il caso
del maggiore Eatherly, quale è stato presentato e commentato da Gunther
Adres: il protagonista della guerra atomica sa benissimo di non essere un eroe,
perché gli si chiedono prestazioni che
stanno tra quelle dell'automa e quelle del campione sportivo. Ma poi, dopo il
fatto, scopre di essere un semplice ingranaggio, condizionato nelle sue
reazioni sino all'irresponsabilità, di un'immane macchina di morte. E allora
non soltanto sa di non essere un eroe, ma si accorge di essere un miserabile peccatore.
E si pente (per me "qui", più esatto si perde) e si consuma nel
rimorso sino all'orlo della follia.
Norberto Bobbio, la morte di un filosofo deve e dovrebbe
far pensare. Non può essere altrimenti. Ma la qualità del pensiero non può
eludere la sua valenza astratta, se non nel pensiero stesso, concreto del
filosofo. Da molto tempo ciò è divenuto impossibile, e non c'è proprio nulla
che riporti il senso dentro e al di là di se stesso, quanto nell'oggettività
del soggetto parlante, che in quanto pensante, fa del suo essere filosofo, la
filosofia che pensa, e che sa che non enuncia completamente. Questa è un'epoca,
sì, lontana che il pensare è affidato ad un gesticolare del corpo, con l'unico
scopo di farsi "guardare", per sapere di esistere, per poi non volere
sapere di essere ciechi, che non si sa vedere. E allora la parola e il
pensiero, acquisisce connotati pericolosi, per la più semplice azione umana e
del mondo in cui l'umanità è collocata. Si va "avanti" nella
comunicazione per associazioni verbali, qualunquismi dimostrativi, o
elogiativi, quanto più si voglia auto celebranti della vanagloria personale -
in alcuni casi del peggior necrofilismo - la forma più sofisticata, assume i
connotati della vanità della forma, e così non può che essere fuori dal
rispetto, per un'educazione oltraggiosa, quanto perfetta o imperfetta. Ci sono
piccoli pensieri in giro, perché ci sono piccole
persone - si distinguono l'un l'altro solo per il profitto e il potere, hanno
poco altro nella testa, e niente altro nel futuro. Non capisco casa hanno tutti
costoro da insegnare a Socrate, tanto "sono" e ovunque sono. Pertanto
ti lascio in pace, come ogni vero filosofo ha diritto di stare. Mi
prendo io l'oltraggio subito, per le tue parole che danno fastidio, e per chi,
come [La Stampa] ha deciso di censurare, forse ritenendole poca adatte, al
qualunquismo di un elogio funebre. Come dicevo, sono tempi di guerra.
Bernardo Joyce
In un certo qual modo potrebbe sembrare quello che stavo dicendo.
Blatero
Ho l’impressione che tutto quello che sta avvenendo non abbia più nessun connotato di esistenza, la rappresentazione di quel che accade, è qualcosa di completamente diverso dalla rappresentazione. Qualcosa un mondo che non esiste si manifesta per mostrarci soltanto ciò che di se stesso non vuole conoscere, l’atto della rappresentazione è in una sorta di partecipazione, che ignora tutto quello che dà spiegazione e significato, che cerca il motivo e la soluzione, che appunto rappresenta. Se ciò che si mostra è il male che non si rappresenta, quanto arduo può essere il percorso per riportare la vita in qualcosa che si rappresenta, nella realtà che ha un motivo e un significato, in ciò che non si identifica in una non rappresentazione, che muore nell’impossibilità di non saper vivere con ciò che non è rappresentabile nella soluzione, e ancor di più nella spiegazione del motivo. La conoscenza di fatto non può più non rappresentarsi, diventando essa stessa motivo di non rappresentazione, ma nella rappresentazione, il conoscere non può eludere il non rappresentabile, e per questo il silenzio che ne deriva è l’artefice stesso di ogni possibilità di rappresentazione. Perdere il silenzio equivale a dire di non potere più pensare, equivale a dire che il pensiero è soltanto manifesto, senza nessuna relazione con il resto della coscienza umana, l’essere umano “è” passivo dinnanzi alla non rappresentazione manifesta del male, né è succube manifestazione che non è in grado di rappresentarsi, né trovare una catarsi che lo affranchi dalle sue più assurde rappresentazioni, di omicidio e morte. Il silenzio.
Mi sembra di vedere il mondo rappresentato in una di quelle palline che rimbalzano in ogni direzione, ed essere finito nella tazza di un cesso, che per un fatto del tutto misterioso non galleggia, è una pallina leggera, e come affonda un mare di gente si tuffa nella tazza con lui, chi prima chi dopo, ma tutti fanno, hanno la stessa sorte, e mi chiedo, primo o poi qualcuno dovrà pure tirare lo sciacquone.
Ralf Caustico
In effetti sembra quasi stancante tutti ciò, tutta questa tragica ed inutile futilità.
Monalisa
Siamo finiti in una sorta di zona atarassica di aforismi complessi. In mancanza di una relazione tra la persona e la rappresentazione. È come se la pratica e la convenienza, si annullano e si estendono, annullandosi e possiamo dire riannullandosi tutti insieme con la spiegazione e la comunicazione. Di fatto siamo in un sostantivo che si sostantivizza in termini che non si rappresentano più, ma che si sostantivizzano vicendevolmente senza né un motivo né un’origine. In una sorta di pre origine di ritorno.
Albert E.
Di fatto per dare un esempio, vi è più che altro un tempo assente, che trova origine in un istante immediatamente precedente e immediatamente successivo, e così la rappresentazione dell’esempio è viepiù nella assenza della realtà che lo genera, perché non è più rappresentabile. La spiegazione di un aforisma complesso siffatto, è siffatto complesso proprio dalla spiegazione ch’è priva della realtà del motivo e del pensiero astratto, che domina ma non vuole conoscere. Ma vi è anche da dire che la complessità in atto è essa stessa trasformata in sostantivizzazzione, dalla non rappresentazione della ricerca del motivo, o spiegazione possibile, nell’impossibilità della conoscenza del silenzio, nel silenzio della parola, o comunicazione. Per non essere troppo semantici.
Little Big
Non posso che essere d’accordo, è proprio un finto caos, cervellotico, ed emotivo, ma senza cervello. È questa la cosa più strabiliante un caos riprodotto che non si rappresenta – essere o non essere – direbbe un teatrante, magari con la maschera di pulcinella. Ma dov’è il palcoscenico? È questo il più grande mistero per uno che fa teatro, che cosa deve rappresentare, e a chi? se non c’è più un rappresentabile. La gente! Riderebbe senza capire niente, o peggio credendo di aver capito; ma dato che non c’è un teatro, non uscirebbe mai con il pensiero, rimanendo prigioniera di questo ridere di terrore. Aforisma complesso sopra ad aforisma complesso. Ridendo di qualcosa che non immaginano essere loro stessi. E allora basterebbe dire che c’è chi cammina a testa in giù, e tutti a camminare a testa in giù, dicendo ma che pazzia camminare a testa in giù. O dire anche cose più sensate con esempi semplici per spigare cose complesse, che l’esempio avrebbe su costoro lo stesso effetto che camminare a testa in giù, tanto che nel discernimento di un pensiero reale quell’esempio è rappresentazione, dell’intera complessità dell’enunciato, ma dato che si è trasformato in un’appagante possibile controllo, per il fatto di essere diventato un aforisma complesso, privo di motivo e spiegazione, è facile esecuzione manifesta della propria volontà che si esplica, camminando a testa e giù e dicendo che quella è la parallassi esplicativa, del significato profondo e reale, della spiegazione e del motivo di essa. Ma la cosa strabiliante è che non capisco perché continuano a camminare a testa in giù, come non ne potessero fare a meno.
Bernardo Joyce
Guardate cosa ho letto nella rete telematica:
Mi sembra di vedere il mondo rappresentato in una di quelle palline che rimbalzano in ogni direzione, ed essere finito nella tazza di un cesso, che per un fatto del tutto misterioso non galleggia, è una pallina leggera, e come affonda un mare di gente si tuffa nella tazza con lui, chi prima chi dopo, ma tutti fanno, hanno la stessa sorte, e mi chiedo, primo o poi qualcuno dovrà pure tirare lo sciacquone.
Movimento Minollico
E firma dell’autore.
Blatero
Quando?
Bernardo Joyce
Qualche istante fa prima che Monalisa spegnesse quel coso.
Blatero
Ma l’ho detto, proprio allo stesso modo, qualche istante fa, qui, proprio io, come ha fatto a scriverlo.
Albert E.
In questo calderone medianico e medialogico è gioco forza nella soluzione del consenso. Credo non in questo caso, anzi quasi sicuramente. Ma immaginare milioni, già forse miliardi di persone che hanno bisogno di disindividualizzarsi attraverso un’emotività, collettivizzata per mezzo “uso” dei media televisivi, o degli oggetti tecnologici che usano, con un uso della coscienza intellettuale sempre più appagata dall’uso dell’oggetto, che dal loro possibile significato di individui che interagiscono con altri individui attraverso la coscienza, per dare un significato alla conoscenza e al comunicare, un senso alle loro emozioni e relazioni. Come dicevo vediamo ammucchiarsi consensi emotivi su frustrazioni emotive, un calderone medianico, quanto mediatico, e ancor di più senza senso: potere e non rappresentazione, pensiero irrapresentabile, senza tempo, senza nessuna percezione di esso, senza né sacro né profano, un magma inscindibile nella relazione, magma di non rappresentatività del consenso. Un tempo impazzito che si sta riproducendo sino alla saturazione, fino ad una sorta di fibrillazione gassosa del tempo emotivo, ma ha più senso pensare sino allo spegnimento del discernimento di ogni senso e significato. Una specie di prostituzione quotidiana di se stessi, senza che il prostituirsi abbia un oggetto nel significato, ma in assenza dell’astrazione stessa dell’oggetto in quanto rappresentazione, un tutt’uno con ciò che non esiste della non rappresentazione. L’atto e la volontà, sono virtuali e privi di responsabilità, il soggetto è pura finzione emotiva ed intellettuale, la coscienza superflua e fastidiosa per l’individuo, il suo vedersi riproducibile all’infinito in un gioco di “mediatici irriproducibile” all’infinito. Siamo già forse oltre l’oltre, nonostante ci sia ancora un punto d’osservazione che vede, ma che in definitiva non cambia i comportamenti, che parla ma non comunica con se stessa, che non si accorge e sottovaluta la propria debolezza, facendo finta di accorgersi. Credo appunto che questo essere con se stessa, non è una semplice espressione al femminile, ma una dimensione collettiva che vuole essere altro, ma che non sa essere diversa, che vuole essere se stessa, volendo solo essere diversa, per essere come tutti, ma ormai è un tutti che non riesce più a mediare con se stessi, perché è un tutto, solito irreversibile irrapresentabile. Un se stessi, cosi virtuale che non riesce più a scegliere, che non cerca più un se stesso, che non si accorge più di un suo senso e significato, che non ha più il coraggio della sua peculiare partecipazione, della responsabilità di dovere essere libero, al di là di un soggetto e un oggetto, nel paradosso di un individualismo collettivizzato, che interpreta la vita personale, come le conseguenze di un calcolo statistico irrapresentabile e compartecipe della coscienza che non si vuol vedere. Il Sé si rappresenta ancora e non può essere artificio dell’individuo ed è soggetto all’irresponsabilità del magma, ma è pur sempre ancora l’unica possibilità di rappresentazione, la mediazione tra l’apparire e l’essere, tra l’esserci e la visibilità, il rappresentabile che scruta il non rappresentabile, identificandolo, un passo uguale in una moltitudine di passi diversi.
Monalisa
In definitiva sembra bastare, e metaforicamente rappresentare come un qualsiasi pulsante di un elettrodomestico, che spento, spegne l’irrealtà del consenso dei pensieri. Quasi come dire che per far finire un’ipotesi o una irrealtà di coercizione basta scollegare, il funzionamento di un oggetto tecnologico. Eppure quasi tutti nel calderone mediatico sembrano avvertire sempre più chiaramente la sensazione che questo strano gioco non finisca mai, e che si sia costretti a parteciparvi, quasi che un’energia medianica affidata ad una identità così effimera per quanto, coinvolgente, nel non coinvolgere la reale responsabilità della persona, sia gioco forza determinante per quanto paradossalmente aleatoriamente responsabile, nel generare i pensieri e le reazioni emotive che danno un’ipotesi significato ai loro comportamenti, in cerca di un motivo, a cui nel modo più rapido possibile aderire. È come essere continuamente cliccati in una rete che ha superato i confini tecnologici dell’oggetto ed è entrata nei riflessi condizionanti della persona. Una molteplicità di reti nella rete delle reti dei pensieri. Per quanto si moltiplichino le ipotesi di scelta, in realtà si assiste ad un unico livello di relazioni associative e consensi, che tolgono ogni eterogeneità al piano della cultura umana, per proiettare questo esistente irreale sulla realtà, modificando le percezioni dell’individuo, per assoggettarle alla interpretazione del motivo della realtà che essi percepiscono come verità dell’istante al di là dell’istante, non come rappresentazione della realtà e dell’istante nella sua totalità della realtà percepibile e non. Viene meno il mistero, la certezza, e la consapevolezza, l’invisibile come il visibile, la tangibilità come l’intangibile. Le immagini acquisiscono un’immediatezza irriverente della realtà, che non sa più leggere nella verità, al di là di un’interpretazione di un istante senza morte, né eternità. Le parole e i pensieri sono conseguenza di questo e le interpretazioni della comunicazione cercano una soluzione, al di là di cosa sia una soluzione, di cosa implichi ciò, per quel che si conosce e quel che non si conosce, di quel che si cerca di capire e l’accettazione di quel che non si comprende, come risoluzione dei limiti, e affrancamento dalla certezza delle ipotesi.
Albert E.
In questo tentativo di superare la gravità, è come pensare che se Niuton, ha avuto bisogno che gli cadesse una mela in testa per darne una spiegazione, molti altri per capirla hanno bisogno si spaccare l’atomo, o meglio la coscienza insieme ad esso, per generare un significato e un motivo al rinnovarsi dell’esperienza in funzione dell’irrealtà che si determina da un volere reale per il significato dello spazio e tempo, in questo modo di non rappresentazione, irrapresentabile. Quasi un Zeno Cosini, di Svevo, che nell’impossibilità di rappresentare altre immagini, vede al di là della sua coscienza immensi ordigni, che esplosioni, oltre gli ordigni umani, con la terra che torna una nebulosa, che errerà nei cieli, priva di parassiti e malattie. Un assunto paradossale che fa della coscienza l’ipotesi per sopperire all’inevitabile conseguenza del tempo della morte, un avvertimento post datato, che rinnova il suo timbro, fin quanto ci sarà una cultura che sappia affrontarsi, e non uccidersi.
Blatero
Insomma la multitematicità o monotematicità tecnologica informativa, in definitiva è diventato un assurdo culturale, soggetto alla irrapresentabilita della forma mentis, come coscienza e conoscenza, sia tattile che astratta. È un po’ come dire che se non si bruciano i libri, però si forma la coscienza non già tra un rapporto tra la consapevolezza e la ricerca del pensiero, e il suo punto di libertà, ma attraverso “l’acclarazione surrettizia” del consenso sulle scelte della coscienza, in definitiva così non è proprio più esplicativo quale sia l’affrontarsi culturale, se un’ideale umano, un’utopia ideologica, o molto più espleticamente, l’affermazione dell’irrapresentabile, per mezzo della futilità del prodotto artistico, nella ideologizzazione del consenso per mezzo dell’oggetto, come contenuto conveniente dell’irrapresentabilità di un’ipotesi di consenso nell’irrealtà. Di fatto il piano culturale dell’arte è altro, rispetto a ciò, se pensiamo all’assunto del personaggio di Svevo, e non può essere certo nella conclamazione del suo evento come espressione paritetica, non di libertà, ma di similitudine del consenso culturale, come quello in cui i libri venivano bruciati anche fisicamente, per e data la possibilità di lettura che vi era è”in essi.
Ralf Caustico
Di fatto, o insomma, senza l’arte, o con il suo decadere e “morte” l’uomo stesso cessa di poter rappresentarsi nella sua autenticità, perché l’arte è la rappresentazione morale di tutta la realtà, sia umana che animale, e non può esserci nessun altra spiritualità nell’artista che essere tale anche in assenza dell’oggetto rappresentativo dell’arte, nella coscienza di vedere il mondo e se stesso, nel mondo che rappresenta, anche in assenza dell’oggetto astratto della coscienza rappresentata!?
…e Dio, credo che ci riguardi, ma non può certo stare dentro che dicasi ci compete, e non so certo quanto e in che modo vogliamo ridurlo in questo assurdo culturale del competere.
Bernardo Joyce
Che that que was que que Giorno day jour tang día dia Oggi today aujourd’hui heute hoy hoje? Un one un eins un um Bel fine beau schönes buen bom Giorno day jour tang día dia!
Oggi è una bella giornata?
Little Big
Insomma sembra che il mondo sia attraversato, da una sorta di follia, o meglio demenza razzistica, che assomma e ripete tutte quelle passate, magari come se fossero qualcosa di diverso da quelle che sono ora o da chi le fa, come se non fosse sempre e soltanto una questione umana, ché se basta mettergli una targhetta sotto, ci si dà un’assoluzione aeternum per ovunque e chiunque abbia questa targhetta, al di là di chi muore e chi vive. Se non fosse una tragedia, direi che siamo al razzismo della targhetta, una targhetta così invisibile che chiunque se la mette sembra dirsi io sono diverso, e non sarò mai razzista, ma poi si comprende quale sia la differenza, tutta nell’uso del potere, per dire agli altri che devono essere diversi, perché la diversità è uguaglianza, e c’è bisogno di qualcuno ch’è diverso, per forza o per ragione di essa. E la loro assurdità è così incontrollata, quanto determinata dal potere che la loro paura più grande, si diffonde, più delle loro intenzioni, perché quello che vogliono che il mondo sia e ancor di più deve essere, è la loro paura incontrollata che quello che pensano non è ciò che immaginano. Ma quando questa non ipotesi di pensiero, che non è più di nessuno, che si svolge irrapresentabile sulla rappresentazione dello spazio e del tempo, in un luogo come in un altro, senza che esso trovi o non trovi, in questa epoca si accende una vacuità della coscienza, una irrilevanza della consapevolezza, che ogni realtà si perde nella paura della propria immaginazione, la violenza che da essa genera, distrugge ogni disuguaglianza, dando all’illusione un’immagine di realtà ancora più vacua, e una parvenza di ineluttabilità della coscienza, una soluzione senza perché, un’illusione sulle conseguenze ultime, oltre l’immaginario, la superficialità ha un contenuto, superiore alla realtà del termine superficialità, che per vieppiù disciolto in ogni illusione razzistica di non razzismo, fino ad un raziocinio razzistico che ne giustifica le conseguenze. La minaccia incombe ed è palese e vuole l’onnipotenza.
Forse parlando in questo modo mi sono un po’ distratto, perché quello che avevo in mente di dire che l’odio per l’odio, mai è stato più privo di percezione e vacuità, quanto per questo ritenerlo necessario, perché inevitabile, il male minore, perché la paura di scoprire e sapere, che ciò che pensiamo non è ciò che costoro immaginano, ancora una volta dà all’irrapresentabilità l’acclarazione della certezza come controllo delle conseguenze inevitabili, e assistiamo a una situazione dove il denaro per il denaro, il potere per il potere, la menzogna per la menzogna, servono a dire che l’imperfezione delle regole economiche, non hanno ragione di essere, perché le soluzioni sono non più affidate ad altro che al mezzo con il quale tali regole al di là di ogni morale umana, “non tengono conto soltanto del potere che esse determinano, nell’ambito della convenienza del potere, come libero arbitrio del potere del denaro in se stesso, e del potere in sé. Un oggetto irrapresentabile della percezione della coscienza al di là della realtà della coscienza. Tale stato attuale è così irrapresentabile, che il potere lo asservì per ignorare la soluzione reale dei problemi per mezzo della conoscenza, in maggior modo di quelli pratici della sopravvivenza materiale, in una sorta di inconscio dominio sul volere, per il volere dell’immaginario dell’oggetto e della sua esistenza al di là della realtà empirica del pensiero umano, e delle soluzioni trovate . La coscienza siffatta sembra non abbia avuto altra realtà che quella di adeguarsi alla volontà, più che al sentire dell’individuo come ascoltatore di se stesso e del mondo circostante, come parlante che comunica.
Insomma credo di essermi spiegato.
Monalisa
Che that que was que que Giorno day jour tang día dia Oggi today aujourd’hui heute hoy hoje! Un one un eins un um Bel tempo fine weather beau temps schönes Wetter buen tiempo bom tempo?
Che bella giornata oggi?!
Albert E.
In sostanza tutto il determinasi umano è ancora, in quella spugna di aceto data per acqua, quasi che dovesse dimostrare ancora a chi?
Bernardo Joyce
Se la mancanza d’amore è nella conoscenza, può in quello stesso luogo esserci un dialogo che si ponga nella conversazione, con la conversazione e nella comunicazione con la conoscenza, senza che in definitiva negando l’amore neghi essa stessa - e forse – eluda la stessa capacità del possibile per mezzo della conoscenza, a favore del potere su di essa, come possibilità di relazione.? Di fatto già in questo che ho detto vi è il tentativo, di salvare la mancanza d’amore, come possibilità ancora possibile di ristabilirlo affinché tutto ciò sia possibile, e in definitiva il possibile stesso contenga in sé il sé della sua realtà: il possibile è incredibile in quanto possibile, ed è possibile in quanto non ha bisogno di un altro impossibile. Ma se già come ho detto nel tentativo esplicativo della ricerca del naturale possibile della conoscenza per mezzo dell’amore, la mancanza d’amore determina un fatto proprio della mancanza d’amore, in un possibile impossibile, che cercano ancora di essere nel possibile, tra il mondo dell’individuo e il mondo degli individui, c’è il fatto che già nella mancanza d’amore, l’impossibile altro si manifesta, non soltanto per determinare il possibile, ma per rendere impossibile il possibile, come fenomeno e non più fatto privo di incredibile. Il naturale e scrutabile possibile, non stupisce più, quasi non dà più nessuna sensazione, perché esso stesso che per sua naturale espressione non manifesta nessuna funzione, le ha tutte senza che abbia bisogno di tale termine per manifestarle, e allora la parola che è espressione del possibile è manifesta in quanto colui che l’ascolta, la creda impossibile, più che possibile e possibilità di un autore, che parla con il possibile stupendosi del suo incredibile naturale, in una conversazione che fa della relazione tramite essa, un motivo d’esperienza, nell’incredibile del possibile. l’impossibile altro, in sostanza nega che anche nel possibile c’è l’incredibile e non la paura di esso, della libertà che supera il controllo e il dominio. L’impossibile altro fa del controllo e delle possibilità che si possono esprimere attraverso di esso, la possibilità di stupirsi del proprio fare al di là del conoscere e dell’amore che contiene il conoscere – la conversazione viene presa, badate non lascia, il posto, viene presa per confronto, senza che sia più tale, ma espressione delle sensazioni del fare, e che spiegano l’impossibilità del possibile, per mezzo della convenienza, dell’impossibile altro, sul dominio delle possibilità del possibile naturale e infinitamente scrutabile, che non suscitano stupore in quanto confronto con “il volere e il conoscere del possibile” ch’è incredibile quanto impossibile immaginabile possibile. La credenza del fare è credenza del volere solo quanto, solo quanto il fare si stupisce di ciò che crede di volere fare, in quanto non possibile, sempre ignorando tutto quello ch’è possibile e che avviene e che non conosce, senza conversazione né relazione, con l’infinito possibile naturale, o con chi ne è partecipe.
Little Big
Ma così applicare le soluzione che il possibile ha il sé diventa non solo impossibile, ma anche poco conveniente sia per i sensi che per la ragione, ed è come se la spiritualità stesse tutta in un sasso, o meglio dall’uso di chi possiede questo sasso e che decide a cosa debba servigli, per avere potere, quasi che questo sasso, non sia stato qualcosa prima che lui lo trovasse, e poi magari se ne appropriasse. E non si capisce se lo abbia scelto per contemplarlo o per farne un’ascia, per usare in che modo. Ma questo è un vincolo da cui non se ne esce, mai, si stanno sempre a fare gli stessi errori. Se questo è l’impossibile altro, è un continuo ripetersi, fino a quanto, anche il possibile naturale, ancora più naturalmente, ti fa vedere o immaginare delle soluzioni, ma per continuare in quel modo, si fanno finta che non esistono, nonostante che la realtà le mostri in modo ineludibile. Così non si fa che provare sempre le stesse emozioni, e i pensieri stanno sempre ad elucubrare le stesse cose e i comportamenti non sono più simili, ma ossessivi e coattivi, e quel che accade non è più neanche illusione, quasi neanche irreale, ma qualcosa senza né origine né fine, né causa né conseguenza, ma soltanto eternità di un istante senza coscienza, che cerca una qualsiasi espressione di volontà, che sia percepibile a se stessi e a tutta tutto l’impossibile altro, unica rappresentazione di tutto il possibile irreale, una conversazione con nessuno né con se stessi, nella paura che fa finta d’ignorarsi.
Albert E.
Non si può parlare, in realtà, più – con nessuno?
Ma continuamente!
Monalisa
Ma con chi parla, si è ascoltatori.
Bernardo Joyce
Leggere o parlare, capire ascoltare, sentire ascoltare leggere e toccare, e immaginare e leggere e scrivere, e sentire poi toccare e poi parlare e capire, e parlare e leggere e scrivere e toccare e parlare e leggere e immaginare, e parlare e toccare e scrivere, capire, parlare e immaginare e parlare e scrivere e toccare, e silenzio scrivere e capire e ascoltare e toccare.
L’amore è imperscrutabile o anche nella letteratura è esso stesso espressione di se stesso, anche se appare imperscrutabile, e in definitiva fin dove esso è tale, e perché vogliamo che lo sia? ma è poi un volere questo, o anche questo sovente non è altro, che l’impossibile altro, in un certo qual modo, che vede un’applicazione interpretativa più che un tutto, sia esso interpretato dallo scrivere dell’autore, sia esso interpretazione, del dialogo complessivo del lettore, che con l’impossibile altro interpreta l’autore, o l’opera, che non è possibile se non in codesta interpretazione. Se la letteratura ha una sua ragion d’essere, è nel possibile in quanto lettura che scruta, il possibile, l’amore imperscrutabile, ma possibile, un reale d’amore al di là del segno scritto che lo rappresenta, nella rappresentazione, ma per questo possibile per esso stesso letto e possibile nella rappresentazione. Se nello scrivere vi è il raccontare, vi è l’accadere come impossibile del possibile, incredibile immaginabile, del reale dell’accadere possibile del sapere, del capire e del conoscere, l’amore imperscrutabile, in ogni tempo della rappresentazione, e oltre il tempo di essa: L’Amore
Per esempio, se l’apostolo Giovanni si rivolge “allo scrittore” – in Marco la parola scritta chiama verso la lettura quant’anche il lettore non fosse scrittore, e si rappresentasse il mondo e il tempo siffatto – dove in “questo luogo di ciò” in Giovanni cessa lo stesso scrivere – in una forma libera della parola. Dal vangelo di Marco
La distruzione del tempio
Mentre usciva dal tempio, gli dice uno dei suoi discepoli: “Maestro, guarda che pietre e che costruzioni! ”. E Gesù gli disse: “Vedi queste grandi costruzioni? Non resterà pietra su pietra che non sia distrutta”. E sedutosi sul Monte degli Ulivi, di fronte al tempio, l’interrogavano in disparte Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea: “Dicci quando accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando tutte queste cose cominceranno a compiersi?”. E Gesù comincio a dire loro: “Badate che qualcuno non vi tragga in errore. Verranno molti in nome mio, dicendo: sono io. E inganneranno molti. E quanto sentirete guerre e rumori, non vi turbate. Infatti deve accadere, ma non è ancora la fine, poiché si solleverà gente contro gente e regno contro regno. Vi saranno terremoti in vari luoghi e vi saranno carestie: queste cose sono l’inizio dei dolori”.
Persecuzione contro i fedeli
“State attenti a voi stessi: Vi condurranno nei sinedri, sarete flagellati nelle sinagoghe e per causa mia comparirete davanti a governatori e re, in testimonianza, davanti a loro. Prima però bisogna che il vangelo sia predicato a tutte le genti. E quando vi condurranno per consegnarvi, non preoccupatevi di ciò che direte, ma ciò che a voi sarà ispirato in quel momento, quello direte, poiché non siete voi a parlare ma lo spirito santo. Allora il fratello consegnerà il fratello per essere messo a morte e il padre il figlio e il figli insorgeranno verso i genitori e li uccideranno, e voi sarete odiati da tutti a causa del mio nome, ma chi avrà perseverato sino alla fine, questi sarà salvo.”
La grande tribolazione
“Quando poi vedrete l’abominazione della desolazione posta là dove non deve stare, il lettore intenda, allora quelli che sono nella Giudea fugano verso i monti, chi è sul terrazzo non scenda e non entri per prendere alcunché dalla sua casa e chi è nel campo non torni indietro per prendere il suo mantello. Ma guai alle incinte e a quelle che allattano in quei giorni. Pregate dunque che non accada d’inverno, poiché quei giorni saranno di tale tribolazione quale non ve ne fu mai dal principio della creazione fatta da Dio fino ad ora, né più ci sarà. E se il signore non avesse abbreviato quei giorni, nessuna carne sarebbe salvata, ma in grazie degli eletti che esso a scelto, ha abbreviato quei giorni. E allora, se qualcuno vi dirà: Ecco qui il Cristo, eccolo là, non gli credete, perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno segni e prodigi per ingannare, se possibile, gli stessi eletti. Ma voi state attenti: ecco, vi ho predetto tutto.”
La venuta del Figlio del l’uomo
“Ma in quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo, le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte, e allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. E allora manderà gli angeli radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo. Dal fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e mette le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi, quando vedrete accadere queste cose, sappiate ch’è vicino, alle porte. In verità vi dico: Non passerà questa generazione, che tutto ciò sarà avvenuto, il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.”
Esortazione alla vigilanza
“Riguardo poi a quel giorno o a quell’ora, nessuno sa niente, neppure gli angeli che sono in cielo, né il Figlio, ma solo il Padre. State attenti vegliate, perché non sapete quando sarà il momento. È come un uomo partito per un viaggio, che ha lasciato la sua casa e ha dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il proprio compito e al portinaio ha raccomandato di vegliare. Vegliate dunque, perché non sapete quando verrà il padrone della casa, se la sera, a mezzanotte, al canto del gallo o la mattina, affinché venendo all’improvviso, non vi trovi a dormire. E ciò che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate.”
…volevo parlarvi, parlare di come sia possibile costruire una “televisione ologramma”.
Blatero
Ma ormai si stanno ammazzando gli uni con gli altri, ce la facciamo e ce la guardiamo, come in definitiva ci facessimo un quadro, perché certo non possiamo rimanere immersi in questa follia che si sta compiendo.
Little Big
Se le persone sono come si stanno esse stesse definendo, anche con il televisore ologramma, si cambi radicalmente la sostanza dei fatti che accadono. È quello che accade ora che si crea qualcosa che dia un nuovo effetto alle percezioni, perché così si spera che la gente cambi il modo di ragionare, che riesca a capire di più quel che le accade ed essere per questo più libera; se la coscienza è quella di mentire il risultato sarà sempre lo stesso. Ma non vedete come sono ridotte, non fanno continuamente che muovere la levetta per avere la ricompensa. E mentre lo fanno credono di essere loro quelli che condizionano gli altri, e per crederlo quando dicono che si è prodotto l’effetto che volevano, in sostanza quello che credono sia la ricompensa, l’unica cosa che riescono a fare è associare al muovere la levetta, questo nuovo effetto con cui sono costretti ancora di più a muovere la levetta, per avere un effetto che gli faccia sentire la ricompensa, la loro presenza. E non è di certo palese chi sia il pubblicitario ecc. il prodotto e chi percepisce chi e cosa e quando, e tutti insieme stanno lì a muovere la levetta, una solo casa è cambiata senza che se ne accorgessero, oramai sono essi stessi la levetta che viene mossa e che vuole muovere, e sono così presi da ciò che quel che credono di poter fare ad ogni effetto che guardano, è pensare di potere rifiutare la gratificazione dell’effetto prodotto dal muoversi della levetta, perché ciò da più forza al proprio effetto. E sono talmente convinti di ciò che credono ciecamente che quel loro muovere la levetta produca lo stesso pensiero che loro immaginano, “in chi hanno rifiutato la ricompensa, o con un altro effetto credono di avere dato”.
Ma poi dico io, da che mondo e mondo il senso delle cose non è sempre stato quello di essere liberi senza condizionamenti e non è stato sempre considerato intelligente chi non in funzione del denaro e del potere, riusciva ad affrancarsi dal denaro, per la qualità della vita, e la cretineria non è proprio il contrario di questo. E in questa epoca che ciò, teoricamente è praticabile, in modo eterogeneo dalle persone, costruire un mondo sul non significato della levetta, non è autodistruggersi. Voglio anche dire il senso dell’economia non è proprio nell’espressione di dare possibilità al di là della funzione del denaro cercando di affrancarsi da esso, l’espressione dell’intelligenza al di là dei gradi di libertà, nella libertà.
Blatero
Gestione e determinazione, gestione e determinazione dell’esperienza – con mezzi e tecniche dell’interpretazione e percezione (coercizione della realtà per mezzo della “menzogna” – [dell’irrappresentabile rappresentabile] nella spiegazione per la determinazione della volontà per emotiva percezione dell’interpretazione della volontà e della spiegazione. redeterminazione della realtà e sua ineluttabilità e convenienza e bene. Determinazione dell’interpretazione nell’esperienza – atarassia emotiva – e “controllo della percezione” sul significato dell’interpretazione dell’esperienza. Caos del significato, della percezione e della volontà dell’interpretazione. Controllo e determinazione della volontà “in apparente e in assenza di controllo” – senza la percezione del significato e senso dell’esperienza – adesione alla spiegazione emotiva prioritaria in quanto interpretabile come possibile perché realizzabile - azioni emotive atarassiche per l’affermazione della propria volontà come realtà – prevaricazione incondizionata sull’esperienza per mezzo dell’emotivizzazione dominante, individualmente autodeterminatasi nella partecipazione al consenso, atarassico intellettuale emotivo della spiegazione della realtà – come conseguenza logica al di là della causa – spiegazione della soluzione della causa – Atarassia intellettuale ed emotiva dell’esistenza del motivo – e convenienza della spiegazione degli effetti che determinano la causa – creazione degli effetti – conseguenze per indicatori emotivi e intellettuali delle ragioni delle azioni – determinazione di cosa? – del potere della volontà dell’atto nella convenienza dell’appagamento – Occultamento – ramificazione del consenso irrealtà guerra morte morte guerra – dominio e potere distruzione della realtà nell’irrapresentabile. [interpretazione diviene interpretabilità]
Ralf Caustico
E già, nel razzismo si dà una identità e nome alle vittime di esso, per meglio applicarlo – ma le vittime per mille volte si chiami sono sempre le stesse e i nomi finiscono per non rappresentare più le stesse persone – sia si chiamino in un modo o in un altro – “manca sempre l’essere umano.
Albert E.
Riempirsi la pancia – e crearsi delle nevrosi per stabilire la forma di coscienza . razzismo verso chi dice la verità, ma non è consenso di effetti irreali. Ormai anche la più grande indifferenza è innaturale, ma provocata e controllata, o generata con questa illusione.
Oggi senza fede sia essa fede in Dio o possibilità di non “riuscire ad averla”, non si percepisce né la dittatura né il male, in mancanza di fede, anzi lo si attribuisce in bene.
Monalisa
La comunicazione una sorta di mobbing, per sorta di effetti psicologici, fine a fine, a se stessi – con lo scopo di produrre un effetto percepibile come attributo del proprio volere, che cerca consenso. Ogni gesto ed ogni movimento – e pensiero associato all’appagamento dell’affermarsi. “odio emotivizzato”, in interpretazione percepibilità..
Ralf Caustico
In definitiva ti fanno odiare pure la pioggia, se una persona qualsiasi è sotto la pioggia, con l’impermeabile e l’ombrello che non è tanto sicuro per quel tipo di pioggia, tanto che finirà anche per bagnarsi, con un luogo comune dice piove governo ladro. Poi quella stessa persona o un’altra, si trova senza vestiti e senza ombrello sotto la pioggia e dice piove governo ladro, la sostanza non cambia anche se l’ineluttabile è stato affrontato in modo diverso, prima con troppe tasse, e dopo senza, tutto questo attraverso lo stesso consenso, che più faceva freddo e più si rafforzava, tanto che il dubbio legittimo è chi rappresenta il governo, e perché si dice al tipo sotto la pioggia che non c’era niente altro da fare, e per consolarlo gli si dice che fa parte anche lui del governo ladro e lo si sbatte il galera, l’unico posto dove può ancora riparasi, perché metaforicamente è l’unica abitazione che riesce a permettersi. E tutto questo diventa palese e naturale, l’esperienza è perfettamente uniformata al consenso, tanto che l’informazione che deriva da ciò, e la comunicazione, trova anche una mediazione nel raccontare a chi sta in quel momento morendo d’inedia perché sta morendo di fame, come se ciò fosse qualcosa che non lo riguarda. Per intendere che chi scrive, vive nel mondo della testa dove va tutto bene, in una sorta, e fare volontariato per far intendere a chi legge che si sa scrivere e che lui sa leggere – perché questo scrivere non ci sta proprio in mezzo ai problemi.
Bernardo Joyce
Scrivere e semantica. “So perché la mia penna va in un verso o in un altro, e perché. se percepissi un grado superiore di libertà, valenza sociale, non vi sarebbe scrivere. Scrivere è essere in contatto con se stessi, con tutto e con tutti e con Dio. Essendo scrittore percepisco prima quando una qualche “forma dittatoriale vuol determinarsi per “grado”. Il suo gioco è quello di determinare una valenza senza che la penna si accorga di nulla o inconsciamente.
Naturalmente non sto parlando di ciò che sto firmando “?” perché se in questo modo tu sentissi la tua penna, e c’è bisogno di dire ciò, vuol dire che sta già accadendo ed è forse troppo tardi: anche quando tra un po’ lei si dimenticherà, o si cercherà di ricordare in ogni modo.”
La libertà non ha gradi, ed è proprio questa l’illusione che vuol trasmettere alla penna la dittatura. E i “gradi” agiscono per “volontà frustrata” o non volontà, contro la libertà.
Ma state a sentire come ho in mente, che potrebbe essere costruito un televisore ologramma
Monalisa
E se dopo non funziona?
Ralf Caustico
Sei sicuro che ti conviene?
Albert E.
Non facciamo finta di essere nel mondo dei cretini, magari pieni di consenso, dove alla risposta a, vi è già la risposta b, e si conversa per sequenze stabilite di domande e risposte, senza ché ci sia un che né dell’esperienza né un ché nel dialogo, una sorta di relazione sulla base di una telepatizzazione convenzionata su chi è più furbo a indurre l’altro a di che e cosa, per rendere relativo perché, dove e quando, come se che ciò fosse stabilito da un’espressione associata, o post moderna citazione, in termini di richiamo verbale del termine associato. E già questo stimola l’ascoltatore al rimando associativo, per il controllo del perché è di qualità quello che sta facendo, anche se non sappiamo d cosa stiamo parlando. E allora sei sicuro e ti conviene, è tutto il riamando associativo del discorso, e della non conversazione e del non fare insieme, continuo della relazione perpetuante, facente durare quel che sembra esistere.
Bernardo Joyce
Di fatto se pensiamo ad un ologramma, pensiamo al realismo dell’immagine tridimensionale, alla percezione stessa di tale immagine
Blatero
Pensa che sarà percepito il logo delle rete della stazione televisiva, di che colora sarà fatto, anche quello sistema divenuto in uso per sensibilizzare le persone al disturbo, e magari all’associazione per mezzo del colore.
Little Big
Ma quella cosa fastidiosa non si era detto che servisse, per dire quale canale si stava guardando!
Bernardo Joyce
Facciamo meno ironia. Come ho detto la percezione dell’immagini tridimensionale è la peculiarità della televisione ologramma. Se pensiamo ad un ologramma, la cosa dell’oggetto che mi stupisce, è che se si prende una lastra impressa con questo sistema, e la si rompe il frammento di essa mostra ugualmente l’intera immagine, e la percezione che sembra di sfocatura, più il frammento è piccolo dell’immagine, a ben riflettere più che una sfocatura percettiva, assomiglia o forse è la mancanza stessa di ciò ch’è sempre stato invisibile, anche prima che si rompesse la lastra, come se la summa delle infinite immagini impresse nella lastra, evidenziassero una frequenza altra della luce espressa dal laser e impressa, o incisa sulla lastra. La caratteristica della luce del laser è quella di essere controllata e di contenere nello spazio le frequenze che la compongono. Nella realizzazione dell’ologramma la luce laser viene divisa e per mezzo di un progetto di riflessione il raggio diviso si incontra nuovamente, dopo che possiamo dire ha attraversato, l’immagine che si vuole realizzare, ch’è bidimensionale, nell’espressione di tutte queste frequenze nella luce laser, che incrociandosi di nuovo in un raggio unico ha in sé le proprietà della luce per mezzo della luce laser dei colori dell’immagine da riprodurre. E qui per me succede quello che io chiamo l’infinito possibile della costruzione della forma per mezzo della rappresentazione della luce. Per me a ben vedere, le frequenze, tutte le frequenze generatesi, riproducono ognuna per proprio conto, una memoria dell’immagine, che espressa per la sua infinità di volte, danno al tutto uno l’aspetto della tridimensionalità, per mezzo delle frequenze della luce, che si riproducono oltre la visibilità. Di fatto la rappresentazione è tra l’analogia tra l’esistenza della luce e la sua visibilità. In questo momento se pensiamo che per un televisore ogni pixel dovrebbe essere e riesprimere tutto il punto di luce laser con tutto quel che vi è al suo interno, e questo per ogni punto dell’immagine, è evidente che dovremmo usare processori digitali oltremodo potenti, e direi uno per ogni pixel. Ma se noi ci atteniamo alla velocità della luce, e al processo di rappresentazione analogico percettivo, ci troviamo ad usare la luce stessa come espressione di se stessa. E allora immaginiamo un televisore composto da pixel, ognuno più fine di un capello, dove sono contenute in ognuno di essi non solo le informazioni, di ogni punto dell’immagine, ma oltre questo in ogni pixel l’intera immagine, riprodotta attraverso il raggio laser finale per la realizzazione dell’immagine da riprodurre tridimensionalmente. Come avete capito i pixel siffatti sono ognuno una fibra ottica, e tutti i pixel dello schermo ricevono, ognuno riceve la luce del laser finale la cattura dell’immagine, per mezzo stesso di un filo o fili ottico che li attraversa tutti, mandando ad ognuno la luce laser. Il processore ottico da cui scaturisce l’immagine finale sarà a proprietà di un minuscolo quanto ad altissima definizione di un televisore, da cui il laser dividendosi realizzerà l’immagine in movimento finale da inviare ai pixel ottici. Mi sono anche chiesto se con le opportune soluzione sullo schermo, non si riesca, forse con l’ausilio di un laser al silicio, che aumenta la luce all’interno della velocità della luce, di fare in modo che i pixel ottici dello schermo riescano a proiettare a seconda di un controllo luminoso queste frequenza organiche della luce laser all’esterno del teleschermo, creando un’immagine tridimensionale nello spazio. E ciò è già possibile iniziare a costruircelo.
Ralf Caustico
Ma con il mondo che abbiamo intorno, sentirai gli ostacoli, fosse troppa fatica, superare la cretineria mediatica!?
Guardando al cretineria che si propaga, tra gli individui, com’è che quella sorta di effetto del mobbing, attecchisca e si consolidi nell’omologazione, e riflettendo sono giunto alla considerazione ch’è proprio della possibilità poter essere facilmente cretini ed ottenere per questo consenso, che poi questa, non so se poi sia esatto definire ciò, proprio come forma di pensiero, ad esso si appiglia per dimostrarsi. In definitiva la morte dell’inconscio, per mezzo del sub cosciente, oserei dire pubblicitario, ha dato a tale mancanza di senso, la possibilità di esprimersi nelle suo connotazioni più immorali, come plausibili della rappresentazione di un’interpretazione delle percezioni, in un al di là del bene del male che ha fatto del fare il significato della pigrizia, di un ozio senza coscienza, potrebbe dire Russell. Un efficientismo rapido quanto incosciente, o estendendo Husserl una riduzione del pensiero infinità, quasi ciò fosse possibile, un’assenza di rimandi, o una stagnazione di essi per mezzo del sub cosciente. Siamo chiari, la psicologia non esiste, ma proprio non esiste, è soltanto un metodo progettato, per ridurre la portata del naturale verificarsi, un modo per dire ciò che l’uomo è obbligato a fare, in quanto agli obblighi che non ha, ma che cerca per determinare un no, a cui delegare consenso e affermazione. È un po’ come dire che quel che faccio e penso non lo faccio e non lo penso, se quel che faccio non ha un mio no da affermare in quanto determinazione del mio sì. se con questo termine determinato malsanamente, vi è un modo per dire che gli esseri hanno dei pensieri e delle emozioni, ciò non è il termine psicologico che fa che ciò sia dal diciottesimo secolo in poi, la vita e la rappresentazione di questo mondo interiore, è tutt’uno con la perspicacia e l’intelligenza dell’essere che comprende e comunica, attraverso se e con se stesso, in un Sé che ne rappresenta la conoscenza in quanto possibilità d’esperienza, ed esperienza del possibile come pensiero che assolve alla spiegazione, non in un no, ma nell’accettazione di un possibile, forse impossibile perché non tangibile, se non nell’esperienza intima della conoscenza personale, che conosce, ma “comprende”, che non determina ma esprime una relazione compiuta, la possibilità del responsabile. Con questo termine psicologia che ha connotato tutti più che altro della possibilità di deresponsabilizzarsi in funzione di un oggetto del consenso, più che della relazione compiuta, che ha nella sua espressione la molteplicità ed eterogenea realtà, che implica forse un analisi psicoanalitica nelle difficoltà che il termine umano e psicologia contrapposti danno al loro essere gerarchico percettivo, del consenso e dell’autoconsenso sociale, più che di responsabilità individuale, nei confronti della natura, del pensiero e del mondo misterico e compiutamente spirituale se non in una prospettiva di Dio che ne contiene i termini, è un mondo ampissimo quanto contenete l’esperienza di vita della propria relazione compiuta che trova armonia con l’impossibile. Ho dimenticato quello volevo dire in aggiunta al termine psicologia
Blatero
Che magari il liberismo è un concetto inastratto, che trasforma l’empirismo in percezione irrapresentabile quanto virtuale, una crenetologia della convenienza, in un “sortilegio” della dittatura del consenso, siffatta.
Albert E.
Vuoi dire che per ridare significato alla parola liberismo, dovremo arrivare alla catastrofe, per non liberarci più dell’immagine ch’è stata costruita con questo termine dagli accadimenti “della solita storia?”
Blatero
Mi carichi di una responsabilità già evidente nell’accadere, che tu mi veda coniugare con “la solita storia” quella delle conseguenze catastrofiche, che non nasce certo nel momento della catastrofe, forse è anche nella tua percezione delle cose, o direi nella possibilità d’interpretazione che dai alle cose già drammatiche che stanno accadendo, che poi possa essere una storia peggiore delle altre, finendo per coniugarcisi, questo è qualcosa che mi fa temere di avere capito.
Bernardo Joyce
Si può sempre cercare di avere una relazione compiuta, così per dirla con la parola libertà.
Monalisa
Ho l’impressione che ci sono dei tempi dove ciò è una possibilità esprimibile soltanto attraverso la libertà del vero talento. Questi tempi sono oltre il profano, indistinguibili, attraversano tutto e tutti, ed è appunto in questa possibilità asincrona del talento che la percezione individuale riesce ancora a confrontarsi, con il magma oserei dire quasi; blasfemo che avviene ovunque inarrestabile come fosse l’ovvio della cosa più naturale del mondo. Un puro delirio dell’ovvietà delle conseguenze del potere, l’esistenza di ognuno è sotto questa punta di spada di Damocle, che nella cretinologia del potere vede il suo destino, il suo afflato ispiratore, se la mano destra è bene che non sappia cosa fa la sinistra, ciò non è il senso di nessuna azione che implichi l’esistenza del consenso. Un luogo non vero non afferma ciò che può essere, e solo con il vero talento, forse inverosibilmente è possibili districarsi da ciò, chissà forse prendere la spada del tempo, impugnarla per l’elsa per spezzarla definitivamente nella risolutezza del pensiero e dell’azione, nella sacralità della coscienza, in un tempo che ne contiene l’imprescindibile. Se in tutto questo, ascoltando ciò che dicevate, ho pensato c’è quasi una sessualità, questa corporalità, non va anche essa demistificata dal potere, se ciò ch’è possibile è attraversato da tutto, il desiderio stesso deve soggiacere o è semplicemente l’espressione di un esserci attraversato da tutto? Se deve solo soggiacere sarà quasi impossibile non vedere in esso che un appagamento profittevole, una convenzione, una ragione, o soltanto una funzione più che un’espressione.
Bernardo Joyce
…non so forse l’amore stesso, invece dell’amore.? In effetti il sesso è un aspetto così, individuale della persona, che quando diventa un evento collettivo, cerca di appropriarsi di tutti gli aspetti dello spiegabile, una illogicità della logica come funzione della socialità della convenienza, che diviene un’intimità senza individualità, e chissà se così l’individuo è ancora comprensivo del ragionare, in quanto espressione del capire, più che dell’affermare un consenso, una reciprocità conveniente, un bene interpretabile da contrapporsi a ciò che non riesce a spiegare, che non vuole capire, e la libertà vieppiù si riduce più che in un atto di responsabilità in un legiferare per assoggettare al consenso chi vive responsabilmente, in una reciprocità del reale, più che del consenso che cerca una tolleranza che vuole prevaricare con la propria spiegazione la sensibilità e l’intelligenza, la debolezza stessa. Chissà, tutti sono in cerca di diritti, senza volere capire ciò che responsabilmente la libertà gli ha dato, e la libertà, non è un diritto, ma un dovere, senza il bisogno di essere tale, non si è simili per diritto, anche se lo si vuole come dovere irresponsabile, ma legittimo o illegittimo.
Art
Se sospendere un attimo fosse necessario, reale, o un’illusione di utile, ci sarebbero il sole e le stelle che riderebbero forse, di ciò o molto più eloquemente parlerebbero, e il mare con il suo respiro, continuerebbe ad aprire gli orizzonti, a respirare calmo e sovrano, a cantare come un tenore o un soprano, o più realisticamente come se stesso. Ho sentito questo vortice di pensieri, e quell’attimo come è ciò che sia non si sospende mai, ed è tutto senza altri tempi o tempo, e allora cosa è possibile creare da ciò che è creato stesso? Un sospetto un sospiro, il pensiero, la lì vita, o fin anche l’incommensurabile amore. Perché per quel che so l’amore non può essere che la condivisione della verità, nell’amore stesso o nella verità. Spesso quando osservo, mi capita di osservare, in special modo in questi ultimi tempi, la mancanza dell’interrogazione della composizione nell’ascolto. Una strana e pericolosa disattenzione, una mancanza di realtà nella concretezza, mancanza di profondità, dove forse la banalità stessa ha decisamente un concreta profondità, più vera e per questo reale, di ciò che viene espresso in questa mancanza. Chissà se si può esser precisi nello spiegarla come in una mancanza della creatività della fantasia e del pensiero e dell’emozioni. Di fede e di Dio e l’essere come umano. Non so di certo se le strade sono tutte facili o difficili, non è poi questo il sentire degli animi, o il punto da chiarire e da sapere, quanto piuttosto dove si è in grado di creare, di essere e pensarsi, in una coscienza che si libera dalle catene di chi la domina, che si chiarisca da se stessi, ma non rimanga chiusa soltanto in tutti noi, o in una profanazione umana, e allora creare? Un attimo che non importa che sia dinamico o no, o che sospende il tempo, ora o sempre, ma che corra, ma non sparisca, perché non ha attimo in esso che abbisogna di apparire, che sia fermo o cammini. Siete giunti a parlare del sesso, del ventre fecondo o del suo apparire nella storia, come se ciò rappresentasse un evento stesso del tempo, forse la sua grandezza non può che rimanere chiusa in questo, nell’umana contemporanea di ogni tempo, o forse si inventeranno stratagemmi per far finta che ciò non appaia come evento in sé apparente della storia umana. Ci riduciamo ad una creazione storica e al suo possesso, perché è la spiegazione più comoda che piace darsi, un’eternità biologica e culturale, che fa del piacere il suo possesso, l’inevitabile conseguenza delle conseguenze, un uso utile e conveniente, una maturità del libero arbitrio su noi stessi stesi nella terra, per affermarne il possesso, la sua ragion d’essere, e su oltre le più alte vette della materia, per dimenticare la terra e gli orizzonti. Tutta questa storia del sesso, che l’uomo si è inventato per immaginarsi simile a Dio più che a se stesso, poggia tutta la sua condizione più che sulla conoscenza sul dominio, del perché la natura elargisce consapevolezza in un modo o in un altro, in realtà in tutto questo, l’unica cosa vera è solo la capacità di provare un po’ di gioia e in questo e in questo la sua naturale possibilità, nell’attimo stesso che si sospende. Per il resto è tutta una pazzia di dominio sul bene e sul male così come l’uomo vuole intenderlo a seconda del tempo, ma non credo che ciò abbia molto a che fare con il respiro stesso del mare. E allora quanta debolezza vi è in esso, quanta prosopopea e vanagloria, quanta non naturalità, può trasformarsi in un attimo. Credo che parlavate anche di quello che in un modo o nell’altro la socialità ci elargisce come consenso, come dimensione dell’interpretazione, come continua ricerca di spiegarsi per controllarsi più che conoscersi, ma dico solo l’individuo può conoscere l’individuo e gli individui. E allora questo sesso di cui stavate parlando in sostanza si definisce in una ricerca dell’apparire della propria percezione del consenso, attraverso gli altri e poi su se stessi, per lasciare tutto il resto in un altrove di riflessi condizionati più che di memoria. La grande disputa, la grande disputa è perché è giusto o non è giusto procreare, per mezzo di ciò quale è il consenso e l’utilità, e attraverso ciò il piano della difficoltà del procreare, e per mezzo di ciò l’acclarazione della legittimità del libero arbitrio, e giustificazione dei meriti ricevuti dal consenso, e appagamento per mezzo delle giustificazioni del consenso, che si trasforma subito in condanna quanto il libero arbitrio non dimostra, potere e controllo nell’atto del procreare poco conveniente, su questo piano antroprocreativo si struttura tutta la morale del sesso come possibilità di possesso e ricerca del consenso. Vieppiù il piano della suddetta identità della persona, sta in una serie di calcoli che ne catalogano l’organigramma dei comportamenti. Dove in funzione di una legittimazione del consenso si catalogano le persone in funzione della loro intimità sessuale, nei connotati delle paure che ne hanno determinato la scelta e il vivere codesta intimità, che viene evidenziata nei cataloghi del consenso sociale a modo della sua convenienza. Come appare da questo mio parlarmi il soggetto della convenienza e del consenso sociale, è sempre più aleatorio, come del resto la cosiddetta identità, che diventa materia di parole più che dei loro significati e libertà di capire. E dov’è che colloca la sua terminologia e spiegazione di ciò che deve apparire giusto e consenziente, nella vanagloria della diversità – anche la vanagloria ha una pazzesca convergenza con la parola diversità. E allora tutta la virilità sta nell’affermare la propria intimità sessuale sull’intimità sessuale dell’altro, o altra. E tutto si riduce ad uno psicologismo sessuale meccanico e alle sue catalogazioni. E tutto allo sdegno e allo schifo e alla cosiddetta identità che cerca il ruolo di uguaglianza in funzione della ricerca del consenso e del maggior potere. E confondono lo sdegno e lo schifo, perché in definitiva tutti fanno sesso con tutti, e si sentono tutti nella stessa orgia, in una lotta per determinare chi sia passivo o attivo, chi si è fatto chi e chi si fa chi, e quanti o quante, o quanti e quanti e quante e quante, in una competizione, per dire ciò che è più giusto e ciò ch’è più sbagliato, per dire chi è più bravo e chi è emarginato. Il sentimento che non è questo – è questo – un catalogo economico. E allora ha chi dobbiamo rivolgerci, a tutti questi, e che gli si va dire a questi, che so che l’oralità sessuale può essere bella, che coinvolge molto della persona, e che so che forse è un po’ promiscua, e che dico che se una donna mi offre il sapore del suo sesso è difficile dirle di no, e che magari la reciprocità sta nel fatto che il piacere è nel suo piacere quanto nel mio saperlo come lo gusto, e che nel suo sentire il mio sapore si coniuga a delle immagini di affettività nella mente insieme al suo sapore, che non può esserci infedeltà altrimenti svanirebbe tutto all’istante. E che so che magari dire che quando vedo un uomo tutto ciò non avviene, ma che non centra niente con il fatto che l’organo sessuale è diverso, o con l’assurdità che possa essere schifoso, quant’anche ci fosse una reciprocità sentimentale, non è che l’intimità della condivisione dei pensieri e dei sensi, determino l’eternità della fedeltà sessuale, con questa unica persona, proprio perché tutto l’immaginario, è attratto profondamente dalla bellezza della donna. E a questo punto che cosa dovremmo spiegare che una cosa la si sceglie perché c’è un rispetto profondo del sentimento, ch’è personale ed intimo e che non deve necessariamente stare nel dominio e nel potere, che non c’è bisogno di possesso per essere, e che dare non vuol dire possedere e che essere deboli o forti spesso poco centra con ciò che si è. E che una persona è proprio una persona e che il ventre di una donna è proprio il ventre di una donna, che il piacer è proprio il piacere e la procreazione proprio la procreazione.
Il mare respira immensamente e tutti i miei respiri respirano con esso, il sesso è solo una di questi respiri.
Continuate vi ascolto.
Little Big
Se sia più sensato un giorno o tutta la vita, ed è come se la memoria fosse diversa. Già perché quel che accade in un giorno è già accaduto in tutta la vita, ed è proprio questo che fa l’illusione, che crea i fantasmi della memoria, perché tutta la vita non può essere un giorno, ma un giorno non può neanche essere tutta la vita. E allora cos’è che ci ricordiamo, che cerchiamo di spiegare con la memoria, spesso, soltanto quel giorno, e non è che ci si accontenta, ma spesso, si pretende che sia così, e troppo spesso quel giorno finisce in balia di una mediocrità, così particolare, che appaga e fa anche lamentare, quasi volendo farti credere che tu possa appagarti del tuo lamento, in quel giorno per tutta la vita. Non è comprensibile per tutti che una persona possa essere, paga e talentuosa di capire il mondo, e farsene proprio nella sua vita, quasi che questo mondo condannasse chi muore sconosciuto, o sconosciuto per mano di molti. Chi è che ricorda chi per chi è morto sconosciuto. E quanto è ancor più scomodo quel talento, che non fa parte del gioco delle parti, che fin quando c’è la persona che lo rappresenta, vien con essa ostra - ta – ciuto, per poi in pompa magna renderlo lamentoso, morto il persona, e sottaciuto per quanto nominato, vanto per tutti, quasi che tutti possono dì oggi è un giorno novo. E novo de ché? Taciuto e tacito come la folla ingorda vò, pé convenienza e scomodo de la finta coscienza, che sa revoltà come un sarego in padella. Assassini tutti de ‘sta falsa memoria, che trova vanto de li sconosciuti quando so morti, pé dì che se ce stavano loro la cosa sarebbe stata diversa, e pé di ch’è per questo che mo ce stanno loro, che fanno la storia de li mortacci loro, e de li fii de puttana che se ritrovano, ma andate a morì mazzate voi e li lamenti vostri, che non c’hanno da esse né ora né mai.
Ma credo bene che questa storia della storia e della memoria che riscatta quel che comprende ma non comprende, solo perché può dire quello che più gli appare del talento di questa persona, che ha nome di se stesso e a parlato a tutti, senza che nessuno abbia avuto l’obbligo di ascoltarlo, non è certo nella comodità di chi associa questo a questo altro, per dire ciò ch’è giusto e sbagliato, che appunto, fa di quel ha parlato, un adesso parla. Perché adesso o è sempre o non è mai; ed è solo per questo, che nantra vòta, non è natra vòta, ma è adesso, solo per quello, che se legge, ascolta tutti quelli che sono morti sconosciuti, ma non li confonde con quello che legge, perché lì ci legge solo lui, se ci sa leggere, e quanto parla, parla lui e nessuno sa di ascoltarlo, perché quello che legge l’ha scritto uno non per tutti quanti, ma per ognuno. E à da esse famoso così, chi ne ricorda la coscienza, come isso che la scritta attraverso la coscienza e la bellezza de scriverla, che non se scopre ma sè capisce. Chi so li stupidi, isso non lì conosce, ma loro nu volle conosce. Ma la memoria o con la traccia o senza traccia, non finisce co a traccia e lu scordari è nu scurdari vero. Lu “resto so tutti criminali, prima e dopo e durante.”
Blatero
Il mondo è un’illusione di silenzio, un rimbrotto senza voce né coscienza, un’associazione di fatti e luoghi senza nessuna relazione, una consociazione senza individuo, né libertà, un delinquere più o meno plausibile e conveniente. Se questa assenza del silenzio è una condizione di un momento del tempo umano o sia tutta l’espressione del suo tempo, non sarà nessuno a dircelo, perché ciò che ha voce è nello stesso silenzio, in ciò che non può essere eluso dalla coscienza. E allora l’illusione prende il posto della stessa parola in funzione di un dialogo unilaterale, quanto molteplice nell’agire dell’essere umano, e non c’è un luogo uno spazio in cui la parola si rivela, ma solo si perde nella coscienza dell’essere umano, che non ha che questa assenza, mancanza di significato del silenzio e della parola per esprimere se stesso, un’illusione senza tempo, che fa che la realtà sia la spiegazione che in ragione di se stesso trova l’interpretazione delle parole, nella propria indole e propensione all’illusione. E con ciò cosa gli rimane del tutto, del significato stesso dell’esperienza, che trovare una specie di associazione consociativa, con cui inventarsi una relazione che non c’è, ed esprimere un potere che dia a questa mancanza, la connotazione di verità e di determinazione di significato della realtà come una non rappresentazione di se stesso, che si esprime all’interno di codesta logica di potere, per affermare alle altre medesime logiche la sua superiorità, in un’illusione di molteplicità. Se la conoscenza è nella sua molteplicità, che non si differenzia per sostanza dalla verità, ma che esprime una sorta di reciprocità culturale nella molteplicità della coscienza. Codesta logica di potere viepiù esprime il controllo sul senso e il significato sul perché dell’ineluttabile delle regole sociali, che determinano la vita e morte dell’essere umano. Quando la coscienza ha un suo silenzio, le sue parole, è sempre stato e lo sarà sempre, solo l’individuo a rappresentarsi, perché ciò che esprime la realtà non si frappone né si contrappone ma è in relazione con ciò che esiste ed esisterà, al di la del suo silenzio e parola, di quella persona. E allora il mondo non ha più luoghi per rappresentarsi, perché quella coscienza in quell’unica persona per un mistero immensamente profondo, fa sì che la moltitudine non si “frapponga con la sua illusione, in una sorta di falso teatro, dal dramma incommensurabile, quanto privo di coscienza, privo della vita di una persona, nell’illusione della morte che sovrasta tutto, al di là di ogni scelta, che per assurdo obbliga alla libertà, senza che in realtà ci sia né solidarietà né cooperazione, ma solo un idillio di vanagloria, privo di silenzio e di parola, un insulto continuo di arroganza e di molestia, una cialtroneria dell’intelligenza che ha delegato il suo alimentarsi all’imbecillità, con l’imposizione della libertà che due imbecilli associati insieme nella loro imbecillità di potere determinino la sostanza, di una consociazione tra imbecilli, per dire che sol per questo la verità è superiore. Questa ricerca spasmodica per trovare qualcuno con cui dominare il mondo, sia esso piccolo o grande, rappresenta bene la debolezza di tale illusione di verità, che puntualmente distrugge tutto quel che può, con malcelata verosimiglianza, con ciò ch’è vero, o quant’anche onesto dell’essere quel che si è in rapporto al tutto, e allora la vanagloria puntualmente invisibile come la cecità umana che non vuole più rappresentarsi, fa della coscienza di ogni individuo l’esaltazione dell’imbecillità, il plus ultrà della rappresentazione della libertà per obbligo e che uccide chi non vuole essere libero, o il più delle volte che fa finta di volerlo essere. L’intelligenza e la realtà, verità, non sono per nulla intaccate da ciò, ma l’irreversibilità della morte deve rappresentare la sua irrapresentazione, la sua manifestazione di odio, la sempiterna lotta nella sua paura, l’imbecillità inteatrabile, come se il silenzio e la parola fossero sostituiti dal silenzio e la parola, come se un’invidia e incommensurabile per la vita, trovasse un odio senza limiti, un’illusione senza più sguardi e la paura agisce” in vece di se stessa per affermare un volere sulla morte che esalta il più acuto volere di uccidere, la morte di ogni possibilità di rappresentare, di ogni teatro umano, di ogni possibile immagine e memoria, un idillio di sopravvivenza biologica, che annulla il senso e la coscienza esaltandone la rappresentazione, nel vacuo nell’insensibile nell’imbecille più visibile, la mediocrità umana, che interpreta l’inevitabilità della logica che si è data per giustificare la morte della sua paura, una negazione assurda della reciprocità della vita, del significato con cui la si vuol determinare. E allora forse l’unica cosa vera e reale che resta a questo punto, non siete voi né la rappresentazione, ma il silenzio oltre voi e le parole scritte nel silenzio, narrate nell’impossibile, raccontate con la voce di una memoria che le dirà, di una cultura umana che non è più frapposta ad essa, di qualcosa forse che scomparirà per sempre, che forse si ricorderà senza bisogno di ricordare. Sinceramente a voi dico una battuta, proprio voi che state lì, che qui non ci crescono neanche le rape, e che per poter essere in questo luogo intelligenti, bisogna essere più che geniali, e solo forse basta esser saggi. Voi che siete lì, che cosa rappresentate per noi qui, c’è una contiguità tra noi e voi, ognuno di voi è in grado di avere una verità di relazione con se stesso, o siete un’ammucchiata di ipocriti dell’intelligenza e della saggezza? D’illusioni collettive, frapposte tra di voi e tra noi e tra noi e voi, che razza d’immagini siete. E non è una mia concessione questa, perché il non considerarvi uno per uno, non è una mia facoltà, ma una vostra personale prerogativa di qualità, di personale responsabilità, ma se voi avete dato delega a qualcuno o qualcosa, per il vostro pensiero, così detto, voi sapete dirmi cosa stiamo noi rappresentando? O nel vostro crogiolo di pseudo politica pensate che l’arte sia inconsapevole di determinare la coscienza pur essendone l’unica espressione universale in rappresentanza di un individuo, e voi pseudo politici dell’arte che rappresentate, una consociazione a delinquere, giuridizionalmente profittevole della libertà per forza, che collettivizzate la spiritualità in una politica del consenso quando pensate di poter restare dove ora credete di stare, sia che Dio lo voglia o no, qui per caso o per necessità vi piace credere. Non si colma così il silenzio, e le nostre parole sono la non necessarità dell’arte in quanto necessario è un termine in essa non indispensabile, come la vita o la morte, che sono utili nella percezione spirituale della nostra coscienza che sentiamo rappresentarsi, ogni volta
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