di Patrizio Marozzi

 

 

Poesie e pensieri di un Apicultore Incolto

Pag. 10

 

 

Guardo struggersi l’orizzonte

Come se tutto fosse dato – dico più come pensiero che guardato dagli esseri umani.

Per me incolto basterebbe dire gli uomini.

Essi spesso, negli ultimi tempi, da me osservati, son fermi e si muovono senza capire, quasi non capendo se fanno del male, quasi che se si sentono odiare, hanno da pensare di non essere loro, ad odiare –

Con questo sentimento con quanta facilità basta dir loro di fare qualcosa – quasi che essi non abbiano più coscienza – hai più sciocchi come a quelli che sanno dell’odio e ne sono, lo stesso, schiavi –

Con la più banale superficialità adempiono al male su persone vere; a persone a cui non vien detto mai di essere di essere schiocche e irresponsabile, ma le si calunnia come Tali, per il dileggio e la repressione della libertà di dire il vero –

Odiano gli sciocchi con la loro superbia come degli sconosciuti che non sanno, chi son quel che odiano, e immaginano il perché per quel che gli viene detto – come calunnia o no, neanche son coscienti del fatto – come vero come veri nella loro superbia, dicono di essere conosciuti, da chi essi stessi non sanno, chi realmente è e perché – vogliono arrivare primi ad ogni modo, facendo del male e trovando giustificazione ad esso. Le Api possono anche non produrre miele.

 


 

Capitolo 2

 

 

Guarda dove può l’Apicultore incolto

Osserva i vuoti che gridano, quanto passeggia tra gli avamposti del consumo

Come se quei vuoti, che come persone finte stanno lì – avessero qualcosa di personale nei confronti dell’apicultore incolto

Quasi che la sua opinione ne ferisca la sudditanza e la schiavitù – Come se le percentuali avessero più valore della verità – Come se senza pensiero essi dovessero osteggiarlo solo per appartenenza alla schiavitù

L’Apicultore tra l’odio degli sconosciuti che lo circondano – un odio che nasce dall’odio – e non dall’amore dell’Apicultore incolto –

Vorrebbe amare quegli esseri se solo non fossero così ammaestrati e ostili, alla sua libera espressione. alla verità che non sanno più accettare per sudditanza, e anche ciò ch’è libero e spontaneo, come l’amore dell’apicultore, che li guarda … fosse non vero – lo rifiutano per ordini e informazioni di gruppo o di corporazioni – come se avessero ascoltato l’apicultore con le orecchie del sistema a cui appartengono – ed è così che spontaneamente eseguono gli ordini superiori – come se l’Apicultore dovesse per essi accettarli, rinfrancarli della loro bontà –

Ma essi sono soldi e bisogno, e perché no! avidità che lo superi.

Per questo, solo per questo, odiano la libertà dell’Apicultore incolto.

Come può l’Apicultore far finta dell’odio di chi neanche conosce – come può far capire l’amore a chi neanche “parla”-

 


 

 Capitolo 3

 

 

La smantrappona, viene sempre a trovare l’Apicultore Incolto – Un po’ sformata e tonda, con la paturnia tanto pelosa – che quanto piscia sembra bagnarsi tutta l’uniforme – anche s’è nuda.

La smantrappona dice all’Apicultore di dargli il suo miele – il più buono che c’è al mondo –

Ma l’Apicultore Incolto dice che il miele c’è e che le api lo fanno sublimemente, anche se non fosse lui ad aiutarle – La smantrappona sa che non è vero, che la verità esiste anche senza l’Apicultore, ma essa vuole che il miele sembri il suo.

L’Apicultore dice alla smantrappona che la passera larga è la cosa più bella che c’è Che fare all’amore con lei è sentirsi al di là di ogni potere, venire senza aspettare e baciarla, ancora, tutta bagnata.

La smantrappona dice all’Apicultore?

“Ma che parli di donne?”

l’Apicultore direbbe di sì!, ma si accorge che la smantrappona pensa al potere e allora tace e vede che la smantrappona non sa niente della bontà del miele – come della verità –

La smantrappona canta come un’ossessa: gli inni e gli Slogan e le frasi di Io megalomani quanto collettivi –

La smantrappona l’amore dell’Apicultore non lo conosce e non capisce neanche il gusto del sapore del miele –

Che assurdità il volerlo per se.


 

 

Capitolo 4

 

 

Leonida guardava esterrefatta l’Apicultore Incolto, che mangiava il miele, quasi avesse mentre lo faceva una strana luce intorno – l’Apicultore offrì il miele a Leonida, che lo assaggiò e gli parve buono. L’Apicultore guardava il tempo atmosferico dei giorni che trascorrevano – e prima che Leonida con la sua libera opinione parlasse per lamentarsi, con chiunque, e per tutto il giorno con l’Apicultore come fosse chiunque – per lamentarsi del tempo quasi per vantarsi di se stessa,

(L’Apicultore offre a Leonida un Barattolo di Miele – Ma Leonida in quel momento non sa cosa farsene, perché ancora non si è lamentata del tempo con l’Apicultore come fosse chiunque.)

allora l’Apicultore guardò Leonida, l’ascoltò fare il suo lamento, dappertutto, e poi gli disse: “Leonida come baldracca vali meno della pubblicità – ma come pubblicità sei proprio una gran baldracca. E Leonida scomparve –

l’Apicultore osservò e pensò Una qualunquista che si è scordata il barattolo del Miele.


 

 

Capitolo 5

 

 

Guardo le parole come fossero certezze –

Poi le persone sono tutt’altro – dopo che hai vissuto le parole – quasi non sapessero – come appaiono –

quel che dicevano –

Sembra che dicessero, che spesso ti diventano così sincere che mentono, ma con sincerità –

E le parole sono così incerte che non si ascoltano più le persone –

E Mentre mangio il Miele delle Api, non so se sono sole le parole o le persone – di certo c’è una solitudine che non consola – che non nutre, che non pensa – Credo che il mondo delle immagini sia senza pensiero –


 

 

Capitolo 6

 

 

Nel disagio di una vita precaria, quanto la società, non sei mai nuda Sonia –

Sei pronta a rubare tutte le illusioni dell’avere pur di ottenere un tornaconto –

Quasi che il dare più libero, sia un tornaconto per ricattare l’essere –

Sei pronta ad urlare Morte Morte Morte –

Perché vuoi dalla vita solo quello che vogliono darti – e non quello che puoi essere –

Morte Morte Morte, pena di Morte – urli con quel coglione del tuo uomo o marito, che urla guerra guerra, pena di Morte – perché così quello stronzo di tuo figlio possa essere libero di urlare Morte Morte Morte, pena di Morte – Per difendere questa merda siamo pronti tutti ad ammazzarci in guerra – Io no.

Tu e tutto l’avere del mondo, Ricchi o poveri per difendere questa merda – Preferisco la vita – vorresti togliermela per questo

Perché sai che io non voglio uccidere e tu fai di tutto perché odii e competa con te – Quale sistema organizzato, che organizza la sua pena di Morte, il suo diritto e la sua offesa – i suoi disagi ed i suoi crimini, il suo “desiderio” –

Chi per capacità non ti appartiene, per capacità non vuole che tu gli appartenga – Non c’è nessun ordine a cui obbedire – lascia in pace me e la mia libertà – lascia che io possa amare, senza odiarti: blasfema.


 

 

Capitolo 7

 

 

Esiste dell’altro che si dice accada tra le persone.

E non sei solo tu che lo fai accadere – anzi ora che ti vedo quale sei sempre stato e galleggi come uno stronzo – portato dalla corrente qua e là – come ti è sempre riuscito per osannarti nella tua qualità trasformista, nella tua opinione da qualunquista, che trova sempre un popolo a cui fa “finta” di raccontarla E un mare di vogliosi – che non sono una persona – a finire in tutte le tue conseguenze – rinneghi così bene il tuo bene per tuffarti nella convenienza del male che appari troppo spesso in tutto il tempo, così, così caduco nella bontà e nella verità, che per innalzare tutte le bocche aperte e i corrotti, ti serve il capro espiatorio e il silenzio, nell’assurdo rumore dei popoli, che trasforma il pensiero nella superstizione della coscienza –

Sembra, dico sembra, inverosimile in questo momento come sia facile vedere la verità, eppure far finta che non esista, tanto da continuare a sbagliare, sembra la cosa più naturale da accettare, per te e tutto il rumore – Ma dico non ci vuole un rappresentate; a capire cosa è meglio, basta già la logica verità del vivere – ma già stronzo galleggiante, hai cambiato direzione e ti allontani, meglio e continui a far finta di non vedere – l’utilità di questa parvenza ti ha accademizzato a tal fine anche la merda – che come stronzo ora scorre via. In direzione della parvenza – Ma c’è di peggio, molto peggio che accade, è la guerra, che zittisce il silenzio e dice al rumore, come uccidere o morire, allo stronzo come continuare a galleggiare: che illusione.

 


Capitolo 8

 

 

Eri distesa sul letto o sul divano, credo sul divano letto come una bandiera, che pretendeva tutto e l’inutile sacrificio, mi mostravi tutto di te anche in una retorica di silenzio – tu che avida chiedevi tutto, anche quanto poco avevi dato, anzi pure il miele delle Api, volevi solo per te, come se fosse divino il tuo volere – come rubarti il talento per dirti e con te tutti infatuati della retorica – di essere più brava –

Ma quanto talento ha fatto a meno di te pur di rimanere tale, vero – E ora m’invidi con tutti i servi il Miele “che nessuno può donarti”, se non l’amore che dà –

E allora ora nuda sul divano ti spalmo tutta di Miele, proprio tutta, e non di baci, solo la vanità ti è rimasta, per apparire e mostrarti _


 

 

Capitolo 9

 

 

Oggi ho passato una giornata diversa da tutte quelle che ho potuto dirti come se il tempo non avesse altro da dire o da fare ma dirmi;

non sono mai stato in nessuno dei posti precedenti come se conseguenti della vita non sapessero a di appartenere ed ora mi fermo qui e continuo nella vita ad essere la persona che voglio, con l’amore delle mie api e della vita Libera.


 

 

Capitolo 10

 

 

Ora lascio che le Api che liberamente, son state qui volino via a trovare, un loro posto – Appendo il mio abito da Apicultore e lascio che l’Incolto non si sappia più chi sia –

Ora aspetto liberamente sereno, seduto, guardando l’orizzonte_

 

 

Gennaio 2007

 

 

www.ilmanoscrittodipatriziomarozzi.it

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