Patrizio Marozzi - Un breve giorno, pag. cartelle 39 – fotografico

 

Le prime sette cartelle scritte - il libro si completa con le fotografiche

 

Un breve giorno


L’Italia – gli italiani più mi guardo intorno e più mi accorgo di questo assurdo sistema mondiale e dell’effetto della vanagloria di ritorno che ha su questa parte di mondo, dove ancor si parla la lingua più consona alla libertà – se sol ci fossero tre o quattro italiani liberi. Terra prima che nazione come del resto l’umanità intera sembra un gozzoviglia di post qualcosa che si voglion rendere padroni – per tener qualcosa che manco sanno cosa – sono tutti di un derivato di un desiderio improprio una frustrazione un orgoglio blasfemo – non c’è una persona che sappia riconoscere qualcosa neanche per isbaglio – tutti servi di qualcuno o qualcosa che gli dice chi e cosa è questo e quello senza che neanche sappiano di cosa stanno parlando, si sono beharovizzati che più non possono si sono ammodernizzati dietro il predominio della mentalità corrente in cerca del denaro che li classifica e ne gerarchizza le sensazione e i pensieri – le emozioni e i sentimenti – sembra la moda del momento sul pianeta dove per responsabilità c’è solo la somma della menzogna. Post classisti post ricchi post arrichiti post contadini e post nobili post impiegati e post professionisti post padroni e post dipendenti post laureati e post culturali ognuno ha acquisito per meriti di susseguenza la qualifica di post a riempire la tabbellina delle etichette post commendatori e cavalieri decorati e statalizzati post mafioso o mafiosi interi ignoranti titolati contemporanei post privi di scelta al servizio della scelta post prevaricatori e post cafoni post senza né identità né coscienza omologati liberisti post critici senza criteri o con post criteri di valutazione post consensuali post di un post d’ignoranza senza fondo post modernizzanti e sarà solo qui – o ovunque volgarità dei sentimenti cafonaggine dei comportamenti ignoranza per il post comando per il post io sono.

Sono seduto nel mio “studio” guardando questo mondo in cerca di alcune fotografie – da guardare osservare – senza didascalia solo osservare attentamente e magari con un occhio che non si ferma – senza quella domanda un po’ ossequiosa – che ci faccio qui – in mezzo a questi mobbizzatori senza speranza – e allora dietro ad ogni fotografia mostrata o più certe volte non mostrata non ritrovata ci possono essere storie che richiederebbero un intero libro per narrarle – ma lo sguardo silenzioso sta sulle fotografie su questi sguardi momentaneamente sospesi con un occhio curioso come può esserlo uno sguardo libero un racconto non privato ma che non sta a blaterare della storia o dell’ipotesi di tutti i fatti – del mondo intero – se c’è il mondo intero – c’è senza bisogno che ci sia perché la persona è già un mondo – e allora uno sguardo su un’immagine fotografica può essere un solo sguardo senza il bisogno di doverlo essere – senza l’obbligo di sperare che lo sia – se si affaccia alla storia il narrator il narrator è la storia ma il suo sguardo è la sua storia la sua sintesi il volere della sua immagine e quel che guarda si racconta al di là ma pur sempre nel momento dello sguardo sulla fotografia – ma non tragga in inganno questo - che ciò ho detto – di fatti le immagini che ora vedo sono quelle dei ricordi ancor più di quelli degli sguardi momentaneamente sospesi in un fotografia – eppure i ricordi si possono accennare – quasi brevemente – perché tutto possa essere visto da altri ricordi – eppure i fatti sono già stati e lo sguardo sulla fotografia è già lì se sol si sappia vedere o leggere la storia è compiuta già prima dello sguardo – solo il significato può essere vivo e reale – non già interpretabile, forse soltanto compreso.

Nel punto in cui mi trovo la vita è già iniziata da migliaia d’anni ed anche se sto guardando uno stendardo religioso che ritrae Giovanna d’Arco di una storia già memore e che riguarda in fondo i tempi degli avi dei nomi e dei tempi più prossimi alla formazione del significato dei nomi e della storia dell’identità dell’uomo – è pur vero che Giovanna D’Arco è un’espressione unica del conflitto della spiritualità – del resto lo stendardo che vedo ha una storia più recente - ma forse non di meno - significativo l’attraversamento dei tempi.

Ma guardiamo l’oggetto che mi appare più antico qui sulla collina a ridosso del posto – non so ora in questo momento – voglio dire che non lo ricordo – come si chiamassero quegli avamposti di sorveglianza o postazioni di guardi che i romani usavano già prima della venuta di Cristo – be’ secondo me questo rudere di “torre” è proprio ciò che resta di uno di questi avamposti anche per l’architettura rimasta mi sembra la cosa più ovvia – che poi come si narra qualcuno, inglese abbia mappato nello stesso posto una fortezza una caserma andata completamente distrutta tra la guerra - tra guelfi e ghibellini non resta che questo disegno con tutta un’altra costruzione architettonica rispetto a quello che di visibile e tattile è ancora rappresentato. Proprio al di sotto di questo rudere passano gli ultimi centinaio di metri della strada salaria costruita dai romani. A fianco della colonnina miliare che indica la fine e l’inizio della strada salaria c’è la prima o ultima casa – che dir si voglia - costruita su questa strada a ridosso degli inizi del novecento che sta per facciata con la strada che fa incrocio – la statale adriatica – intorno a questo punto praticamente ha inizio la storia del novecento di questo posto, si definiva un centro – tale posto chiamato Porto D’Ascoli costituiva la zona costiera del comune di Monteprandone – e tale è stato fino in epoca fascista quando l’ampio territorio di Porto D’Ascoli passò sotto l’amministrazione di San Benedetto del Tronto.

Anacleto Marozzi partì per l’America con il bastimento che attraversava l’atlantico nel 1903 all’età di quattordici anni – quando le frontiere degli Stati Uniti erano ancora libere quasi come al tempo dei pionieri americani – anche se ad attenderlo non so quale sogno gli americani avessero - per lui c’era quello di tornare in Italia – lavorò a Pittsburg e la zona di Washington per circa quindici anni in modo duro e faticoso tornando in Italia alcune volte per iniziare a costruire quella casa alla fine o all’inizio della salaria – cosa aveva fatto partire Anacleto Marozzi all’età di quattordici anni maschio di cinque figli dalla terra di Monteprandone è facile intuirlo – il bisogno di sopravvivenza, ma il motivo che lo portò a ciò fú uno strano atto di generosità che il Padre Elia Marozzi compì – immaginiamo in buona fede – proprietario terriero per discendenza di sette terre che andavano dal declivio di Monteprandone verso l’orizzonte della vallata del fiume Tronto – sul declivio che va dal paese giù di fronte al convento del frate San Giacomo – per avere firmato sulla fiducia a garanzia di un debito non suo (di un altro) perse l’intero capitale e come suol dirsi cadde in disgrazia. Anacleto Marozzi formato un capitale che gli permettesse di finire la casa e intraprendere delle attività in Italia vi tornò – sposo Maria Merlini figlia del veterinario Saturnino Merlini e Caterina Nicolai ebbe cinque figli quattro maschi e una femmina – da prima aprì una ferramenta e un distributore di benzina che vendeva il carburante standar poi un generi alimentari con latteria adiacente esse rimasero nella famiglia - ed ebbero una funzione sociale per l’intero paese - e quando uscì comprò una balilla. -

All’incirca nel mentre ciò accadeva Vincenzo Adriani bersagliere ritornava dalla grande guerra in quel di Civitella del Tronto maresciallo delle poste sposato con Maria – conosciuta in Calabria per la passione che aveva nel suonare che lo portava con la banda in giro per l’Italia – da cui ebbe tre figlie – nato qualche anno più in là della nascita del nazione italiana di fatti poco dopo che era andato via quell’italiano di ritorno di Napoleone finì i suoi giorni serenamente a Porto D’Ascoli.

Sua figlia Addolorata fatti gli studi a Camerino intraprendeva la professioni di ostetrica da prima in Calabria poi per concorso come di condotta a Porto D’Ascoli – raccontare l’immenso svolgersi dei fatti ci porterebbe al di là dell’immaginare di guardare una fotografia - si sposò ed ebbe due figlie rimase vedova e in seconde nozze si sposò con Giovanni Cocciò ed ebbe altri due figli – Cocciò Giovanni venne a Porto D’Ascoli da Petritoli di professione macellaio - da quattro generazioni scelse Porto D’Ascoli per la sua attività per il bisogno che il posto aveva di tale professione, anche su consiglio e aiuto del marito di una delle sorella di Addolorata – vorrei un attimo ricordare che la professione di ostetrica all’epoca era basata sulla professionalità ed intelligenza che l’esperienza sapeva far suscitare nelle difficoltà anche estreme che si potessero presentare in un parto – non furono le sole per Addolorata – essendo essa la prima ostetrica condotta del paese - con la presenza contemporanea della moglie del gerarca fascista anch’essa ostetrica - c’era spesso una battaglia persecutoria – non che per questo non mancassero i litigi con il marito Giovanni socialista ed anti fascista convinto – giacché Addolorata che tutti chiamavano Dora – anche per professare la sua professione – ora non so se è esatto – divenne capo delle donne fasciste, un avanguardista – Dora era apprezzata dalla popolazione non solo per le sue capacità ma per l’apertura umana che aveva dinnanzi alle difficoltà dell’epoca, che richiedeva di sfamare intere famiglie nel bisogno ed aiutarle a sopravvivere - trattando chiunque senza differenze – era considerata energica e un bersagliere come il padre – e poteva succedere in quel periodo che mentre Anacleto Marozzi metteva la radio in balcone per fare ascoltare i discorsi del Duce si sentissero le imprecazioni di Giovanni Cocciò - Nannì e da una casa all’altra si rimbalzavano le voci – in vita Dora aveva piacere di ricordare che aveva fatto nascere 8700 bambini – se sbaglio di uno o due è per mia colpa – e in vecchiaia in una delle stanze del suo studio aveva raccolto lumini e santini dove stava a recitare il rosario – e secondo me ricordava quelli che suo malgrado aveva portato al “befetrofio” dopo la nascita non essendo stati potuti tenere dalla madre, e soprattutto quel qualcuno che nonostante la sua professionalità le difficoltà del parto non gli avevano permesso la nascita. Ebbe la medaglia d’oro per la professione prestata, su proposta di un cittadino di Porto D’Ascoli – di Nannì per quanto il suo mestiere potesse apparire rude non mancavano nei sui insegnamenti il rispetto per la natura. Un ricordo tramandato di Dora narra di un esempio in cui radunò tutti quelli della famiglia perché in quel giorno bussò alla sua porta una donna in estremo bisogno e gli dette l’unica pagnotta di pane che aveva – privandone quelli della sua famiglia – e in quello stesso giorno una donna venne a visitarsi e gliene offrì due – sarà stato il suo entusiasmo ma in questo vi vide il mostrarsi della provvidenza.

La seconda guerra mondiale attraversò questi posti e vide gli episodi che si verificarono in quel periodo – le paure le sofferenze ed anche gli stupori ingenui – la popolazione civile italiana sfollava per evitare i disastri della guerra e l’Italia si rimescolava e riformava anche in quel modo – quando si avvicinarono gli alleati furono subito presi per portatori di pacchi in realtà quello che fu scambiato per un pacco era una bomba che puntualmente cercava di colpire ogni giorno il ponte sul fiume Tronto – ogni volta mancato e distrutto dai tedeschi durante la ritirata, ritirata che divenne sempre più tragica con disertori che cercavano abiti ed indumenti anche femminili, in alcuni casi, per togliersi le uniformi di dosso – di quel periodo ho un comodino forato da un proiettile aereo entrato nella camera da letto di Giovanni Cocciò e Dora – ed un episodio di quelle notti di guerra che si verificò nella memoria dei racconti – di una notte in cui sul mare passarono delle navi e i tedeschi della costa le bombardarono in un bombardamento terra mare mare terra e il giorno fu visto tragicamente che si uccisero – dello stesso esercito. In quel mentre i figli di Anacleto – Leo Marozzi e Ivo Marozzi erano nel pieno della guerra e di quel che accadeva, nell’incertezza del ritorno - né se fossero vivi – Ivo Marozzi fece cinque anni di prigionia con gli inglesi – Leo Marozzi militare dell’aviazione che attraversò tutte le guerre in volo – pluridecorato anche dalla repubblica italiana per le sue imprese era diretto in Germania prigioniero dei tedeschi – quando in una stazione del nord Italia dei partigiani riuscirono ad aprire i vagoni ferroviari di quel treno e nella ressa della fuga generale in stazione si simulò come radio telegrafista – da lì in bicicletta ridiscese l’Italia e da quel che so attraversò gli Appennini passò vicino casa e passò il fronte – forse nel punto meno indicato – e ritornò effettivo dell’aviazione nel battaglione di Gioia del Colle – Ivo Marozzi a tal proposito per quel che ricordo – promettente corridore – smise in vecchiaia di poter camminare regolarmente per una sorte di artrite al ginocchio ma non smise mai di andare in bicicletta - con la stessa con cui aveva corso – La guerra finiva e il paese si ricompattava – cercando di ritrovare la sua identità per ritrovare la normalità che aveva – Maria Marozzi per ringraziamento alla madonna fece fare un statua della madonna di Loreto, che rispetta quella della iconografia della cattedrale di Loreto – ma sinceramente devo dirvi con una battuta che quando viaggiano le due madonne certe volte mi sbaglio e non so ma credo che l’espressione del viso di quella donata da Maria mi piace di più – tale statua ch’è nella parrocchia di Cristo Re aveva fino a poco tempo fa incisi i nomi di Ivo Leo e Maria se non ricordo male sul retro del basamento in marmo – ma qualcuno che non so esaltato dall’anonimato nel volere offrire il nuovo altare ha chiesto che vi fossero cancellati i nomi sulla madonna – Con le ferite che vi erano nel paese c’era anche la volontà di ritrovarsi – ed ora torno a guardare lo stendardo dipinto ad olio con tanto di firma dell’autore – che rappresenta Giovanna D’Arco che ha accompagnato molte processioni religiose del dopo guerra da me restaurato e appeso nel mio studio – che Dora commissionò e fece fare per donarlo al paese come segno di riconciliazione del dopo guerra.

Passata la guerra le cose riprendevano e se all’inizio sembrò De Gasperianamente si progredì sì ma anche a colpi di correnti” e diciamolo iniziava l’era dei furbetti e degli svelti, forse non ancora del tutto degenerati – ma di certo i piani regolatori per lo più servivano – per essere modificati a favore della speculazione a fini edilizi – che sappia io in fin dei conti è sempre stato difficile opporsi a tal sistema – che qui nel territorio si è realizzato sempre a discapito di ogni ipotesi di verde già preventivato sotto le amministrazioni di tutti i colori – certo ora la cosa è di gran lunga più seria con questa contemporaneità son riusciti a porre fine all’ipocrisia dei piani regolatori e hanno fatto della valle dei templi quella dei condomini e delle ville… – ma queste sono pagine nere che riguardano tutti quelli che le vogliono scrivere e sinceramente mi dà anche fastidio averle qui citate, sono un evidente stonatura, ma è quello con cui io devo ora confrontarmi – e allora torniamo alla storia. Con l’avvento delle comunicazioni che si aprivano sempre più – anche in Italia nacque la televisione – e qui vorrei fare un commento ironico sul fatto che praticamente tutti quelli che ora vengono intervistati che in fondo sono ben piazzati sulla struttura diciamo pure associativa del “non sapere italiano” – come tappo per ogni vero costrutto di libertà – facciano quasi vanto del fatto che loro quando uscì la televisione la prima volta che l’hanno guardata è stato a casa di altri – ora tornando alla nostra storia - Dilio Marozzi e Francesca Cocciò – lui penultimo dei figli maschi di Anacleto, lei terza figlia di Giovanni - che si erano promessi sin da ragazzini si sposarono - con tre figli di cui io l’ultimo e quando si vide la televisione, comprarono un televisore Siemens naturalmente a valvole e tanta fu la curiosità che la casa la sera si riempiva di paesani – non me ne vogliano quei cittadini italiani di Porto D’Ascoli di quel periodo se si sentono così alla stregua degli intellettuali contemporanei - e la caratteristica di queste serate era che non se ne andavano fin tanto che non fossero finite le trasmissioni. Diciamo che quelle serate alcune volte erano un po’ troppo lunghe per gli ospiti. Comunque quel televisore che andò avanti per molto ero riuscito a conservalo ancora funzionate fino a qualche hanno fa, insieme al grunding in bianco e nero, che univa un po’ il passato della tecnologia del televisore con quella seguente – ma alcuni anni fa accadde l’incredibile, in una giornata di pioviggine con il mare effettivamente molto agitato si formò una bassa pressione atmosferica nell’interno e sulla costa il fiume Tronto iniziò a straripare quando in mattinata si seppe questo il fiume Tronto era avviato già nei pressi della ferrovia, ma non si immaginava certo quello che sarebbe successo nel pomeriggio, perché una serie di eventi diciamo per finta straordinari si unirono – fatto sta che giunse sulla costa un ondata di piena che nessuno si aspettava e ancora non si vuol sapere se fu causata dallo scaricamento delle dighe sui monti, ma la cosa straordinaria che si verifico è che il fiume giunto a circa tre o quattro cento metri dalla costa nella massima sua portata devio il corso sulla statale adriatica la percorse per circa tre chilometri, prese la via del mare imbocco il sotto passo, riempiendolo naturalmente percorse altri duecento metri ed arrivo al mare – naturalmente ci fu indignazione perché sembra che non avesse rispettato il semaforo all’incrocio con la salaria – ovviamente tutto intorno fu allagato, tranne pensate un po’ la zona libera di fianco al fiume chiamata sentina (ancora, per fortuna, zona naturale per godersi il mare) – …e gli immensi geni commerciali del posto dinanzi la sentina – in aggiunta alla strada variante costruita senza il rispetto dei pontini ferroviari, ovviamente della ferrovia, nel medesimo posto hanno riempito di muretti di cemento ogni perimetro del loro insediamento, ad ulteriore ostruzione lo scorrimento delle acque – di fatti in piazza Cristo Re (parallela alla via del mare) l’acqua raggiunse la maggiore altezza e i televisori sono stati annegati – la nuova tecnologia che supera la vecchia. Nel 1960 fu aperta in Porto D’Ascoli la prima sanitaria, pensata e realizzata da Dilio e Francesca ed anche ciò rappresenta una parte di questa storia. E ora tornando agli anni “un già trascorsi, ricordo che io insieme agli altri ragazzini dimenticammo che l’adriatica si chiamasse con tal nome perché per noi era diventata la nazionale, era la via di collegamento che andava dalla Puglia alla Lombardia, spesso vi restavo a guardare le targhe automobilistiche di tutto il mondo che vi passavano continuamente – e una volta l’incrocio tra la nazionale e la salaria blocco mezza Italia – fu a causa di una tragedia accaduta in mare, dove naufragò l’imbarcazione Rodi – e la racconto così come la interpretai all’epoca – l’imbarcazione galleggiava capovolta nel porto pescherecci di San Benedetto del Tronto e non si capiva se i marinai potessero essere ancora vivi o morti dentro il peschereccio – io ragazzino quel che capii in quella concitazione affacciato dal balcone della casa della parte di Via Nazario Sauro della nazionale - mentre i marinai bloccavano la strada che era diventata una interminabile fila di camion lunga tutta l’Italia, e dove si accendeva ogni tanto l’esasperazione degli uni e degli altri – che qualcuno intervenisse per risolvere il problema, di quella che poi sarebbe stata ricordata come la tragedia del Rodi.

Se c’è qualcuno da ricordare in questa storia lo ringrazio, che mi sarebbe piaciuto avesse potuto leggere anche Per Paolo Pasolini.

 

 

 

 

                          www.ilmanoscrittodipatriziomarozzi.it

 

 

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